Mostre di fotografia da non perdere a Settembre

Buongiorno, eccomi a consigliarvi le mostre da non perdere a Settembre, buona giornata, Anna

Paolo Ventura. Carousel

Dal 17 settembre all’8 dicembre CAMERA ospita Carousel, un percorso all’interno dell’eclettica carriera di Paolo Ventura (Milano, 1968), uno degli artisti italiani più riconosciuti e apprezzati in Italia e all’estero. Dopo aver lavorato per anni come fotografo di moda, all’inizio degli anni Duemila si trasferisce a New York per dedicarsi alla propria ricerca artistica. Sin dalle sue prime opere unisce una grande capacità manuale a una visione poetica del mondo, costruendo scenografie all’interno delle quali prendono vita brevi storie fiabesche e surreali, immortalate poi dalla macchina fotografica. Con «War Souvenir» (2005), rielaborazione delle atmosfere della Prima Guerra Mondiale attraverso piccoli set teatrali e burattini, ottiene i primi importanti riconoscimenti, come l’inserimento all’interno del documentario della BBC «The Genius of Photography» nel 2007. Dopo dieci anni negli Stati Uniti, rientra in Italia dove realizza alcuni dei suoi progetti più celebri, all’interno dei quali mescola fotografia, pittura, scultura e teatro, come ad esempio nella scenografia di «Pagliacci» di Ruggero Leoncavallo, frutto dell’importante collaborazione con il Teatro Regio di Torino, di cui CAMERA ha esposto alcuni lavori preparatori a gennaio 2017.

In quest’occasione le sale di CAMERA ospitano alcune delle opere più suggestive degli ultimi quindici anni – provenienti da svariate collezioni, oltre che dallo studio dell’artista – in un’assoluta commistione di linguaggi che comprende disegni, modellini, scenografie, maschere di cartapesta e costumi teatrali. Non si tratta, tuttavia, di un percorso lineare né di una retrospettiva, quanto piuttosto di una messa in scena di tutti i temi ricorrenti della sua poetica, fra i quali spiccano quello del doppio e della finzione. In mostra anche due progetti inediti: «Grazia Ricevuta» e il lavoro che Paolo Ventura sta realizzando a seguito di una residenza presso l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione di Roma, avviata grazie alla collaborazione fra CAMERA e l’ente ministeriale.

In occasione della mostra sarà pubblicato un volume edito da Silvana Editoriale che ripercorre le tappe salienti della ricerca dell’artista.

Dal 17 settembre all’8 dicembre CAMERA – Torino

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LETIZIA BATTAGLIA. STORIE DI STRADA

Arriva ad Ancona la mostra “Letizia Battaglia. Storie di strada”, in programma alla Mole Vanvitelliana, dal 25/07/2020  al 15/01/2021.

Storie di strada”, una grande retrospettiva con oltre 300 fotografie che ricostruiscono per tappe e temi la straordinaria vita professionale di  Letizia BattagliaPromossa dal Comune di Ancona,  Assessorato alla Cultura, l’esposizione, che ha già toccato con successo Milano, propone circa  300 fotografie, molte delle quali inedite.
La mostra continua a completare un percorso espositivo che il Comune di Ancona e Civita hanno voluto dedicare ai grandi maestri della fotografia del Novecento e contemporanea.

“Ancona ospita alla Mole una mostra che era in procinto di arrivare all’inizio del 2020 – spiega l‘assessore alla Cultura e Turismo, Paolo Marasca – . L’Amministrazione ha deciso, con grande spirito di reazione e di consapevolezza, di programmarla comunque al momento della ripresa delle attività, perché è una mostra che parla di vita, di sfide, di relazioni, di tenacia e di un Paese complesso e difficile.

Ma anche perché riprendere da una grande mostra, da un grandissimo evento di portata nazionale e di altissima valenza sociale, è un segnale per tutto il territorio. Non ci sarebbe stata artista più adatta, perché Letizia Battaglia parla ai sentimenti e al cuore, e lo fa consenso critico e grande passione. Devo personalmente ringraziare tutto lo staff del Comune e della Mole che ha contribuito ad un evento così importante, in così poco tempo, e con le difficoltà di questi mesi. Davvero delle persone appassionate e meravigliose.”

L’esposizione

 
Storie di strada” attraversa l’intera vita professionale della fotografa siciliana, e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo costruito su diversi capitoli e tematiche. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte e sull’amore, e due filmati che approfondiscono la sua vicenda umana e artistica. Il percorso espositivo si focalizza sugli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica dell’artista, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. Quello che ne risulta è un vero ritratto, quello di un’intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si interessa di ciò che la circonda e di quello che, lontano da lei, la incuriosisce.
Come ha avuto modo di ricordare la stessa Battaglia, La fotografia l’ho vissuta come documento, come interpretazione e come altro ancora […]. L’ho vissuta come salvezza e come verità”. “Io sono una persona – afferma ancora – non sono una fotografa. Sono una persona che fotografa.”.

Quelle che il progetto della mostra si propone di esporre – afferma Francesca Alfano Miglietti curatrice della mostra – del percorso di Letizia Battaglia, sono ‘forme d’attenzione’: qualcosa che viene prima ancora delle sue fotografie, perché Letizia Battaglia si è interrogata su tutto ciò che cadeva sotto al suo sguardo, fosse un omicidio o un bambino, uno scorcio o un raduno, una persona oppure un cielo. Guardare è stata la sua attività principale, che si è ‘materializzata’ in straordinarie immagini”.

dal 25/07/2020  al 15/01/2021 – Ancona – Mole Vanvitelliana

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UNDER COVID di Gianmarco Maraviglia

Gianmarco Maraviglia


Mostra fotografica di Gianmarco Maraviglia
a cura di Chiara Oggioni Tiepolo

Inaugurazione – 15 settembre 2020, ore 19.00
In esposizione – dal 15 al 24 settembre 2020

E’ come se qualcosa si fosse inceppato e poi rotto. Rotto il tempo, la realtà, le abitudini. Il senso di libertà, la leggerezza, una certa arroganza nel dare per scontata la vita, perfino. Quella vita.
Poi è arrivato il giorno in cui è cambiato tutto. Stroncata la spensieratezza, annullata una gestualità tipicamente italica, spazzato via lo scorrere “normale” delle consuetudini e delle giornate. Ci si è scoperti vulnerabili, l’universo tutto da conquistare si è rimpicciolito fino a entrare all’interno delle pareti domestiche. Polverizzate le certezze, spogliate le impalcature, ci si è stretti alle uniche sicurezze ancora solide.
Si è aspettato, come se fossimo rinchiusi in un bunker, che un’entità altra ci desse nuovamente il via libera. Si è affidata la nostra esistenza prima a un bollettino, poi alle tecnologie. La parola “controllo” ha assunto le tinte rassicuranti di un mantello di protezione.
E infine la riapertura. Evviva. Ecco dunque tutti riversarsi in strada, con la fretta l’urgenza di riappropriarsi del tempo che fu, la necessità quasi fisica di convincersi che fosse tutto finito, passato, pronto a essere dimenticato.
Eppure. Abbiamo fatto finta che non fosse successo niente, volevamo che non fosse successo niente. Ma qualcosa continua a non funzionare. Ed è solo adesso, probabilmente, ora che le emozioni si depositano e sedimentano, che abbiamo il coraggio e la lucidità di comprendere quanto davvero quella frattura del normale si sia fissata dentro di noi in maniera irreversibile.
Gianmarco Maraviglia ha voluto raccontare il “suo” covid, in una narrazione a metà fra il racconto intimo e l’indagine fotogiornalistica, pur evitando la dimensione più dettagliata della malattia. Ma anche lui si è ritrovato di fronte al dilemma del “disallineamento”. Come rappresentare e
sintetizzare dunque visivamente il cambio di piano sequenza del reale che le nostre esistenze hanno subito? Nasce così il glitch, l’errore di sistema. Immagini di “matrixiana” suggestione che lasciano aperto un interrogativo sul nostro futuro prossimo.

Ingresso gratuito contingentato a max 20 persone contemporaneamente
ZONA K è un’associazione culturale con attività riservate ai soci. Per accedere alla mostra occorre inviare la richiesta tesseramento almeno 24 ore prima sul sito http://www.zonak.it, costo tessera € 2,00.

Dal 15 al 24 settembre – MILANO – Zona K

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OLIVO BARBIERI. EARLY WORKS 1980-1984

Dopo i mesi difficili che Bergamo ha vissuto a causa della pandemia, la Fondazione MIA, nel rispetto delle norme e dei protocolli, ha deciso di proporre per l’estate 2020 la mostra fotografica che negli anni è diventata per la città un appuntamento fisso e molto seguito, anche come segno di rinascita e di ripartenza attraverso la cultura. 

L’esposizione presenta per la prima volta insieme 35 fotografie realizzate dal grande autore emiliano agli inizi degli anni Ottanta raffiguranti prevalentemente l’Italia, dai grandi centri urbani alle piccole città, colte nei momenti di vita quotidiana dei suoi abitanti

Un’occasione unica per scoprire la serie cult di immagini, quasi interamente inedita, da cui è iniziato il fortunato percorso artistico di Olivo Barbieri, che ha segnato una stagione straordinaria della fotografia italiana. Alcune delle immagini esposte hanno fatto parte di Viaggio in Italia, il progetto ideato nel 1984 da Luigi Ghirri – ancora oggi considerato un manifesto per le nuove generazioni – che, riunendo venti giovani fotografi di allora, ha lavorato alla possibile ridefinizione dell’idea di paesaggio e contemporaneamente a un ripensamento del fatto fotografico.

Viaggio in Italia ha rappresentato una svolta decisiva per la fotografia italiana, e non solo, segnando un profondo mutamento all’interno di questo linguaggio, di cui Barbieri è stato uno dei protagonisti più incisivi. 

Spiega lo stesso autore: «Queste mie immagini raccontano di luoghi fino ad allora poco rappresentati. Sono state esposte in parecchie personali e collettive ma non sono mai state raccolte e pubblicate in modo organico. Sono immagini di poco prima che tutto fosse fotografato e vorticosamente divulgato. Prima del web e dei telefonini».

«La nostra attenzione per i margini, per le periferie, fu anche una reazione esasperata da quell’attenzione istituzionale eccessiva sul centro storico come cliché, come cartolina… Si voleva uscire dal museo, dalla scenografia classica, scavalcare la quinta teatrale.»

Nelle opere in mostra si ritrovano già tutti gli elementi e i temi che nei decenni successivi Barbieri ha continuato a sviluppare con i suoi progetti: l’illuminazione artificiale nella città contemporanea, le vedute dall’alto, gli interni delle abitazioni e dei bar, i segni nel paesaggio.

Una ricerca complessa, che si è sviluppata in un continuo transito di linguaggi, attraversamenti temporali di e con discipline diverse, al fine di stimolare interpretazioni e riflessioni per una lettura aperta del mondo e dell’opera stessa dell’autore.

Scrive Corrado Benigni nel testo del catalogo edito da Silvana Editoriale: «Come il concetto di paesaggio, il lavoro di Barbieri non si lascia interamente ricondurre a direzioni interpretative troppo definite, mantenendo un proprio grado di autonomia, di resistenza. Attraverso la sottile ambiguità delle sue immagini, il maestro emiliano ci insegna come sia necessario guardare moltiplicando i punti di vista dentro e fuori di noi, per vedere in modo più consapevole ciò che è indefinitamente vero».

Arricchisce l’esposizione una serie di fotografie di grandi dimensioni realizzate dall’alto su quattro grandi metropoli, Roma, Napoli, Pechino, appartenenti all’ultimo periodo della produzione di Olivo Barbieri.

Dal 26 giugno al 31 ottobre – Monastero di Astino – Bergamo

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Le mostre di PHEST 2020

Diverse e di grande effetto le location, vecchie e nuove, individuate dagli organizzatori per la V edizione di PhEST – festival internazionale di fotografia e arte a Monopoli in programma dal 7 agosto al 1° novembre. Organizzato dall’associazione culturale PhEST, il festival ha la direzione artistica di Giovanni Troilo e la curatela fotografica di Arianna Rinaldo. Un’edizione che si è immediatamente contraddistinta per la ferma volontà degli organizzatori e degli amministratori locali di rendere la fruizione delle mostre completamente sicura e gratuita per tutti, con la scelta di location tutte all’esterno per questa edizione dedicata alla Terra, nel senso di pianeta, ma anche di mondo contadino e riscoperta del suo valore, per aiutarci a ritrovare l’essenza delle cose e il contatto con la terra per ripartire da essa.
Nella nostra passeggiata virtuale abbiamo deciso di iniziare dalla zona “sud” del centro città dove si trova lo skate park a ridosso del mare con il progetto fotografico di Inka & Niclas, 4K ULTRA HD. Camminando poi verso Cala Porta vecchia si incontra l’isolotto su cui campeggiano le foto di Jan Erik Waider, North Landscapes, dedicate agli iceberg, mentre sul fondo marino è allestita la mostra subacqueaSee the sea you usually don’t see dedicata ai pesci notturni con gli scatti di David Doubilet e Jennifer Hayes e realizzata in collaborazione con National Geographic. Di fronte, l’antica muraglia è stata scelta per stupire i visitatori con la gigantografia del ghiacciaio Antartide- Il continente bianco e i suoi contrasti inaspettati di Igor Gvozdovskyy. Tornando appena indietro, andando verso la città nuova, la parete accanto al Kambusa su Largo Portavecchia è lì che aspetta i visitatori con il murale appena realizzato da Millo dal titolo Beyond the Sea. Sul Belvedere di Porta Vecchia si trovano invece Land(e)scape, progetto realizzato su commissione dell’azienda di abbigliamento di Martina Franca, Hevò, e Ciril Jazbec con il suo The Ice Stupas.
Passeggiando sul lungomare Santa Maria si incontrano invece due mostre-installazioni allestite sul muretto prima e dopo il bastione: Dillon Marsh (Gallery Momo) con il suo Counting the Costs e Solmaz Daryani con The Eyes of the Earth.
Si arriva quindi al Castello Carlo V, unica eccezione in interni sempre ad ingresso gratuito, voluta dal Comune che ne avrà in carico la gestione anche per quanto riguarda i controlli anticovid, dove PhEST ha allestito due mostre fotografiche: La nuda vita di Antoine d’Agata (Magnum Photos) e No agua, no vida di John Trotter,  cui si aggiungono le video installazioni di Endri Dani, Poiein, Simon Norfolk, When I Am Laid in Earth, e Luca Locatelli, 2050. All’interno del Castello si trova anche l’arte di Giorgio di Palma con la sua Eredità. Sui frangiflutti davanti al Castello è allestito invece il lavoro commissariato da Tormaresca a Piero Percoco: Calafuria – The Rainbow is Underestimated.
Andando verso il Porto Vecchio, sul molo Margherita arrivando fino al Faro Rosso ci sono due mostre, Imagined Homeland di Sharbendu De e Mezzogiorno di Marco Zanella, cui si aggiunge The Future of Farming di Luca Locatelli allestita sui new jersey sul  filo del mare. Sulle pareti del Porto Vecchio campeggeranno invece le fotografie di Ground Contol il lavoro di Roselena Ramistella realizzato su commissione di PhEST e dedicato ai contadini e alle contadine pugliesi.
Incamminandosi quindi dal Porto vecchio verso piazza Vittorio Emanuele si trova via Garibaldi con l’allestimento sospeso tra i balconi delle case di Earth calls PhEST con foto courtesy di Google Earth. Arrivati quindi in piazza Vittorio Emanuele si possono ammirare i coloratissimi insetti Micro Beauty in pvc calpestabile in gigantografia di Igor Siwanowicz. Per completare il circuito e non dimenticare nessuna delle 24 mostre allestite a Monopoli ci sono ancora due tappe da fare: piazza Palmieri dove su una struttura poligonale realizzata appositamente per PhEST si trova Ustica di Jacob Balzani Lööv / Premio PHMuseum Grant. In piazzetta S.Maria un grande planisfero metterà in mostra una selezione degli scatti arrivati in queste settimane da tutto il mondo da chi ha risposto alla social call internazionale #PhESTchiamaTERRA.
Infine, in piazzetta Garibaldi, all’Info point turistico del Comune di Monopoli – Sala dei pescatori, dove tra l’altro sono esposte le foto di Piero Martinello protagoniste del primo progetto speciale del festival di Monopoli, ci sarà un corner PhEST per la distribuzione dei percorsi per le mostre e la vendita di gadget PhEST .
E se avete paura di perdervi, non vi preoccupate. In giro per la città non mancherà la segnaletica stradale, orizzontale e verticale, con il giallo PhEST che indicherà ai visitatori la direzione da seguire per non perdere nessuna delle mostre, indicando anche la giusta distanza da mantenere per godere al meglio della loro visione oltre che fruirne in sicurezza rispettando la normativa anti-Covid19.
Da non perdere, poi, nelle giornate inaugurali le visite guidate con distanziamento che saranno seguite da 4 artisti che hanno garantito la loro presenza e i numerosi eventi collaterali come la proiezione su waterscreen per la serata inaugurale, la musica in filodiffusione da un peschereccio al Porto Vecchio in collaborazione con Time Zones e le performance di Music of the plants in largo castello (in allegato il programma completo). 
E per chi volesse approfondire la conoscenza degli autori e dei loro lavori PhEST ha inserito sui pannelli di presentazione di ciascuna mostra un QR code con contenuti extra in grado di raccontare le mostre ai visitatori.
 
Anche quest’anno il Festival ha ricevuto il sostegno e il patrocinio di numerosi soggetti istituzionali a partire dall’Assessorato all’Industria Turistica e Culturale della Regione Puglia nell’ambito del FESR – FSE 2014/2020 e di Teatro Pubblico Pugliese e PugliaPromozione tra le azioni realizzate d’intesa e finalizzate alla valorizzazione, promozione e comunicazione della Puglia come destinazione turistica e culturale.
E ancora di Piiil Cultura – Piano strategico della Cultura della Regione Puglia, del Comune di Monopoli e il patrocinio dell’Apulia Film Commission, dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Meridionale e del Politecnico di Bari.

Dal 07 Agosto 2020 al 01 Novembre 2020 – LECCE – sedi varie

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MARIO CRESCI. LA LUCE, LA TRACCIA, LA FORMA

Fondazione Modena Arti Visive è lieta di presentare La luce, la traccia, la forma, personale di Mario Cresci (Chiavari, 1942) a cura di Chiara Dall’Olio. Per l’occasione l’artista ha ideato, all’interno della sede espositiva di Palazzo Santa Margherita, un allestimento composto da opere realizzate con linguaggi differenti e tecniche sperimentali, che da sempre connotano la sua cifra stilistica.
 
Mario Cresci è autore, fin dagli anni Settanta, di opere eclettiche caratterizzate da una libertà di ricerca che attraversa il disegno, la fotografia, il video, l’installazione, il site specific. Il suo lavoro si è sempre rivolto a una continua investigazione sulla natura del linguaggio visivo attraverso il mezzo fotografico usato come pretesto opposto al concetto di veridicità del reale.
 
Fondazione Modena Arti Visive ha invitato l’artista a creare un dialogo con la mostra L’impronta del reale. W. H. Fox Talbot alle origini della fotografia che contemporaneamente le Gallerie Estensi, in collaborazione con FMAV, dedicano al noto fotografo inglese, inventore della fotografia su carta, e ai procedimenti di riproduzione delle immagini. Mario Cresci si è ispirato alle origini della fotografia come traccia creata dalla luce e ha selezionato per La luce, la traccia, la forma una serie di opere che evidenziano il suo interesse per l’incisione e più in generale per il “segno” che fin dal primo momento è stato, in senso più ampio, un tema costante della sua ricerca artistica. Come sottolinea Cresci, prima dell’invenzione della fotografia, le immagini venivano diffuse attraverso l’uso della tecnica calcografica, ovvero attraverso delle lastre di rame incise con le tecniche dell’acquaforte e del bulino. Con l’avvento del dagherrotipo è la luce che impressiona la lastra metallica sostituendosi alla mano dell’artista e, poco tempo dopo, sarà Talbot a inventare il negativo su supporto cartaceo.
 
In occasione della mostra, l’artista riprende un lavoro fatto nel 2011 per l’Istituto Centrale per la Grafica di Roma, che si focalizzava in parte sui segni incisi da Giovanni Battista Piranesi, Annibale Carracci e Luigi Calamatta, analizzati attraverso opere video e scatti fotografici capaci di disvelarne la matericità nel rapporto con la lastra di rame. In mostra, Cresci espone i Rivelati (Roma 2010), tre inclinazioni diverse della lastra che rivelano tre “diverse” immagini modificate dalla luce della “Madonna della Seggiola” di Raffaello, incisa al bulino da Calamatta nel 1863. Integra la serie con macro prelievi estratti dalle fotografie (realizzate ad hoc da Alfredo Corrao all’inizio 2020) delle lastre dei tre incisori. Queste elaborazioni di Cresci manifestano la loro natura di opere d’arte autonome generando, attraverso tracce e segni, altre opere, utilizzando riproduzioni di riproduzioni della realtà, in un continuo circolo interpretativo e creativo. Nel video Tre focus su Piranesi (Roma 2011-Bergamo 2020), l’artista ha invece operato per sottrazione isolando, a partire da una macrofotografia, i solchi del bulino incisi da Piranesi intorno al 1745 sulle lastre di rame dalla serie “Le Carceri”. Cresci trasforma i segni incisi in segni luminosi in movimento che si sommano ridefinendo il disegno originario, operando così un’analisi della percezione visiva attraverso i suoi componenti elementari: le linee.
 
Al centro dello spazio espositivo, la grande teca retroilluminata contiene l’opera Alterazione del quadrato, dalla serie “Geometria non euclidea” (Venezia, 1964), sequenza di immagini su pellicola auto-positiva, dove la riflessione di Cresci si concentra sullo spostamento del punto di vista, sull’esperienza della percezione e sulla sua ambiguità, e lo fa ricorrendo ancora una volta alla geometria, struttura elementare dell’analisi, punto di partenza di molti dei suoi lavori.
 
Tra le opere in mostra è significativo anche il dittico Autoritratto, dalla serie “Attraverso la traccia” (Bergamo, 2010) realizzato usando la superficie specchiante del retro di un “grande rame” che, modificata dall’ossidazione del tempo, restituisce un’immagine alterata della figura. Un gesto simbolico quello dell’intervento di Mario Cresci perché in questo caso è la fotografia a “incidere” la lastra di rame: un omaggio a quello sperimentalismo che caratterizzò l’invenzione della fotografia fin dalla sua comparsa nel mondo dell’arte.
 
dal 12 settembre 2020 al 10 gennaio 2021 – Modena Sala Grande di Palazzo Santa Margherita.

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JACOPO BENASSI. VUOTO

Venticinque anni di fotografia al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato, nella prima personale in un museo dedicata a Jacopo Benassi: con la mostra Vuoto, a cura di Elena Magini, dall’8 settembre al 1 novembre 2020 il museo di Prato offre uno sguardo sul lavoro potente, personalissimo, privo di mediazioni, del fotografo spezzino.
 
Dallo studio dell’artista parzialmente ricreato all’interno della mostra alle sale del Centro Pecci, il progetto espositivo si sviluppa in una spazialità dilatata che accoglie alcune delle serie e dei lavori più significativi dell’autore, e si riversa anche negli spazi cittadini, in cui la mostra viene annunciata da un progetto site specific di affissioni.
 
La sua prima fotografia è quella di un gruppo punk in un centro sociale: dalla fine degli anni Ottanta Jacopo Benassi si forma nell’alveo della cultura underground spezzina, sviluppando nel tempo uno stile particolare fatto di mancanza di profondità di campo e flash; una fotografia cruda, vera, pur nella totale mancanza di luce reale: un atto forzato, un evento creato dall’artista in cui lo scatto perfetto non esiste.
 
I soggetti di Benassi sono i più disparati, dall’umanità che abita la cultura underground e musicale internazionale (a partire dall’esperienza del club Btomic, gestito dallo stesso fotografo con alcuni amici) a ritratti di modelle, attrici, artisti, stilisti pubblicati nelle più importanti riviste italiane, fino all’indagine sul corpo, che varia dalla documentazione autobiografica di incontri sessuali, allo sguardo intenso sulla statuaria antica e che può essere considerato il “filo rosso” della sua produzione pantagruelica.
Un posto speciale nell’opera di Benassi è occupato dall’autoritratto, spesso legato al suo percorso performativo: la sperimentazione sulla performance, sua o di altri, si lega costantemente alla musica e viene sempre mediata dall’immagine fotografica, soggetto e oggetto della sua ricerca.
 
In mostra vengono presentate anche opere inedite legate all’interesse di Benassi per l’editoria e la produzione di libri; proprio da un lavoro editoriale in via di pubblicazione nasce la serie The Belt, progetto sul distretto industriale di Prato in collaborazione con l’Archivio Manteco, che oltre a essere esposto è protagonista delle affissioni pubbliche in città nei giorni precedenti alla mostra.
Con The Belt,dal 31 agosto le attività, gli strumenti, gli uomini e le donne che animano il distretto tessile pratesediventano i soggetti delle immagini esposte su grandi cartelloni pubblicitari in vari punti della città. La scelta di anticipare la mostra con una campagna di affissioni pubbliche che presenta il lavoro di Benassi su Prato e le sue fabbriche, risponde all’interesse del museo ad uscire dalle sue mura e a cercare un rapporto più dinamico e diretto con la comunità cittadina.
 
Il titolo della mostra – Vuoto – richiama la specifica sensazione dell’autore rispetto alla sua produzione, un desiderio di mettersi a nudo, tirando fuori da sé tutto, in un percorso di auto-esposizione pubblica.
In questa mostra il fotografo si concede interamente allo spettatore, consegnando il suo studio, i suoi strumenti, il panorama creativo che l’accompagna nella gestazione del lavoro, l’insieme degli scatti che danno vita a un’indagine ventennale sui temi dell’identità, della notte, del lavoro.
Un atto di apertura verso l’esterno che costituisce un punto zero nella carriera dell’artista e, di contro, una possibile rinascita. 

Dal 08 Settembre 2020 al 01 Novembre 2020 – Prato – Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci

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Fase Gardaland – Giulia Mozzini

“Fase Gardaland”: è il titolo della serie di 12 fotografie pensate, scattate ed editate da Giulia Mozzini, vincitrice del Concorso Europeo di Fotografia “Ginko Raw Edition”, ed. 2020 La serie viene presentata nell’omonima mostra, curata da Anna Mola, che si tiene presso lo Spazio Raw di Milano dal 3 al 15 settembre.
Dopo interminabili mesi di lockdown, necessari e dovuti al coronavirus, l’Italia comincia a riaprirsi lentamente. E in un caldo sabato di metà giugno, riapre anche il luogo concettualmente più lontano dalla morte, dalla malattia, dall’isolamento, cioè Gardaland: il parco divertimenti tra i più conosciuti al mondo, un luogo topico nell’infanzia di ognuno di noi.
Un posto simbolico e caro a Giulia durante tutta la sua crescita. Quel sabato lei non poteva mancare, accompagnata dalla sua fedele compagna di vita: la macchina fotografica.
In poche ore realizza l’intera serie – di cui abbiamo selezionato le 12 immagini in esposizione. Con il suo stile pulito ed evocativo e una palette di colori caldi e brillanti, l’autrice coglie perfettamente l’atmosfera di quella particolare giornata e ce la descrive così: “Le lunghe ore di fila per salire sulle attrazioni sono ormai un lontano ricordo: si prenota il proprio turno in coda con l’app per evitare gli assembramenti. Ogni attrazione viene disinfettata alla fine di ogni corsa. Sul pavimento e sui sedili delle giostre sono attaccati tanti piccoli bollini gialli, sulle panchine è stato fissato un divisorio, giallo anche lui, per garantire l’allontanamento sociale. Le strade del parco, un tempo affollate di gente e riempite dalle grida di gioia e adrenalina, ora sono deserte. C’è un silenzio assordante e troppo spazio vuoto, si può sentire il rumore echeggiante delle ruote delle montagne russe
che corrono sui binari”.
Questo servizio fotografico ci restituisce una visione quasi surreale di questo luogo così conosciuto anche per le grandi folle di pubblico che è in grado di attirare. Le immagini raccontano tutta la solitudine, l’immobilità e la desolazione della prima metà del 2020 e stridono ideologicamente con le giostre, i fast food a tema e le statue di personaggi fantastici. Oltre a tutto questo, però, troviamo anche qualcos’altro: la voglia di ricominciare, con le dovute precauzioni ma anche con un ritrovato desiderio di svago e di relax.
Il titolo “Fase Gardaland” ha l’intento di richiamare alla mente le varie fasi” di uscita dal lockdown con l’aggiunta del nome del famoso parco: protagonista di queste foto e simbolo del graduale ritorno alla normalità e – perché no? – di un nuovo weekend di puro divertimento e spensieratezza anche se coperti con le mascherine e muniti di gel igienizzante.

dal 3 al 15 settembre 2020 – Spazio Raw – Milano

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MILANO PHOTOFESTIVAL 2020. XV EDIZIONE – SCENARI, ORIZZONTI, SFIDE. IL MONDO CHE CAMBIA

E’ un inedito palcoscenico autunnale quello pronto ad accogliere  la quindicesima edizione di Photofestival, la rassegna di fotografia d’autore che tradizionalmente anima la primavera culturale milanese: dopo la decisione di rinviare la manifestazione dal 7 settembre al 15 novembre 2020 a causa dell’emergenza coronavirus, questa edizione assume un significato importante, perché rappresenta un’occasione di ripartenza per la città e per la sua linfa vitale culturale.

Il titolo della rassegna – Scenari, orizzonti, sfide. Il mondo che cambia.”– è imprevedibilmente il grande tema di questo momento storico così unico e straordinario, che ha lasciato un segno indelebile nelle nostre vite, cambiando approcci e percezioni.

In questi mesi l’organizzazione di Photofestival, sotto la direzione artistica di Roberto Mutti, si è impegnata per offrire una proposta all’altezza delle aspettative, nonostante le molte difficoltà organizzative e finanziarie legate a questo periodo così complesso, e grazie al lavoro collettivo svolto con operatori, galleristi e autori, che hanno creduto nel progetto, è ora in grado di annunciare un programma di ottimo livello, per numeri e qualità delle proposte.

Sono 140 le mostre fotografiche previste in oltre due mesi di programmazione, inserite in un circuito capillare che abbraccia l’intera Città Metropolitana di Milano, sino a toccare alcune Province lombarde: Lecco, Monza, Pavia e Varese.
Gli spazi espositivi del festival includono gli ambiti ufficiali di gallerie d’arte, musei, biblioteche e sedi municipali, ma anche spazi non istituzionali come negozi e show-room. Caposaldo del circuito è – ancora una volta – il “Palazzo della Fotografia” di Photofestival, Palazzo Castiglioni di Confcommercio Milano, che ospiterà alcune mostre del programma.

All’insegna dell’inclusività, come di consueto,anche il programma espositivo della manifestazione, che spazia tra personali e collettive di autori di fama e talenti emergenti.

Dal 07 Settembre 2020 al 15 Novembre 2020 – Sedi varie

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SINE DIE. LA FOTOGRAFIA NEL TEMPO DELL’ISOLAMENTO CREATIVO

La mostra SINE DIE, promossa e realizzata dalla Fondazione OELLE Mediterraneo antico e co-organizzata dal Comune di Catania nelle sale del Palazzo della Cultura, ripercorre attraverso lo sguardo di oltre 100 autori le complesse dinamiche sociali che il mondo sta vivendo quotidianamente al tempo del Coronavirus.

Stampate in formato 50×70 cm e ciascuna abbinata a un testo dell’autore, le 122 fotografie selezionate in mostra si susseguono nelle sale del Palazzo della Cultura di Catania tra immagini iconiche ed emozionanti. A partire dalla testimonianza da Bergamo di Mario Cresci (Chiavari, 1942), un maestro che la fotografia l’ha reinventata, elevandola al rango di arte visiva. Fino ad arrivare allo scatto di Michael Christopher Brown (Skagit Valley, Washington, 1978), il famoso fotoreporter americano per National Geographic, Time, New York Times Magazine.

“Tra gli scatti più toccanti in mostra c’è l’autoscatto di un mio caro amico, Fabio Pagliara (Segretario Generale della Federazione Italiana di Atletica Leggera) che ha contratto il Covid-19, e si è voluto mostrare senza filtri durante la sua malattia, trasmettendo con il suo sguardo, dolcemente spaventato, l’essenza di un tempo senza fine” afferma Ornella Laneri. 

Ogni autore in è in mostra con una fotografia e un proprio scritto (una poesia, un pensiero, un saggio breve), entrambi scaturiti dal tempo per la riflessione che ha portato con sé il lockdown. Con esiti sorprendenti, gli autori coinvolti (molti artisti professionisti) hanno prodotto dei lavori fuori dai tradizionali schemi, ricorrendo a sperimentazioni dagli esiti sorprendenti, con uno sguardo obliquo sull’attualità stra-ordinaria che stiamo vivendo. “Paradossalmente i lavori più ordinati li hanno prodotti gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Catania, invitati nella sezione Academy Young”, dichiara Carmelo Nicosia.

La scelta di esporre fotografie e testi intende sottolineare lo stretto legame che intercorre, sin dalla loro invenzione, tra questi due linguaggi. Un grande esempio, al riguardo, fu offerto dal grande fotografo e regista Robert Louis Frank (1924-2019), con opere memorabili nelle quali il segno e la parola determinavano nella fotografia un flusso spazio-temporale assolutamente tipico di quella sua generazione.

La mostra è aperta dal 18 luglio al 04 ottobre 2020, tutti i giorni, orario 09.00-19.00, a ingresso libero, ed è accompagnata da un catalogo, a cura di Carmelo Nicosia, edito dalla Fondazione OELLE.

Gli autori in mostra sono: Abati Andrea, Alessandra Noemi, Allia Erika, Antoci Rosario, Arcoria Antonio, Argentino Gabriele, Attanasio Sergio, Bagalà Miriana, Baldaro Roberta, Barbagallo Ignazio, Barone Giulia, Bella Sara, Biasini Selvaggi Cesare, Blanco Tiziana, Bonanno Alfio, Borzì Bernasconi Fabrice, Brogna Sonnino Giovanna e Aldo Premoli, Bronzino Mario, Brown Michael Cristopher, Calabrese Ramona, Caramma Cristina Rita, Cardillo Carmen, Carlino Ilaria, Carracchia Francesco, Cassaro Giulia, Castilletti Claudio, Chiara Federica, Chindemi Giuseppe, Clienti Kiki, Condorelli Giuseppe, Costanzo Ezio, Costanzo Stefania, Cremona Paolo, Cresci Mario, Crostella Elisa, Currò Cecilia, Cuscunà Martina, Daddabbo Laura, Del Zoppo Annita, Di Fini Giorgio, Di Giovanni Francesco, Distefano Marzio, Donetti Marta, Emmanuele Marco, Faia Monica, Fazio Nicolò, Feoli Ilaria, Ferrara Paolo, Foti Andrea, Frazzetto Giuseppe, Gentiluomo Noemi, Grasso Roberta, Gualtieri Davide, Guarnera Roberta, Gucciardello Enrico, Ilaria Francesco, Iodice Angelo, Kong Filippo, Labozzetta Antonia, Lanzo Melissa, Lawaert Koen, Li Greci Valentina, Liggera Egidio, Lisi Paolo, Lo Monaco Agata, Luciano Maria, Lucifora Francesco,Maffi Maria Chiara e Giancamilli Chiara, Magagnin Luca, Magrì Irene, Mangione Contarini Carmelo, Mariani Michela, Massimi Arianna, Mendoza Ryan, Merendino Teresa, Militello Alice, Miroddi Valentina, Nicosia Carmelo, Nicotra Giovanni, Nicotra Simona, Nobile Irene, Pagliara Fabio, Paladino Luana, Papa Filippo, Pascale Giorgia con Introduzione del Prof. Bruno Cacopardo, Piano Ivan, Piccari Virgilio, Pirri Alfredo, Platania Saverio, Praticò Anna, Privitera Roberto, Ranno Samuele, Reale Gianluca, Ricca Letizia, Rizzo Alessandro, Roccaro Andrea, Rossano Mainieri Tiziano, Salomone Claudia, Sangiorgio Chiara, Santarlasci Andrea, Scala Fabiana, Scavo Simona, Scudero Vincenzo, Severini Giuliano, Sofi Annalisa, Spitale Alessandro, Tabellini Alex, Tabita Alessia, Terranova Ivan, Testa Iannilli Lucrezia, Tittaferrante Futura, Torrisi Simona, Tripiciano Pietro, Tudisco Tracy, Tusa Anna, Valisano Andrea, Vecchio Miriam, Villa Fabrizio e Antonello Piraneo, Zamparo Roberto, Zangarella Simona, Zucco Aldo.  

Dal 18 Luglio 2020 al 04 Ottobre 2020 – Catania – Palazzo della Cultura

D’ESTATE

Hanno aperto i loro archivi. Inseguito memorie e ricordi di estati lontane, visioni perdute, atmosfere dimenticate: spiagge solitarie e campagne battute dal sole; l’esuberanza dei fiori selvaggi e il rassicurante raccolto di un campo di zucche, il profilo dei vulcani all’orizzonte e al tramonto, lo scatto onirico di palme e pini marittimi che, con la loro ombra allungata, quasi accarezzano il blu del mare.

Nella stagione più incerta e inquieta di quest’epoca contemporanea, sei fotografi – Giuseppe Cuttitta, Nino Giaramidaro, Melo Minnella, Giovanni Pepi, Carmelo Petrone e Angelo Pitrone – sei straordinari “pittori di luce” ci consegnano “D’Estate”, mostra fotografica della FAM Gallery di Agrigento, dal 7 agosto e fino al 4 ottobre. 
Inaugurazione sabato 7, ore 20.

Da un’idea di Paolo Minacori, patron della galleria di Agrigento, una piccola mostra che è un pretesto per guardarci indietro e guardarci dentro, scoprendo – forse – come fossero perfettamente straordinari i banali giorni qualunque di appena qualche mese fa. “Queste foto – scrive nella presentazione Giovanni Pepi – esprimono le pulsioni di un tempo imprevisto, forse un’epoca nuova. Quello del Covid. Misterioso e despota. Ignoto e predatore. Quanti non si chiedevano, ancora pochi mesi fa, nell’incertezza, che cosa sarebbe stata la nostra estate? Delle loro estati gli autori di questi fanno vedere quanto avrebbero voluto vivere. Hanno ripescato visioni perdute, atmosfere dimenticate, paesaggi e colori, folle e solitudini di mare, spiagge fascinose, colori di campagne battute dal sole, paesaggi ora smaglianti ora ombrosi, fiori coltivati e selvaggi, alberi possenti ed esili rami, rossi, tramonti infuocati e grigi pomeriggi, giochi notturni di luci e riflessi. Nel tempo buio la fotografia rivelava il suo valore. Facendo vivere e rivivere desideri impediti”.

Per accedere alla sala espositiva occorre essere muniti di mascherina e seguire il percorso obbligatorio – indicato dalla segnaletica – in ossequio alle norme anti-covid.

Dal 07 Agosto 2020 al 04 Ottobre 2020 – AGRIGENTO –  FAM Gallery

L’ADIEU DES GLACIERS, IL MONTE ROSA: RICERCA FOTOGRAFICA E SCIENTIFICA

Un viaggio iconografico e scientifico tra i ghiacciai dei principali Quattromila della Valle d’Aosta per raccontare la storia delle loro trasformazioni. E’ questo il cuore del progetto L’Adieu des glaciers: ricerca fotografica e scientifica, prodotto dal Forte di Bard, che si traduce in un approfondito lavoro di studio attorno al Monte Rosa, al Cervino, al Gran Paradiso e al Monte Bianco. Il progetto si sviluppa nell’arco di quattro anni, uno per ciascuna realtà fisica e culturale connotativa della piccola regione alpina. Coinvolti nella realizzazione numerosi enti ed istituzioni. Prima tappa di questo tour sarà il massiccio del Monte Rosa. Nel 2021 sarà la volta del Cervino, nel 2022 toccherà al Gran Paradiso per concludere nel 2023, con il Monte Bianco.

Per la mostra Il Monte Rosa: ricerca fotografica e scientifica, che sarà aperta al pubblico nelle sale delle Cannoniere dal 1° agosto 2020 al 6 gennaio 2021, il Forte di Bard si è affidato per la cura degli aspetti fotografici a Enrico Peyrot, fotografo e ricercatore storico-fotografico e, per la cura degli aspetti scientifici, a Michele Freppaz, professore del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino. L’apporto dei contenuti scientifici è stato condotto in  collaborazione con il Comitato Glaciologico Italiano, la Cabina di Regia dei Ghiacciai Valdostani, la Fondazione Montagna Sicura, l’Arpa Valle d’Aosta, l’Archivio Scientifico e Tecnologico Università Torino (Astut), il Centro Interdipartimentale sui rischi naturali in ambiente montano e collinare, il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino e con il professor Marco Giardino, segretario generale del Comitato Glaciologico Italiano e il professor Piergiorgio Montarolo, direttore dell’Istituto Scientifico Angelo Mosso.

«Crediamo profondamente che il Forte di Bard debba diventare il luogo in cui la ricerca e le tematiche che a vario titolo ruotano attorno alla montagna, si incontrano per trovare una  originale espressione anche attraverso la declinazione delle arti – spiega la Presidente del Forte di Bard, Ornella Badery -. Le prospettive per il Forte di Bard sono di essere un vero e proprio laboratorio di analisi delle trasformazioni climatiche, ambientali e antropiche in atto sulle  principali aree d’alta quota  della Valle. Il progetto si tradurrà in quattro grandi mostre e in occasioni di incontro e approfondimento aperti al territorio, al mondo scientifico e artistico, e al grande pubblico oltre che alle scuole. Un progetto complesso, frutto di un lavoro di squadra tra studiosi ed esperti, che consente al Forte di recuperare la sua originaria vocazione di centro internazionale di studio e interpretazione sulla montagna».

La mostra Il Monte Rosa: ricerca fotografica e scientifica, che gode del patrocinio della FAO-Mountain Partnership, presenta 100 opere fotografiche connotative di documentazioni scientifiche e/o artistiche. Un dialogo iconografico nel sedimento della cultura fotografica alpina, carico di suggestioni tra passato e presente. L’identità glaciale del Monte Rosa viene presentata attraverso un corpus di fotografie inedite che raffigurano ambienti naturali e antropizzati, contesti e sodalizi storico-culturali, imprese scientifiche.
Il progetto si avvale di opere di autorevoli autori e selezionate fotografie realizzate nel corso degli ultimi 150 anni e attualmente collezionate presso Enti pubblici, Università, Centri di ricerca, Associazioni, Fondazioni e privati. L’esposizione offre l’opportunità di apprezzare la qualità materico-fotografica delle stampe sia storiche che contemporanee, frutto di specifiche procedure, strumentazioni e materiali messi in opera – in ripresa – nelle alte valli che nascono dal Monte Rosa.

«Il duplice binario scientifico e fotografico della mostra descrive il fascino degli ambienti glaciali, unici e straordinari, ma anche la loro estrema fragilità – evidenzia il Direttore del Forte di Bard, Maria Cristina Ronc –. L’osservazione che ci siamo posti e che proponiamo all’attento pubblico del Forte attraverso un panorama di immagini straordinarie e inedite, è una riflessione tramite la bellezza sullo scenario fisico e naturale di un mondo che cambia, si depaupera dei suoi elementi fondanti per l’arco alpino e che presuppone un’umanità senza mondo rispetto al principio di sentirsi “a casa propria nel mondo”. E’ stato un appassionante e complesso lavoro di ricerca, condotto anche nel recupero dell’altrettanto fragile patrimonio fotografico».

I ghiacciai rispondono in modo diretto e rapido al cambiamento climatico modificando la propria massa e le proprie caratteristiche morfologiche e dinamiche: progressivo arretramento delle fronti glaciali, incremento delle zone crepacciate, formazione di depressioni e di laghi sulla superficie, aumento dell’instabilità di seracchi pensili. Dal termine della Piccola Età Glaciale (fase di espansione dei ghiacciai Alpini protrattasi dal 1300 al 1850 circa), la superficie dei ghiacciai dell’arco alpino si è ridotta di circa 2/3. In 30 anni (dagli anni ’80 ad oggi) la superficie dei ghiacciai italiani si è ridotta del 40%, mentre il numero dei ghiacciai è aumentato a causa dell’intensa frammentazione dei ghiacciai più grandi che riducendosi si dividono in singoli ghiacciai più piccoli. Monitorare le variazioni glaciali, consente da un lato di documentare l’impatto dei cambiamenti climatici e dall’altro di valutarne gli effetti sul territorio, con particolare attenzione agli elementi di fragilità che contraddistinguono le aree montane.

Dal 01 Agosto 2020 al 06 Gennaio 2021 – AOSTA Forte di Bard

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Il lavoro a Livorno NONOSTANTE il COVID 19

In una doppia mostra le foto selezionate del concorso fotografico.

Le immagini saranno esposte in formato macro, 24 ore su 24, in piazza Anita Garibaldi (anche nei week end di Effetto Venezia) e poi in piazza del Luogo Pio e, in formato più piccolo, negli spazi espositivi della Fondazione Carlo Laviosa in via della Posta, 44.

“Il lavoro a Livorno nonostante il Covid 19” era il titolo del concorso fotografico promosso dalla Fondazione Carlo Laviosa e dal Comune di Livorno. Si trattava del terzo concorso fotografico, ma quello di quest’anno era davvero particolare perché si svolgeva poco dopo la fine del lockdown e rappresentava uno dei primissimi eventi dedicati alla cultura a Livorno. Il concorso era rivolto a tutti: fotoamatori e professionisti, e gli scatti dovevano raccontare il lavoro di tutti coloro che in tanti settori non si sono mai fermati, consentendo alla città di andare avanti.

Il progetto espositivo si svolgerà in due modalità e con una nota speciale, anche perché una parte sarà all’aperto, quindi non nella consueta sede museale di Villa Mimbelli, ma in piazza Anita Garibaldi (adiacente a piazza del Luogo Pio). Le foto, in questa prima modalità, saranno in grande formato su pannelli fissi e visitabili per il periodo di Effetto Venezia 24 ore su 24  e dal 31 agosto al 4 ottobre in piazza del Luogo Pio sempre 24 ore su 24.

Le stesse immagini (in formato più piccolo) saranno oggetto di una mostra che aprirà il 21 agosto (ore 21.30) negli spazi espositivi della Fondazione Carlo Laviosa (via della Posta, 44). In questa sede l’esposizione proseguirà, a ingresso gratuito, fino al 4 ottobre (solo il venerdì, sabato e domenica).

Dal 21 agosto al 4 ottobre – LIVORNO

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Le mostre di fotografia per iniziare l’anno col piede giusto

Ciao,

se avete tempo in queste vacanze, di seguito trovate un po’ di mostre che vi consiglio di vedere.

Ne approfitto per augurare a tutti un sereno Natale ed uno scoppiettante inizio d’anno all’insegna della fotografia.

Anna

INGE MORATH. LA VITA. LA FOTOGRAFIA

Il Museo di Roma in Trastevere ospita la prima retrospettiva italiana di Inge Morath (1923-2002), la prima fotoreporter donna entrata a far parte della famosa agenzia fotografica Magnum Photos.
I rapporti lavorativi con personalità quali Ernst Haas, Robert Capa e Henri Cartier-Bresson, contribuiscono a chiarire l’evoluzione professionale della Morath e il personale stile fotografico nutrito degli ideali umanistici successivi alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche della fotografia quale “momento decisivo” come la definì Cartier-Bresson.

Le oltre centocinquanta fotografie ripercorrono le tappe dei suoi principali reportage geo-etnografici, includendo anche la nota serie di curiosi ritratti con le maschere del disegnatore Saul Steinberg.

Dal 30 Novembre 2019 al 19 Gennaio 2020 – Roma – Museo di Roma in Trastevere

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LETIZIA BATTAGLIA

LETIZIA BATTAGLIA

© Letizia Battaglia | Letizia Battaglia, Omicidio targato Palermo, 1975 

Dal 13 Dicembre 2019 al 08 Marzo 2020

NAPOLI

LUOGO: Magazzini Fotografici

INDIRIZZO: via San Giovanni in Porta 32

ORARI: dal mercoledì al sabato dalle 11.00 alle 19.00; domenica dalle 11.00 alle 14.30

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 3386403215

E-MAIL INFO: info@magazzinifotografici.it

SITO UFFICIALE: http://www.magazzinifotografici.it
COMUNICATO STAMPA:
A partire dal 13 dicembre 2019 Magazzini Fotografici ha il piacere di ospitare Letizia Battaglia.

In occasione della sua visita a Napoli, Letizia ha personalmente scelto dal suo archivio di stampe vintage una selezione di scatti che rappresentano uno spaccato della sua ricerca fotografica. La mostra è esclusivamente ideata per portare a Napoli foto storiche, giornalistiche, ritratti che raccontano gli anni di una Palermo difficile con lo sguardo intimo, profondo ed emozionato di una fotografa in grado di documentare gli effetti dell’azione della mafia sulla società ma anche di cogliere le radicate problematiche della condizione femminile, attraverso gli sguardi delle donne e delle bambine da lei ritratte.

Quello di Letizia Battaglia è un racconto delle contraddizioni e delle ferite di Palermo, città complessa da lei profondamente amata, terra in cui l’ autrice si è costruita indipendenza e libertà in un periodo storico molto difficile. 

Nei suoi scatti da cronista nella Palermo degli anni ‘70 ritroviamo immortalati i delitti di mafia che l’hanno resa simbolo della battaglia contro la criminalità organizzata e l’omertà che ne alimenta il potere. Nello sguardo delle bambine che fotografa ritroviamo un po’ della sua infanzia complessa in un racconto intenso, che riflette la profonda interiorità della fotografa e quella dei soggetti ritratti.

Letizia Battaglia, 84 anni, fotografa di fama mondiale, per il New York Times è «una delle 11 donne che hanno segnato il nostro tempo». Ha contraddistinto la sua carriera per l’appassionato impegno sociale e politico. Per trent’anni ha fotografato la sua terra, la Sicilia, con immagini in bianco e nero crude e dolorose, denunciando l’attività mafiosa con reportage coraggiosi e incisivi per il quotidiano «L’Ora» di Palermo, attività l’ha resa prima donna-fotografo a lavorare per un giornale italiano.
Convinta della validità dell’impegno civile come fattore di cambiamento, nel corso degli anni ha messo il suo talento e la sua passione al servizio di cause diverse, dalla questione femminile, ai problemi ambientali, ai diritti dei carcerati, in veste di fotografa, regista, editrice, ambientalista (è stata consigliere comunale, assessore e deputato regionale).
Nella sua carriera ha saputo conciliare alla perfezione arte, impegno, coscienza e cuore.
Inizia la sua carriera a Palermo nel 1969, e nel 1970 si trasferisce a Milano dove incomincia a fotografare collaborando con varie testate. Nel 1974 ritorna a Palermo e crea, con Franco Zecchin, l’agenzia “Informazione fotografica”, frequentata da Josef Koudelka e Ferdinando Scianna. Diviene in questi anni una fotografa di fama internazionale, e negli anni ’80 crea il “laboratorio d’If”, dove si formano fotografi e fotoreporter palermitani. 

Letizia Battaglia è stata la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il Premio Eugene Smith, a New York, riconoscimento internazionale istituito per ricordare il fotografo di Life. Un altro premio, il Mother Johnson Achievement for Life, le è stato tributato nel 1999.

Ha esposto in Italia, nei Paesi dell’Est Europa, Francia (Centre Pompidou, Parigi), Gran Bretagna, America, Brasile, Svizzera, Canada. 
Dopo l’assassinio del giudice Falcone, il 23 maggio 1992, Letizia Battaglia si allontana dal mondo della fotografia, ormai stanca di avere a che fare con la violenza, dirigendo dal 2000 al 2003 la rivista bimestrale realizzata da donne Mezzocielo, nata da una sua idea nel 1991.
Nonostante le sue radici siciliane, la Battaglia si trasferisce nel 2003 a Parigi, delusa per il cambiamento del clima sociale e per il senso di emarginazione da cui si sentiva circondata, ma nel 2005 è tornata nella sua Palermo.
Nel 2017 inaugura a Palermo all’interno dei Cantieri Culturali della Zisa il Centro Internazionale di Fotografia da lei diretto, metà museo, metà scuola di fotografia e galleria. E nel 2019 inaugura a Venezia, presso la Casa dei Tre Oci, una grande mostra monografica retrospettiva di tutta la sua carriera.
Per questa nuova occasione sarà ospite dello spazio espositivo Magazzini Fotografici, situato nel centro storico di Napoli, nell’antico Palazzo Caracciolo D’Avellino del Decumano superiore.
Nata da un’idea della fotografa Yvonne De Rosa, l’APS Magazzini Fotografici ha come elemento fondamentale l’ obiettivo della divulgazione dell’arte della fotografia finalizzata al-la creazione di un dialogo che sia occasione di scambio e di arricchimento culturale. Il team di Magazzini Fotografici è composto da: Yvonne De Rosa – Direttrice artistica e Fondatrice, Valeria Laureano coordinatrice, Rossella Di Palma responsabile ufficio stam-pa e comunicazione e Michela Sellitto, coordinatrice.

Dal 13 Dicembre 2019 al 08 Marzo 2020 – Magazzini Fotografici – Napoli

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OLIVIERO TOSCANI. RAZZA UMANA

Senigallia Città della Fotografia presenta dal 25 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020 la mostra Razza Umana di Oliviero Toscani. Le sale di Palazzo Ducale e di Palazzetto Baviera ospiteranno 70 fotografie di questo progetto che racconta i cittadini del mondo, per far riflettere sul valore dell’eguaglianza tra popoli nell’accettazione delle differenze.
 
Oliviero Toscani è indubbiamente uno dei fotografi italiani più importanti e conosciuti in Italia e all’estero, creatore di campagne pubblicitarie irriverenti e mediatiche che hanno fatto discutere tutto il mondo. Da sempre attratto dalle fisionomie umane e dalla loro rappresentazione, nel 2007 lancia il progetto Razza Umana definita dallo stesso maestro “uno studio socio-politico, culturale e antropologico che ritrae la morfologia della razza umana al fine di osservarne le peculiarità e le caratteristiche, per capire le differenze”.  
 
Razza Umana è un progetto itinerante che ha viaggiato per il mondo, passando dal Giappone al Guatemala, dal Belgio alla Thailandia alla Namibia, oltre ovviamente all’Italia dove è stato esposto in più di 100 comuni. È una ricerca che indaga la forma umana e si concentra sulle piccole imperfezioni che racchiudono l’essenza di tutti noi. Aiutato dal suo team, Oliviero Toscani allestisce in ogni tappa del suo percorso un vero e proprio studio fotografico per ritrarre la gente del luogo, la gente comune che rappresenta il campione di umanità che verrà poi messo in mostra, a confronto con gli scatti realizzati in altre parti del globo. 
 
Il risultato è un archivio multimediale di fotografie e video che racchiude l’essenza dell’umanità, un insieme di espressioni, caratteristiche fisiche, somatiche, sociali e culturali della popolazione, a discapito delle differenze, come spiega bene Achille Bonito Oliva: «Razza Umana è frutto di un soggetto collettivo, lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze».
La fotografia diventa uno strumento di conoscenza profonda che permette, attraverso lo sguardo di ogni singola persona, di poter catturare la sua anima e le esperienze che ha vissuto: un modo per abbattere le disuguaglianze, superando differenze di genere, sociali, culturali, questa è la potenza di Razza umana, come racconta lo stesso Toscani: «Non c’è bisogno di fotografare la guerra per rappresentare il disastro che compie nella società. Basta guardare due occhi che ti fissano con terrore e capisci cosa è la guerra. […] Credo si possa fotografare l’anima attraverso lo sguardo degli esseri umani. L’anima nelle sue fattezze, grandezze, meschinità, bruttezze, e bellezze più estreme. La mia ricerca è fotografare facendomi guardare “dritto negli occhi”».
 
Senigallia con questa mostra si conferma ancora di più città della fotografia in Italia, ospitando una tappa di questo importante progetto e, come afferma il sindaco Maurizio Mangialardi «è pronta a ospitare il lavoro di Oliviero Toscani, uno dei più importanti fotografi del Novecento, proiettando quindi ancora una volta l’intera regione Marche in una dimensione artistica internazionale. Sarà un evento interessante non solo dal punto di vista culturale, ma anche sotto l’aspetto sociale, perché il progetto di Toscani rappresenta un’opportunità di riflessione sul valore dell’uguaglianza che affonda le radici nel riconoscimento e nell’accettazione delle differenze».

Dal 25 Ottobre 2019 al 02 Febbraio 2020 – Palazzo del Duca | Palazzetto Baviera – Senigallia (AN)

LEWIS W. HINE. AMERICAN KIDS

Come nel film di Sergio Leone “C’era una volta in America”: per il progetto History & Photography – La Storia raccontata dalla Fotografia, in anteprima nazionale a la Casa di Vetro di Milano apre al pubblico l’8 ottobre 2019 dalle 15.30 alle 22.00 l’esposizione “Lewis W. Hine. American Kids. ”, dedicata alle condizioni di vita e di lavoro dei figli degli immigrati (per lo più europei, e tra loro tantissimi italiani) e delle classi sociali più povere negli Stati Uniti dei primi del ‘900. In programma fino al 25 gennaio 2020, curata da Alessandro Luigi Perna e prodotta da Eff&Ci – Facciamo Cose di Federica Candela, la mostra si compone di circa 60 riproduzioni digitali da stampe originali selezionate tra le più belle immagini (tra cui molte poco conosciute) della collezione della National Child Labour Committee, la principale organizzazione privata senza fini di lucro protagonista del movimento nazionale di riforma del lavoro minorile negli Stati Uniti a cavallo tra il XIX e il XX secolo. La sua missione era quella di promuovere “i diritti, la consapevolezza, la dignità, il benessere e l’educazione dei bambini e dei giovani in relazione al lavoro.” A scattare le foto, oggi conservate alla Library of Congress, Lewis Wickes Hine, il celebre maestro americano della fotografia sociale, di ritratto e di reportage che ha ispirato i grandi autori americani degli anni ‘30 (in primis Dorothea Lange) che hanno raccontato la Grande Depressione e il New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt. 

Dal 08 Ottobre 2019 al 25 Gennaio 2020 – La Casa di Vetro – Milano

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FRANCESCO CITO. DEUS, SPIRITUS, HOMINES

Dal rumore dei reportage di guerra al silenzio della preghiera, avendo il privilegio di entrare in spazi di norma riservati e sconosciuti, questo il viaggio che il fotografo Francesco Cito ha intrapreso alla scoperta dei luoghi di culto, delle professioni di fede nei territori dell’Umbria.
Un viaggio di ricerca e documentazione dedicato alle comunità religiose che, attraverso il potente mezzo della fotografia, evidenzia la necessità dell’uomo di costruire e custodire la propria identità culturale, spirituale e sociale, un viaggio che diventa mostra. 
http://www.francescocito.it

Può un forno ospitare fotografie?
E diventare un centro culturale?
E tornare a essere, dopo anni di chiusura, un centro vissuto e frequentato?

Succede a Città della Pieve grazie a un progetto aperto e gratuito per tutti: appassionati, esperti, curiosi di immagini, a chi passa e ha desiderio di capire, provare, scoprire, approfondire il mondo della fotografia.
Photo Città delle Pieve è un laboratorio permanente di cultura fotografica che, durante tutto l’anno, organizza esposizioni, workshop, talk, cineforum, attività culturali dedicate alla fotografia.
Photo Città della Pieve è un progetto che trova le sue radici in Italia centrale, in Umbria, al confine con la Toscana, all’interno del vecchio Forno Bassini, il forno del paese dal quale ha ereditato il nome «il Forno» e le aspirazioni, luogo di produzione e vero e proprio laboratorio di incontro per la comunità e non solo, che rivive grazie a un restauro filologico avviato da Firouz Galdo e portato a temine nel 2017 da Open Studio inserito tra i siti d’interesse per l’archeologia industriale dalla Regione Umbria.
Oggi, tra bocche di forno, pianali, cappe, rivestimenti originali, un allestimento lineare e fluido permette di ospitare esposizioni fotografiche, una biblioteca, una sala workshop, una sala posa, una camera oscura e un ambiente sempre aperto al pubblico per degustazioni, apertivi e appuntamenti.
Photo Città della Pieve alterna un calendario annuale di attività per vari tipi di pubblico a due mostre principali, nel mese di dicembre e di giugno, due progetti commissionati e realizzati ad hoc, da fotografi e artisti dedicati a svelare luoghi, culture, comunità, usi e costumi del territorio e d’Italia. Nei primi anni si sono alternate le collaborazioni con Maurizio Galimberti, Paola Agosti, Silvia Camporesi e Alessandra Baldoni, per dicembre 2019 è Francesco Cito il protagonista, con un intenso lavoro sulle comunità religiose, mentre a giugno 2020 sarà la volta di Valentina Piccinni e Jean Marc Caimi.
Photo Città della Pieve, anche grazie alla sua amplia biblioteca e al suo archivio è un luogo di studio e di memoria, da una parte mettendo a disposizione una selezione di oltre 700 volumi specializzati dall’altra custodendo la produzione fotografica dei progetti realizzati, insieme all’archivio di Attilio Maria Navarra e a una preziosa collezione di rarità bibliografiche da Praha panoramatickà di Josef Sudek e Immagini di Federico Vender a Il profilo delle nuvole : immagini di un paesaggio italiano di Luigi Ghirri, fino a Venise des saisons di Gianni Berengo Gardin e Momenti : otto saggi in immagini e parole di Irving

Dal 15 Dicembre 2019 al 13 Giugno 2020 –  Photo Città della Pieve

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PICASSO. L’ALTRA METÀ DEL CIELO. FOTO DI EDWARD QUINN

Uno sguardo sull’artista e il suo rapporto con il mondo femminile attraverso gli scatti di uno dei più affermati fotografi del Novecento: questo il tema scelto dalla città di Firenze per celebrare il genio del maestro spagnolo e del grande fotografo irlandese con l’esposizione “Picasso. L’altra metà del cielo. Foto di Edward Quinn”, in programma dal 30 novembre 2019 al 1° marzo 2020, presso il Museo Mediceo di Palazzo Medici Riccardi.

La mostra, prodotta e organizzata da MetaMorfosi con il patrocinio della Città Metropolitana di Firenze, in collaborazione con MUS.E, sarà inaugurata venerdì 29 novembre, alle ore 11, da Pietro Folena, Presidente di Metamorfosi, e da Letizia Perini in rappresentanza della Città Metropolitana di Firenze. L’esposizione è il frutto dell’insolita amicizia che legò Picasso a Edward Quinn, come spiega il nipote ricostruendo il loro primo incontro avvenuto in Costa Azzurra: «“Lui, il ne me dérange pas”, (“non mi disturba”) racconta Picasso dopo che, il 23 marzo 1953, lo aveva fotografato per la prima volta durante il suo lavoro. Così Quinn divenne uno dei pochi fotografi a cui fu permesso di fotografarlo durante il lavoro e che era accettato nella sua vita privata». L’esposizione – che annovera una corposa serie di scatti realizzati da Edward Quinn (Dublino 1920 – Svizzera 1997), il fotoreporter che seguì Picasso (1881 – 1973) in Costa Azzurra e lo ritrasse per circa vent’anni – presenta un’ottantina di foto (due i formati in mostra: 40×50 e 30×40 cm) che raccontano un Picasso intimo e privato, svelando, in particolare, il suo complesso rapporto con l’universo femminile: il maestro è ritratto fra le sue donne, amanti e amiche, fra i suoi figli, frutto di molte passioni nel corso degli anni, ma anche fra i tanti amici e conoscenti che popolavano le sue tele così come le tavolate imbandite e le spiagge davanti al mare. Le foto provengono dall’Archivio Quinn di Zurigo e sono state selezionate dal curatore della mostra, Wolfgang Frei, nipote del fotografo.  «Anche se  Quinn – racconta ancora Frei – era un caro amico, non era quasi mai possibile fissare con lui per tempo un appuntamento. Spesso Picasso dava l’ordine di non essere disturbato. Quasi tutte le visite erano impreviste e improvvisate. Questo però era in linea col modo di lavorare di Quinn: i suoi scatti non avevano infatti bisogno di lunghi preparativi tecnici. Non faceva uso del treppiede e si rifiutava di illuminare artificialmente gli ambienti e far posare Picasso. L’obiettivo era quello di mostrare in quali condizioni l’artista creava le sue opere». Gli scatti di Quinn mirano a restituire un’immagine non convenzionale, credibile, autentica, documentaria. Le fotografie in mostra rivelano come l’artista si sia ispirato alle cose e alle persone di tutti i giorni, ma anche a quelle straordinarie che lo circondavano. In questa rappresentazione della personalità dell’artista, delle persone – e delle donne – dietro alle immagini un focus  particolare è rivolto agli aspetti per alcuni versi dicotomici della vita: il tempo libero accanto al lavoro, il quotidiano in relazione all’arte, il Casanova e l’uomo di famiglia, il clown e il jolly estroverso, ma anche il maestro intento e impegnato nel proprio lavoro. Un affascinante ritratto dell’artista e del suo rapporto con l’”altra metà del cielo” che copre un periodo di oltre 20 anni e che racconta un Picasso insolito, autentico e ricco di umanità.  Un tema indubbiamente di grande attualità, oltre che di un’assoluta originalità.

«Dopo le foto di Sukita per Bowie che illuminano il rapporto tra immagine e musicista – dichiara il Sindaco Dario Nardella – apriamo ora un nuovo capitolo, esplorando quel che può fare la presenza discreta dell’obiettivo in presenza di un artista immenso come Picasso. Due modi certo diversi di interpretare l’arte ma che si integrano e completano in qualche modo la ricognizione di un profilo tanto articolato e complesso quale quello del maestro di Guernica».

«L’altra metà del cielo» – spiega Pietro Folena, Presidente dell’Associazione MetaMorfosi –  è una citazione storica, che evidenzia, in questi tempi di vivace dibattito, l’importanza che avuto il femminismo.  Certo –  sottolinea il presidente di MetaMorfosi – non si può considerare Picasso un femminista, faremmo un torto alla sua storia, al suo rapporto tormentato e, in alcuni passaggi, tragico con le donne. Tuttavia Picasso –  conclude Folena  –  ha cantato la bellezza esteriore e interiore delle donne. Donne che lo hanno avvicinato con l’idea che lui potesse essere per loro anche un maestro di arte e di cultura, un formatore. E di fatto lo è stato».

Dal 30 Novembre 2019 al 01 Marzo 2020 – FIRENZE – Palazzo Medici Riccardi

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MARGHERITA LAZZATI. FOTOGRAFIE IN CARCERE. MANIFESTAZIONI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Dal 15 novembre 2019 al 26 gennaio 2020, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita la mostra di Margherita Lazzati, dal titolo Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa.
 
L’esposizione, curata da Nadia Righi e Cinzia Picozzi, rispettivamente direttrice e conservatrice del Museo Diocesano, realizzata in collaborazione con la Galleria L’Affiche di Milano, presenta 50 immagini in bianco e nero, che documentano il libero esercizio della fede, all’interno del carcere di Milano Opera.
Dal 2011, Margherita Lazzati ha frequentato, come fotografa, la casa di reclusione milanese, nell’ambito del «Laboratorio di lettura e scrittura creativa». Dopo quell’esperienza, che ha portato alla serie dei Ritratti in carcere, Margherita Lazzati ha allargato il suo sguardo verso altre realtà, sempre all’interno dell’istituto.
In particolare, dal dialogo avviato nel 2017 con l’allora direttore Giacinto Siciliano, e proseguito con il suo successore, Silvio Di Gregorio, e con il provveditore Luigi Pagano, è scaturita l’idea di documentare la quotidianità del carcere in tutti i suoi aspetti. Il progetto Fotografie in carcere è nato col fine d’illustrare attraverso la fotografia la corrispondenza tra la realtà e alcuni articoli dell’ordinamento penitenziario, come il numero 58, sulle “manifestazioni della libertà religiosa”.
 
Le immagini dell’artista milanese ritraggono persone a contatto con la propria fede e con il proprio credo; non solo detenuti, quanto volontari, ministri di culto, agenti, appartenenti a comunità di diverse confessioni religiose, siano essi cattolici, ebrei, evangelici, copti, buddisti, musulmani, còlti nei vari momenti di preghiera e di condivisione.
 
“Ho scelto di ritrarre non solo i luoghi della preghiera – ricorda Margherita Lazzati – e della condivisione, ma anche i dialoghi, gli sguardi, i gesti rituali, i momenti di convivenza tra persone, che sono poi quelli che maggiormente mi hanno colpita”.
 
È proprio la persona, il singolo individuo ad aver attratto l’obiettivo della fotografa, senza alcuna retorica. “Questo è un tema a me molto caro – prosegue Margherita Lazzati. Cerco di rimanere lontana da ogni retorica e di rivolgere la mia indagine unicamente alla “persona”. In questo caso mi sono concentrata sull’esperienza che le persone vivono e condividono: un’esperienza di riflessione, preghiera, speranza, disperazione”.
 
Margherita Lazzati, con delicatezza e determinazione, invita ad oltrepassare la cinta muraria e ad avvicinarsi di una realtà che è parte integrante della società. Il risultato è molto più di un racconto. Queste immagini non “spiegano” cosa avviene in carcere. Sollecitano invece profondi interrogativi.
È proprio per tale ragione che la mostra trova negli spazi di questo museo il suo senso più compiuto, in totale sintonia con l’identità del museo stesso che, attraverso la bellezza dell’arte, intende suscitare domande di significato e desiderio di Bellezza.

Dal 14 Novembre 2019 al 26 Gennaio 2020 –  Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano

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MILANO ANNI 60. STORIA DI UN DECENNIO IRRIPETIBILE

Dal 6 novembre 2019 al 9 febbraio 2020, Palazzo Morando | Costume Moda Immagine di Milano ospita la mostra Milano Anni 60 che ripercorre la storia di un decennio irripetibile che ha consacrato il capoluogo lombardo come una delle capitali mondiali della creatività in grado di assumere il ruolo di guida morale ed economica del Paese.

Spinta dal boom economico, Milano si trovò improvvisamente a vivere un irrefrenabile fermento culturale, caratterizzato da una forza progettuale senza precedenti e dalla voglia di lasciarsi alle spalle in maniera definitiva gli orrori della guerra.

La grande stagione della musica a Milano si inaugura con il concerto di Billie Holiday del 1958 allo Smeraldo e proseguirà felicemente con tutti i grandi del Jazz da Duke Ellington a Thelonius Monk fino a Chet Baker e Gerry Mulligan che a Milano erano di casa. Anche la musica leggera conosce un periodo d’oro con il concerto dei Beatles al Vigorelli del 1965 e dei Rolling Stones al Palalido del 1967, che suggellano il ruolo di Milano come città moderna e pronta ad accogliere i più grandi protagonisti della musica pop e rock d’oltremanica e d’oltreoceano.

Sono anni di grande fervore artistico con l’opera di Lucio Fontana e Piero Manzoni, di pietre miliari del design italiano quali Marco Zanuso, Bruno Munari, Vico Magistretti, Achille Castiglioni, Bob Noorda e di grandi esponenti della fotografia quali Roberto Polillo, Carlo Orsi, Uliano Lucas, Gianni Greguoli, Fedele Toscani, Fabrizio Garghetti, Giorgio Lotti, Emilio Frisia, Cesare Colombo, Ernesto Fantozzi, Paolo Monti, Silvestre Loconsolo, Piero Raffaelli, di intensa vita notturna dei locali del jazz con Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Questi sono solo alcuni dei protagonisti della scena milanese che contribuirono all’incanto di quel decennio.

Un sogno da cui la città si svegliò bruscamente, il 12 dicembre 1969, con l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.

Curata da Stefano Galli, realizzata in collaborazione con il Comune di Milano | Cultura, Direzione Musei Storici e con la Questura di Milano, organizzata da MilanoinMostra con il patrocinio della Polizia di Stato e della Regione Lombardia, la rassegna presenta fotografie, manifesti, riviste, arredi, oggetti di design e molto altro ancora, che faranno rivivere l’atmosfera di quell’epoca.

Il percorso espositivo, diviso in sezioni, si apre con le immagini della nuova Milano, il cui volto si modifica grazie alle nuove costruzioni, come il Pirellone, la Torre Velasca, la Torre dei servizi tecnici comunali, il Centro direzionale, la Torre Galfa ma anche la nascita dei quartieri periferici, tra i quali spiccano Quarto Oggiaro, Olmi, Gallaratese, Gratosoglio, Comasina, quest’ultimo iniziato nel 1953 e ultimato nel 1960, il più importante intervento edilizio in quegli anni in Italia con i suoi 11.000 vani e 83 palazzi.

Fotografie e riviste dell’epoca documentano il boom economico, con la realizzazione delle tangenziali milanesi, del tratto Milano-Piacenza dell’autostrada A1, infrastrutture che portarono una più rapida circolazione delle merci con una maggiore crescita delle aziende; celebri nomi della grafica pubblicitaria furono chiamati a ripensare i brand delle nuove e rinnovate realtà aziendali, a partire dal fondamentale progetto di Franco Albini e Bob Noorda per la Metropolitana Milanese.

Numerosi sono gli oggetti che aiutano a rievocare la grande stagione del design, con maestri del calibro di Bruno Munari, Marco Zanuso, Vico Magistretti, Enzo Mari, Achille Castiglioni, Sambonet, Joe Colombo, Gio Ponti. Si racconta la storia delle aziende milanesi coinvolte in questa clamorosa stagione. Tra tutte Brionvega, Cassina, Zanotta, Kartell, Tecno, Fontana Arte, Artemide, Flos, Arflex e Danese.

Anche il mondo della cultura, delle gallerie d’arte e del cabaret visse un periodo di grande spolvero. E naturalmente la musica, in particolare il jazz, che trovò casa in numerosi club sparsi per la città, come la Taverna Mexico, dove si esibirono i migliori esponenti di questo genere.

Già alla fine degli anni Cinquanta, Milano divenne anche un luogo apprezzato dove organizzare concerti memorabili, come quelli di Billie Holiday allo Smeraldo, dei Beatles al Vigorelli, dei Rolling Stones al Palalido, di Jimi Hendrix al Piper, ma fu anche il palcoscenico che vide affermarsi artisti quali Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Adriano Celentano, Patty Pravo.

La fine degli anni 60 segnò poi la nascita della contestazione, dalle rivolte studentesche negli atenei, sfociate nelle occupazioni della Statale e della Cattolica, ai picchetti nelle fabbriche e agli scioperi.

Chiude la mostra la sezione dedicata a piazza Fontana e alla fine del sogno, con le fotografie della strage e dei funerali, accompagnate da documenti e alcuni oggetti legati a questo tragico avvenimento alla cui ricerca e selezione, presso gli archivi della Polizia di Stato e non solo, ha collaborato la Questura di Milano.

Dal 06 Novembre 2019 al 09 Febbraio 2020 – Palazzo Morando | Costume Moda Immagine – Milano

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Mostre per marzo

Ciao,

eccoci di nuovo a consigliarvi nuove mostre da non perdere durante il mese di marzo.

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Anna

Franco Fontana. Sintesi

Modena rende omaggio a Franco Fontana (1933), uno dei suoi artisti più importanti e tra i più conosciuti a livello internazionale. Dal 22 marzo al 25 agosto 2019, FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, nelle tre sedi della Palazzina dei Giardini, del MATA – Ex Manifattura Tabacchi e della Sala Grande di Palazzo Santa Margherita, ospita la mostra, dal titolo Sintesi, che ripercorre oltre sessant’anni di carriera dell’artista modenese e traccia i suoi rapporti con alcuni dei più autorevoli autori della fotografia del Novecento. L’esposizione è suddivisa in due sezioni. La prima, curata da Diana Baldon, direttrice di FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE, allestita nella Sala Grande di Palazzo Santa Margherita e nella Palazzina dei Giardini, rappresenta la vera sintesi – come recita il titolo – del percorso artistico di Franco Fontana, attraverso trenta opere, la maggior parte delle quali inedite, realizzate tra il 1961 e il 2017, selezionate dal vasto archivio fotografico dell’artista. Questo nucleo si concentra su quei lavori che costituiscono la vera cifra espressiva di Fontana. Sono paesaggi urbani e naturali, che conducono il visitatore in un ideale viaggio che lega Modena a Cuba, alla Cina, agli Stati Uniti e al Kuwait. Fin dagli esordi, Fontana si è dedicato alla ricerca sull’immagine fotografica creativa attraverso audaci composizioni geometriche caratterizzate da prospettive e superfici astratte significandone e testimoniandone la forma. Queste riprendono soggetti vari, che spaziano dalla cultura di massa allo svago, dal viaggio alla velocità, quale allegoria della libertà dell’individuo, in cui la figura umana è quasi sempre assente o vista da lontano. Le sue fotografie sono state spesso associate alla pittura astratta modernista, per la quale il colore è un elemento centrale, mentre le linee geometriche delle forme dissimulano la rappresentazione della realtà. Questo suo innovativo approccio si è imposto, a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, come una carica innovatrice nel campo della fotografia creativa a colori. La seconda sezione, curata dallo stesso Franco Fontana, ospitata dal MATA – Ex Manifattura Tabacchi,propone una selezione di circa cento fotografie che Franco Fontana ha donato nel 1991 al Comune di Modena e Galleria Civica che costituisce un’importante costola del patrimonio collezionistico ora gestito da Fondazione Modena Arti Visive. Tale collezione delinea i rapporti intrecciati dall’artista con i grandi protagonisti della fotografia internazionale. A metà degli anni settanta, Fontana inizia infatti a scambiare stampe con altri fotografi internazionali, raccogliendo negli anni oltre 1600 opere di molti tra i nomi più significativi della fotografia italiana e internazionale, da Mario Giacomelli a Luigi Ghirri e Gianni Berengo Gardin, da Richard Avedon a Annie Leibovitz, da Arnold Newman a Josef Koudelka e Sebastião Salgado. Attraverso i ricordi in prima persona dell’artista, questa sezione testimonia la vastità e la genuinità delle relazioni di Fontana con colleghi di tutto il mondo, in molti casi divenute legami di amicizia profonda, e la stima di cui è circondato, attestata dalle affettuose dediche spesso presenti sulle fotografie. La mostra sarà accompagnata da un catalogo disponibile in mostra. La mostra Franco Fontana. Sintesi è realizzata in collaborazione con il festival Fotografia Europea di Reggio Emilia, che nell’edizione 2019 sarà dedicato al tema “LEGAMI. Intimità, relazioni, nuovi mondi”.

Dal 22 Marzo 2019 al 25 Agosto 2019 –  Sedi varie – Modena

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LETIZIA BATTAGLIA. Fotografia come scelta di vita

Dal 21 marzo al 18 agosto 2019, la Casa dei Tre Oci di Venezia ospita una grande antologica di Letizia Battaglia (Palermo, 1935), una delle protagoniste più significative della fotografia italiana, che ne ripercorre l’intera carriera. La mostra, curata da Francesca Alfano Miglietti, organizzata da Civita Tre Venezie, in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia, con la partecipazione della Fondazione di Venezia, presenta 200 immagini, molte delle quali inedite, che rivelano il contesto sociale e politico nel quale sono state scattate. Il percorso espositivo, ordinato tematicamente, si focalizza su quegli argomenti che hanno costruito la cifra espressiva più caratteristica di Letizia Battaglia, che l’ha portata a fare una profonda e continua critica sociale, evitando i luoghi comuni e mettendo in discussione i presupposti visivi della cultura contemporanea. I ritratti di donne, di uomini o di animali, o di bimbi, sono solo alcuni capitoli che compongono la rassegna; a questi si aggiungono quelli sulle città come Palermo, e quindi sulla politica, sulla vita, sulla morte, sull’amore. Quello che ne risulta è il vero ritratto di Letizia Battaglia, una intellettuale controcorrente, ma anche una fotografa poetica e politica, una donna che si è interessata di ciò che la circondava e di quello che, lontano da lei, la incuriosiva. Conosciuta soprattutto per aver documentato con le sue fotografie quello che la mafia ha rappresentato per la sua città, dagli omicidi ai lutti, dagli intrighi politici alla lotta che s’identificava con le figure di Falcone e Borsellino, nel corso della sua carriera Letizia Battaglia ha raccontato anche la vita dei poveri e le rivolte delle piazze, tenendo sempre la città come spazio privilegiato per l’osservazione della realtà, oltre che del suo paesaggio urbano. I soggetti di Letizia, scelti non affatto casualmente, hanno tracciato un percorso finalizzato a rafforzare le proprie ideologie e convinzioni in merito alla società, all’impegno politico, alle realtà emarginate, alla violenza provocata dalle guerre di potere, all’emancipazione della donna.

VENEZIA/TRE OCI –  21.03>18.08.2019

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Don McCullin

This exhibition showcases some of the most impactful photographs captured over the last 60 years. It includes many of his iconic war photographs – including images from Vietnam, Northern Ireland and more recently Syria. But it also focuses on the work he did at home in England, recording scenes of poverty and working class life in London’s East End and the industrial north, as well as meditative landscapes of his beloved Somerset, where he lives. Sir Don McCullin was born in 1935 and grew up in a deprived area of north London. He got his first break when a newspaper published his photograph of friends who were in a local gang. From the 1960s he forged a career as probably the UK’s foremost war photographer, primarily working for the Sunday Times Magazine. His unforgettable and sometimes harrowing images are accompanied in the show with his brutally honest commentaries. With over 250 photographs, all printed by McCullin himself in his own darkroom, this exhibition will be a unique opportunity to appreciate the scope and achievements of his entire career.

5 February – 6 May 2019 – Tate Britain London

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Inge Morath

Casa dei Carraresi di Treviso accoglie, dopo il successo della mostra su Elliott Erwitt ed i suoi cani, la prima grande retrospettiva italiana di Inge Morath, la prima donna ad essere inserita nel cenacolo, all’epoca tutto maschile, della celebre agenzia fotografica Magnum Photos. Impropriamente nota alle cronache più per aver sostituito la mitica Marilyn Monroe nel cuore dello scrittore Arthur Miller, divenendone moglie e compagna di vita, è stata in realtà soprattutto una straordinaria fotografa ed una fine intellettuale. Il suo rapporto con la fotografia è stato un crescendo graduale: dopo aver lavorato come traduttrice e scrittrice in Austria, inizia a scattare nel 1952, e dall’anno successivo, grazie ad Ernst Haas inizia a lavorare per Magnum Photos a Parigi. Limitarsi a considerarla una fotografa di questa celebre agenzia è riduttivo. Le celebri fotografie realizzate durante i suoi viaggi, o gli intensi ritratti in grado di catturare le intimità più profonde dei suoi soggetti, si accompagnano ad una brillante attività intellettuale che si alimentava di amicizie con celebri scrittori, artisti, grafici e musicisti. Che si trattasse di raccontare paesaggi e Paesi, persone o situazioni, le sue foto erano sempre caratterizzate da una visione personale e da specifica sensibilità, in grado di arricchire la percezione del mondo che la circondava. Come Inge Morath era solita dire: “Ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima”. Ogni reportage di viaggio ed ogni incontro veniva da lei preparato con cura maniacale. La sua conoscenza di diverse lingue straniere le permetteva di analizzare in profondità ogni situazione e di entrare in contatto diretto e profondo con la gente. Per questa ampia retrospettiva a Casa dei Carraresi – una selezione di oltre 150 fotografie e decine di documenti riferiti al lavoro di Inge Morath – i curatori hanno dato vita ad un percorso che analizzerà tutte le principali fasi del lavoro della Morath, ma al contempo cercherà di far emergere l’umanità che incarna tutta la sua produzione. Una sensibilità segnata dell’esperienza tragica della seconda guerra mondiale, che con gli anni si rafforzerà e diventerà documentazione della resistenza dello spirito umano alle estreme difficoltà e consapevolezza del valore della vita. La mostra ripercorre tutti i principali reportage realizzati dalla fotografa austriaca: da quello dedicato alla città di Venezia a quello sul fiume Danubio; dalla Spagna alla Russia, dall’Iran alla Cina, alla Romania, agli Stati Uniti d’America passando per la nativa Austria. Contemporaneamente il percorso espositivo darà spazio ai suoi celebri ritratti di scrittori, pittori, poeti, tra cui lo stesso Arthur Miller, oltre ad Alberto Giacometti, Pablo Picasso e Alexander Calder: quest’ultimo suo vicino di casa a Roxbury, nel Connecticut, dove Inge Morath visse con il marito Premio Pulitzer per tutta la vita. Ci sarà poi spazio anche per il mondo del cinema. Nel 1960 Inge Morath viene infatti inviata dall’agenzia Magnum nel set della pellicola hollywoodiana “The Misfits”, un’enorme produzione cinematografica con alla regia John Houston, alla sceneggiatura Arthur Miller, ed attori del calibro di Clark Gable e Marilyn Monroe. All’epoca Miller e la Monroe erano sposati, ma la loro relazione era già in difficoltà. Proprio sul set del film, la Morath ebbe modo di conoscere lo scrittore, che sarebbe diventato poi suo marito. Come dichiara Marco Minuz: “E’ un progetto espositivo che vuole descrivere, nel dettaglio e per la prima volta in Italia, la straordinaria vita di questa fotografa; una donna dalle scelte coraggiose, emancipata, che ha saputo nella fotografia inserirci la sua sensibilità verso l’essere umano”. Questa prima retrospettiva italiana è prodotta da Suazes con Fotohof di Salisburgo, con la collaborazione di Fondazione Cassamarca, Inge Morath Foundation e Magnum Photos.

1 marzo – 9 giugno 2019 – Casa dei Carraresi, Treviso

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Internat di Carolyn Drake

A partire dal 15 febbraio 2019 Officine Fotografiche ospita a Roma Internat, progetto della fotografa statunitense Carolyn Drake, curato da Laura De Marco, in collaborazione con SI FestSavignano Immagini Festivale con il patrocinio della città di Savignano sul Rubicone. Tra il 2014 e il 2016, Carolyn Drake realizza una serie di immagini all’interno di un orfanotrofio russo che ospita giovani con disabilità, tra cui molte giovani donne che diventano adulte nel completo isolamento. Frutto di un percorso individuale ed esistenziale che nasce anni prima degli scatti realizzati, Internat è la testimonianza di un’intensa collaborazione tra la Drake e le ospiti della struttura che, su suo invito, hanno prodotto proprie creazioni, a partire dalle opere di Taras Shevchenko, artista ucraina, etnografa, poetessa e prigioniera politica. La natura, gli oggetti della vita quotidiana e le mura dell’orfanotrofio sono mezzi per discutere questioni quali il controllo sociale, l’identità individuale e collettiva, la libertà di immaginazione e la normalizzazione del comportamento femminile. Cosa definisce l’identità di una persona all’interno della società? La sua famiglia e i rapporti che si instaurano con essa; il cerchio allargato delle persone che via via incontra; le esperienze che fa del mondo, e così via. Cosa succede quando tutto questo viene negato? Quando si cresce all’interno dei confini murati di una istituzione? Questa è la premessa di Internat di Carolyn Drake, un lavoro su cui ha iniziato a riflettere dodici anni fa, ma che è stato poi sviluppato tra il 2014 e il 2017. Internat è una pensione immersa nella foresta attorno alla città di Ternopil’, in Ucraina. Sembrerebbe, così descritto, un posto idilliaco, ma è invece un edificio circondato da alte mura in cui vengono recluse ragazze adolescenti ritenute non abili a condurre una vita regolare in società. Quando nel 2006 Drake si imbatte in questo luogo, è convinta che a quelle ragazze, una volta cresciute, verrà garantito il ritorno alla vita nel mondo reale; ma anni dopo, quando ritorna con l’idea di andare a scoprire come sono cambiate le loro vite una volta uscite, la sconcertante scoperta che le allora adolescenti sono ora donne adulte, ancora rinchiuse tra quelle mura, porta l’artista a porsi le domande all’inizio di queste righe. Come si sviluppa l’identità di una giovane donna in queste condizioni? In un microcosmo come quello di un istituto, che rapporti si instaurano tra chi fa le regole, la direzione, e chi le subisce? Può una realtà di questo tipo essere vista come esempio in miniatura di ciò che accade nel macrocosmo della società “libera”? Probabilmente, sì. Drake inizia a fotografare la vita delle ragazze e a coinvolgerle nel suo lavoro utilizzando l’ambiente, le relazioni tra di loro e l’arte stessa per aprire un dialogo onesto e diretto e, soprattutto, una possibilità di confronto. Scopre così che la fantasia, la natura, i rapporti interpersonali e la routine delle azioni quotidiane sono tra le cose che l’essere umano riesce sempre a trovare per imparare a definire e a definirsi, anche creandosi un mondo del tutto personale e autonomo. Internat si sviluppa come una vera e propria pratica di collaborazione alla produzione del lavoro artistico: Drake condivide la sua autorialità con i soggetti coinvolti, nel tentativo di creare un progetto che possa fare luce sulle molteplici sfaccettature di questo micro mondo. Includendo i suoi soggetti nel processo creativo, Drake ha la possibilità di andare oltre a una annosa questione (non solo pratica, ma anche etica) della fotografia documentaria classica: chi è che racconta le storie e a favore di chi lo fa? Ovvero, i soggetti, soprattutto di storie delicate come questa, hanno effettivamente voce in capitolo nel momento in cui la loro storia viene raccontata o non si fa altro che diffondere narrazioni a una unica via, quella dell’autore che le racconta? Coinvolgendo le ragazze dell’orfanotrofio, non solo Drake stabilisce un rapporto più profondo con loro, e dunque ha accesso a una intimità maggiore, ma dà anche loro la possibilità di costruire la propria narrazione e avere il controllo su quella che è la loro storia. Approccio rischioso, dal punto di vista dell’artista, ma decisamente potente e illuminante.

dal 18 febbraio all’ 8 marzo 2019 – Officine Fotografiche Roma

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Ferdinando Scianna, Viaggio Racconto Memoria

“Non sono più sicuro, una volta lo ero, che si possa migliorare il mondo con una fotografia. Rimango convinto, però, del fatto che le cattive fotografie lo peggiorano” Ferdinando Scianna

Il 21 febbraio, negli spazi espositivi della Galleria d’arte moderna di Palermo, aprirà al pubblico la grande mostra antologica dedicata a Ferdinando Scianna, curata da Denis Curti, Paola Bergna e Alberto Bianda, art director della mostra, e organizzata da Civita. Con oltre 180 fotografie in bianco e nero stampate in diversi formati, la rassegna attraversa l’intera carriera del fotografo siciliano e si sviluppa lungo un articolato percorso narrativo, costruito su diversi capitoli e varie modalità di allestimento. Ferdinando Scianna è uno dei maestri della fotografia non solo italiana. Ha iniziato ad appassionarsi a questo linguaggio negli anni Sessanta, raccontando per immagini la cultura e le tradizioni della sua regione d’origine, la Sicilia. Il suo lungo percorso artistico si snoda attraverso varie tematiche – l’attualità, la guerra, il viaggio, la religiosità popolare – tutte legate da un unico filo conduttore: la costante ricerca di una forma nel caos della vita. In oltre 50 anni di racconti non mancano di certo le suggestioni: da Bagheria alle Ande boliviane, dalle feste religiose – esordio della sua carriera – all’esperienza nel mondo della moda, iniziata con Dolce & Gabbana e Marpessa. Poi i reportage (fa parte dell’agenzia foto giornalistica Magnum), i paesaggi, le sue ossessioni tematiche come gli specchi, gli animali, le cose e infine i ritratti dei suoi grandi amici, maestri del mondo dell’arte e della cultura come Leonardo Sciascia, Henri Cartier-Bresson, Jorge Louis Borges, solo per citarne alcuni. “Una grande mostra antologica come questa di Palermo, a settantacinque anni, è per un fotografo un complesso, affascinante e forse anche arbitrario viaggio nei cinquant’anni del proprio lavoro e nella memoria. Ecco già due parole chiave di questa mostra e del libro che l’accompagna: Memoria e Viaggio. La terza, fondamentale, è Racconto. Oltre 180 fotografie divise in tre grandi corpi, articolati in diciannove diversi temi. Questo tenta di essere questa mostra, un Racconto, un Viaggio nella Memoria. La storia di un fotografo in oltre mezzo secolo di fotografia”, dichiara Ferdinando Scianna. Avendo deciso di raccogliere in questa mostra la più ampia antologia dei suoi lavori fotografici, con la solita e spiccata autoironia, Ferdinando Scianna, in apertura del percorso espositivo, sceglie un testo di Giorgio Manganelli: “Una antologia è una legittima strage, una carneficina vista con favore dalle autorità civili e religiose. Una pulita operazione di sbranare i libri che vanno per il mondo sotto il nome dell’autore per ricavarne uno stufato, un timballo, uno spezzatino…” Ferdinando Scianna del suo lavoro scrive: come fotografo mi considero un reporter. Come reporter il mio riferimento fondamentale è quello del mio maestro per eccellenza, Henri Cartier-Bresson, per il quale il fotografo deve ambire ad essere un testimone invisibile, che mai interviene per modificare il mondo e gli istanti che della realtà legge e interpreta. Ho sempre fatto una distinzione netta tra le immagini trovate e quelle costruite. Ho sempre considerato di appartenere al versante dei fotografi che le immagini le trovano, quelle che raccontano e ti raccontano, come in uno specchio. Persino le fotografie di moda le ho sempre trovate nell’azzardo degli incontri con il mondo.

21 febbraio – 28 luglio 2019 – Palermo, Galleria d’arte Moderna

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Tina – Tina Modotti

La mostra Tina è un progetto ideato da Bonanni Del Rio Catalog in collaborazione con Reinhard Schultz della Galerie Bilderwelt di Berlino e inaugurerà il 7 marzo nello spazio BDC28, in borgo delle Colonne 28 a Parma. L’intento è quello di far conoscere Tina, donna emancipata e indipendente, ma soprattutto quello di celebrare la sua arte, rimasta a volte un po’ in ombra rispetto alla sua appassionante vicenda biografica. La scelta di celebrare Tina e la sua arte in occasione della festa della donna non è casuale, in quanto ancora oggi rappresenta un’icona di indipendenza ed emancipazione femminile. In tutto 80 scatti illustreranno la ricerca fotografica dagli inizi del suo breve percorso intorno agli anni ’20 del secolo scorso, in un Messico ricco di fermenti artistici e sociali, fino alle ultime foto scattate a Berlino nel 1930. Chiude la mostra l’omaggio all’artista di tre giovani fotografe parmigiane: Noemi Martorano, Alessia Leporati, e Chuli Paquin con una piccola selezione di loro opere, renderanno omaggio al talento di Tina Modotti. Il nuovo catalogo realizzato per la mostra contiene tutte le fotografie in esposizione e i contributi Tina Modotti: il mondo come geometria e lunga durata di Gloria Bianchino e I fuochi, le ombre, i silenzi di Pino Cacucci. L’esposizione proseguirà fino al 7 aprile con ingresso gratuito.

Dal 7 marzo al 7 aprile – Spazio BDC 41 – Parma

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Surrealist Lee Miller

Palazzo Pallavicini e ONO arte contemporanea sono lieti di presentare la mostra “Surrealist Lee Miller”, la prima personale italiana dedicata ad una delle fotografe più importanti del Novecento. Lanciata da CondéNast, sulla copertina di Vogue nel 1927, Lee Miller fin da subito diventa una delle modelle più apprezzate e richieste dalle riviste di moda. Molti i fotografi che la ritraggono – Edward Steichen, George Hoyningen-Huene o Arnold Genthe – e innumerevoli i servizi fotografici di cui è stata protagonista, fino a quando – all’incirca due anni più tardi – la Miller non decide di passare dall’altra parte dell’obiettivo. Donna caparbia e intraprendente, rimane colpita profondamente dalle immagini del fotografo più importante dell’epoca, Man Ray, che riesce ad incontrare diventandone modella e musa ispiratrice. Ma, cosa più importante, instaura con lui un duraturo sodalizio artistico e professionale che assieme li porterà a sviluppare la tecnica della solarizzazione. Amica di Picasso, di Ernst, Cocteau, Mirò e di tutta la cerchia dei surrealisti, Miller in questi anni apre a Parigi il suo primo studio diventando nota come ritrattista e fotografa di moda, anche se il nucleo più importante di opere in questo periodo è certamente rappresentato dalle immagini surrealiste, molte delle quali erroneamente attribuite a Man Ray. A questo corpus appartengono le celebri Nude bentforwardCondom e Tanja Ramm under a belljar, opere presenti in mostra, accanto ad altri celebri scatti che mostrano appieno come il percorso artistico di Lee Miller sia stato, non solo autonomo, ma tecnicamente maturo e concettualmente sofisticato. Dopo questa prima parentesi formativa, nel 1932 Miller decide di tornare a New York per aprire un nuovo studio fotografico che, nonostante il successo, chiude due anni più tardi quando per seguire il marito – il ricco uomo d’affari egiziano Aziz Eloui Bey – si trasferisce al Cairo. Intraprende lunghi viaggi nel deserto e fotografa villaggi e rovine, iniziando a confrontarsi con la fotografia di reportage, un genere che Lee Miller porta avanti anche negli anni successivi quando, insieme a Roland Penrose – l’artista surrealista che sarebbe diventato il suo secondo marito – viaggia sia nel sud che nell’est europeo. Poco prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, nel 1939, lascia l’Egitto per trasferirsi a Londra, ed ignorando gli ordini dall’ambasciata americanadi tornare in patria, inizia a lavorare come fotografa freelance per Vogue. Documenta gli incessanti bombardamenti su Londra ma il suo contributo più importante arriverà nel 1944 quando è corrispondente accreditata al seguito delle truppe americane e collaboratrice del fotografo David E. Scherman per le riviste “Life” e “Time”.

Fu lei l’unica fotografa donna a seguire gli alleati durante il D-Day, a documentare le attività al fronte a durante la liberazione. Le sue fotografie ci testimoniano in modo vivido e mai didascalico l’assedio di St. Malo, la Liberazione di Parigi, i combattimenti in Lussemburgo e in Alsazia e, inoltre, la liberazione dei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. È proprio in questi giorni febbrili che viene fatta la scoperta degli appartamenti di Hitler a Monaco di Baviera ed è qui che scatta quella che probabilmente è la sua fotografia più celebre: l’autoritratto nella vasca da bagno del Führer. Dopo la guerra Lee Miller ha continuato a scattare per Vogue per altri due anni, occupandosi di moda e celebrità, ma lo stress post traumatico riportato in seguito alla permanenza al fronte contribuì al suo lento ritirarsi dalla scena artistica, anche se il suo apporto alle biografie scritte da Penrose su Picasso, Mirò, Man Ray e Tapies fu fondamentale, sia come apparato fotografico che aneddotico. La mostra (14 marzo – 9 giugno 2019), organizzata da Palazzo Pallavicini e curata da ONO arte contemporanea, si compone di 101 fotografie che ripercorrono l’intera carriera artistica della fotografa, attraverso quelli che sono i suoi scatti più famosi ed iconici. 

14 marzo – 9 giugno 2019 –  Bologna Palazzo Pallavicini

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Robert Frank’s America

Danziger Gallery is pleased to announce an exhibition devoted to the American photographs of Robert Frank, his best known and arguably most important work. The exhibition will be comprised of 40 photographs – 15 from Frank’s seminal book “The Americans” (now celebrating the 60thanniversary of its American publication) and 25 unpublished works from Frank’s travels at the time. Born in Zurich in 1924, Frank began his career in photography in the mid-1940s before emigrating to America in 1947. As an immigrant, Frank was fascinated by America and after his first travels around the country he applied for a Guggenheim Fellowship to fund a longer and deeper journey around all parts of the country. In his proposal to the Guggenheim Foundation Frank wrote: “The photographing of America is a large order – read at all literally, the phrase would be an absurdity.” The “total production” of such a project, he added, would be “voluminous.” However surprisingly the proposal was accepted and Frank embarked on a two-year journey around America during which he took over 28,000 photographs. Eighty-three of the images were subsequently published in the book “The Americans” — widely recognized as one of the greatest photography books ever published. What Frank brought to the medium was an improvisational quality that saw the world in a different but more truthful way than the commonly perceived visual clichés of his time. While the often dark and idiosyncratic nature of his vision shocked many people, it led the way to much of what has followed in photography. Sarah Greenough, senior curator of photography at the National Gallery of Art in Washington noted: “Frank revealed a people who were plagued by racism, ill-served by their politicians, and rendered increasingly numb by the rising culture of consumerism. But it’s also important to point out that he found new areas of beauty in those simple, overlooked corners of American life – in diners, or on the street. He pioneered a whole new subject matter that we now define as icons: cars, jukeboxes, even the road itself. All of these things, coupled with his style – which is seemingly intuitive, immediate, and off-kilter – were radically new at the time.” As with every photo editing process, out of necessity many great photographs were left out of “The Americans”, but rather than being forgotten, Frank chose to print these images in the same 11 x 14 inch format as the ones included in the book. There were no plans to ever publish a second volume, but from the quality of the unpublished images we will be exhibiting, it is clear there would have been little drop-off in quality. About the prints: By the late 1970s, Frank had turned his primary attention away from photography to film making and in order to fund both his life and his Film work, in 1978 he sold his existing archive of vintage prints along with many hundreds of prints made to complete the transaction. The prints exhibited here all come from that purchase — the largest collection of this most important figure in the history of the medium. They are either vintage prints (printed at approximately the same time as they were taken) or printed no later than 1978 by Sid Kaplan who made most of Robert Franks prints for three decades.

February 9 – March 31, 2019 – Danziger Gallery – New York

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Wildlife Photographer of the Year

La grande fotografia naturalistica in scena al Forte di Bard. Ancora una volta tocca al Forte di Bard l’onore di ospitare l’anteprima italiana della nuova edizione della mostra legata al prestigioso concorso fotografico Wildlife Photographer of the Year 2018. L’esposizione è in programma dal 2 febbraio al 2 giugno 2019. Il fotografo olandese Marsel van Oosten ha vinto l’ambito titolo Wildlife Photographer of the Year 2018 per il suo straordinario scatto, The Golden Couple, che raffigura due scimmie dal naso dorato nella foresta temperata delle montagne cinesi di Qinling, l’unico habitat per queste specie a rischio di estinzione. Il ritratto vincente coglie la bellezza e la fragilità della vita sulla terra oltre che uno scorcio di alcuni degli straordinari – ma facilmente riconoscibili – esseri con cui condividiamo il nostro pianeta. Il sedicenne Skye Meaker ha ricevuto il premio per Young Wildlife Photographer of the Year 2018 con il suo affascinante scatto di un leopardo che si sveglia dal sonno nella Mashatu Game Reserve, nel Botswana. Sette i fotografi italiani premiati in categorie quali ad esempio Fauna selvatica urbana, Ambiente terrestre, Animali nel loro ambiente e Ritratti di animali.

2 Febbraio 2019 – 2 Giugno 2019 – Forte di Bard Aosta

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Behind the Glass – Gianmarco Maraviglia

“Behind the Glass” è un lungo progetto di documentazione e di ricerca che esplora gli ambienti ricostruiti dall’uomo per gli animali nelle più grandi strutture europee. Un’indagine visiva e visionaria, a volte distopica e futuristica, sul rapporto di fruizione degli spazi creati ad immagine della realtà, attraverso lo studio attento della natura o dell’immaginario comune della realtà, per esseri viventi nati in ambiente controllato. “Behind the Glass” esplora il confine sottile tra verità e ricostruzione, dal punto di vista di chi potrà capirne la differenza, come in una metafora del reale e del contemporaneo, in cui la costruzione del verosimile diventa realtà de facto. Le immagini in mostra a Milano si riferiscono all’Acquario di Genova, il più grande d’Europa e una delle principali attrazioni turistiche. Gianmarco Maraviglia durante il suo lavoro, ha avuto eccezionalmente accesso a tutte le aree chiuse al pubblico per documentare la macchina operativa che permette il funzionamento della struttura.

dal 14 febbraio al 14 marzo 2019 – Officine Fotografiche Milano

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Zanele Muholi “Nobody can love you more than you”

La Galleria del Cembalo, propone fino al 6 aprile 2019, una selezione di una ventina di opere fotografiche dell’attivista visiva sudafricana Zanele Muholi. Nata a Umlazi, Durban, Muholi vive a Johannesburg. Nelle parole dell’artista l’obbiettivo della sua ricerca è “riscrivere una storia visiva del Sudafrica dal punto di vista della comunità nera, lesbica e trans, affinché il mondo conosca la nostra resistenza ed esistenza in un periodo in cui i crimini generati dall’odio sono all’apice, in Sudafrica e non solo”. Attingendo al linguaggio del teatro l’artista interpreta vari personaggi e archetipi, utilizzando parrucche, costumi e oggetti di uso quotidiano, dalle mollette per stendere i panni, alle pagliette di metallo per pulire le pentole, alle cannucce per le bibite, alle grucce per appendere gli abiti. Contrastando la sua pelle, e a volte schiarendosi le labbra, accentua le proprie caratteristiche fisiche per riaffermare la sua identità. Guardando negli occhi della sua auto-rappresentazione, in tutto il suo riflettere di nero splendore, molti di noi potrebbero trovarsi a distogliere lo sguardo velocemente, per imbarazzo o per soggezione di fronte all’intensità del suo sguardo. Stare davanti a una qualsiasi delle sue fotografie richiede quindi, prima di tutto, un esercizio individuale di autovalutazione e di analisi profonda nei confronti di una persona che si è messa nuda di fronte alla lente dell’obiettivo e che ha messo a nudo le sue istanze. Quasi fosse una marea asincrona, dopo una prima suggestione, arriva quindi alla mente dell’osservatore un secondo livello di riflessione, più razionale, circa le motivazioni che sostengono questo sacrificio individuale così poco negoziabile, relativo al significato politico delle sue immagini. Per capirlo è necessario chiedersi cosa provi una minoranza nel vivere ogni giorno la propria condizione sia fisica e reale, sia percettiva e ambientale, sintetizzata da Zanele Muholi in: «You live as a black person for 365 days». La mostra è stata realizzata in collaborazione con Tosetti Value, il Family Office.

Dal 9 febbraio al 6 aprile 2019 – Galleria del Cembalo Roma

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Sol de Mayo – El gaucho y la ganaderia – Gianluca Colonnese

Dal 23 febbraio al 16 marzo Villa Brivio ospita la mostra “Sol de Mayo – El gaucho y la ganaderia” di Gianluca Colonnese, promossa dalla Libera accademia di Pittura e curata da Raoul Iacometti, autore dell’anno 2015 FIAF. Inaugurazione 23 febbraio ore 17.

La mostra racconta il viaggio del fotografo tra la Pampa argentina, la città di Buenos Aires e San Pedro. Un viaggio tra sguardi, usanze e riti che riportano alla cultura gauchesca. Se si pensa all’Argentina, non si può di certo prescindere dalla figura del Gaucho, lo storico Cowboy della Pampa. Questo personaggio a tratti romantico ha origini antiche: si crede esista dal 1700 DC e, per come lo conosciamo oggi, sia una miscela di tradizioni spagnole, arabe ed aborigene; il suo stesso nome deriva dall’arabo e significa “Uomo a cavallo”. Tra le caratteristiche principali dei Gauchos emergono la loro fede nella religione Cattolica ed il loro amore per i cavalli e per la musica folkloristica Argentina. La notorietà della carne argentina la si deve soprattutto al loro duro lavoro ed al costante mantenimento delle antiche tradizioni di allevamento del bestiame. Colonnese ha cercato di cogliere l’essenza della tradizione gauchesca partendo dai pascoli sterminati che profumano di libertà, attraverso le aste del bestiame ed ancora passando dalle macellerie nel cuore di Buenos Aires, dove la carne arriva in piena notte. Racconta: << Sono stato accolto nelle loro case come una persona di famiglia. Mi chiamano Tano, come d’altronde fanno in maniera simpatica con chi ha origini italiane. Vivono a stretto contatto con la natura ed ancora tutto funziona in maniera “feudale”. Quando per esempio si parla del proprietario terriero, ci si toglie il cappello a modo di rispetto. Ho trovato quella semplicità, amore per la famiglia e per la propria terra, che mi ha fatto comprendere ancor di più quanto tutto quello che ho documentato fosse importante>>.

Dal 23 febbraio al 16 marzo –  Villa Brivio, Nova Milanese

Humanity without borders – Nuccio Zicari

S’intitola “Humanity without borders”, ossia “Umanità senza confini”, ed è la mostra fotografica realizzata da Nuccio Zicari allestita alla FAM Gallery di Agrigento, dal 16 febbraio e fino al 24 marzo. Inaugurazione sabato 16, ore 17.30.

Selezionati dall’autore, sono venticinque scatti nella nuda verità del bianco e nero raccolti tra il 2015 e il 2017 nell’hotspot di Porto Empedocle (AG), dove centinaia di volontari si sono impegnati ad accogliere, accudire, visitare, medicare, ascoltare i migranti in fuga da guerre, fame e povertà. 

Accompagnano l’esposizione, nel catalogo bilingue, i testi del fotoreporter Tony Gentile, del fotografo e raffinato ritrattista Franco Carlisi, del giornalista e scrittore Gaetano Savatteri e degli storici dell’arte Giuseppe Frazzetto e Dario La Mendola.  “Le fotografie di Zicari – spiega Franco Carlisi – sanno creare un intervallo di silenzio dentro di noi, un pensiero inquieto che ferma e sospende i nostri giudizi, incrina le nostre certezze e alimenta un moto di civile risentimento. Non vi è nulla – in queste immagini – dell’imponente architettura stilistica che caratterizza buona parte dei lavori dei reporter contemporanei. Le fotografie di Nuccio accettano la sfida della realtà. Lo spirito etico che guida la sfera creativa del fotografo punta a comunicare una toccante verità umana con nitida limpidezza, senza orpelli linguistici.”

Paolo Minacori, direttore della FAM Gallery, racconta il progetto espositivo: “Era indispensabile trovare un “diaframma” che consentisse la giusta profondità di campo: dare testimonianza degli avvenimenti e mettere bene a fuoco il lavoro di Zicari, la sua ricerca di un linguaggio personale e di una cifra stilistica che pur restituendo il dramma contemporaneo non si mostrasse mai scontata o evocativa.”

Trentatrè anni, medico di professione, fotografo per vocazione (con una laurea specifica a Milano), Zicari spiega così il fotoreportage di “Humanity without borders”: “Le mie foto non vogliono puntare l’attenzione sul problema o rintracciarne i responsabili; ma essere piuttosto un invito alla riflessione, a considerare il lato umano di questi uomini, donne, bambini, famiglie. Che piangono, cantano, ridono, sanguinano come noi, ma a differenza nostra, spesso non hanno la possibilità di scegliere. La vita è un dono identico per tutti e chiunque dovrebbe avere il diritto di scegliere come darle un senso”.

Dal 16 Febbraio 2019 al 24 Marzo 2019 – Fam Gallery – Agrigento

Other Identity

Giunta alla sua seconda edizione Other Identity desidera decifrare un fenomeno ormai diffuso che ha cambiato radicalmente il modo di “vivere” e “interpretare” la nostra immagine, costantemente esibita e pubblicizzata: il nostro modo di autoritrarci e di presentarci al mondo, la spettacolarizzazione di un privato che si trasforma in pubblico attraverso i social media, creando nuove forme di identità in continua trasformazione. “Other Identity” vuole essere una tappa di un progetto espositivo, che funga da cartina al tornasole capace di misurare di volta in volta lo stato di una nuova grammatica narrativa, di nuove forme di interpretazione della nostra immagine. A confrontarsi sul tema dell’identità e dell’autorappresentazione sono artisti italiani e stranieri uniti da una comune piattaforma emotiva e tematica, dalla quale poi sfociano ricerche personali ben distinte, e dal comune linguaggio fotografico. Una nostra peculiarità è quella di presentare artisti per la maggior parte inediti per la città per favorire e stimolare la conoscenza del loro lavoro e l’interesse del pubblico. La fotografia è qui il medium privilegiato in ogni sua forma, sia essa analogica o digitale, utilizzata attraverso reflex professionali o smartphone, usata sempre con consapevolezza e coerenza dall’artista che la piega alla propria ricerca personale, senza abusare di quelle post-produzioni spesso impiegate per mascherare un’inesistente qualità dell’immagine. Il comune denominatore dei nostri artisti è la loro “onestà intellettuale” nel senso di un consapevole, intelligente, lucido, semplice uso del mezzo espressivo, a tratti brutale nella sua desolante rappresentazione del reale, spesso filtrato da emotività malinconiche e sognanti, crudo iper-realismo, graffiante autobiografia, esibizionismo pubblicitario e complesse dinamiche di intimità familiari. Non è corretto parlare di “artisti selezionati”, ma di artisti che si sono scelti, avvicinati con quell’istinto “animale” che ci fa riconoscere i nostri simili anche in cattività, identificare una piattaforma emotiva comune da cui poi sfociano ricerche personali ben distinte legate però da questa tematica di fondo.

9 – 23 Marzo 2019 | GENOVA – Galleria ABC-ARTE, Galleria Guidi&Schoen-Arte Contemporanea, PRIMO PIANO di Palazzo Grillo, Sala Dogana-Palazzo Ducale

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Body Island Project – Photography, Performance & Multimedia

Segnaliamo che questo evento è in chiusura il 3 marzo.

Il 15 febbraio 2019 alle 19:00 Magazzini Fotografici presenta Body Island Project. Dopo il suo esordio nell’agosto 2018 a Capri nella suggestiva location di Villa Lysis, un tempo dimora del barone Fersen, il progetto arriva a Magazzini Fotografici con una mostra che sarà in allestimento dal 15 febbraio al 3 marzo ed una performance che unisce danza e video, replicata il 23 febbraio e il 2 marzo alle 19:30. Body Island Project è una performance itinerante, un’immersione poetica in un percorso spaziale ed emotivo nel quale il pubblico ha l’occasione di attraversare, percepire, osservare, conoscere alcune tracce dell’intimo rapporto tra corpo e isola. Fotografia, video e danza sono le voci narranti attraverso le quali il visitatore può cogliere questa relazione unica grazie ad una creazione artistica site-specific. Un quadro nel quadro, in un dialogo multimediale sulla bellezza, la luce, il tempo, la fragilità, l’anima e la carne, entrando e uscendo da verità e finzione, realtà e poesia. Il progetto Body Island è creato e realizzato da un team di 4 professionisti: l’idea, la regia e la coreografia sono a cura di Sara Lupoli; la direzione artistica è a cura di Roberta Fuorvia; la fotografia è di Valeria Laureano e i multimedia di Giuseppe Riccardi.

dal 15 febbraio al 3 marzo – Magazzini Fotografici – Napoli

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Mostre per febbraio

Ciao, bellissime mostre ci aspettano anche per questo mese.

Date un’occhiata e non fatevele sfuggire!

E ricordatevi di dare sempre un’occhiata alla pagina dedicata alle mostre in corso.

Anna Continua a leggere

Mostre per agosto

Ciao,

prima di goderci tutti quanti le meritate ferie, vi lascio qualche consiglio per le mostre da vedere in agosto. Sono davvero tante e bellissime!

Non dimenticate di dare un’occhiata alla pagina delle mostre sempre aggiornata.

Buone vacanze!

Anna Continua a leggere

Mostre per dicembre

Anche per dicembre il calendario delle mostre si annuncia quanto mai ricco. Ve ne segnalo alcune tra le più interessanti.

Cercate di sfruttare il periodo di vacanza per andarne a vedere almeno qualcuna, perchè vi assicuro che c’è molto da imparare!

Ciao

Anna

James Nachtwey – Pietas

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Considerato universalmente l’erede di Robert Capa per la sua capacità di cogliere momenti tragici a una distanza ravvicinata, e con una tecnica e precisione sconvolgente, Nachtwey è un testimone di eccezione. Pietas raccoglie oltre 200 immagini dai suoi celebri reportage in una produzione nuova e con un montaggio innovativo.

Dal 01 Novembre 2016 al 30 Aprile 2017 – Milano  – Palazzo della Ragione Fotografia

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Give me yesterday

21 Dic 2016 – 12 Mar 2017
“Give Me Yesterday”, a cura di Francesco Zanot, apre la programmazione di Osservatorio, il nuovo spazio espositivo della Fondazione Prada in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano dedicato alla fotografia e ai linguaggi visivi.

In un percorso che comprende i lavori di 14 autori italiani e internazionali (Melanie Bonajo, Kenta Cobayashi, Tomé Duarte, Irene Fenara, Lebohang Kganye, Vendula Knopova, Leigh Ledare, Wen Ling, Ryan McGinley, Izumi Miyazaki, Joanna Piotrowska, Greg Reynolds,  Antonio Rovaldi, Maurice van Es), il progetto esplora l’uso della fotografia come diario personale in un arco di tempo che va dall’inizio degli anni Duemila a oggi.

In un contesto caratterizzato dalla presenza pervasiva di  dispositivi fotografici e da una circolazione ininterrotta di immagini prodotte e condivise grazie alle piattaforme digitali, una generazione di giovani artisti ha trasformato il diario fotografico in uno strumento di messa in scena della propria quotidianità e dei rituali della vita intima e personale. Consapevoli delle ricerche di autori come Nan Goldin e Larry Clark negli Stati Uniti o Richard Billingham e Wolfgang Tillmans in Europa, i fotografi presentati in “Give Me Yesterday” sostituiscono l’immediatezza e la spontaneità dello stile documentario con un controllo estremo dello sguardo di chi osserva ed è osservato. Creano così un nuovo diario nel quale si confonde la fotografia istantanea con quella allestita, si imita la catalogazione ripetitiva del web e si usa la componente performativa delle immagini per affermare un’identità individuale o collettiva.

Ospitato al quinto e sesto piano di uno degli edifici centrali della Galleria Vittorio Emanuele II, Osservatorio si trova al di sopra dell’ottagono, al livello della cupola in vetro e ferro che copre la Galleria realizzata da Giuseppe Mengoni tra il 1865 e il 1867. Gli ambienti, ricostruiti nel secondo dopoguerra a seguito dei bombardamenti che hanno colpito il centro di Milano nel 1943, sono stati sottoposti a un restauro che ha reso disponibile una superficie espositiva di 800 mq sviluppata su due livelli.

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Vivian Maier – Where the streets have no name

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Quando nel 1987 la rock band irlandese degli U2 pubblicò la canzone “Where the Streets Have No Name”, cantando contro l’anonimato delle società divise e di divisione, in cui l’indirizzo di una persona, l’accento, il colore della pelle, il sesso, lo stato mentale o l’abbigliamento possono determinare, in base alla nostra valutazione, la sua vita e le sue conquiste personali, una fotografa di strada ancora sconosciuta stava scattando a Chicago quelle che probabilmente sarebbero state le ultime immagini di una costante e produttiva documentazione. Il suo lavoro può essere affiancato a quello dei grandi fotografi di strada del 20° secolo. Era un’imparziale opportunista che ritraeva persone provenienti da tutti i ceti social ma con la mente critica e l’occhio di un’osservatrice politicamente coscienziosa. Molte delle sue immagini sono ormai entrate nella nostra memoria collettiva. Le sue migliori fotografie rimarranno con noi per sempre e ci ricorderanno l’umile natura di perseguire con una macchina fotografica la verità nelle strade. Si tratta di un duro lavoro che raramente ripaga. Nel 1987, gli U2 hanno cantato, “Voglio correre, voglio nascondermi, voglio abbattere i muri che mi tengono dentro. Voglio toccare con mano la fiamma. Dove le strade non hanno nome”. Queste parole sembrano risuonare autentiche anche per Vivian Maier, ma noi non lo sapremo mai davvero …
ILEX Gallery è orgogliosa di presentare la prima mostra di Vivian Maier a Roma con oltre 30 stampe in gelatina d’argento.

 Vivian Maier (1926 – 2009) è stata una fotografa americana nata a New York City. Tata di professione, la fotografia di Vivian Maier è stata scoperta da John Maloof in una casa d’aste di Chicago. Nel corso di cinque decenni, Vivian Maier ha esposto oltre 2.000 rotoli di pellicola, 3.000 stampe e più di 100.000 negativi, la maggior parte scattati con la sua Rolleiflex a Chicago e New York City e mai condivise con nessuno. Le sue fotografie in bianco e nero offrono uno delle finestre più affascinanti nella vita americana della seconda metà del ventesimo secolo.

4 novembre 2016 – 5 gennaio 2017  – ILEX Gallery @ 10b Photography Gallery

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Robert Frank – Gli Americani

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“Quella folle sensazione in America, quando il sole picchia forte sulle strade e ti arriva la musica di un jukebox o quella di un funerale che passa.

È questo che ha catturato Robert Frank nelle formidabili foto scattate durante il lungo viaggio attraverso qualcosa come quarantotto stati su una vecchia macchina di seconda mano”.

Jack Kerouac 

La mostra, con il patrocinio del Comune di Milano, è realizzata in collaborazione con la MEP, Maison Européenne de la Photographie di Parigi, e promossa da Forma Meravigli, un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto.

Per la prima volta in mostra a Milano 83 fotografie vintage; la serie completa del progetto fotografico che, a metà degli anni ’50, ha cambiato il modo di pensare al reportage; nelle sale di Forma Meravigli, l’America immortalata on the road dall’obiettivo del più grande fotografo vivente, Robert Frank.

Fino al 19 febbraio 2017 – Forma Meravigli – Milano

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Nan Goldin – blood on my hands

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Matthew Marks is pleased to announce Nan Goldin: blood on my hands, the next exhibition in his gallery at 523 West 24th Street. It is the first public exhibition of Goldin’s drawings, and it includes five new large-scale “grids” of multiple photographs composed in a single frame.

Goldin has kept a diary since childhood, often filling the pages with drawings. Recently those drawings have taken on a new life as independent works of art. Emerging from her regular practice of daily reflection, they share the charged emotional atmosphere of her photographs, but their symbolic imagery, handwritten texts, and complex surfaces, made with a variety of mediums, introduce an expressive element that is new to her work.

Goldin selects the photographs for her grids according to formal or psychological themes. For the new grids, the unifying element is color: pink, blue, gold, red, or black. Each color unites moments she has captured in different countries across the decades. The grid format, which she has been working with for over twenty years, emerged from the same associative impulse as her slide shows. As Elisabeth Sussman has written, “The grid, an echo of the slide show, sums up her view that history and time exist as an aggregate of individual lives.”

Nan Goldin’s work has been the subject of two major touring museum retrospectives, one organized by the Whitney Museum of American Art (1996) and the other by the Centre Georges Pompidou (2001). Her awards include the French Legion of Honor (2006), the Hasselblad Award (2007), and the Edward MacDowell Medal (2012). An exhibition of Goldin’s work, including The Ballad of Sexual Dependency presented in its original 35mm slide format, is on view at the Museum of Modern Art in New York through February 12.

This is Goldin’s tenth one-person exhibition at the Matthew Marks Gallery since 1995.

Nan Goldin: blood on my hands is on view at 523 West 24th Street from November 5 to December 23, 2016

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Be the Bee Body Be Boom – Sara Munari

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Il progetto Be the Bee Body Be Boom verrà esposto in occasione del Festival Internazionale di Fotografia Angkor Photo Festival & Workshps, che si terrà dal 3 al 10 dicembre 2016 a Siem Reap in Cambogia.

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Letizia Battaglia – per pura passione

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a cura di Paolo Falcone, Margherita Guccione e Bartolomeo PietromarchiOltre 200 scatti, provini e vintage print inediti provenienti dall’archivio storico della grande fotografa, insieme a riviste, pubblicazioni, film e interviste
Non solo “Fotografa della mafia” ma anche testimone della vita e della società del nostro Paese: Letizia Battaglia è riconosciuta come una delle figure più importanti della fotografia contemporanea non solo per i suoi scatti saldamente presenti nell’immaginario collettivo, ma anche per il valore civile ed etico da lei attribuito al fare fotografia.

Una grande mostra monografica per testimoniare quarant’anni di vita e società italiana
Un album ininterrotto che passa dalle proteste di piazza a Milano negli anni Settanta al volto di Pier Paolo Pasolini, dai tanti morti per mafia, alla inconsapevole eleganza delle bambine del quartiere della Cala a Palermo; e poi le processioni religiose, lo scempio delle coste siciliane, i volti di Piersanti Mattarella, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fino al feroce boss Leoluca Bagarella.

Un ritratto a 360 gradi per restituire l’intensità che caratterizza tutto il suo lavoro: dagli scatti all’impegno politico, dall’attività editoriale a quella teatrale e cinematografica sino alla recente istituzione del Centro internazionale di fotografia a Palermo.

24 novembre 2016 – 17 aprile 2017 – Maxxi Roma

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FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma XV edizione: ROMA, IL MONDO

Sala Bianca, Studio #1 e #2, Foyer
XV edizione di FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, organizzato da Zètema Progetto Cultura, con la direzione artistica di Marco Delogu e co-curatore Alessandro Dandini de Sylva.

L’esposizione, che, come di consueto, ospita fotografi di fama internazionale e offre una ricognizione importante sullo stato della fotografia contemporanea, quest’anno è interamente dedicata alla città di Roma con il tema centrale “Roma, il mondo”, scelto nel duecentesimo anniversario della pubblicazione del primo volume di Viaggio in Italia di Goethe, per sottolineare come Roma voglia ancora con tutte le forze essere un grande crocevia d’incontro della cultura internazionale attraverso l’arte fotografica (quest’anno la Commissione Roma è stata affidata a 4 fotografi internazionali) nell’unica città al mondo che, eredità del “Grand Tour”, ha un sistema di accademie di cultura estere che sempre collaborano con il festival.

LA MOSTRA COLLETTIVA
Nella grande mostra collettiva principale, a cura di Marco Delogu, sono confluiti i lavori di tutti i fotografi delle passate edizioni della “Rome Commission”: Josef Koudelka, Olivo Barbieri, Anders Petersen, Martin Parr, Graciela Iturbide, Gabriele Basilico, Guy Tillim, Tod Papageorge, Alec Soth, Paolo Ventura, Tim Davis, Paolo Pellegrin, Hans Christian Schink e lo stesso Marco Delogu).

Si aggiungono i lavori della XIV edizione della Commissione Roma affidata quest’anno a:  Roger Ballen, Jon Rafman, Simon Roberts, Leo Rubinfien.

LE ALTRE MOSTRE

Pino Musi “Opus”
Il lavoro “Opus” è composto da una serie di tredici fotografie in successione lineare che prende in considerazione molteplici aspetti della sapienza costruttiva ed architettonica nell’antica Roma.

Alfred Seiland “Imperium Romanum”
L’autore ha esplorato e fotografato una serie di luoghi – dai paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo fino a quelli del Nord Europa e oltre – dove sopravvive, o rivive, l’idea dell’Antica Roma.

Martin Bogren “Rome, portraits”
Le sue foto-documento, catturate durante lunghe passeggiate fatte la mattina presto o la sera tardi, offrono un universo personale e poetico dove spazio e tempo sono sempre subordinati all’incontro con un altro essere umano.

Pier Paolo Pasolini
Una raccolta fotografica dedicata a Pasolini dalla collezione privata di Giuseppe Garrera e in un allestimento a cura di Alessandro Dandini de Sylva. La mostra raccoglie un gruppo di fotografie inedite che indagano il denso ed eccezionale rapporto di grandi fotografi con il volto e il corpo di Pasolini (William Klein, Ugo Mulas, Mario Dondero, Tazio Secchiaroli, Mario Tursi, Dino Pedriali e molti altri).

Kate Steciw & Letha Wilson “Fold and unfold”
Le due artiste americane Letha Wilson e Kate Steciw oltrepassano i confini tradizionali della fotografia, liberando l’immagine fotografica dai limiti della bidimensionalità.

Muri Socchiusi
Progetto proiettivo della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, MACRO, della Direzione Casa Circondariale “Regina Coeli” in collaborazione con VO.RE.CO – VOlontari REgina COeli e con Shakespeare and Company2, a cura di Claudio Crescentini. Video, frames e fotografie narrano gli interventi artistici realizzati, a partire da marzo 2016, sulle pareti interne di “Regina Coeli”, che, per la prima volta si apre all’arte, grazie all’operatività e la creatività di tre artiste fotografe e video-maker Laura Federici, Camelia Mirescu e Pax Paloscia e di alcuni detenuti del carcere.

Carlo Gianferro, Tommaso Ausili “Jubilee people”
Come i pittori alla Pompeo Batoni della Roma di Sette e Ottocento lavoravano per immortalare i turisti del Grand Tour, così Carlo Gianferro e Tommaso Ausili realizzano oggi una storia visiva del Grande Viaggio e dei suoi protagonisti. Nel loro progetto “Jubilee People”, ritraggono i pellegrini che sono passati durante l’ultimo Giubileo.

Daniele Molajoli e Flavio Scollo “Distruzione / Ricostruzione”
In collaborazione con Poste Italiane e il Circolo – Italian Cultural Association London, la XV edizione di FOTOGRAFIA Festival Internazionale presenta un importante progetto dedicato alla raccolta fondi – tramite il sito del festival ed altre iniziative – per il restauro di alcuni beni storico-artistici di Amatrice e delle altre zone colpite dal sisma dello scorso agosto.
I borghi medievali, le chiese affrescate e gli edifici storici oggi sono in gran parte ridotti ad un cumulo di macerie ed è doveroso pensare anche alla ricostruzione di questi luoghi. La mostra propone un reportage ricco di fotografie inedite che racconta la storia dei luoghi danneggiati, creando una sorta di mappatura dei più importanti beni storici e culturali danneggiati o distrutti dal terremoto. Una prima parte del progetto (per rispetto dell’emergenza umanitaria) è stato svolto in Val Nerina, nella provincia di Norcia, e la seconda parte coinvolgerà invece i comuni di Amatrice, Accumuli ed Arquata del Tronto.

21/10/2016 – 08/01/2017 – Macro via Nizza – Roma

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Taylor Wessing Photographic Portrait Prize 2016

17 November 2016 – 26 February 2017 – National Portrait Gallery – London

The Taylor Wessing Photographic Portrait Prize 2016 is the leading international competition, open to all, which celebrates and promotes the very best in contemporary portrait photography from around the world.

Showcasing talented young photographers, gifted amateurs and established professionals, the competition features a diverse range of images and tells the often fascinating stories behind the creation of the works, from formal commissioned portraits to more spontaneous and intimate moments capturing friends and family.

The selected images, many of which will be on display for the first time, explore both traditional and contemporary approaches to the photographic portrait whilst capturing a range of characters, moods and locations. The exhibition of fifty-seven works features all of the prestigious prize winners including the winner of the £15,000 first prize

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Prima Visione 2016 – I fotografi e Milano

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Torna alla Galleria Bel Vedere, Prima Visione, la mostra dedicata a Milano, in collaborazione con il G.R.I.N. (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale) e giunta alla dodicesima edizione. Tra le proposte dei 42 autori selezionati che nel 2016 hanno realizzato almeno un’immagine della città, oltre ai monumenti storici in tutta la loro bellezza e alle immancabili periferie, anche qualche visione di una Milano quasi inedita, negli interni, nella nebbia, notturna e romantica.
Non mancano poi le persone, ritratte in solitario, o durante feste ed eventi, come il Capodanno cinese, le corse di auto d’epoca, al museo, o riprese in pose curiose e un po’ surreali.

Dal 18 Novembre al 21 Dicembre – Galleria Bel Vedere – Milano

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Robert Capa in Italia 1943-44

Robert Capa 937; 536.WAR.ITA.032; 43-4-28; 1943

Robert Capa 937; 536.WAR.ITA.032; 43-4-28; 1943

La mostra Robert Capa in Italia 1943 – 1944, dedicata al grande fotoreporter di guerra, con immagini che raccontano gli anni della seconda guerra mondiale in Italia.La mostra, che resterà aperta sino al 15 gennaio 2017, è organizzata e prodotta dalla Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia in collaborazione con il Museo Nazionale Ungherese di Budapest, con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Parma, il patrocinio della Regione Emilia Romagna ed il supporto del Lions Club Parma Maria Luigia.

L’esposizione è curata da Beatrix Lengyel e promossa dal Ministero delle Risorse Umane d’Ungheria, dal Consolato Onorario Ungherese di Bologna, e dall’Associazione Culturale Italia-Ungheria e presenta 78 immagini in bianco e nero scattate da Capa in Italia nel biennio 1943 – 44.

Considerato da alcuni il padre del fotogiornalismo, da altri colui che al fotogiornalismo ha dato una nuova veste e una nuova direzione, Robert Capa (Budapest, 1913 – Thái Binh, Vietnam, 1954) pur non essendo un soldato, visse la maggior parte della sua vita sui campi di battaglia, vicino alla scena, spesso al dolore, a documentare i fatti: “se le tue fotografie non sono all’altezza, non eri abbastanza vicino”, ha confessato più volte.

In oltre vent’anni di attività ha seguito i cinque maggiori conflitti mondiali: la guerra civile spagnola, la guerra sino-giapponese, la seconda guerra mondiale, la guerra araboisraeliana del 1948 e la prima guerra d’Indocina.

A settanta anni di distanza, la mostra racconta lo sbarco degli Alleati in Italia con una selezione di fotografie provenienti dalla serie Robert Capa Master Selection III conservata a Budapest e acquisita dal Museo Nazionale Ungherese tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. La serie, composta da 937 fotografie scattate da Capa in 23 paesi di 4 continenti, è una delle tre Master Selection realizzate da Cornell, fratello di Robert Capa, anch’egli fotografo, e da Richard Whelan, biografo di Capa, all’inizio degli anni Novanta e oggi conservate a New York, Tokyo e Budapest. Le serie, identiche tra loro e denominate Master Selection I, II e III, provengono dalla collezione dell’International Center of Photography di New York, dove è conservata l’eredità di Capa.

Esiliato dall’Ungheria nel 1931, Robert Capa inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino e diventa famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Quando arriva in Italia come corrispondente di guerra, ritrae la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio: un viaggio fotografico, con scatti che vanno dal luglio 1943 al febbraio 1944 per rivelare, con un’umanità priva di retorica, le tante facce della guerra spingendosi fin dentro il cuore del conflitto.

Le immagini colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza e per l’empatia che scatenano in chi le guarda. Lo spiega perfettamente lo scrittore John Steinbeck in occasione della pubblicazione commemorativa di alcune fotografie di Robert Capa: “Capa sapeva cosa cercare e cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino”.

Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba ad orologeria o il funerale delle giovanissime vittime delle famose Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove impazzano i combattimenti e i soldati alleati accolti a Monreale dalla gente o in perlustrazione in campi opachi di fumo, fermo immagine di una guerra dove cercano – nelle brevi pause – anche il recupero di brandelli di umanità.

Settantotto fotografie per mostrare una guerra fatta di gente comune, di piccoli paesi uguali in tutto il mondo ridotti in macerie, di soldati e civili, vittime di una stessa strage. L’obiettivo di Robert Capa tratta tutti con la stessa solidarietà, fermando la paura, l’attesa, l’attimo prima dello sparo, il riposo, la speranza.

Così Ernest Hemingway, nel ricordare la scomparsa, descrive il fotografo: “ Ѐ stato un buon amico e un grande e coraggiosissimo fotografo. Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto”.

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Around Ai Weiwei Photographs 1983 – 2016

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A cura di Davide Quadrio

La mostra Around Ai Weiwei. Photographs 1983-2016 mette in evidenza i diversi momenti del percorso artistico di Ai Weiwei – figura provocatoria e controversa – indagando non solo la sua poetica artistica dagli esordi fino ai giorni nostri ma anche il suo ruolo nel dibattito culturale, sociale e politico, cinese e internazionale. La mostra esplora la genesi di Ai Weiwei come personaggio pubblico e come icona del mondo asiatico, oltre a stimolare una riflessione sul modo in cui l’ambiente contemporaneo lo abbia trasformato, piuttosto che interrogarsi su “chi” Ai Weiwei sia diventato.

“In un panorama di mostre che presentano le opere monumentali di Ai Weiwei abbiamo concepito questo progetto – racconta il curatore Davide Quadrio – espressamente per riorientare lo sguardo del pubblico verso gli elementi documentari che circondano la vita dell’artista, in quanto testimonianze del suo affascinante viaggio come uomo, creatore e attivista. Per i più, Ai Weiwei è ormai un prodotto globale di origine cinese.”

All’ingresso di Camera ci troviamo davanti a un’unica opera d’arte monumentale Soft Ground, un tappeto lungo 45 metri con una riproduzione fotografica in scala 1:1 delle tracce lasciate da carri armati su una carreggiata a sud-ovest di Pechino e che ricordano quelle lasciate dai carri inviati a Piazza Tiananmen durante le proteste del 1989.

Lungo il muro, alla destra del tappeto, scorre la vita di Ai Weiwei nel contesto newyorkese grazie all’esposizione di una serie di fotografie dal titolo New York Photographs 1983-1993: come fermi immagine di un film in bianco e nero, gli 80 scatti, selezionati tra gli oltre 10.000 della serie, costituiscono una sequenza di momenti privati e incontri che l’artista fece quando visse negli Stati Uniti dal 1983 al 1993.

Dopo questa passeggiata introduttiva, e come risultato di tutto ciò che essa rappresenta, la mostra si sviluppa in modo cronologico e per capitoli tematici. Come raggruppamenti principali all’interno della narrazione complessiva, le due opere video Chang’an Boulevard (“Viale Chang’an”) e Beijing: The Second Ring (“Pechino: il secondo anello”) descrivono lo scenario della capitale cinese nei primi anni 2000. Ai Weiwei documenta attraverso riprese di paesaggi urbani e frammenti di vita le radicali trasformazioni che investono Pechino, dissezionando e indagando una città in continua metamorfosi.

Viene presentata anche una rara video-intervista condotta da Daria Menozzi, Before Ai Weiwei (1995) che mostra l’artista coinvolto in un dialogo intimo, offrendoci così uno scorcio dei primi anni del suo ritorno in Cina dopo il soggiorno newyorkese. Questo documentario pressoché inedito conferma il decisivo contributo di Ai Weiwei all’interno del discorso intellettuale, culturale e artistico nella Cina degli anni Novanta, rivelandoci anche l’essenza del suo pensiero e della sua attività artistica durante quell periodo.

Con questo approccio fotografico, che mette in evidenza l’urbanistica e l’architettura dell’epoca, la mostra presenta Beijing Photographs 1993-2003 (“Fotografie di Pechino, 1993-2003”). Questa serie inedita di fotografie ritrae la vita, le azioni e l’entourage di Ai Weiwei appena prima del rapido processo di trasformazione che avrebbe reso Pechino la città globale di oggi.

L’immagine guida scelta dall’artista, capace di riassumere e illustrare la mostra, è una fotografia del 2003 dal titolo The Forbidden City during the SARS Epidemic (“La Città Proibita durante l’epidemia SARS” – sala 5). In questo autoritratto, che somiglia a un selfie ante litteram, Ai Weiwei è solo nella Città Proibita, svuotata dall’epidemia che ha isolato la Cina dal resto del mondo per sei mesi e che ha trasformato in città fantasma moltissimi tra villaggi e cittadine.

La trama autobiografica della mostra è scandita anche da una selezione di sculture che diventano simboli dello svolgersi della vita di Ai Weiwei nel corso di quattro decenni. I readymade dell’artista e le opere in porcellana rappresentano le molteplici capacità e le ricche sfumature espressive che l’artista utilizza. Ogni scultura si manifesta come punto di riflessione, come una sospensione del tempo che i visitatori possono esperire attraverso le sale di Camera.

L’ultima sezione offre un’anteprima di uno degli ultimi progetti di Ai Weiwei: Refugee Wallpaper, ovvero 17.000 immagini scattate da Ai durante il suo continuo contatto con l’emergenza rifugiati che si sta dispiegando in Europa, in Medio Oriente e altrove. Questa serie monumentale sembra voler far interrogare il pubblico sulle implicazioni dell’attivismo dell’artista. All’interno dei confini divenuti fragili sotto il peso degli eventi globali e della politica internazionale, il dramma della migrazione diviene spettacolo come tutto il resto.

La mostra è curata da Davide Quadrio con la collaborazione di You Mi, curatore aggiunto e Ryan Nuckolls, ricerca e coordinamento in Cina.

La mostra è realizzata grazie al sostegno di Compagnia di San Paolo e Lavazza, ed è promossa e organizzata con Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze affiancandosi alla grande retrospettiva Ai Weiwei. Libero.

Dal 28 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017

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The Radical Eye: Modernist Photography from the Sir Elton John Collection

 

 

This is a once-in-a-lifetime chance to see one of the world’s greatest private collections of photography, drawn from the classic modernist period of the 1920s–50s. An incredible group of Man Ray portraits are exhibited together for the first time, having been brought together by Sir Elton John over the past twenty-five years, including portraits of Matisse, Picasso, and Breton.

With over 70 artists and nearly 150 rare vintage prints on show from seminal figures including Brassai, Imogen Cunningham, André Kertész, Dorothea Lange, Tina Modotti, and Aleksandr Rodchenko, this is a chance to take a peek inside Elton John’s home and delight in seeing such masterpieces of photography.

10 November 2016 – 7 May 2017 – Tate Modern London

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Indagine ai limiti di una città

 

Gli spazi di Officine Fotografiche Roma accoglieranno, per circa un mese, sette progetti fotografici di altrettanti fotografi italiani che hanno intrapreso un viaggio personale intorno al concetto di margine: Vincenzo Labellarte, Daniele Cametti Aspri, Mauro Quirini, Paolo Fusco, Michele Miele, Gabriele Lungarella e Michele Vittori.

L’idea che sta alla base di questo progetto espositivo e di questa riflessione corale e fotografica prende spunto dalla frase del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman:

“…I confini dividono lo spazio; ma non sono pure e semplici barriere. Sono anche interfacce tra i luoghi che separano…”

I fotografi che partecipano alla collettiva, attraverso la loro sensibilità e la loro visione soggettiva, si sono confrontati direttamente sul concetto di confine espresso da Bauman, che non è inteso solo come confine di spazio, né soltanto come misura di tempo: è un idea in grado di rappresentare una dimensione altra, multiforme e mutevole.

 Così, dalle cinte murarie di Roma alle piccole frazioni, dalle spiagge silenziose agli appezzamenti di terreno, dai quartieri popolari al “drizzagno del Tevere”, fino al Monte Terminillo, il progetto espositivo messo a punto da Massimo Siragusa consente un continuo dialogo tra piani e punti di vista diversi su Roma e dintorni della Capitale, in una dimensione corale che tende più a sottolineare le similitudini piuttosto che a rimarcare le differenze.

 Il progetto fotografico in mostra a Officine Fotografiche diventerà presto un libro, di oltre 100 pagine, dal titolo LìMINE. Indagine ai limiti di una città, a cura di Doll’s Eye Reflex Laboratory su progetto di Irene Alison, in uscita nel 2017 e da oggi in prevendita sul sito http://www.dollseyereflex.org.

dal 17 Novembre al 7 Dicembre 2016 – Officine Fotografiche – Roma

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Afro-Iran | The Unknown Minority – Mahdi Ehsaei

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Afro-Iran | The Unknown Minority, la serie fotografica e il libro realizzato dal fotografo iraniano-tedesco di nascita, Mahdi Ehsaei, rivela un lato dell’Iran sconosciuto persino a molti iraniani. Un viaggio in terre abitate dai discendenti di schiavi e mercanti africani, guida il fotografo alla scoperta di una popolazione iraniana incredibilmente unica.

La provincia di Hormozgan, sul Golfo Persico, è una regione tradizionalmente e storicamente caratterizzata da una popolazione etnicamente differente e poco conosciuta. È inserita all’interno di paesaggi incomparabili e persone dalla personalità profondissima. Sono iraniani che continuano ancora oggi a mantenere la loro ricca eredità culturale africana attraverso l’abbigliamento, la musica, le danze, le tradizioni tramandate oralmente e i loro rituali.
I ritratti di Mahdi Ehsaei – mostrando il confronto tra la cultura persiana e la coscienza africana – rivelano volti ben lontani dalle comuni rappresentazioni dell’Iran, documentando la secolare storia di questa minoranza etnica.
Da questo confronto fra la cultura persiana e la consapevolezza africana, insolita per l’Iran, si presenta agli occhi dello spettatore un’esperienza sorprendentemente nuova.

WSP photography ospiterà una selezione di 20 fotografie tratte dal progetto complessivo e il libro fotografico che accompagna la serie. La sera dell’inaugurazione sarà presente il fotografo Mahdi Ehsaei, in conversazione con Alessandra Migani (curatrice) e Antonello Sacchetti (giornalista, scrittore, blogger, appassionato di Iran).

 Nato in Germania da genitori iraniani, Mahdi Ehsaei (27 anni) non è estraneo alla vita tra culture diverse, esplorando la sua doppia identità all’interno di questi mondi. Si è laureato come designer e fotografo presso la Facoltà di Design presso l’Università di Scienze Applicate di Darmstadt, in Germania. Per il suo lavoro sugli Afro-Iraniani è partito per l’Iran per fare luce e documentare visivamente una comunità di persone che, come lui, rappresentano la complessità di una doppia identità, utilizzando la sua grande passione per la fotografia.
La serie Afro-Iran è stata esposta finora in Germania e in Colombia.

La mostra sarà esposta fino al 15 dicembre –  WSP photography – Roma

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Tantissime mostre da non perdere a Marzo!

Stephen Shore – Retrospective

“I wanted to make pictures that felt natural, that felt like seeing, that didn’t feel like taking something in the world and making a piece of art out of it.” Stephen Shore

What does it mean to explore the essence of things through pho Continua a leggere