Gli anni del nostro incanto, un libro.

Copertina “Gli anni del nostro incanto”

Uno scatto fotografico immortala un’allegra famigliola a bordo di una Vespa. Questi sono Gli anni del nostro incanto raccontati da Giuseppe Lupo. Marsilio ha raccolto la sfida pubblicando una storia delicata costruita attorno ad una vecchia fotografia.

Una domenica di aprile, una Vespa, a Milano, negli anni Sessanta: un padre operaio, una madre parrucchiera, un figlio di sei anni e una bimba che non ne ha ancora compiuto uno. Vengono dalla periferia, sembrano presi dall’euforia del benessere che ha trasformato la loro cronaca quotidiana in una vita sbarluscenta. Qualcuno scatta una foto a loro insaputa. Vent’anni dopo, nei giorni in cui la Nazionale di calcio italiana vince i Mondiali di Spagna, una ragazza si trova al capezzale della madre che improvvisamente ha perso la memoria. Il suo compito è di ricordare e narrare il passato, facendosi aiutare da quella foto. Prende così avvio il racconto di una famiglia nell’Italia spensierata del miracolo economico, una nazione che si lascia cullare dalle canzoni di Sanremo, sogna viaggi in autostrada, si entusiasma con i lanci nello spazio dei satelliti americani e sovietici, e crede nel futuro, almeno fino a quando non soffia il vento della contestazione giovanile e all’orizzonte si addensano le prime ombre del terrorismo. Dopo la strage di piazza Fontana finisce un’epoca favolosa e ne comincia un’altra. La città simbolo dello sviluppo industriale si spegne nel buio dell’austerity, si sporca di sangue e di violenza, mostra il male che si annida e lascia un segno sul destino di tutti. Giuseppe Lupo ci racconta il periodo più esaltante e contraddittorio del secolo scorso – gli anni del boom e quelli di piombo – entrando nei sogni, nelle illusioni, nelle inquietudini, nei conflitti di due generazioni a confronto: quella dei padri venuti dalla povertà e quella dei figli nutriti con i biscotti Plasmon.

Qui un’intervista in video all’autore

http://www.raiscuola.rai.it/articoli/giuseppe-lupo-gli-anni-del-nostro-incanto/40156/default.aspx

Giuseppe Lupo è nato in Lucania (Atella, 1963) e vive in Lombardia, dove insegna letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e Brescia. Per Marsilio, dopo l’esordio con L’americano di Celenne (2000; Premio Giuseppe Berto, Premio Mondello), ha pubblicato Ballo ad Agropinto (2004), La carovana Zanardelli (2008), L’ultima sposa di Palmira (2011; Premio Selezione Campiello, Premio Vittorini), Viaggiatori di nuvole (2013; Premio Giuseppe Dessì), Atlante immaginario (2014), L’albero di stanze (2015; Premio Alassio-Centolibri) e Gli anni del nostro incanto (2017; Premio Viareggio Rèpaci) e Breve storia del mio silenzio (2019, selezionato nella dozzina del Premio Strega). È autore di numerosi saggi e collabora alle pagine culturali del Sole 24 Ore e di Avvenire.

Arnold Newman, il ritratto ambientato.

Arnold Newman ( 3 marzo 1918, New York ) è considerato uno dei più grandi ritrattisti della seconda metà del ‘900. Assistente del fotografo ritrattista Leon Perskie, apre uno studio nel 1946. Beaumont Newhall ne riconosce subito il talento e Newman ottiene importanti riconoscimenti, fino a lavorare per la rivista LIFE.

Igor Stravinsky – New York, 1946
L’immagine del compositore seduto al pianoforte, fu rifiutata da Harper’s Bazaar, la rivista che gliela aveva commissionata.

Ritrae i volti dei maggiori esponenti nel mondo della letteratura, del cinema, della musica e della politica internazionale. Newman è considerato un maestro nel “ritratto ambientato”.

Ricordiamo fra i più famosi: Marilyn Monroe, Pablo Picasso, Marc Chagall, David Hockney, Georgia O’ Keeffe, Salvador Dalì e Andy Warhol, e tutti i presidenti americani a partire da Harry S. Truman.

Le sue immagine sono conservate in varie collezioni private e istituzioni.

Qui la sua biografia completa su Wikipedia

Qui il suo sito web

Per acquistare i suoi libri:

Poesia e fotografia

Poesia e fotografia di Bonnefoy Yves, testo di
Annalisa Melas


Poesia e fotografia
di Bonnefoy Yves (Autore)
Per l’acquisto

I poeti, si sa, sono strani, per dire una cosa  costruiscono castelli di parole, architetture fuori tempo che a volte stentiamo a comprendere, e Yves Bonnefoy, l’autore del libro di cui mi appresto a parlarvi, è un poeta.

Quindi una prima cosa di questo piccolo comodo libricino la potete già intuire: la sostanza non sarà mai priva di forma, una forma a tratti straordinariamente immediata, a tratti un tantino complicata.

Ma cosa ci racconta Bonnefoy a modo suo?

Ci racconta il rapporto che ebbe la fotografia con la letteratura dell’epoca, e come venne percepita la giovane e rampante fotografia, nel periodo in cui iniziava a farsi spazio nel mondo, da coloro i quali erano impegnati con le parole.

Secondo l’autore infatti, la nascita di immagini capaci di riprodurre la realtà e fissarla (almeno così si credette in un periodo nel quale a fissare immagini ci pensavano pittori e vignettisti) avveniva e ben si intersecava con ciò che avveniva sull’altra sponda del fiume, dove poeti e scrittori stavano affrontando l’avvento del nulla e con esso la ricerca dell’assoluto, e lo faceva riportando tutte le cose del mondo alla loro forma essenziale, strappandole al tempo e trasferendole in un’altra dimensione, quella di un luogo diverso nel quale diversamente non avrebbero mai potuto trovarsi.

 Spiega infatti Bonnefoy: [..] Ciò che colpisce è che su una lastra di rame si ottiene una riproduzione tanto completa quanto esatta di ciò che prima di quel momento si sarebbe potuto vedere solo nelle sue tre dimensioni, e dunque che questo “fuori”, questo continuo mutare, è stato ora fissato, e li rimarrà, immobilizzato,in questa nuova immagine singolare.

Ma perché la fissazione è così importante? […] Perché essa permette a cose che non potrebbero che essere considerate ciascuna in sé e per sé di coabitare in modo permanente insieme ad altre percepite allo stesso modo, e di abbandonare così il loro piano di realtà in movimento temporale, per esistere sul piano delle immagini […].

Per avvalorare la sua tesi l’autore si avvale della collaborazione di grandi personaggi dell’epoca; dal suo magico cilindro  si srotolano due vie: una sulla quale mette Mallarme (spinto avanti Allan Poe) e Nadar (il nostro buffo straordinario Nadar), l’altra sulla quale camminano fianco a fianco Maupassant e Atget.

Lungo entrambe le strade cerca di mettere in relazione il tipo di immagini che venivano prodotte dai fotografi, con l’uso che veniva fatto delle parole dagli scrittori; lo fa lui perché io credo che l’intento di scrittori e fotografi  fosse diverso, da un lato infatti c’era un’arte antica, la scrittura che passando attraverso i secoli aveva cercato e ragionato su stessa e sull’essere umano, mentre dall’altro c’era un giovane strumento figlio della scienza che avrebbe rivoluzionato il modo di percepire il mondo e le persone e rispetto all’utilizzo del quale iniziavano ad essere fatti i primi ragionamenti.. Del resto, mentre Mallarme volontariamente cerca di distruggere le cose portandole all’essenzialità di ciò che sono, per poi risalire a qualcosa di infinitamente profondo, dall’altro Nadar, utilizzando quello strumento, capace mostrando i dettagli, di ridurre le cose del mondo a linee e forme essenziali, riproducendo i volti delle persone e i loro sguardi, va al di là della loro presenza fisica, restituendo dignità a qualcosa che probabilmente ne era ormai ritenuto privo.

Ci sono poi Maupassant e Atget seduti l’uno accanto all’altro nell’immaginario mondo del nostro moderno poeta, loro si occupano dell’atmosfera che avvolgeva le strade di Parigi, loro… Va beh dai, leggete il libro, se no a voi cosa rimane?

Vi lascio solo l’immagine di uno accanto a un frammento di testo dell’altro, e lascio che sia l’immaginazione, per il momento, a mostrarvi cosa hanno in comune immagine e testo.

Bonnefoy Yves

 “Davanti a ciascuna luce del marciapiede le  carote        s’illuminavano in rosso, i navoni s’illuminavano in bianco, i cavoli s’illuminavano in verse; e passavano una dietro l’altra quelle carrette rosse d’un rosso fuoco, bianche d’un bianco d’argento, verdi d’un verde smeraldo. Le seguii, poi svoltai per la rue Royale, e tornai sul boulevard. Nessuna persona, nessun caffè illuminato; soltanto qualche passante in ritardo che s’affrettava. Non avevo mai visto Parigi così morta, così deserta.

                                                                (da La Notte di Guy De Maupassant)

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Cos’è rimasto a me invece? A me è rimasta, sospesa nell’aria della stanza, l’atmosfera che si respirava a metà ottocento per le strade di Parigi e la consapevolezza di un legame in alcuni casi inconsapevole, in altri meno, fra due forme di comunicazione così diverse e così intimamente legate dal loro vivere e realizzarsi in uno stesso periodo storico.

Ciò a dire che la fotografia (come la pittura, la musica o la scrittura) non potrà mai essere compresa davvero se tolta dal contesto specifico nel quale viene realizzata.

Provate a fare anche voi questo viaggio vi sorprenderà.

Di Annalisa Melas

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UN LIBRO SULLA FOTOGRAFIA

 

(e sulle donne che con la fotografia hanno raccontato sé stesse, il loro pensiero e la società attorno)

E’ finito nelle mie mani forse attrattato dell’amore che nutro per le cose che non hanno vie di mezzo, questo  libro di un autore senza mezze misure appunto: Pino Bertelli.

Di lui vi abbiamo parlato in passato presentandovi un saggio su Diane Arbus (che trovate qui); oggi vi parliamo, invece, di una raccolta di saggi dal titolo La fotografia ribelle edito da Nda Press nel quale vengono raccontate 27 fotografe, solo donne e tutte per certi versi “colpevoli” di avere, col loro lavoro, contribuito a rivoluzionare la fotografia, nel bene e nel male a detta dell’autore.

Di seguito il dettaglio dei nomi che troverete e, nei titoli dei singoli capitoli,  piccole avvisaglie del contenuto:

Eve Arnold: Sulla fotografia al tempo della gioia;

Lisetta Carmi: La luce e la grazia della fotografia autentica;

Claude Cahun: Sulla grazia della fotografia lesbica;

Margaret Bourke-White: Della bellezza aristocratica dello sguardo;

Cindy Sherman: L’immagine allo specchio e il trionfo della merce;

Ruth Orkin: La visione della realtà;

Gerda Taro: Il pane, le rose e la fotografia nella rivoluzione di Spagna;

Annemarie Schwarzenbach: Sulla fotografia sociale di una ribelle;

Leni Riefenstahl: Dal trionfo della volontà all’apologia del corpo;

Nancy “Nan” Goldin: La provocazione del corpo o l’elogio dell’imperfezione;

Annie Leibovitz: Della fotografia fatalista;

Paola Agosti: Sulla fotografia dell’indignazione;

Dorothea Lange: Sulla fotografia del disinganno;

Carla Cerati: Sulla fotografia del desiderio;

Alexandra Boulat: Il coraggio della fotografia;

Francesca Woodman: Sulla fotografia dell’esistenza;

Marialba Russo: Sulla fotografia mediterranea;

Gisèle Freund: Sulla fotografia delle passioni;

Vivian Maier: Sulla fotografia della vita quotidiana;

Tina Modotti: Della fotografia sovversiva / Dalla poetica della rivolta all’eticadell’utopia;

Diane Arbus: Della fotografia trasgressiva / Dall’estetica dei “Freaks” all’etica della ribellione;

Liu Xia: Sulla fotografia dei diritti umani;

Martine Franck: Sulla fotografia della tenerezza;

Cristina García Rodero: Sulla magia della fotografia documentaria e della fotografia parassitaria;

Mary Ellen Mark: Nostra signora delle periferie;

Sally Mann: Sulla fotografia della rêverie o del Dionisiaco;

Letizia Battaglia: Sulla fotografia della libertà.

Non apritelo nemmeno però, se non avete voglia di affrontare un punto di vista rigido, perché l’autore non lascia spazio alla libera interpretazione, ma mettendovi le mani sulla schiena vi spinge con forza nel suo modo di vedere la fotografia, raccontandovi il ruolo sociale che dovrebbe avere il fotografo; il modo in cui, secondo lui, hanno o non hanno esercitato quel ruolo le autrici di cui parla e, infine, descrivendo criticamente la società stessa nella quale via via si andavano ad inserire i lavori creati.

Metaforicamente è un po’ come se Bertelli portandovi a visitare un immenso palazzo, chiudesse a chiave la porta d’ingresso principale e vi costringesse ad entrare dalle finestre salendo da una scala a pioli traballante, obbligandovi a guardare le stanze da un punto di vista forzatamente diverso.

Può piacere o non piacere, essere condiviso o meno, ma non può lasciare indifferenti l’approccio sfrontato, ma spietatamente sincero di Bertelli, e in un periodo in cui tutti cercano di abbassare il livello del confronto in qualsiasi campo esso si sviluppi, privandolo del vivido vigore necessario a favorire la crescita culturale e personale, attraversando le pagine di questo libro il vostro senso critico troverà certamente un terreno fertile nel quale crescere: si tratti di una crescita che si appoggi al pensiero di Bertelli o che con esso si scontri.

Per l’acquisto del libro.

Annalisa Melas