Mostre fotografiche da non perdere a settembre

Ciao ben ritrovati!

Vi siete rilassati in queste vacanze?

Eccoci quindi di ritorno con le mostre che vi segnaliamo per il mese di settemreb.

Ciao

Anna

CAPA IN COLOR

La mostra Capa in color presenta, per la prima volta in Italia, gli scatti a colori di Robert Capa, fotografo di fama mondiale. Internazionalmente noto come maestro della fotografia in bianco e nero, lavorò regolarmente con pellicole a colori dal 1941 fino alla morte, nel 1954.

Capa in color
 offre la possibilità unica di esplorare il forte e decennale legame del maestro con la fotografia a colori, attraverso un affascinante percorso che illustra la società nel secondo dopoguerra. L’esposizione mostra oltre 150 immagini a colori, lettere personali e appunti dalle riviste su cui furono pubblicate.

Della produzione di Robert Capa sono molto noti i reportage della seconda guerra mondiale, le poche immagini a colori ritraggono soprattutto le truppe americane e il corpo francese a cammello in Tunisia, nel 1943. Dopo il secondo conflitto mondiale, l’attività di Capa si orientò esclusivamente verso l’uso di pellicole a colori, soprattutto per fotografie destinate alle riviste dell’epoca come Holiday e Ladies’Home Journal (USA), Illustrated (UK), Epoca (Italia), un interessante ritratto dell’alta società, dalle stazioni sciistiche delle Alpi alle affascinanti spiagge francesi, dalle fotografie di moda, lungo la Senna ai set cinematografici con Ingrid Bergman, Orson Welles e John Huston.

Dal 11 Settembre 2021 al 13 Febbraio 2022 – Gallerie Estensi – Modena

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IRVING PENN

Cardi Gallery Milano è lieta di presentare IRVING PENN.
Dedicata interamente a Irving Penn, questa ampia e completa mostra rappresenta per il pubblico milanese la prima occasione in oltre trent’anni di incontrare la complessità dell’opera dell’artista americano.
 
La mostra si sviluppa su due piani della galleria, abbracciando non solo la fotografia di moda per cui Penn è conosciutissimo, ma sottolineando il legame speciale dell’artista con l’Italia, capitolo a cui è interamente dedicato il primo piano. L’esposizione, che comprende opere prodotte dall’artista tra gli anni Quaranta e gli anni Novanta, percorre momenti salienti della quasi totalità della carriera artistica di Penn. Curata in collaborazione con The Irving Penn FoundationIRVING PENN avrà luogo dal 9 settembre al 22 dicembre 2021.
 
Considerato uno dei maggiori fotografi del Novecento, Irving Penn (1917-2009) è conosciuto per il suo radicale contributo alla modernizzazione del mezzo fotografico, grazie alla creazione di un canone concretizzatosi attraverso le sue opere sia commerciali che personali. Figlio di migranti ebrei russi, Penn emerse a New York in un’epoca turbolenta dal punto di vista sociopolitico. In seguito a studi di pittura, verso la fine degli anni Trenta iniziò a lavorare come artista per la rivista di moda Harper’s Bazaar, all’epoca guidata proprio dal suo ex insegnante, il leggendario Alexey Brodovitch, per poi passare ad American Vogue negli anni Quaranta. Incoraggiato da Alexander Liberman, direttore editoriale di Vogue, Penn focalizzò la propria attenzione professionale sulla fotografia, coltivando al contempo una pratica artistica personale. Nel corso dei successivi sessant’anni, scattò oltre 150 copertine per Vogue, producendo editoriali all’avanguardia, celebrati per la loro semplicità formale e l’uso della luce. Il contributo artistico di Penn formò per Vogue un’eredità senza precedenti; la direttrice Anna Wintour descrive come egli “cambiò radicalmente il modo in cui la gente vedeva il mondo, e la nostra percezione del bello”.  Rompendo con le convenzioni, Penn utilizzava la fotografia come un artista, espandendo il potenziale creativo del mezzo in un’era in cui l’immagine fotografica era vista principalmente come mezzo di comunicazione.

Dal 09 Settembre 2021 al 22 Dicembre 2021 – Cardi Gallery – MILANO

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Le mostre del SIFEST

Quella del 2021 è un’edizione speciale per il SI FEST che a settembre celebrerà i suoi primi 30 anni con una grande festa della fotografia: le immagini, le storie e le parole raccolte nel lungo cammino dal più longevo festival italiano di fotografia sono il trampolino di lancio di una tappa che segna il passo, non si accontenta di guardare al passato, ma punta il suo obiettivo al futuro. 
A sottolineare l’indirizzo del trentennale del Festival il titolo che il direttore artistico Denis Curti ha coniato per questo straordinario compleanno: FUTURA. I domani della fotografia.

Come accade dal 1992, il SI FEST ancora una volta chiama in piazza tutto il mondo della fotografia facendo dialogare la storia col presente attraverso nuovi modi di raccontare per immagini. Perché ora più che mai, in un periodo storico così incerto e mutevole, questo resta il mezzo più efficace per fissare e trasmettere emozioni.

Tra le varie mostre, vi segnaliamo Arno Rafael Minkkinen, Elena Givone, Lorenzo Zoppolato e la consueta mostra di Marco Pesaresi, ma date un’occhiata al programma, quanto mai ricco.

Dal 10 Settembre 2021 al 26 Settembre 2021 – Savignano sul Rubicone (FC) – sedi varie

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FRANCESCO CITO. WIDE GAZE (UN AMPIO SGUARDO)

La sezione dedicata alla fotografia del Festival Internazionale Isole che Parlano diretto da Paolo e Nanni Angeli – la cui XXV edizione si svolgerà dal 5 al 12 settembre nel nord della Sardegna, tra Palau, Arzachena, Luogosanto e La Maddalena – sarà quest’anno dedicata a Francesco Cito, vincitore di due World Press Photo e considerato oggi uno dei più importanti reporter italiani a livello internazionale.

La mostra ospitata a Isole che Parlano di fotografia – dal titolo Wide Gaze (Un ampio sguardo) – sarà un progetto originale che presenterà una selezione di oltre settanta immagini che racconteranno un viaggio lungo trent’anni, dal 1978 al 2009, e festeggerà il ritorno di Cito al Festival di Palau a distanza di quattordici anni dalla sua mostra Frammenti di Guerra. Il percorso espositivo, prevalentemente bianco e nero ma con un’appendice a colori, si presenterà con un ampio sguardo composto da circa quaranta immagini tratte da alcuni tra i reportage più importanti nella carriera del fotografo e tre focus monotematici: Coma, Palio di Siena e Sardegna.
L’esposizione, ospitata presso il Centro di Documentazione del territorio di Palau (SS), inaugurerà giovedì 9 settembre e resterà aperta al pubblico fino al 9 ottobre 2021.

Il titolo della mostra – Wide Gaze – assume un triplo valore. Uno strettamente tecnico legato alle ottiche grandangolari con cui Cito è solito lavorare, uno legato all’ampio arco temporale e tematico che le foto in mostra copriranno, e il terzo, il più importante, legato all’autorialità, alla profondità e alla forza delle immagini che ci restituiscono lo sguardo del fotografo sulla realtà del mondo. Uno sguardo che spazia tra società (di cui documenta rilevanti aspetti), malavita organizzata, guerre (con reportage in Afghanistan, Libano, Palestina, Golfo Persico, Balcani, etc.) e costume. Una mostra pensata ad hoc per il Festival, con un importante focus sulla Sardegna, terra che Francesco Cito frequenta da moltissimi anni, documentando aspetti legati al sociale, alle tradizioni e al lavoro, evitando gli itinerari turistici.

Il percorso si apre con un ampio sguardo e gli scatti più lontani nel tempo, 1978 e 1979, prevalentemente a colori, foto di punk e minatori (a Londra e nel Galles), di mattanza di tonni a Favignana. Dal mare rosso di sangue si passa al bianco/nero per il “miracolo” dello scioglimento del sangue di San Gennaro a Napoli, città natale di Cito, presente anche in altri scatti, realizzati tra l’87 e il ’93, che ci raccontano di sfarzosi matrimoni, fotografati con grande ironia in contesti molto differenti, con la città a fare da sfondo (da “Neapolitan Wedding story” nel 1995, premio Day in the Life del World Press Photo), di corse clandestine di cavalli a Scampia, di criminalità organizzata, di interni del palazzo della questura, ma anche del monumentale Palazzo Spagnuolo al centro del quartiere sanità. Seguono altri palazzi, Buckingham Palace, dove Papa Wojtyla passeggia con la Regina Elisabetta nel 1982, e un altro palazzo reale dove, 8 anni dopo, un marine posa mimetizzato su uno sfarzoso divano, davanti ai ritratti dei dignitari sauditi.

Passiamo così ai teatri di guerra che Cito ha documentato in prima linea per vari decenni (rischiando spesso la vita): dall’Afghanistan (1980) con i ritratti di guerriglieri, alla guerra del Libano, qui raccontata con alcuni scatti (1982/1983) a colori che ritraggono bambini che giocano con mitragliatori, Hezbollah armati, la distruzione a Beirut ovest dopo un attentato e un Arafat poco più che cinquantenne abbracciato da una donna in lacrime. Si passa quindi a uno dei temi che Francesco ha seguito, nel tempo, con particolare dedizione e trasporto, il conflitto e la questione palestinese, presente con tre scatti (1986, 1988 e 2002), e poi ancora a un soldato irakeno morto sulla strada per Bassora e i pozzi petroliferi in fiamme nella guerra del Golfo del 1991. A chiudere idealmente la sezione in un gioco di rimandi, una foto dell’Afghanistan (del 1989 ma tristemente attuale) in cui un Mullah mostra il Corano circondato da guerriglieri armati, un’immagine di Peshawar del 2008 con alcuni giovani intenti nello studio del Corano in una Madrassa, e una di Serra San Bruno in Calabria (1989) con un gruppo di frati certosini inginocchiati in preghiera.

A rompere questa lunga serie, riflesso nello specchietto, lo sguardo di un autista di pullman su un villaggio dell’Iran (2001), e ancora una donna di Peshawar col burqa che sembra essere parte integrante di un minaccioso murale alle sue spalle. Nel mentre un’anziana signora si asciuga su una spiaggia di Rimini, nel 1987, e nello stesso anno, sotto un cielo cupo uomini magrissimi che passeggiano nel cortile del manicomio di Reggio Calabria. Le fotografie di esseri umani lasciano spazio al paesaggio in una foto delle terre senesi (un omaggio a Giacomelli?), e agli animali con un gatto che gioca tra i tubi delle Terme di Petriolo e alcune candide oche in fila e marziali.
Si arriva così in Russia con tre scatti (2007/2009), in cui una statuaria incombente ci porta direttamente a segni resistenti del socialismo reale, e in Bosnia nel ’93, con un bambino che guarda dal finestrino di un pulmino malridotto, con uno sguardo troppo grande per la sua età. A chiudere la prima serie di immagini un tuffo, sospeso, immortalato a Corigliano Calabro.

Quasi un rimando alla situazione raccontata in Coma (foto dal 1990 al 2008), in cui la sospensione e l’immobilità sono presenti in ognuno dei nove scatti in mostra, negli impressionanti occhi sbarrati di giovani figli: un reportage affatto spettacolare di lungo periodo e di rara intensità umana, in cui Cito, come sempre senza pietismo, fotografa e racconta questi giovani e le loro famiglie, accendendo la luce su una situazione diffusa ma che non suscita l’attenzione che meriterebbe.

Immobilità e sospensione sono concetti che vengono, invece, completamente rovesciati nelle tredici immagini del Palio di Siena (1988/1998), dove passione e fede, umanità e istintività, reale e surreale si susseguono senza soluzione di continuità in immagini particolarmente “dinamiche” e cariche di tensione. La sequenza racconta, il Palio della contrada del Nicchio, e seppure in realtà la sequenza sembri narrare di un solo giorno, le foto sono state scattate in anni diversi, durante la lunga frequentazione di Cito a Siena (che nel 1996 valse al fotografo il primo premio al World Press Photo).

Così, al termine di questo percorso, si arriva in Sardegna (1989/2003). Sono immagini di un’Isola raccontata all’interno, lontano dalla costa, un’isola di modi e riti arcaici, in cui il cavallo è ancora una presenza importante e in cui a carnevale, nonostante rari angioletti chiari, il colore dominante è il nero. Una serie di immagini di momenti rituali, sempre in bilico tra sacro e profano, e di situazioni stranianti: una donna che imbraccia un fucile a pompa per festeggiare S’incontru, le maschere di carnevale che rimandano alle bestie della vita quotidiana, i pesanti campanacci appesi alla schiena di un Mamuthone a riposo, i funerali di fantocci. Invece ridono tre anziane ovoddesi alla finestra, durante la follia dell arcaico carnevale, e ridono anche gli Intintos di Olzai e un uomo di Orgosolo con soli tre denti così simile al murale alle sue spalle. Vola un chierichetto mentre suona le campane per S’Ardia al santuario di Santu Antinu, e poco dopo riparte la sfrenata “giostra” equestre. Poi tutto a un tratto tutto si ferma e si fa di nuovo austero, come la coppia a San Francesco di Lula, col Supramonte alle spalle, che guarda lontano, lontano ma non troppo (come tutto in Sardegna), o il pastore che conduce il suo gregge, sotto un cielo carico, in una piana che sembra amplissima: sintesi dell’ampio sguardo di un grandissimo fotoreporter.

Dal 09 Settembre 2021 al 09 Ottobre 2021 – Centro di Documentazione del territorio di Palau

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ESSERE UMANE. LE GRANDI FOTOGRAFE RACCONTANO IL MONDO

“Essere umane. Le grandi fotografe raccontano il mondo”, un percorso per immagini dedicato alle grandi fotografe donne curato da Walter Guadagnini che inaugurerà ai Musei di San Domenico a Forlì il prossimo 18 settembre e sarà visitabile fino al 30 gennaio.

Si rinnova la tradizione delle mostre fotografiche del Buon Vivere inaugurata nel 2015 con Steve McCurry, poi con Sebastiao Salgado, Elliott Erwitt, Ferdinando Scianna e infine, nel 2019, con “Cibo”, che ha visto nuovamente protagonista McCurry. La mostra, inizialmente prevista nell’autunno dello scorso anno, non ha potuto inaugurare a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia e viene ora proposta in un percorso ulteriormente arricchito.

Tra le 314 fotografie in mostra, si possono segnalare le leggendarie immagini di Lee Miller nella vasca da bagno di Hitler, la strepitosa serie delle maschere di Inge Morath, realizzata con Saul Steinberg, gli iconici volti dei contadini durante la Grande Depressione di Dorothea Lange, il sorprendente servizio di Eve Arnold su una sfilata di moda ad Harlem negli anni Cinquanta e i rivoluzionari scatti di Annie Leibovitz per una epocale edizione del Calendario Pirelli.

Un viaggio per immagini nell’evoluzione del linguaggio fotografico mondiale, con una specifica attenzione allo “sguardo femminile”, a partire dagli anni Trenta del Novecento, quando grazie all’affermazione delle prime riviste illustrate la fotografia è diventata il principale linguaggio della comunicazione contemporanea.

In mostra, dunque, sarà possibile seguire questa evoluzione attraverso i grandi reportage di guerra e i cambiamenti dei costumi sociali, la ricostruzione post-bellica e le questioni di genere, l’affermarsi della società dei consumi e l’osservazione del ruolo della donna nei paesi extra-occidentali.

L’idea guida è stata, infatti, quella di allestire una mostra senza precedenti in Italia e non solo, dedicata al lavoro delle autrici che, dagli anni ’30 alla contemporaneità, hanno interpretato la fotografia come strumento di indagine e di riflessione, con registri espressivi talvolta poetici, in altri casi più crudi, sui grandi temi che hanno attraversato la società nei diversi segmenti temporali del XX e degli inizi del XXI secolo.

La selezione ampia per quantità e qualità di nomi e di opere che è stata operata in questo caso (30 autrici e 314 opere), fa si che “Essere Umane” si candidi ad essere la prima e la più importante in Italia e non solo, come ricognizione di ampio respiro internazionale e di valore storico, artistico e culturale.

Le sezioni

La prima sezione dedicata agli anni ’30-’50, va dalla serie realizzata dall’americana Dorothea Lange durante la crisi americana degli anni ’30 per la FSA (Farm Security Administration), a quelle di Lee Miller, anche lei americana, eseguite nell’appartamento di Hitler alla fine della seconda guerra mondiale, dalle serie “inglesi” della tedesca Giséle Freund alle fotografie scattate in Italia dall’americana Ruth Orkin (tra cui la celebre American Girl in Italy) nel 1951, dalle immagini della serie “Reflections” dell’austriaca Lisette Model, che indagano il tema del consumismo americano, alle fotografie del periodo messicano dell’italiana Tina Modotti, durante il quale conobbe e fotografò, tra l’altro, gli artisti Diego Rivera e Frida Kahlo.
E poi ancora, sempre nella prima sezione, saranno presenti altre tre autrici statunitensi: Berenice Abbott, già assistente di Man Ray negli anni ’20 a Parigi, Margareth Bourke-White, la prima fotografa straniera a cui fu permesso di scattare fotografie nella allora Unione Sovietica e infine la serie sulle sfilate di donne afro-americane ad Harlem dell’americana Eve Arnold (proprio queste immagini convinsero Henri Cartier-Bresson a chiamare la Arnold alla Magnum, prima donna insieme ad Inge Morath a far parte della prestigiosa agenzia fotografica parigina fondata da Robert Capa).
Da segnalare infine la recente acquisizione di 10 opere di Gerda Taro scattate durante la guerra civile spagnola degli anni ’30.
Nella seconda sezione, dagli anni ‘60 agli anni ’80, si andrà dalla “Mask series” nata dall’incontro tra l’austriaca Inge Morath e il grande disegnatore rumeno naturalizzato americano Saul Steinberg agli inizi degli anni ’60, alle immagini inquietanti e spesso controverse di personaggi singolari dell’americana di origini russe Diane Arbus, dalle fotografie  di denuncia delle condizioni degradanti delle Carnival Strippers dell’americana Susan Meiselas, alle fotografie scattate tra gli indiani dell’Amazzonia Yanomami dalla brasiliana Claudia Andujar, protagonista di una recente personale alla Fondazione Cartier di Parigi, o ancora quelle della serie dedicata negli anni ’70-’80 alla comunità matriarcale di Juchitan, in Messico, da Graciela Iturbide, fino a quelle che l’indiana Dayanita Singh ha scattato per oltre dieci anni Mona Ahmed, stringendo con lui un rapporto di profonda amicizia che traspare nelle immagini pervase di intima e spesso poetica partecipazione.
Molto importante, in questa sezione, lo spazio dedicato ad alcune tra le più autorevoli esponenti della fotografia italiana come Carla Cerati, con immagini da “Mondo cocktail”, serie dedicata alla realtà borghese dei cocktail party milanesi, Lisetta Carmi con la serie del 1965 dedicata alla comunità di travestiti che aveva occupato l’ex ghetto ebraico di Genova, Paola Mattioli con i celebri autoritratti degli anni ’70, e Letizia Battaglia, con le immagini dedicate alle bambine di Palermo e agli omicidi della mafia.
Una sezione speciale, infine, sarà dedicata ai ritratti di tredici donne di spicco di vari settori, dall’imprenditoria allo sport, dalla musica al cinema, realizzati da una delle più celebri fotografe del mondo, Annie Leibovitz, per l’iconico Calendario Pirelli 2016.
Più articolata la sezione finale dedicata agli anni tra la fine del XX e l’inizio del XXI secolo.
Anche in questo caso di alcune autrici saranno esposte immagini appartenenti a singoli progetti, come i ritratti della sudafricana Zanele Muholi, protagonista della Biennale di Venezia del 2019, oppure le immagini dell’iraniana Newsha Tavakolian,  membro dell’agenzia Magnum, che ritraggono le donne-guerrigliere delle FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia), o ancora le foto della serie “Baba Yaga” della russa Nanna Heitmann dedicate agli abitanti dello Yanisei, il grande fiume siberiano ai confini con la taiga o quelle della ceca Jitka Hanzlova con la serie “Female”, una serie di ritratti femminili eseguiti tra Europa e Stati Uniti, fino alle immagini dedicate alle difficili condizioni delle donne iraniane da Shadi Ghadirian e quelle della figlia di Letizia Battaglia, Shobha.
La sezione si concluderà con una suggestiva installazione di immagini della serie “Afronauts” della spagnola Cristina De Middel, recentemente nominata membro associato di Magnum Photos, e due immagini di grandi dimensioni della cinese Cao Fei dedicate, come gran parte del suo lavoro, alla realtà quotidiana del suo Paese.
Quest’ultima sezione ospiterà infine la presenza della forlivese Silvia Camporesi, con un lavoro dal titolo “Domestica”, una installazione di 30 fotografie scattate durante il recente lockdown.

Dal 18 Settembre 2021 al 30 Gennaio 2022 – Musei San Domenico – Forlì

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ROBERT DOISNEAU

Il più bel bacio della storia della fotografia? Impossibile stabilirlo.
Ma è certo che un posto sul podio spetta all’immagine della giovane coppia, indifferente alla folla dei passanti e al traffico della place de l’Hôtel de Ville di Parigi.
L’autore è Robert Doisneau, il grande maestro della fotografia cui Palazzo Roverella renderà omaggio nell’autunno 2021 attraverso una mostra originale, capace di rivelare al pubblico delle opere la cui vocazione è, appunto, catturare momenti di felicità come questo.

Insieme a Henri Cartier-Bresson, Doisneau è considerato uno dei padri fondatori della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. Con il suo obiettivo cattura la vita quotidiana degli uomini e delle donne che popolano Parigi e la sua banlieue, con tutte le emozioni dei gesti e delle situazioni in cui sono impegnati.

Questa mostra a Palazzo Roverella abbraccia la sua opera senza distinzioni cronologiche né alcun criterio di genere o tema, affiancando fabbriche, banconi di bistrot, portinerie, cerimonie, club di jazz, scuole o scene di strada in generale. Che si tratti di fotografie realizzate su commissione o frutto del suo girovagare liberamente per Parigi, vediamo delinearsi uno stile impregnato di una particolare forma mentis, che traspare anche nei suoi scritti e nelle didascalie delle foto; uno stile che mescola fascino e fantasia, ma anche una libertà d’espressione non lontana dal surrealismo. Se lo stile è l’uomo (come dice Buffon), allo stesso modo la fotografia si identifica con alcuni dei suoi soggetti per esprimere una sorta di inquietudine o malinconia.

Un racconto – quello proposto dal curatore di questa mostra, Gabriel Bauret – condotto attraverso 130 stampe ai sali d’argento in bianco e nero, provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau a Montrouge. È in questo atelier che il fotografo ha stampato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant’anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un’eredità di quasi 450.000 negativi.
Quello di Doisneau è un raccontare leggero, ironico, che strizza l’occhio con simpatia alla gente. Che diventa persino teneramente partecipe quando fotografa innamorati e bambini.

“Quello che cercavo di mostrare era” – ricorda l’artista – “un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere. “

“Mi piacciono – continua – le persone per le loro debolezze e difetti. Mi trovo bene con la gente comune. Parliamo. Iniziamo a parlare del tempo e a poco a poco arriviamo alle cose importanti. Quando le fotografo non è come se fossi lì ad esaminarle con una lente di ingrandimento, come un osservatore freddo e scientifico. È una cosa molto fraterna, ed è bellissimo far luce su quelle persone che non sono mai sotto i riflettori.”“Il fotografo deve essere come carta assorbente, deve lasciarsi penetrare dal momento poetico. La sua tecnica dovrebbe essere come una funzione animale, deve agire automaticamente.”

Dal 23 Settembre 2021 al 31 Gennaio 2022 – Palazzo Roverella – ROVIGO

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MISA. IL FIUME – Fotografie di Federica Bizzarri – Simone Francescangeli – Giorgio Granatiero – Andrea Secco

La mostra racconta il Misa, la strada d’acqua più importante per il territorio di Senigallia (che ne viene attraversata) e che ha origine nell’entroterra, a 45 chilometri dal mare. Il risultato è un’esposizione complessa. Attraverso le 32 opere esposte, da un lato viene comunicato cosa è il fiume e come la presenza umana possa interagire in modo armonioso con esso, vivendoci a contatto, apprezzandone le sue sfumature. Dall’altro lato, il pesante sfruttamento che il Misa subisce ogni giorno affiora visibilmente dall’acqua sotto forma di reperti improbabili, mostrando una vicenda pesante di abuso, impoverimento idrico e faunistico – tra l’altro – e umiliazione della Natura.

a cura di Simona Guerra

28 agosto > 5 settembre 2021  – Spazio Piktart – Senigallia

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Edoardo Romagnoli, Tulimì

La ricerca di Edoardo Romagnoli continua e si approfondisce, sempre su un soggetto poetico, il tulipano. La cura nella composizione dell’immagine, inedita e fantastica tipica dell’artista, è ottenuta tramite l’uso sapiente del mosso e del doppio scatto. In tema con il contest del Photofestival 2021 “La natura e la città, segni di un tempo nuovo”, la mostra Tulimì, (tulipani a Milano) si sviluppa attorno alla figura del tulipano. Fiori, coltivati sul balcone con un tempo lento dettato dalla natura, attraverso la scelta dei vasi, la preparazione del terreno, la messa a dimora dei bulbi seguita da rare ma indispensabili innaffiature, fino alla scelta, durante la fioritura, dei fiori più belli che diventeranno immortali. Delicatamente disposti in vasi di vetro di Murano, osservati a lungo, quasi spiati, alla ricerca della forma e del colore assoluto, arrivando in alcuni casi al singolo pixel. L’eleganza dei fiori, la loro fragilità e caducità, insieme alla sensualità dell’esplosione della fioritura e al languore della sfioritura, vengono colti, illuminati e moltiplicati dallo sguardo disorientante e spiazzante di Romagnoli. Si rimane spaesati, stupiti e immersi in emozioni di armonia, equilibrio e attrazione, di fronte all’esaltazione della bellezza della natura più colorata, di Milano.

Questa mostra fa parte del circuito PHOTOFESTIVAL 16TH MILANO La natura e la città. Segni di un tempo nuovo

23 settembre – 22 ottobre 2021 – Studio Masiero – Milano

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La Forma è il contenutoMatteo Abbondanza

In esposizione 25 opere, stampate in 60×40 cm, tratte dai progetti “My Imagination” e “My Vision”. Tutte le opere saranno in vendita.

Dal 28/8 al 10/9 – M.A.D Mantova Arte Design – Mantova

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Andrea Borgatta – Le loro Maldive

Tutti noi conosciamo le Maldive.
Abbiamo tutti un parente o un amico che c’è stato; significano spiagge bianche, acque trasparenti e vita in costume da bagno… “le nostre Maldive”.
E invece quanti di noi sanno che sono una nazione Mussulmana, dal più alto tasso di foreign fighters tra le nazioni non arabe? Una nazione in cui ai cittadini normali non arriva nemmeno un centesimo dei 3,5 miliardi di Dollari di introiti del turismo, destinati a 5-6 faccendieri ben introdotti e vicini al Presidente.
I 100.000 abitanti di Male, un terzo del totale dei maldiviani, vivono condizioni di vita impossibili. La capitale è una piccola sovrappopolata isola di povertà, eroina, violenza di strada, in cui è comune sentirsi dire “Tutto è meglio di Male. Persino la Siria”
La qualità della vita migliora per gli abitanti delle 200 piccole isole abitate sparse negli atolli più lontani grazie alla pesca e al piccolo artigianato per il turismo.
Quel turismo che vede noi stranieri arrivare all’aeroporto di Male per correre alle partenze degli idrovolanti, seccati per quell’ora di attesa che ci separa dal nostro agognato resort … un luogo in cui l’unico contatto con i maldiviani è al momento dei pasti o nella sfida sportiva ospiti conto staff di metà settimana. Per il resto del tempo qualsiasi rapporto è severamente vietato.

Le cose non cambiano in molte delle Guesthouse, l’alternativa ai resort da 500$ a notte nata dalla volontà di Nasheed, Presidente dalla breve carriera, di distribuire la ricchezza originata dal turismo. Osteggiate dal potere più reazionario, quelle realmente gestite da maldiviani si contano sulle punte delle dita.
Arrivare in luoghi come Himandhoo, l’isola più islamizzata delle Maldive, nell’atollo di Ari, è disorientante se non sei psicologicamente preparato … selvaggia, essenziale… donne in niqab che ti guardano in tralice o rifiutano il tuo sguardo … ragazzi che giocano per le strade in sabbia battuta, bambine nemmeno teenager che già indossano il niqab … gli uomini, solo gli anziani sono seduti lungo la via, i giovani sono via, a pesca o nei resorts.
Il Muezzin che chiama alla moschea segna il passare del tempo. Tutto è così semplice e selvaggio, disorientante e affascinante, umile ma nobile… “le loro Maldive”

Dall’11 settembre al 3 ottobre – Cascina Roma – S. Donato Milanese

Passages – Tina Cosmai

8 SETTEMBRE – 6 NOVEMBRE 2021 – Alessia Paladini Gallery – Milano

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Le mostre di fotografia per iniziare l’anno col piede giusto

Ciao,

se avete tempo in queste vacanze, di seguito trovate un po’ di mostre che vi consiglio di vedere.

Ne approfitto per augurare a tutti un sereno Natale ed uno scoppiettante inizio d’anno all’insegna della fotografia.

Anna

INGE MORATH. LA VITA. LA FOTOGRAFIA

Il Museo di Roma in Trastevere ospita la prima retrospettiva italiana di Inge Morath (1923-2002), la prima fotoreporter donna entrata a far parte della famosa agenzia fotografica Magnum Photos.
I rapporti lavorativi con personalità quali Ernst Haas, Robert Capa e Henri Cartier-Bresson, contribuiscono a chiarire l’evoluzione professionale della Morath e il personale stile fotografico nutrito degli ideali umanistici successivi alla Seconda Guerra Mondiale, ma anche della fotografia quale “momento decisivo” come la definì Cartier-Bresson.

Le oltre centocinquanta fotografie ripercorrono le tappe dei suoi principali reportage geo-etnografici, includendo anche la nota serie di curiosi ritratti con le maschere del disegnatore Saul Steinberg.

Dal 30 Novembre 2019 al 19 Gennaio 2020 – Roma – Museo di Roma in Trastevere

Altre info qua

LETIZIA BATTAGLIA

LETIZIA BATTAGLIA

© Letizia Battaglia | Letizia Battaglia, Omicidio targato Palermo, 1975 

Dal 13 Dicembre 2019 al 08 Marzo 2020

NAPOLI

LUOGO: Magazzini Fotografici

INDIRIZZO: via San Giovanni in Porta 32

ORARI: dal mercoledì al sabato dalle 11.00 alle 19.00; domenica dalle 11.00 alle 14.30

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 3386403215

E-MAIL INFO: info@magazzinifotografici.it

SITO UFFICIALE: http://www.magazzinifotografici.it
COMUNICATO STAMPA:
A partire dal 13 dicembre 2019 Magazzini Fotografici ha il piacere di ospitare Letizia Battaglia.

In occasione della sua visita a Napoli, Letizia ha personalmente scelto dal suo archivio di stampe vintage una selezione di scatti che rappresentano uno spaccato della sua ricerca fotografica. La mostra è esclusivamente ideata per portare a Napoli foto storiche, giornalistiche, ritratti che raccontano gli anni di una Palermo difficile con lo sguardo intimo, profondo ed emozionato di una fotografa in grado di documentare gli effetti dell’azione della mafia sulla società ma anche di cogliere le radicate problematiche della condizione femminile, attraverso gli sguardi delle donne e delle bambine da lei ritratte.

Quello di Letizia Battaglia è un racconto delle contraddizioni e delle ferite di Palermo, città complessa da lei profondamente amata, terra in cui l’ autrice si è costruita indipendenza e libertà in un periodo storico molto difficile. 

Nei suoi scatti da cronista nella Palermo degli anni ‘70 ritroviamo immortalati i delitti di mafia che l’hanno resa simbolo della battaglia contro la criminalità organizzata e l’omertà che ne alimenta il potere. Nello sguardo delle bambine che fotografa ritroviamo un po’ della sua infanzia complessa in un racconto intenso, che riflette la profonda interiorità della fotografa e quella dei soggetti ritratti.

Letizia Battaglia, 84 anni, fotografa di fama mondiale, per il New York Times è «una delle 11 donne che hanno segnato il nostro tempo». Ha contraddistinto la sua carriera per l’appassionato impegno sociale e politico. Per trent’anni ha fotografato la sua terra, la Sicilia, con immagini in bianco e nero crude e dolorose, denunciando l’attività mafiosa con reportage coraggiosi e incisivi per il quotidiano «L’Ora» di Palermo, attività l’ha resa prima donna-fotografo a lavorare per un giornale italiano.
Convinta della validità dell’impegno civile come fattore di cambiamento, nel corso degli anni ha messo il suo talento e la sua passione al servizio di cause diverse, dalla questione femminile, ai problemi ambientali, ai diritti dei carcerati, in veste di fotografa, regista, editrice, ambientalista (è stata consigliere comunale, assessore e deputato regionale).
Nella sua carriera ha saputo conciliare alla perfezione arte, impegno, coscienza e cuore.
Inizia la sua carriera a Palermo nel 1969, e nel 1970 si trasferisce a Milano dove incomincia a fotografare collaborando con varie testate. Nel 1974 ritorna a Palermo e crea, con Franco Zecchin, l’agenzia “Informazione fotografica”, frequentata da Josef Koudelka e Ferdinando Scianna. Diviene in questi anni una fotografa di fama internazionale, e negli anni ’80 crea il “laboratorio d’If”, dove si formano fotografi e fotoreporter palermitani. 

Letizia Battaglia è stata la prima donna europea a ricevere nel 1985, ex aequo con l’americana Donna Ferrato, il Premio Eugene Smith, a New York, riconoscimento internazionale istituito per ricordare il fotografo di Life. Un altro premio, il Mother Johnson Achievement for Life, le è stato tributato nel 1999.

Ha esposto in Italia, nei Paesi dell’Est Europa, Francia (Centre Pompidou, Parigi), Gran Bretagna, America, Brasile, Svizzera, Canada. 
Dopo l’assassinio del giudice Falcone, il 23 maggio 1992, Letizia Battaglia si allontana dal mondo della fotografia, ormai stanca di avere a che fare con la violenza, dirigendo dal 2000 al 2003 la rivista bimestrale realizzata da donne Mezzocielo, nata da una sua idea nel 1991.
Nonostante le sue radici siciliane, la Battaglia si trasferisce nel 2003 a Parigi, delusa per il cambiamento del clima sociale e per il senso di emarginazione da cui si sentiva circondata, ma nel 2005 è tornata nella sua Palermo.
Nel 2017 inaugura a Palermo all’interno dei Cantieri Culturali della Zisa il Centro Internazionale di Fotografia da lei diretto, metà museo, metà scuola di fotografia e galleria. E nel 2019 inaugura a Venezia, presso la Casa dei Tre Oci, una grande mostra monografica retrospettiva di tutta la sua carriera.
Per questa nuova occasione sarà ospite dello spazio espositivo Magazzini Fotografici, situato nel centro storico di Napoli, nell’antico Palazzo Caracciolo D’Avellino del Decumano superiore.
Nata da un’idea della fotografa Yvonne De Rosa, l’APS Magazzini Fotografici ha come elemento fondamentale l’ obiettivo della divulgazione dell’arte della fotografia finalizzata al-la creazione di un dialogo che sia occasione di scambio e di arricchimento culturale. Il team di Magazzini Fotografici è composto da: Yvonne De Rosa – Direttrice artistica e Fondatrice, Valeria Laureano coordinatrice, Rossella Di Palma responsabile ufficio stam-pa e comunicazione e Michela Sellitto, coordinatrice.

Dal 13 Dicembre 2019 al 08 Marzo 2020 – Magazzini Fotografici – Napoli

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OLIVIERO TOSCANI. RAZZA UMANA

Senigallia Città della Fotografia presenta dal 25 ottobre 2019 al 2 febbraio 2020 la mostra Razza Umana di Oliviero Toscani. Le sale di Palazzo Ducale e di Palazzetto Baviera ospiteranno 70 fotografie di questo progetto che racconta i cittadini del mondo, per far riflettere sul valore dell’eguaglianza tra popoli nell’accettazione delle differenze.
 
Oliviero Toscani è indubbiamente uno dei fotografi italiani più importanti e conosciuti in Italia e all’estero, creatore di campagne pubblicitarie irriverenti e mediatiche che hanno fatto discutere tutto il mondo. Da sempre attratto dalle fisionomie umane e dalla loro rappresentazione, nel 2007 lancia il progetto Razza Umana definita dallo stesso maestro “uno studio socio-politico, culturale e antropologico che ritrae la morfologia della razza umana al fine di osservarne le peculiarità e le caratteristiche, per capire le differenze”.  
 
Razza Umana è un progetto itinerante che ha viaggiato per il mondo, passando dal Giappone al Guatemala, dal Belgio alla Thailandia alla Namibia, oltre ovviamente all’Italia dove è stato esposto in più di 100 comuni. È una ricerca che indaga la forma umana e si concentra sulle piccole imperfezioni che racchiudono l’essenza di tutti noi. Aiutato dal suo team, Oliviero Toscani allestisce in ogni tappa del suo percorso un vero e proprio studio fotografico per ritrarre la gente del luogo, la gente comune che rappresenta il campione di umanità che verrà poi messo in mostra, a confronto con gli scatti realizzati in altre parti del globo. 
 
Il risultato è un archivio multimediale di fotografie e video che racchiude l’essenza dell’umanità, un insieme di espressioni, caratteristiche fisiche, somatiche, sociali e culturali della popolazione, a discapito delle differenze, come spiega bene Achille Bonito Oliva: «Razza Umana è frutto di un soggetto collettivo, lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze».
La fotografia diventa uno strumento di conoscenza profonda che permette, attraverso lo sguardo di ogni singola persona, di poter catturare la sua anima e le esperienze che ha vissuto: un modo per abbattere le disuguaglianze, superando differenze di genere, sociali, culturali, questa è la potenza di Razza umana, come racconta lo stesso Toscani: «Non c’è bisogno di fotografare la guerra per rappresentare il disastro che compie nella società. Basta guardare due occhi che ti fissano con terrore e capisci cosa è la guerra. […] Credo si possa fotografare l’anima attraverso lo sguardo degli esseri umani. L’anima nelle sue fattezze, grandezze, meschinità, bruttezze, e bellezze più estreme. La mia ricerca è fotografare facendomi guardare “dritto negli occhi”».
 
Senigallia con questa mostra si conferma ancora di più città della fotografia in Italia, ospitando una tappa di questo importante progetto e, come afferma il sindaco Maurizio Mangialardi «è pronta a ospitare il lavoro di Oliviero Toscani, uno dei più importanti fotografi del Novecento, proiettando quindi ancora una volta l’intera regione Marche in una dimensione artistica internazionale. Sarà un evento interessante non solo dal punto di vista culturale, ma anche sotto l’aspetto sociale, perché il progetto di Toscani rappresenta un’opportunità di riflessione sul valore dell’uguaglianza che affonda le radici nel riconoscimento e nell’accettazione delle differenze».

Dal 25 Ottobre 2019 al 02 Febbraio 2020 – Palazzo del Duca | Palazzetto Baviera – Senigallia (AN)

LEWIS W. HINE. AMERICAN KIDS

Come nel film di Sergio Leone “C’era una volta in America”: per il progetto History & Photography – La Storia raccontata dalla Fotografia, in anteprima nazionale a la Casa di Vetro di Milano apre al pubblico l’8 ottobre 2019 dalle 15.30 alle 22.00 l’esposizione “Lewis W. Hine. American Kids. ”, dedicata alle condizioni di vita e di lavoro dei figli degli immigrati (per lo più europei, e tra loro tantissimi italiani) e delle classi sociali più povere negli Stati Uniti dei primi del ‘900. In programma fino al 25 gennaio 2020, curata da Alessandro Luigi Perna e prodotta da Eff&Ci – Facciamo Cose di Federica Candela, la mostra si compone di circa 60 riproduzioni digitali da stampe originali selezionate tra le più belle immagini (tra cui molte poco conosciute) della collezione della National Child Labour Committee, la principale organizzazione privata senza fini di lucro protagonista del movimento nazionale di riforma del lavoro minorile negli Stati Uniti a cavallo tra il XIX e il XX secolo. La sua missione era quella di promuovere “i diritti, la consapevolezza, la dignità, il benessere e l’educazione dei bambini e dei giovani in relazione al lavoro.” A scattare le foto, oggi conservate alla Library of Congress, Lewis Wickes Hine, il celebre maestro americano della fotografia sociale, di ritratto e di reportage che ha ispirato i grandi autori americani degli anni ‘30 (in primis Dorothea Lange) che hanno raccontato la Grande Depressione e il New Deal del presidente Franklin Delano Roosevelt. 

Dal 08 Ottobre 2019 al 25 Gennaio 2020 – La Casa di Vetro – Milano

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FRANCESCO CITO. DEUS, SPIRITUS, HOMINES

Dal rumore dei reportage di guerra al silenzio della preghiera, avendo il privilegio di entrare in spazi di norma riservati e sconosciuti, questo il viaggio che il fotografo Francesco Cito ha intrapreso alla scoperta dei luoghi di culto, delle professioni di fede nei territori dell’Umbria.
Un viaggio di ricerca e documentazione dedicato alle comunità religiose che, attraverso il potente mezzo della fotografia, evidenzia la necessità dell’uomo di costruire e custodire la propria identità culturale, spirituale e sociale, un viaggio che diventa mostra. 
http://www.francescocito.it

Può un forno ospitare fotografie?
E diventare un centro culturale?
E tornare a essere, dopo anni di chiusura, un centro vissuto e frequentato?

Succede a Città della Pieve grazie a un progetto aperto e gratuito per tutti: appassionati, esperti, curiosi di immagini, a chi passa e ha desiderio di capire, provare, scoprire, approfondire il mondo della fotografia.
Photo Città delle Pieve è un laboratorio permanente di cultura fotografica che, durante tutto l’anno, organizza esposizioni, workshop, talk, cineforum, attività culturali dedicate alla fotografia.
Photo Città della Pieve è un progetto che trova le sue radici in Italia centrale, in Umbria, al confine con la Toscana, all’interno del vecchio Forno Bassini, il forno del paese dal quale ha ereditato il nome «il Forno» e le aspirazioni, luogo di produzione e vero e proprio laboratorio di incontro per la comunità e non solo, che rivive grazie a un restauro filologico avviato da Firouz Galdo e portato a temine nel 2017 da Open Studio inserito tra i siti d’interesse per l’archeologia industriale dalla Regione Umbria.
Oggi, tra bocche di forno, pianali, cappe, rivestimenti originali, un allestimento lineare e fluido permette di ospitare esposizioni fotografiche, una biblioteca, una sala workshop, una sala posa, una camera oscura e un ambiente sempre aperto al pubblico per degustazioni, apertivi e appuntamenti.
Photo Città della Pieve alterna un calendario annuale di attività per vari tipi di pubblico a due mostre principali, nel mese di dicembre e di giugno, due progetti commissionati e realizzati ad hoc, da fotografi e artisti dedicati a svelare luoghi, culture, comunità, usi e costumi del territorio e d’Italia. Nei primi anni si sono alternate le collaborazioni con Maurizio Galimberti, Paola Agosti, Silvia Camporesi e Alessandra Baldoni, per dicembre 2019 è Francesco Cito il protagonista, con un intenso lavoro sulle comunità religiose, mentre a giugno 2020 sarà la volta di Valentina Piccinni e Jean Marc Caimi.
Photo Città della Pieve, anche grazie alla sua amplia biblioteca e al suo archivio è un luogo di studio e di memoria, da una parte mettendo a disposizione una selezione di oltre 700 volumi specializzati dall’altra custodendo la produzione fotografica dei progetti realizzati, insieme all’archivio di Attilio Maria Navarra e a una preziosa collezione di rarità bibliografiche da Praha panoramatickà di Josef Sudek e Immagini di Federico Vender a Il profilo delle nuvole : immagini di un paesaggio italiano di Luigi Ghirri, fino a Venise des saisons di Gianni Berengo Gardin e Momenti : otto saggi in immagini e parole di Irving

Dal 15 Dicembre 2019 al 13 Giugno 2020 –  Photo Città della Pieve

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PICASSO. L’ALTRA METÀ DEL CIELO. FOTO DI EDWARD QUINN

Uno sguardo sull’artista e il suo rapporto con il mondo femminile attraverso gli scatti di uno dei più affermati fotografi del Novecento: questo il tema scelto dalla città di Firenze per celebrare il genio del maestro spagnolo e del grande fotografo irlandese con l’esposizione “Picasso. L’altra metà del cielo. Foto di Edward Quinn”, in programma dal 30 novembre 2019 al 1° marzo 2020, presso il Museo Mediceo di Palazzo Medici Riccardi.

La mostra, prodotta e organizzata da MetaMorfosi con il patrocinio della Città Metropolitana di Firenze, in collaborazione con MUS.E, sarà inaugurata venerdì 29 novembre, alle ore 11, da Pietro Folena, Presidente di Metamorfosi, e da Letizia Perini in rappresentanza della Città Metropolitana di Firenze. L’esposizione è il frutto dell’insolita amicizia che legò Picasso a Edward Quinn, come spiega il nipote ricostruendo il loro primo incontro avvenuto in Costa Azzurra: «“Lui, il ne me dérange pas”, (“non mi disturba”) racconta Picasso dopo che, il 23 marzo 1953, lo aveva fotografato per la prima volta durante il suo lavoro. Così Quinn divenne uno dei pochi fotografi a cui fu permesso di fotografarlo durante il lavoro e che era accettato nella sua vita privata». L’esposizione – che annovera una corposa serie di scatti realizzati da Edward Quinn (Dublino 1920 – Svizzera 1997), il fotoreporter che seguì Picasso (1881 – 1973) in Costa Azzurra e lo ritrasse per circa vent’anni – presenta un’ottantina di foto (due i formati in mostra: 40×50 e 30×40 cm) che raccontano un Picasso intimo e privato, svelando, in particolare, il suo complesso rapporto con l’universo femminile: il maestro è ritratto fra le sue donne, amanti e amiche, fra i suoi figli, frutto di molte passioni nel corso degli anni, ma anche fra i tanti amici e conoscenti che popolavano le sue tele così come le tavolate imbandite e le spiagge davanti al mare. Le foto provengono dall’Archivio Quinn di Zurigo e sono state selezionate dal curatore della mostra, Wolfgang Frei, nipote del fotografo.  «Anche se  Quinn – racconta ancora Frei – era un caro amico, non era quasi mai possibile fissare con lui per tempo un appuntamento. Spesso Picasso dava l’ordine di non essere disturbato. Quasi tutte le visite erano impreviste e improvvisate. Questo però era in linea col modo di lavorare di Quinn: i suoi scatti non avevano infatti bisogno di lunghi preparativi tecnici. Non faceva uso del treppiede e si rifiutava di illuminare artificialmente gli ambienti e far posare Picasso. L’obiettivo era quello di mostrare in quali condizioni l’artista creava le sue opere». Gli scatti di Quinn mirano a restituire un’immagine non convenzionale, credibile, autentica, documentaria. Le fotografie in mostra rivelano come l’artista si sia ispirato alle cose e alle persone di tutti i giorni, ma anche a quelle straordinarie che lo circondavano. In questa rappresentazione della personalità dell’artista, delle persone – e delle donne – dietro alle immagini un focus  particolare è rivolto agli aspetti per alcuni versi dicotomici della vita: il tempo libero accanto al lavoro, il quotidiano in relazione all’arte, il Casanova e l’uomo di famiglia, il clown e il jolly estroverso, ma anche il maestro intento e impegnato nel proprio lavoro. Un affascinante ritratto dell’artista e del suo rapporto con l’”altra metà del cielo” che copre un periodo di oltre 20 anni e che racconta un Picasso insolito, autentico e ricco di umanità.  Un tema indubbiamente di grande attualità, oltre che di un’assoluta originalità.

«Dopo le foto di Sukita per Bowie che illuminano il rapporto tra immagine e musicista – dichiara il Sindaco Dario Nardella – apriamo ora un nuovo capitolo, esplorando quel che può fare la presenza discreta dell’obiettivo in presenza di un artista immenso come Picasso. Due modi certo diversi di interpretare l’arte ma che si integrano e completano in qualche modo la ricognizione di un profilo tanto articolato e complesso quale quello del maestro di Guernica».

«L’altra metà del cielo» – spiega Pietro Folena, Presidente dell’Associazione MetaMorfosi –  è una citazione storica, che evidenzia, in questi tempi di vivace dibattito, l’importanza che avuto il femminismo.  Certo –  sottolinea il presidente di MetaMorfosi – non si può considerare Picasso un femminista, faremmo un torto alla sua storia, al suo rapporto tormentato e, in alcuni passaggi, tragico con le donne. Tuttavia Picasso –  conclude Folena  –  ha cantato la bellezza esteriore e interiore delle donne. Donne che lo hanno avvicinato con l’idea che lui potesse essere per loro anche un maestro di arte e di cultura, un formatore. E di fatto lo è stato».

Dal 30 Novembre 2019 al 01 Marzo 2020 – FIRENZE – Palazzo Medici Riccardi

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MARGHERITA LAZZATI. FOTOGRAFIE IN CARCERE. MANIFESTAZIONI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Dal 15 novembre 2019 al 26 gennaio 2020, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano ospita la mostra di Margherita Lazzati, dal titolo Fotografie in carcere. Manifestazioni della libertà religiosa.
 
L’esposizione, curata da Nadia Righi e Cinzia Picozzi, rispettivamente direttrice e conservatrice del Museo Diocesano, realizzata in collaborazione con la Galleria L’Affiche di Milano, presenta 50 immagini in bianco e nero, che documentano il libero esercizio della fede, all’interno del carcere di Milano Opera.
Dal 2011, Margherita Lazzati ha frequentato, come fotografa, la casa di reclusione milanese, nell’ambito del «Laboratorio di lettura e scrittura creativa». Dopo quell’esperienza, che ha portato alla serie dei Ritratti in carcere, Margherita Lazzati ha allargato il suo sguardo verso altre realtà, sempre all’interno dell’istituto.
In particolare, dal dialogo avviato nel 2017 con l’allora direttore Giacinto Siciliano, e proseguito con il suo successore, Silvio Di Gregorio, e con il provveditore Luigi Pagano, è scaturita l’idea di documentare la quotidianità del carcere in tutti i suoi aspetti. Il progetto Fotografie in carcere è nato col fine d’illustrare attraverso la fotografia la corrispondenza tra la realtà e alcuni articoli dell’ordinamento penitenziario, come il numero 58, sulle “manifestazioni della libertà religiosa”.
 
Le immagini dell’artista milanese ritraggono persone a contatto con la propria fede e con il proprio credo; non solo detenuti, quanto volontari, ministri di culto, agenti, appartenenti a comunità di diverse confessioni religiose, siano essi cattolici, ebrei, evangelici, copti, buddisti, musulmani, còlti nei vari momenti di preghiera e di condivisione.
 
“Ho scelto di ritrarre non solo i luoghi della preghiera – ricorda Margherita Lazzati – e della condivisione, ma anche i dialoghi, gli sguardi, i gesti rituali, i momenti di convivenza tra persone, che sono poi quelli che maggiormente mi hanno colpita”.
 
È proprio la persona, il singolo individuo ad aver attratto l’obiettivo della fotografa, senza alcuna retorica. “Questo è un tema a me molto caro – prosegue Margherita Lazzati. Cerco di rimanere lontana da ogni retorica e di rivolgere la mia indagine unicamente alla “persona”. In questo caso mi sono concentrata sull’esperienza che le persone vivono e condividono: un’esperienza di riflessione, preghiera, speranza, disperazione”.
 
Margherita Lazzati, con delicatezza e determinazione, invita ad oltrepassare la cinta muraria e ad avvicinarsi di una realtà che è parte integrante della società. Il risultato è molto più di un racconto. Queste immagini non “spiegano” cosa avviene in carcere. Sollecitano invece profondi interrogativi.
È proprio per tale ragione che la mostra trova negli spazi di questo museo il suo senso più compiuto, in totale sintonia con l’identità del museo stesso che, attraverso la bellezza dell’arte, intende suscitare domande di significato e desiderio di Bellezza.

Dal 14 Novembre 2019 al 26 Gennaio 2020 –  Museo Diocesano Carlo Maria Martini – Milano

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MILANO ANNI 60. STORIA DI UN DECENNIO IRRIPETIBILE

Dal 6 novembre 2019 al 9 febbraio 2020, Palazzo Morando | Costume Moda Immagine di Milano ospita la mostra Milano Anni 60 che ripercorre la storia di un decennio irripetibile che ha consacrato il capoluogo lombardo come una delle capitali mondiali della creatività in grado di assumere il ruolo di guida morale ed economica del Paese.

Spinta dal boom economico, Milano si trovò improvvisamente a vivere un irrefrenabile fermento culturale, caratterizzato da una forza progettuale senza precedenti e dalla voglia di lasciarsi alle spalle in maniera definitiva gli orrori della guerra.

La grande stagione della musica a Milano si inaugura con il concerto di Billie Holiday del 1958 allo Smeraldo e proseguirà felicemente con tutti i grandi del Jazz da Duke Ellington a Thelonius Monk fino a Chet Baker e Gerry Mulligan che a Milano erano di casa. Anche la musica leggera conosce un periodo d’oro con il concerto dei Beatles al Vigorelli del 1965 e dei Rolling Stones al Palalido del 1967, che suggellano il ruolo di Milano come città moderna e pronta ad accogliere i più grandi protagonisti della musica pop e rock d’oltremanica e d’oltreoceano.

Sono anni di grande fervore artistico con l’opera di Lucio Fontana e Piero Manzoni, di pietre miliari del design italiano quali Marco Zanuso, Bruno Munari, Vico Magistretti, Achille Castiglioni, Bob Noorda e di grandi esponenti della fotografia quali Roberto Polillo, Carlo Orsi, Uliano Lucas, Gianni Greguoli, Fedele Toscani, Fabrizio Garghetti, Giorgio Lotti, Emilio Frisia, Cesare Colombo, Ernesto Fantozzi, Paolo Monti, Silvestre Loconsolo, Piero Raffaelli, di intensa vita notturna dei locali del jazz con Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci. Questi sono solo alcuni dei protagonisti della scena milanese che contribuirono all’incanto di quel decennio.

Un sogno da cui la città si svegliò bruscamente, il 12 dicembre 1969, con l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana.

Curata da Stefano Galli, realizzata in collaborazione con il Comune di Milano | Cultura, Direzione Musei Storici e con la Questura di Milano, organizzata da MilanoinMostra con il patrocinio della Polizia di Stato e della Regione Lombardia, la rassegna presenta fotografie, manifesti, riviste, arredi, oggetti di design e molto altro ancora, che faranno rivivere l’atmosfera di quell’epoca.

Il percorso espositivo, diviso in sezioni, si apre con le immagini della nuova Milano, il cui volto si modifica grazie alle nuove costruzioni, come il Pirellone, la Torre Velasca, la Torre dei servizi tecnici comunali, il Centro direzionale, la Torre Galfa ma anche la nascita dei quartieri periferici, tra i quali spiccano Quarto Oggiaro, Olmi, Gallaratese, Gratosoglio, Comasina, quest’ultimo iniziato nel 1953 e ultimato nel 1960, il più importante intervento edilizio in quegli anni in Italia con i suoi 11.000 vani e 83 palazzi.

Fotografie e riviste dell’epoca documentano il boom economico, con la realizzazione delle tangenziali milanesi, del tratto Milano-Piacenza dell’autostrada A1, infrastrutture che portarono una più rapida circolazione delle merci con una maggiore crescita delle aziende; celebri nomi della grafica pubblicitaria furono chiamati a ripensare i brand delle nuove e rinnovate realtà aziendali, a partire dal fondamentale progetto di Franco Albini e Bob Noorda per la Metropolitana Milanese.

Numerosi sono gli oggetti che aiutano a rievocare la grande stagione del design, con maestri del calibro di Bruno Munari, Marco Zanuso, Vico Magistretti, Enzo Mari, Achille Castiglioni, Sambonet, Joe Colombo, Gio Ponti. Si racconta la storia delle aziende milanesi coinvolte in questa clamorosa stagione. Tra tutte Brionvega, Cassina, Zanotta, Kartell, Tecno, Fontana Arte, Artemide, Flos, Arflex e Danese.

Anche il mondo della cultura, delle gallerie d’arte e del cabaret visse un periodo di grande spolvero. E naturalmente la musica, in particolare il jazz, che trovò casa in numerosi club sparsi per la città, come la Taverna Mexico, dove si esibirono i migliori esponenti di questo genere.

Già alla fine degli anni Cinquanta, Milano divenne anche un luogo apprezzato dove organizzare concerti memorabili, come quelli di Billie Holiday allo Smeraldo, dei Beatles al Vigorelli, dei Rolling Stones al Palalido, di Jimi Hendrix al Piper, ma fu anche il palcoscenico che vide affermarsi artisti quali Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Adriano Celentano, Patty Pravo.

La fine degli anni 60 segnò poi la nascita della contestazione, dalle rivolte studentesche negli atenei, sfociate nelle occupazioni della Statale e della Cattolica, ai picchetti nelle fabbriche e agli scioperi.

Chiude la mostra la sezione dedicata a piazza Fontana e alla fine del sogno, con le fotografie della strage e dei funerali, accompagnate da documenti e alcuni oggetti legati a questo tragico avvenimento alla cui ricerca e selezione, presso gli archivi della Polizia di Stato e non solo, ha collaborato la Questura di Milano.

Dal 06 Novembre 2019 al 09 Febbraio 2020 – Palazzo Morando | Costume Moda Immagine – Milano

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Ottime mostre di fotografia da non perdere a marzo.

Eccoci qua.
Vi preannuncio già che a marzo ci sono tantissime fantastiche mostre da non perdere! Avete davvero l’imbarazzo della scelta. 😉
Date un’occhiata e sbizzarritevi!

L’elenco sempre aggiornato di tutte le mostre in corso, lo trovate qua
Ciao

Anna

Alex Majoli – SKĒNĒ

“We wear masks that accommodate these fixed societal roles, and in that way we exist trapped in our own play. The only way to understand our complex reality, then, is to acknowledge and question the meaning of the theatrical elements that have constructed this play – our core societal narrative.” – Luigi Pirandello

NEW YORK – Alex Majoli documents the thin line between reality and theatre in a series of photographs, which will be on view from February 16 – April 1, 2017 at Howard Greenberg Gallery. The photographs, made in Congo, Egypt, Greece, Germany, India, China, and Brazil between 2010 and 2016, explore the human condition and call into question darker elements of society. The title of the exhibition, SKĒNĒ, refers to a structure forming the backdrop of an ancient Greek theatre. Majoli is a 2016 Guggenheim Fellowship recipient, and the show is his first gallery exhibition in New York City.

Majoli’s experiences photographing people in many kinds of circumstances in numerous countries have led him to explore the idea of his subjects being actors in their own lives. His scenes depict the drama and pathos inherent in human struggles. A mother and father carry their ill son as they arrive as refugees on the Greek Island of Lesbos in 2015. Police are on guard against a crowd of Brazilian supporters of a cause in Sao Paulo, Brazil, in 2014. Mourners attend the funeral of a 13 year-old girl in Pointe Noire, Congo, in 2013. Majoli also captures reflective moments: an evangelist standing on the street in Congo or a farmer working in a rice field in India. A detail of a house in Baden-Württemberg, Germany, shows that it has been charred by a fire. As it turns out, the home was to be given as housing to refugees before unknown assailants set fire to it.

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Harraga – Giulio Piscitelli

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Con questo lavoro Giulio Piscitelli ha vinto la 13esima edizione del Premio Amilcare G.Ponchielli, istituito dal GRIN (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale).

Forma Meravigli è un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto.

Harraga è il termine con cui, in dialetto marocchino e algerino, si definisce il migrante che viaggia senza documenti, che “brucia le frontiere”.

Le fotografie in mostra a Forma Meravigli sono frutto di un lungo progetto, iniziato nel 2010, che si articola in tre momenti fondamentali che corrispondono alle diverse fasi del reportage: dalle rotte africane verso l’Europa, passando per l’Italia e la Francia, fino ad arrivare alla rotta balcanica.

Giulio Piscitelli ha vissuto e sperimentato in prima persone il viaggio dei migranti che tentano di raggiungere il suolo europeo, ha condiviso con loro lo sfinimento fisico e mentale. È salito lui stesso su uno di quei barconi, ormai tragicamente famosi, che portano i migranti dalla Tunisia alle coste italiane.

In mostra un racconto per fotografie crudo ed empatico che va dalla documentazione delle enclave spagnole di Melilla, ai viaggi verso Lampedusa e la tragica realtà di sfruttamento di Castel Volturno e Rosarno, dall’attraversamento del deserto dei profughi del Corno d’Africa, ai siriani, iracheni e afghani che approdano sulle isole greche nella speranza di raggiungere l’Europa.

Grazie alla vittoria del Premio Ponchielli, Giulio Piscitelli ha potuto completare il suo lavoro in Iraq fotografando, nel dicembre 2016, la guerra per la liberazione dall’Isis della città di Mosul; nelle sale di Forma Meravigli il pubblico potrà vedere per la prima volta una selezione di questi scatti inediti.

La mostra è accompagnata dal libro “Harraga. In viaggio bruciando le frontiere” edito da Contrasto.

Giulio Piscitelli (Napoli, 1981), dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, si avvicina alla fotografia iniziando a collaborare con agenzie di news italiane e straniere. Dal 2010 lavora come freelance, realizzando reportage sull’attualità internazionale. I suoi lavori sono stati esposti al Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, all’Angkor Photo Festival, al Visa pour l’Image, presso la War Photo Limited Gallery e la Hannemberg Gallery. A partire dal 2010 si è concentrato sulla crisi migratoria in Europa, producendo il lavoro da cui è tratto Harraga; contemporaneamente ha esteso il suo interesse fotogiornalistico alle crisi internazionali, documentando il colpo di stato in Egitto, la guerra in Siria, Iraq e Ucraina. I suoi lavori sono apparsi su quotidiani e riviste in Italia e all’estero, tra cui: Internazionale, New York Times, Espresso, Stern, Io donna, Newsweek, Vanity Fair, Time, La Stampa, Vrji. Attualmente Giulio Piscitelli vive a Napoli e il suo lavoro è rappresentato dall’agenzia Contrasto dal 2013.

Forma Meravigli – Milano -fino al 26 marzo 2017

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Wolfgang Tillmans

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15 February – 11 June 2017 – Tate Modern, London

From intimate still-lifes and portraits, to images that address vital political issues, explore the photographs of this groundbreaking artist

Since the early 1990s, Wolfgang Tillmans has earned recognition as one of the most exciting and innovative artists working today.

While he made his name as a photographer, he has achieved equal acclaim for his investigations of abstract photography, including works made without a camera, and prints that take on a three-dimensional, sculptural quality. Taking the year 2003 as the point of departure, this exhibition focuses on Tillmans’s work in the 14 years since his major exhibition at Tate Britain and showcases all its facets, including his ‘expanded practice’: digital slide projections, publications, and curatorial projects and recorded music.

In addition, Tillmans will take over Tate Modern’s south Tank for ten days with, amongst others, an installation featuring live events.

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Berenice Abbott – Topografie

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17.02  –  31.05.2017  – Museo Man Nuoro

Il Museo MAN è lieto di annunciare l’imminente apertura della prima mostra antologica in Italia dedicata a Berenice Abbott (USA, 1917-1991), una delle più originali e controverse protagoniste della storia fotografica del Novecento.

Terza di un grande ciclo dedicato alla Street Photography, la mostra al MAN di Nuoro, a cura di Anne Morin, presenta, per la prima volta in Italia, una selezione di ottantadue stampe originali realizzate tra la metà degli anni Venti e i primi anni Sessanta. Suddiviso in tre macrosezioni – Ritratti, New York e Fotografie scientifiche – il percorso espositivo fornisce un quadro generale del grande talento e della variegata attività di Berenice Abbott.

Nata a Springfield, in Ohio, nel 1898, Berenice Abbott si trasferisce a New York nel 1918 per studiare scultura. Qui entra in contatto con Marcel Duchamp e con Man Ray, esponenti di punta del movimento dada. Con Man Ray, in particolare, stringe un rapporto di amicizia che la spingerà a seguirlo a Parigi e a lavorare come sua assistente tra il 1923 e il 1926.

Sono di questo periodo i primi ritratti fotografici dedicati ai maggiori protagonisti dell’avanguardia artistica e letteraria europea, da Jean Cocteau, a James Joice, da Max Ernst ad André Gide. Ritratti che – secondo molti interpreti – costituiscono il canale espressivo attraverso il quale Berenice Abbott – lesbica dichiarata, in un’epoca ancora lontana dall’accettare l’omosessualità femminile – racconta la propria dimensione sessuale.

Allontanatasi dallo studio si Man Ray per aprire il proprio laboratorio di fotografia –frequentato da un circolo di intellettuali e artiste lesbiche come Jane Heap, Sylvia Beach, Eugene Murat, Janet Flanner, Djuna Barnes, Betty Parson – già nel 1926 Abbott espone i propri ritratti nella galleria “Le Sacre du Printemps”. È in questo momento che entra in contatto con il fotografo francese Eugène Atget, conosciuto per le sue immagini delle strade di Parigi, volte a catturare la scomparsa della città storica e le mutazioni nel paesaggio urbano.

Per Abbott è un punto di svolta. La fotografa decide di abbandonare la ricerca portata avanti fino a quel momento e di fare propria la poetica del negletto Atget – del quale, alla morte, acquisterà gran parte dell’archivio, facendolo conoscere in Europa e negli Stati Uniti – dedicandosi, da quel momento in poi, al racconto della metropoli di New York.

Tutti gli anni Trenta, dopo il rientro negli Stati Uniti, sono infatti dedicati alla realizzazione di un unico grande progetto, volto a registrare le trasformazioni della città in seguito alla grande depressione del 1929. La sua attenzione si concentra sulle architetture, sull’espansione urbana e sui grattacieli che progressivamente si sostituiscono ai vecchi edifici, oltre che sui negozi e le insegne. Il risultato è un volume, tra i più celebri della storia della fotografia del XX secolo, intitolato “Changing New York” (1939), che raccoglie una serie straordinaria di fotografie caratterizzate da forti contrasti di luci e ombre e da angolature dinamiche, ad esaltare la potenza delle forme e il ritmo interno alle immagini.

Nel 1940 Berenice Abbott diventa picture editor per la rivista “Science Illustrated”. L’esperienza maturata nelle strade di New York la porterà a guardare con occhi diversi le immagini scientifiche, che diventano per lei uno spazio privilegiato di osservazione della realtà oltre il paesaggio urbano. In linea con le coeve ricerche artistiche sull’astrazione, Berenice Abbott realizza allora una serie di fotografie di laboratorio, concentrandosi sul dinamismo e sugli equilibri delle forme, con esiti straordinari.

La mostra al Museo MAN, realizzata grazie al contributo della Regione Sardegna e della Fondazione di Sardegna, racconta le tre principali fasi della produzione fotografica di Berenice Abbott attraverso una ricca selezione di scatti, tra i più celebri della sua produzione, e materiale documentario proveniente dal suo archivio.

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Life – Magnum. Il fotogiornalismo che ha fatto la storia

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Dal 04 Marzo 2017 al 11 Giugno 2017 – Cremona – Museo del Violino

La mostra, per la prima volta in assoluto, intende analizzare il rapporto fra la celebre rivista americana Life e l’agenzia fotografica Magnum Photos, ed in particolare i reportage realizzati dai fotografi membri dell’agenzia che vennero pubblicati da Life, il fortunato settimanale creato nel 1936 Henry Luce, già editore di Time. Ad un anno dalla sua nascita Life tirava cinque milioni di copie conquistandosi un ruolo che solo la diffusione della televisione minò, portandola alla chiusura nel 1972.

Il nuovo medium, la tv, riusciva a proporre con più immediatezza ciò che era stato il patrimonio di Life: il racconto per immagini.
Life con i suoi contenuti editoriali, ma soprattutto grazie al suo contenuto iconografico, contribuì a creare una identità e una cultura nazionale americana, dagli anni della grande depressione alla guerra del Vietnam, identità che poi venne esportata a livello internazionale.

La dimensione del fenomeno delle grandi riviste illustrate richiese alla agenzie fotografiche nuovi modelli. Robert Capa, David Seymour, Henri Cartier-Bresson e George Rodger, tutti con una notevole esperienza “sul campo”, diedero vita a Magnum. Il progetto si basava sulla tutela del lavoro del fotografo. Attraverso la formula della cooperativa, i fotografi diventavano proprietari del loro lavoro, prendevano decisioni collettivamente, proponevano autonomamente alle testate i propri lavori e rimanevano proprietari dei negativi, garantendo così un pieno controllo sulla corretta diffusione delle proprie immagini.

Magnum mise assieme le migliori capacità ed esperienze del mondo della fotografia, ma senza sottostare alle richieste dei committenti.

La mostra si focalizza proprio sul rapporto fra queste due entità, per analizzare come importanti reportage riferiti ad eventi importanti del XX secolo, e realizzati da grandi maestri della fotografia membri di Magnum, vennero trasferiti all’interno delle pagine di Life.

Due figure importanti che rivestirono un ruolo importante in questo rapporto furono Robert Capa e John Godfrey Morris. Il primo, ideatore e co-fondatore della Magnum nel 1947 e Morris, uno dei più grandi photo editor del Ventesimo secolo, responsabile dell’ufficio londinese di LIFE durante la Seconda guerra mondiale e dopo il conflitto, redattore esecutivo della storica agenzia Magnum.

La mostra, curata da Marco Minuz, è pertanto un viaggio all’interno di nove reportage fotografici realizzati da grandi maestri che vennero editati dalla rivista americana ed ebbero grande diffusione, ma al contempo grande impatto sull’opinione pubblica.

La mostra prende avvio dal lavoro di Philippe Halsman, che su Life pubblicò centinaia di fotografie e decine di copertine. Ritratti come quelli di Marylin Monroe, Salvator Dalì o Mohamed Ali.

Seguono due reportage storici di Werner Bischof, il primo dedicato alla grande carestia del Bihar in India nel 1951 e il successivo alla Corea realizzato nel 1952. In entrambi, impegno e sensibilità sociale vengono trasmessi con un senso estetico notevole.

Un altro reportage entrato nella storia è quello di Dennis Stock su James Dean. Sono fotografie di grande intimità che svelano la personalità del divo del cinema, poco prima della sua tragica scomparsa.

Per promuovere “Misfits” (“Gli spostati”), celebre pellicola di John Huston, sceneggiata da Arthur Miller e protagonisti come Marylin Monroe, Clark Gable e Montgomery Clift, a Magnum venne data l’esclusiva di seguire le fasi realizzative. Per questo Magnum schiera sul set nove suoi membri: Eve Arnold, Cornell Capa, Henri Cartier-Bresson, Bruce Davidson, Elliot Erwitt, Ernst Haas, Erich Hartmann, Inge Morath e Dennis Stock. Le loro immagini ci portano dentro la macchina del grande cinema americano degli anni ’60.

Duro e drammatico il racconto che Bruno Barbey offre della guerra del Vietnam e di ciò che vi accadde oltre e all’interno del fronte. Queste immagini furono tra le ultime ad essere pubblicate su Life, poco prima della sua chiusura.
Accanto a un persocorso cronologico, la mostra propone una serie di emozionanti “stanze” monografiche. A cominciare dalle immagini che Henri Cartier-Bresson nel 1954 trasse dal suo lungo viaggio dentro l’URSS.

Poi Robert Capa, di cui vengono proposti i tre storici reportage, quello sulla guerra civile spagnola, le cui immagini sono icone della storia della fotografia, così come lo sono le successive immagini dello sbarco in Normandia, unica testimonianza diretta di quella epica impresa; e infine la Guerra di Indocina dove egli trovò la morte.

Accanto alle immagini, la mostra espone le edizioni originali di LIFE e spezzoni video che permetteranno di contestualizzare i reportage.

“LIFE – MAGNUM, attraverso la forza comunicativa delle immagini che riunisce – afferma il curatore Marco Minuz – conduce a riflettere sulla fotografia e sulle sue implicazioni, sul rapporto con la carta stampata, sulle trasformazioni tecnologiche avvenute nel mondo della comunicazione e sulla forza che questi reportage ebbero nella nostra coscienza civile”.

Elliot Erwitt

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L’eccezionale carriera del fotografo Elliott Erwitt offre l’opportunità di ripercorrere buona parte del Novecento, grazie alle sue fotografie divenute vere e proprie icone: l’America degli anni Cinquanta, lo star system hollywoodiano degli anni Sessanta, le illustrazioni, la pubblicità e i film degli anni Settanta e Ottanta, sino ai più recenti progetti di fotografia di moda degli anni Duemila.

 Invitato da Robert Capa a far parte della Magnum Photos nel 1953, Erwitt è riconosciuto oggi come uno dei fotografi più importanti del Novecento: il suo sguardo da narratore ha saputo cogliere i lati più ironici e surreali della vita anche nelle circostanze più drammatiche.

 Per la mostra a Palazzo Ducale, inedita in Italia, Erwitt ha selezionato personalmente le immagini traendole da due suoi grandi progetti: Kolor, che attraversa tutta la sua produzione a colori, e The Art of André S. Solidor, in cui confluiscono immagini di esilarante e sottile presa in giro del mondo dell’arte contemporanea, con i suoi controsensi e assurdità.

11 febbraio – 16 luglio 2017 – Genova – Palazzo Ducale

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L’Italia di Magnum. Da Henri Cartier-Bresson a Paolo Pellegrin

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CAMERA inaugura, il prossimo 3 marzo, la mostra L’Italia di Magnum. Da Henri Cartier-Bresson a Paolo Pellegrin, un omaggio a Magnum Photos, la più storica e autorevole agenzia fotografica del mondo – e partner istituzionale di Camera – in occasione del 70° anniversario dalla sua fondazione.

La mostra si compone di oltre duecento immagini che raccontano, con un linguaggio tra fotogiornalismo e arte, gli eventi, i personaggi e i luoghi dell’Italia dal dopoguerra a oggi, in un affascinante intreccio di fotografie iconiche e di altre meno note. Attraverso lo sguardo di venti fra i più grandi maestri della fotografia internazionale, la mostra si articola in un percorso cronologico, organizzato per decenni.

A cura di Walter Guadagnini con Arianna Visani

3 marzo – 21 maggio 2017

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Lisette Model

14 Febbraio 2017 – 24 Marzo 2017 – MC2gallery – Milano

Non solo artista ma anche insegnante e fonte d’ispirazione per una vasta generazione di giovani fotografi, tra i quali Diane Arbus. Tra le sue serie di ritratti, la sorprendente “Promenade des Anglais”, ambientata nella strada che percorre il lungomare di Nizza, fu realizzata nel 1934 e si impone per lo stile unico e diretto, attento alla posizione del corpo e ai gesti rivelatori di un preciso status sociale. Si tratta spesso di ritratti della classe locale agiata, ritratti che caratterizzeranno lo stile inconfondibile di Lisette:primi piani spassionati,esposizioni di vanità,insicurezza e solitudine,ottenuti allargando e tagliando i negativi in camera oscura. Dopo il periodo francese, fu la Grande Mela a ispirarla.Qui realizzerà alcune delle sue serie più famose,in primis “Reflections”. Gli scatti catturano la multi-dimensionalità della città, riflessa nelle vetrine dei negozi, spesso lungo la Fifth-Avenue.Lisette passa molto del suo tempo anche nei semplici caffè della Lower East Side dove elabora la serie che potremmo definire più libera, “Running Legs”,nella quale fornisce una straordinaria visione della città,catturandone il ritmo freneticamente “malato”. Lavora con neri profondi, senza mai rinunciare ai dettagli e sviluppando un realismo intransigente, mai compiacente. Si sofferma sulle rughe di una donna truccata sotto il suo cappellino, su delle mani deformate e piene di anelli o sulla fragilità di un corpo che si rivela sotto l’apparenza del vestito. Lisette Model si è guadagnata un ruolo di spicco nella cosiddetta Street Photo della scena newyorchese degli anni ’40. Ha inaugurato uno stile fotografico immediato e spontaneo, volto a immortalare una realtà in perenne mutamento, realizzando una galleria di ritratti grotteschi ma carichi di umanità. << I just picked up a camera without any kind of ambition to be good or bad. And especially without any ambition to make a living… My whole freedom working in photography comes because I say to myself, “Let’s see what is going on in this world. Let’s find out. How do these people look?”>> L.Model

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FRANCESCO CITO E LA FOTOGRAFIA DI REPORTAGE

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Inaugura giovedì 23 febbraio 2017 una intensa mostra fotografica dedicata alla Fotografia di Reportage che ha come autore – ospite d’onore Francesco Cito. Torna la fotografia d’autore nella Casa Museo Spazio Tadini con una personale di Francesco Cito. La mostra è una selezione di scatti tratti dai suoi principali reportage di guerra – Palestina, Afghanistan, Arabia Saudita -. “La volontà di questo percorso – spiega la curatrice, Federicapaola Capecchi – è quella di provare ad avvicinarci, fotografia per fotografia, a quanto Francesco Cito ci ha regalato durante un’intervista/incontro pubblico a Spazio Tadini, e cioè il senso della vicinanza e della necessità di entrare dentro la storia per raccontarla. Che per Francesco Cito è anche una vicinanza fisica effettiva: quando scatti con un 18 mm sei fisicamente dentro a quanto sta accadendo. Così la nervatura del percorso delle fotografie esposte si muove attraverso la sua caratteristica di entrare dentro la storia percorrendo le tappe della fatica, della pazienza, dell’osservazione e attraverso la sua capacità di ascoltare, vedere e capire. Con il suo rigore visivo, la sua capacità di andare diretto nella profondità e nell’essenza del fatto, la sua maestria narrativa e di racconto”.

La mostra di Francesco Cito si accompagna alla selezione di 8 fotografi di reportage individuati per stile, impronta e ricerca. Hermes Mereghetti, Simone Margelli, Andrea Brera, Luca Monelli, Gianluca Micheletti, Massimo Allegro, Virginia Bettoja, Stefania Villani presentano 8 scatti del reportage per cui sono stati selezionati completando il percorso della fotografia di reportage proposto nella Casa Museo: dalla tematica di guerra di Cito si passa al reportage sociale, antropologico, documentaristico e alla street photography.

Hermes Mereghetti espone Bollate, un intenso viaggio nel ritratto psicologico all’interno del Carcere di Bollate; Simone Margelli presenta Take Refuge, reportage all’interno dei centri di accoglienza raccontando uomini in cerca di speranza; Andrea Brera porta Scampia dentro Le Vele, reportage fotografico nel cuore di Scampia, nelle viscere delle “vele”, un luogo surreale, regno di un’entità vorace che pare avere sorbito tutto da ogni cosa, lasciando solo ossa e brandelli; Luca Monelli è presente con due lavori, 4:03 9:00 racconto del disastro causato dal terremoto a San Felice sul Panaro e Street Light dove il “terreno di caccia” sono le grandi città, situazioni, sfondi, luce particolare e la “preda” che vi finisce dentro. Gianluca Micheletti con Sandland Sharm El-Sheikh, il racconto di cos’è Sharm El-Sheikh al di fuori dei percorsi turistici, dove regnano un mondo e paesaggi post apocalittici fatti di rifiuti, disordine e carcasse che sembrano attendere una seconda vita; Massimo Allegro espone Kumbh Mela, reportage sulla festa religiosa che si tiene ogni anno fra gennaio e febbraio a Allahabad, sulle rive del Gange; Virginia Bettoja propone Estetica del Garage, una bella indagine sui luoghi non importanti, trascurati, di transito e non espressamente considerati interessanti o possibilmente belli; Stefania Villani presenta In cerca di identità, singoli ritratti alla ricerca del sé, anche quando si è di spalle.

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Nan Goldin: The Ballad of Sexual Dependency

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Through April 16 – The Museum of Modern Art

Comprising almost 700 snapshot-like portraits sequenced against an evocative music soundtrack, Nan Goldin’s The Ballad of Sexual Dependency is a deeply personal narrative, formed out of the artist’s own experiences around Boston, New York, Berlin, and elsewhere in the late 1970s, 1980s, and beyond. Titled after a song in Bertolt Brecht and Kurt Weill’s The Threepenny Opera, Goldin’s Ballad is itself a kind of downtown opera; its protagonists—including the artist herself—are captured in intimate moments of love and loss. They experience ecstasy and pain through sex and drug use; they revel at dance clubs and bond with their children at home; and they suffer from domestic violence and the ravages of AIDS. “The Ballad of Sexual Dependency is the diary I let people read,” Goldin wrote. “The diary is my form of control over my life. It allows me to obsessively record every detail. It enables me to remember.” The Ballad developed through multiple improvised live performances, for which Goldin ran through the slides by hand and friends helped prepare the soundtrack—from Maria Callas to The Velvet Underground—for an audience not unlike the subjects of the pictures. The Ballad is presented in its original 35mm format, along with photographs from the Museum’s collection that also appear as images in the slide show. Introducing the installation is a selection of materials from the artist’s archive, including posters and flyers announcing early iterations of The Ballad. Live performances will periodically accompany The Ballad during the course of the Museum’s presentation; performance details will be announced during the course of the exhibition presentation.

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Real American Places: Edward Weston and Leaves of Grass

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The Huntington Library – San Marino, CA – Oct 22, 2016 – Mar 20, 2017

A new exhibition opening this fall considers a rich dialogue between two iconic figures in American culture: the renowned photographer Edward Weston (1886–1958) and poet Walt Whitman (1819–1892). The 25 photographs included in the exhibition illuminate an understudied chapter of Weston’s career. In 1941, the Limited Editions Book Club approached Weston to collaborate on a deluxe edition of Whitman’s poetry collection, Leaves of Grass. The publisher’s ambitious plan was to capture “the real American faces and the real American places” that defined Whitman’s epic work. Weston eagerly accepted the assignment and set out with his wife, Charis Wilson, on a cross-country trip that yielded a group of images that mark the culmination of an extraordinarily creative period in his career. While Weston believed the photographs to be some of his best (he donated 90 pictures from the series to The Huntington in 1944, along with hundreds of other images), the resulting Limited Editions publication proved a failure on many fronts. As a result, the photographs from the Leaves of Grass project have been relegated to footnote status in Weston’s oeuvre. “Real American Places” seeks to give this unjustly overlooked body of work its due. In addition to selections from the series, the exhibition will include a number of original Whitman items from the Library’s holdings, allowing visitors to explore the creative response of one giant of American culture in conversation with another.

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Herbert List: The Magical in Passing

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In an exhibition comprising 120 works, new light is shed on the elusive oeuvre of German photographer Herbert List, and aims to explain why it is so hard to categorize his work. Over the course of his career, List would work in almost every genre that photography has to offer: architecture, still life, street-photography, portraiture, documentation and cataloguing. Yet he also blurred the demarcation between those fields: architectural shots seem like composed still lifes or surreal compositions. Documentation of Greek sculptures or African artefacts borders on portraiture; and when capturing the classical beauty of the male physique, one does not quite know if we look at painstakingly composed arrangements or a private photo-diary, shot spontaneously from the hip.

12.02. – 23.04.2017 – Kunst- und Kulturzentrum – Monschau (D)

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Più di 50 anni di magnifici fallimenti – Oliviero Toscani

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16 Feb / 28 Apr 2017 – Whitelight Art Gallery – Milano

Un’esposizione che mette in scena la potenza creativa e la carriera del fotografo, attraverso le sue immagini più note che hanno fatto discutere il mondo su temi come il razzismo, la pena di morte, l’AIDS e la guerra. Tra i lavori in mostra il famoso Bacio tra prete e suora del 1991, i Tre Cuori White/Black/Yellow del 1996, No-Anorexia del 2007 e decine di altri.

In mostra anche i lavori realizzati per il mondo della moda, che Oliviero Toscani ha contribuito a cambiare radicalmente, dalle celebri fotografie di Donna Jordan fino a quelle di Monica Bellucci, oltre ai ritratti di Mick Jagger, Lou Reed, Carmelo Bene, Federico Fellini e i più grandi protagonisti della cultura dagli anni ’70 in poi.

Un’altra opportunità arriva insieme all’esposizione: per un solo giorno e per un numero limitato di 40 persone, sarà possibile diventare i soggetti di una fotografia di Oliviero Toscani.
Il giorno 15 Febbraio dalle 14 alle 22 infatti, presso Whitelight Art Gallery, sarà possibile acquistare il proprio ritratto realizzato dall’artista. Verrà allestito negli spazi della galleria set fotografico, per uno speciale shooting firmato da Oliviero Toscani.
L’immagine, firmata ed autenticata , sarà consegnata sia in cartaceo, sia in digitale, e con essa verranno ceduti i diritti ad uso esclusivamente personale.

Questo set rientra nel progetto Razza Umana, che Oliviero Toscani da anni porta avanti realizzando ritratti nelle strade e nelle piazze del Mondo. «RAZZA UMANA è frutto di un soggetto collettivo – ha scritto il critico Achille Bonito Oliva – lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze».

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Wildlife Photographer of the Year

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Da sabato 4 febbraio 2017, in mostra le immagini premiate alla 52esima edizione della mostra Wildlife Photographer of the Year promossa dal Natural History Museum di Londra. L’anteprima esclusiva per l’Italia è solo al Forte di Bard e resterà aperta al pubblico sino al 4 giugno.

Il pubblico potrà ammirare un’emozionante gallery che ripercorre gli scatti più spettacolari realizzati nel 2016: 100 immagini che testimoniano il lato più affascinante del mondo animale e vegetale, spaziando da sorprendenti ritrattirubati ai più sublimi paesaggi del nostro pianeta.

Vincitore assoluto, il fotografo americano Tim Laman con lo scatto “Vite intrecciate”: la fotografia immortala un orangotango del Borneo che si arrampica sul tronco di un albero, come una fuga simbolica dalla distruzione della foresta pluviale indonesiana, suo habitat naturale. Ha invece 16 anni l’autore del miglior scatto per la categoria giovani: dalla Gran Bretagna, Gideon Knight ha catturato la silhouette di un corvo e del sicomoro su cui riposa, poetiche figure nere che si stagliano contro il profondo blu e la luna di un magico cielo notturno.

Molti nomi italiani tra gli autori degli scatti esposti, tra i quali i finalisti Walter Bassi, con “Verme ipnotico” (categoria Invertebrati), Hugo Wassermann con “Ritiro alpino” (Ambiente Urbano), Fortunato Gatto con “Dopo la tempesta” (categoria Terra), Stefano Baglioni con “Piccola Stella” (categoria Piante e funghi) e Nicola Di Sario con “Luce degli occhi” (categoria Bianco e nero). Vincitori invece, rispettivamente per le categorie Rettili, anfibi e pesci, Piante e funghi e Sul territorio i tre reporter naturalistici Marco Colombo, con “Piccolo Tesoro”, Valter Binotto con “La composizione del vento” e Stefano Unterhiner con “Spirito delle montagne”.

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Brescia Photo Festival

Il 7 marzo inaugurerà la prima edizione del Brescia Photo Festival.

Il festival prevede due sedi principali, il Museo di Santa Giulia e il MA.CO, dove saranno radunate le principali esposizioni.
Un ruolo importante avrà anche il “FUORI FESTIVAL” con un ricco programma – presto online – di mostre nelle gallerie e in altri spazi privati della città, mentre al Cinema Eden sarà proietto un ciclo di film documentari con le biografie dei grandi fotografi.

“People”, il tema di questa prima edizione, permetterà un focus sulla rappresentazione della comunità umana in ogni sua forma e in un momento di particolare complessità come quello che stiamo vivendo. Dato il tema, grande spazio sarà dedicato al fotogiornalismo.

Ma a connotare l’edizione 2017 sarà anche la concomitanza con un anniversario di rilievo nella storia della fotografia. Il riferimento è ai 70 anni della agenzia internazionale di fotogiornalismo Magnum Photo, che vede al suo interno alcuni tra i più grandi fotografi del mondo.  Brescia Photo Festival sarà uno dei luoghi ufficiali per la celebrazione dell’anniversario in Italia, un evento internazionale di forte valenza culturale che coinvolgerà, oltre al Museo di Santa Giulia a Brescia, Camera – Centro Italiano della Fotografia di Torino e il Museo del Violino di Cremona.
I 70 anni di Magnum saranno ricordati con tre diverse mostre, oltre che con incontri, proiezioni ed eventi.

La durata di questi tre grandi eventi Magnum traguarderà le date del Festival. Resteranno infatti aperti, in Santa Giulia e presso la sede della Camera di Commercio, sino al 3 settembre.
Si tratta di tre mostre che a pieno titolo meritano l’appellativo di evento.

“Magnum First”, al Santa Giulia e sino al 3 settembre, ripropone, per la prima in Italia, le 83 stampe vintage in bianco e nero di Henri Cartier-Bresson, Marc Riboud, Inge Morath, Jean Marquis, Werner Bischof, Ernst Haas, Robert Capa e Erich Lessing accompagnate da alcuni scritti degli autori. Questa mostra è stata fortunosamente ritrovata nel 2006, ancora chiusa nelle sue casse, dopo essere stata dimenticata in una cantina di Innsbruck nel lontano 1956. Ora quell’autentico tesoro, restaurato, riemerge a Brescia per la gioia del pubblico.

“Magnum. La première fois” – stessa sede e medesime date – presenta i servizi che hanno reso celebri 20 grandissimi fotografi Magnum, con proiezioni e stampe originali. Curata da François Hébel, è stata presentata una sola volta al Festival di Arles nel 2012 dove ha ottenuto un grande successo.

Infine, presso la sede della Camera di Commercio di Brescia, sarà possibile ammirare per la prima volte le proiezioni di Brescia Photos, i tre reportage proprio su Brescia ed il suo territorio realizzati nel 2003 da tre celeberrimi reporter Magnum: Harry Gruyaert, Alex Majoli e Chris Steele-Perkins.

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Trilogia del Silenzio
Capitolo I: Jason Shulman • Fast Forward

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28/01/2017 – 25/03/2017 – White Noise Gallery – Roma

Artista di fama internazionale, per la prima volta in Italia dopo diverse collaborazioni con artisti del calibro di Marc Quinn.

Shulman parte dal cinema, mezzo che più di tutti è in grado di simulare la vita. Ogni pellicola da 90 minuti è composta da circa 130mila frame, ciascuno di essi è un tassello del codice genetico della storia. Shulman li comprime in una sola immagine, attraverso lunghissime esposizioni fotografiche. Le scene quindi si sovrappongono le une alle altre, l’audio sparisce, il movimento viene condensato, la consequenzialità logica perde di significato in favore di un’impressione del tutto emotiva. La figura è a volte maggiormente riconoscibile, in altre si perde all’interno di macchie di colore effimere e senza nome. Esteticamente assimilabili ad una trasposizione fotografica delle opere di Gerhard Richter, si tratta di un processo di sintesi per addizione, in cui per comprendere il tutto bisogna rinunciare al dettaglio.

In mostra troverete la malinconia di Pasolini e le atmosfere di Dario Argento, l’America di Sergio Leone e l’Italia di Fellini, Visconti e Sorrentino.

• Trilogia del Silenzio

Ovunque ci sia materia esiste il suono, il silenzio è quindi un mero tentativo.
Esattamente come accade con il vuoto – altro fenomeno esistente solo in teoria – si trasforma nella rappresentazione più fedele del suo opposto.
Negare il suono è negare lo spazio che lo contiene, l’aria attraverso la quale si propaga, è rinunciare alla presenza umana.
E’ una bolla claustrofobica in cui niente accade, in nessun tempo.
Eppure, l’impossibilità fisica di creare l’assenza genera da sempre una fascinazione irrisolta.

Robert Rauschenberg lo ha reso visibile nei White paintings, opere monocromatiche nelle quali il bianco deflagra sulla superficie. La costruzione modulare di cui si serviva rendeva ciascuna tela il capitolo di una narrazione muta e densa, sconvolgendo il concetto stesso di cosa potesse dirsi vuoto o pieno, puro o contaminato, portando la massima astrazione filosofica nelle tre dimensioni spaziali.

Fortemente influenzato dalla ricerca del pittore statunitense, il compositore John Cage ha reso il silenzio – corrispettivo sonoro del bianco – il suo principale territorio di indagine.
Trova il suo apice in 4’33’’, brano controverso al limite dell’atto performativo, privo di suoni ad eccezione dei rumori di fondo dell’uditorio variabili di volta in volta, come una manifestazione impercettibile e ostinata della vita.

Seguendo il medesimo solco, la Trilogia del Silenzio racconta l’umanità attraverso la sua assenza.
Tre artisti, tre mostre, tre linguaggi differenti in cui gli individui sono descritti solo grazie alle tracce reali o distopiche che hanno scelto di lasciare: ombre, architetture, interni, diventano l’espressione più cruda, reale e poetica di loro stessi.
Opere immerse in una forza gravitazionale che è solo interiore, in cui suono, tempo e spazio vengono destrutturati per essere ricordati o smentiti, talvolta riscritti.
Come fosse un videotape lungo una stagione, il progetto verrà scandito dai comandi Fast Forward, Stand-By e Rewind, estremamente significativi dei lavori proposti, ed uniche condizioni in cui il suono esiste ma non può essere percepito.

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USA28  – MICHELE ABRIOLA

 

[…] Si tratta di un reportage umanistico. Un intero percorso attraverso gli Stati Uniti d’America di oggi. […] Pellicola. In bianco e nero e a colori. Una macchina e un obbiettivo 28 mm, un grandangolo medio, non esasperato, per restituire a noi l’intero contesto spazio-temporale privo di deformazioni, affinché si sappia realmente, affinché si conosca la verità degli accadimenti. Anche Robert Frank, il primo ad aver dato profondo e ampio respiro editoriale alla fotografia di strada con il suo infinito viaggio per l’America, era mosso dagli stessi intenti. Povertà di strumenti e ricchezza culturale insieme. Ricchezza storica e ricchezza nostra, sostanziata dalla conoscenza di quei luoghi lontani. È una specie di viaggio dantesco attraverso la declinazione di tutte le umanità presenti. E assenti. Perché nelle fotografie di Robert Frank, così come in quelle di Michele Abriola, si percepisce sempre e comunque la presenza di uomini, bambini, donne, anche quando sono fisicamente assenti. La fotografia di Michele Abriola ci stupisce e ci inquieta anche per un altro motivo: l’uso del colore, da una parte, e quello del bianco e nero, dall’altra. Anche chi non ha mai scattato una foto capisce la differenza. Eppure, è come se l’autore si prendesse gioco di questa specie di “sapere comune”. Perché le foto in bianco e nero sembrano aprirsi sul colore, o meglio: attraverso i volti, gli atteggiamenti e le espressioni degli esseri colti nella foto, la nostra immaginazione è spinta a vedere del colore. […] il bianco e nero è la negazione del colore, non il colore edulcorato. Bene, in queste fotografie è come se il bianco e nero immaginasse il colore, come se il colore si umiliasse degradandosi a bianco e nero. Immaginazione, umiliazione, degrado non sarebbero, qui, caratteristiche negative, ma rappresentazioni fedeli della situazione dell’essere umano.
Michele Abriola è simile a un esploratore che sia finito tra esseri mai visti, alieni o mostri. Eppure il suo è uno sguardo d’amore, dell’amante che canta la bellezza dell’amato. L’esploratore si è innamorato dei suoi alieni, dei suoi mostri. (Mònstrum, dal latino: prodigio, cosa straordinaria, contro natura). Erano gli anni di Cartier-Bresson. Chiamiamolo pure “Maestro” (gli invidiosi accetterranno). Dunque, un notissimo fotografo, amico del Maestro, gli sottopose il suo ultimo lavoro. Bresson disse: “E le persone?”. Quelle immagini erano prive della gente e conseguentemente della vitalità umana. Non c’erano persone. Soltanto muri, strade, macchine, palazzi. Erano fotografie vuote. Per Henry Cartier-Bresson l’uomo era l’elemento dominante e significante di ogni immagine. Annullarne la presenza comportava l’annichilimento del senso fotografico. Se Michele Abriola avesse mostrato il suo reportage all’illuminato fotografo francese avrebbe senza alcun dubbio riscosso la sua approvazione. E il Maestro sarebbe stato felice, consapevole di aver insegnato davvero bene. […]

Orvieto – Palazzo Coelli dal 10 al 28 marzo

Rafael Y. Herman – The Night Illuminates The Night

Dal 25 gennaio al 26 marzo 2017 il MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma ospita la mostra personale di Rafael Y. Herman dal titolo The Night Illuminates The Night, curata da Giorgia Calò e Stefano Rabolli Pansera, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, e patrocinata da: Ambasciata d’Israele in Italia–Ufficio Culturale, IIFCA–Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti, AMATA–Amici del Tel Aviv Museum of Art e Cité Internationale des Arts de Paris.

La mostra, nella sede di MACRO Testaccio, si presenta come una grande installazione ambientale in cui dallo spazio buio emergono le opere che si rivelano come epifanie. Nella dialettica fra tenebre e luce, infatti, si sviluppa la poetica di Rafael Y. Herman il cui sguardo rivela un nuovo approccio alla realtà che nasce e si struttura nell’oscurità.

The Night Illuminates The Night si concentra sul lavoro cominciato nel 2010 e completato nel 2016. In questo periodo l’artista ha stabilito un dialogo con i grandi maestri della tradizione occidentale che hanno rappresentato nel corso dei secoli la Terra Santa, pur nonavendola mai visitata, ma ispirandosi alle fonti bibliche e letterarie. Rafael Y. Hermanripercorre questa tradizione con il proprio metodo: lo scatto notturno senza ausili elettronici e manipolazioni digitali, che svela ciò che non si vede a occhio nudo. Come i grandi maestri del passato, anche Herman si è voluto porre nella condizione di non poter vedere il paesaggio, pur trattandosi dei luoghi dove è nato e cresciuto, operando nell’oscurità della notte. In questa condizione di voluta cecità l’artista accede alla realtà in un modo nuovo, mediante lo scatto fotografico notturno e mediante lo sviluppo della pellicola nell’oscurità del laboratorio.

Rafael Y. Herman produce così una realtà “ricreata”, decontaminata da qualunque preconcetto soggettivo, offrendo allo spettatore paesaggi che esistono solo nelle opere stesse. L’artista sviluppa la propria ricerca notturna attraverso la scoperta di tre diversi ambienti: la Foresta della Galilea, i campi dei Monti della Giudea e il Mar Mediterraneo. Le sue immagini ci invitano a riflettere sull’invisibile o, come l’artista usa definirlo, il “non visto”;  sulla differenza che si dischiude fra ciò che è reale e ciò che invece è solo percepito. Il risultato è straordinario nella cromia innaturale, e nelle forme evanescenti che sembrano emergere da un luogo e un tempo altro dove i colori non sono reali, il tempo sembra essere dilatato e le immagini appaiono oscure. O forse abbaglianti.

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Pirelli in 100 immagini. La bellezza, l’innovazione, la produzione

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Dal 18 gennaio 2017 al primo maggio 2017, la Biblioteca Archimede di Settimo Torinese ospita la mostra “Pirelli in cento immagini. La bellezza, l’innovazione, la produzione”. L’esposizione – curata dalla Fondazione Pirelli – è promossa e organizzata dal Comune di Settimo Torinese con il contributo di Pirelli e della Fondazione ECM (Esperienze di Cultura Metropolitana) e ha ricevuto il patrocinio della Regione Piemonte, oltre che della Città Metropolitana di Torino.

Il  percorso allestitivo racconta anche attraverso i materiali dell’Archivio Storico conservati in Fondazione Pirelli, gli oltre 140 anni di storia dell’azienda attraverso i molti aspetti del suo mondo: dalle persone che vi lavorano alla fabbrica e alla tecnologia, dalla ricerca alla nascita dei prodotti, dal rapporto con l’arte alle forme più innovative di comunicazione, dal mondo delle corse al celebre Calendario. Fino alla presentazione al pubblico della prima delle immagini scattate all’interno del Polo industriale Pirelli di Settimo Torinese dal grande fotografo tedesco Peter Lindbergh, autore del Calendario Pirelli 2017, destinate alla realizzazione di un nuovo progetto.

La mostra si sviluppa attraverso 6 sezioni. “Una P lunga oltre 140 anni” percorre la storia aziendale con le immagini delle sue fabbriche e dei suoi prodotti: dal primo stabilimento alla periferia di Milano alle prime esposizioni internazionali, dai cataloghi illustrati alle copertine della rivista “Pirelli”; “La fabbrica degli artisti” presenta alcune delle innumerevoli occasioni in cui pittori e fotografi affermati hanno usato la propria arte per raccontare il mondo delle fabbriche e della produzione; “Si va che è un incanto” documenta le sfide che quotidianamente, fin dal 1907, Pirelli affronta nel mondo delle corse; “Una Musa tra le ruote”  ricostruisce il rapporto tra Pirelli e il mondo dell’arte, che risale fin agli inizi della sua storia, dalle prime campagne pubblicitarie d’artista alle illustrazioni; “Elogio della Bellezza” è un racconto delle icone femminili che accompagna il visitatore all’ultima sezione dedicata al mondo del Calendario Pirelli, dal 1964 a oggi affidato ai più grandi nomi del mondo della fotografia. Ultimo tra questi il grande maestro tedesco Peter Lindbergh, che proprio a Settimo, nell’ambito del progetto che ha portato alla creazione del Calendario Pirelli 2017, ha scattato una serie di scatti all’interno della fabbrica così suggestivi e potenti da essere stati destinati alla realizzazione di un progetto autonomo sul mondo della fabbrica di cui la mostra “Pirelli in cento immagini. La bellezza, l’innovazione, la produzione” presenta al pubblico la prima immagine in anteprima.

La mostra “Pirelli in cento immagini. La bellezza, l’innovazione, la produzione” testimonia ancora una volta il ruolo attribuito da Settimo Torinese alla cultura come motore di sviluppo, di coesione sociale, di integrazione, oltre a ribadire il legame esistente tra i luoghi della cultura e i luoghi del lavoro. Per Pirelli, in particolare, l’esposizione segue le iniziative già organizzate o sostenute sul territorio di Settimo dall’azienda e dalla Fondazione Pirelli.

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ARTICO. ULTIMA FRONTIERA

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15.01.2017>02.04.2017  – VENEZIA / TRE OCI

La difesa di uno degli ultimi ambienti naturali non ancora sfruttati dall’uomo, il pericolo imminente del riscaldamento globale, la sensibilizzazione verso i temi della sostenibilità ambientale e del cambiamento climatico, la dialettica tra natura e civiltà.
Sono questi gli argomenti attorno cui ruota la mostra Artico. Ultima frontiera in programma dal 15 gennaio al 2 aprile 2017 alla Casa dei Tre Oci di Venezia.
L’esposizione, curata da Denis Curti, presenta 120 immagini, rigorosamente in bianco e nero, di tre maestri della fotografia di reportage, quali Paolo Solari Bozzi (Roma, 1957), Ragnar Axelsson (Kopavogur, Islanda, 1958) e Carsten Egevang (Taastrup, Danimarca, 1969).
La rassegna è un’indagine approfondita, attraverso tre angolazioni diverse, di un’ampia regione del pianeta che comprende la Groenlandia, la Siberia, l’Alaska, l’Islanda, e della vita della popolazione Inuit, di soli 150.000 individui, costretti a gestire, nella loro esistenza quotidiana, la difficoltà di un ambiente ostile.
“In queste immagini – afferma Denis Curti, direttore artistico dei Tre Oci – l’imminenza del riscaldamento globale si fa urgenza, mentre si apre un confronto doloroso in cui l’uomo e le sue opere vengono inghiottiti dall’immensa potenza della natura. Bellezza e avversità sono i concetti su cui la Casa dei Tre Oci fonda questo progetto, con una mostra che intende riportare l’attenzione sui paesaggi naturali e le tematiche ambientali dei nostri giorni”.
La lotta con le difficoltà dell’ambiente, il passaggio, lento ma inesorabile, dallo stile di vita di una cultura millenaria a quella della civilizzazione contemporanea, cui si aggiunge il drammatico scenario del cambiamento climatico, figlio del surriscaldamento ambientale, sono i punti su cui s’incentrano le esplorazioni dei tre fotografi.
Per questo appuntamento alla Casa dei Tre Oci, Paolo Solari Bozzi presenta il progetto inedito, frutto del suo viaggio, tra febbraio e aprile di quest’anno, sulla costa orientale della Groenlandia, nel quale ha visitato numerosi villaggi, riportando la quotidianità di una popolazione che ha scelto di vivere in un ambiente difficile.
Il reportage di Paolo Solari Bozzi sarà pubblicato nel volume, in edizione inglese e italiana, Greenland Into White (Electa Mondadori).

Proprio le popolazioni Inuit sono al centro della ricerca di Ragnar Axelsson che, fin dai primi anni ottanta, ha viaggiato nelle ultime propaggini del mondo abitato per documentare e condividere le vite dei cacciatori nell’estremo nord del Canada e della Groenlandia, degli agricoltori e dei pescatori della regione dell’Atlantico del nord e degli indigeni della Scandinavia del nord e della Siberia.
Ragnar Axelsson racconta di villaggi ormai scomparsi, di intere comunità ridotte a due soli anziani che resistono in una grande casa scaldando una sola stanza; racconta di mestieri che nessuno fa più e di uomini che lottano per la sopravvivenza quotidiana. Ma dalle stampe di Axelsson emerge soprattutto l’umanità che ha incontrato sulle lunghe piste delle regioni artiche.
Dal canto suo, Carsten Egevang, partendo da una formazione accademica in biologia, che lo ha portato dal 2002 al 2008 a vivere in Groenlandia e a studiare la fauna ovipara della regione artica, ha saputo documentare con la sua macchina fotografica la natura selvaggia e la tradizionale vita delle popolazioni Inuit.
Accanto alle potenti immagini di una natura infranta e al contempo affascinante, tre documentari arricchiscono la narrazione delle regioni del Nord: SILA and the Gatekeepers of the Arctic, realizzato dalla regista e fotografa svizzera Corina Gamma; Chasing Ice, diretto dal giovane film-maker americano, Jeff Orlowski; The Last Ice Hunters, un documentario dei registi della Repubblica Ceca Jure Breceljnik & Rožle Bregar.

Sono previsti eventi e attività collaterali. S’inizia domenica 15 gennaio, dalle 10 alle 17, con il workshop che vedrà protagonisti Paolo Solari Bozzi, Ragnar Axelsson, Carsten Egevang e Denis Curti, direttore artistico dei Tre Oci e curatore della mostra.
Al termine del workshop e della visita all’esposizione, si svolgerà la lettura portfolio dei partecipanti (è prevista una quota d’iscrizione; la prenotazione è obbligatoria, mandando un’email a info@treoci.org).
Nel corso dell’esposizione, inoltre, la Casa dei Tre Oci avvierà un ricco progetto di didattica in collaborazione con Pleiadi, realtà che si occupa di educational da diversi anni.

Chiuderà la rassegna un’asta delle fotografie in mostra.

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Sulla strada – Giorgio Cottini

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“Firenze, Milano, Barcellona, Livorno, Londra, Lisbona, Napoli, Arcore, Desio …In ognuno di questi luoghi ho lasciato un frammento di cuore ed in cambio ho trattenuto emozioni e brandelli della loro anima. Barcellona mi ha donato il venditore di poesie lungo la Rambla; Lisbona la coppia di innamorati durante la pausa pranzo alla Feira de Ladra; Londra la poesia del Regent’s canal; Napul’è … mille colori; Firenze le mie radici, la mia storia, il mio partire sapendo di poter tornare; Milano, Desio, Arcore il mio quotidiano, fatto di architetture moderne e frenesia emotiva. Qualcuno cantava “queste sono le mie canzoni”.Io dico molto più modestamente: “queste sono le mie fotografie, i “fermo immagine” di momenti fissati indelebilmente non solo in macchina e carta ma nell’anima appunto”.

Così Giorgio Cottini presenta la sua mostra.  La Street photography di Giorgio è un mondo incredibile e sconfinato in cui è facile perdersi. I suoi scatti racchiudono la voglia e la necessità di raccontare una storia, anche attraverso un singolo scatto. L’obiettivo davanti al volto è l’immagine che meglio lo ritrae. La sua anima acchiappa il cuore, passa rapida attraverso braccio ed occhio e…click. Fermo immagine. Blocca quello scatto aspettato magari per giorni ad un angolo di strada perché….. “prima o poi qui accadrà qualcosa, me lo sento” O solo perché vagando per strada con i tuoi pensieri, lo sguardo coglie la storia e desidera fermare per sempre quell’istantanea di vita. Un frammento di esistenza.

I suoi scatti, narrano di un uomo resiliente, un uomo che sa cogliere la purezza di bimbi che giocano per strada, volti di donna fra milioni di persone, riflessi che si duplicano all’infinito nella vetrina di un Bar o della Libreria più famosa di Milano.

Molte immagini ricordano i fotografi degli anni 50. Quasi Felliniane alcune. I suoi scatti sono spontanei ma non lasciati al caso. Si perché per lui la spontaneità dev’essere a doppio senso, non a senso unico. Questo significa che ci dev’essere prima di tutto la spontaneità del soggetto ripreso, che non può essere fotografato in posa e, per essere precisi, non deve nemmeno sapere di essere fotografato. Un soggetto che si muove libero in un ambiente aperto, che non sa dell’esistenza di un fotografo pronto a immortalarlo mentre compie una qualsiasi attività quotidiana, che può essere un lavoro o un semplice gesto spontaneo e non costruito. Ma non può prescindere dalla spontaneità e dalla sensibilità del fotografo capace di cogliere anche solo un gesto di donna che si accarezza la base del collo, stanca sul tram, o il passo scelto di una impeccabile donna in carriera avvolta nel trench che attraversa lo spazio dell’obiettivo su tacco 12 avendo sullo sfondo graffiti metropolitani. Le sue foto trasmettono la poesia sfumata ed ovattata del bianco e nero, ma anche la geometria pulita, grintosa, caotica e convulsiva del metropolitano vivere.

Le immagini sono capaci di raccontare uno stato d’animo o un particolare momento che le parole difficilmente potrebbero esprimere in maniera migliore, ed è proprio qui la bravura di Giorgio Cottini. La sua street photography dunque non è fotografie improvvisata ma, frutto di anni di studio, di passione, di scatti e scatti, di umiltà e strada ripercorsa passo dopo passo dove altri prima di lui han posato le scarpe. La sua fotografia è fatta di colpo d’occhio, cuore, cervello, anima e ……. “ho visto la storia” .

Gli scatti di Giorgio Cottini ci fanno ricordare i grandi maestri: due nomi su tutti Robert Doiesnau e Henri Cartier Bresson. Molto umilmente lui ammette di essere rimasto folgorato dal loro modo di concepire la fotografia. La sua ultima fonte d’ispirazione però, anche per ragioni campanilistiche, è un altro nome importante della fotografia italiana meno conosciuto: Piergiorgio Branzi, fiorentino, giornalista RAI degli anni ’70, grande fotografo di un’Italia che non c’è più … un poeta con la macchina fotografica.

La realtà , di Cottini, quella che cerca di raccontare nei suoi scatti è sì più frenetica di quella narrata dai grandi maestri, quella che neanche la tecnologia digitale riesce sempre ad immortalare, ma mantiene intrinseca, la poesia delle storie immaginate  oltre il fermo immagine.

Imperdibile dunque la mostra…..Sulla Strada di Girogio Cottini. Villa Brivio – Nova Milanese. Aperta fino al 11 marzo 2017 sarà possibile visitarla in orari di apertura del Centro di Cultura Villa Brivio. Da martedì a sabato dalle ore 9.00 alle ore 18.00.

 

Mostre consigliate da Musa

Walter Bonatti – Fotografie dai grandi spazi

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Dal 8 ottobre 2015 al 31 gennaio 2016

Walter Bonatti. Fotografie dai grandi spazi presso l’Auditorium Expo dell’Auditorium Parco della Musica di Roma. L’esposizione, promossa e prodotta da Contrasto, Civita e GAmm Giunti e curata da Alessandra Mauro e Angelo Ponta in collaborazione con l’Archivio Bonatti, sarà presentata nell’ambito di Auditorium Fotografia, un progetto della Fondazione Musica per Roma in collaborazione con Contrasto e Fondazione Forma per la Fotografia. Resterà aperta fino al 31 gennaio 2016.

Un lungo racconto visivo, un insieme di immagini straordinarie stampate in grande formato, un’avventura esistenziale unica: la mostra su Walter Bonatti, alpinista, esploratore ma anche e, in questa sede, soprattutto fotografo, è un’occasione per ripercorrere oltre 30 anni di viaggi alla scoperta dei luoghi meno conosciuti e più impervi della Terra e raccontando la passione per l’avventura insieme alla straordinaria professionalità di un grande reporter.

Walter Bonatti imparò a fotografare e a scrivere le proprie avventure con la stessa dedizione con cui imparò i segreti della montagna. Nei suoi quindici anni di lavoro per il settimanale Epoca si imporrà come uno dei più talentuosi fotoreporter dai luoghi selvaggi del pianeta, e se l’alpinista estremo (e spesso solitario) aveva conquistato l’ammirazione degli uomini e il cuore delle donne, l’essere insieme narratore e protagonista delle proprie avventure lo proietterà anche nell’immaginario dei più giovani.

A ogni viaggio, Bonatti partiva alla ricerca dei suoi ricordi letterari e dei suoi eroi, cercando di riviverne le avventure.

Molte tra le sue folgoranti immagini sono grandiosi “autoritratti ambientati” e i paesaggi in cui si muove sono insieme luoghi di contemplazione e di scoperta. Bonatti si pone davanti e dietro l’obiettivo: in un modo del tutto originale è in grado di rappresentare la sua fatica e la gioia per una scoperta, ma al tempo stesso sa cogliere le geometrie e le vastità degli orizzonti che va esplorando.

Così, immagine dopo immagine, reportage dopo reportage,si compie il racconto dell’avventura e insieme, il ”romanzo dell’io” di Bonatti. Il talento per la narrazione, l’amore per le sfide estreme, l’interesse per la fotografia come possibilità di scoprire e testimoniare per sé e per gli altri. Una passione, e probabilmente anche un’esigenza, nata già negli anni dell’alpinismo (con i trionfi e le amarezze che li segnarono), con le foto scattate sulle pareti più difficili, e poi consolidata nel tempo, con i racconti d’imprese affascinanti e impossibili.

In mostra le grandiose immagini a colori di Bonatti compongono un lungo, unico diario di viaggio dove si intrecciano visioni e ricordi. Le fotografie sono accompagnate da note dello stesso autore, cimeli originali e interventi video (realizzati da N!03) sulla sua esperienza in montagna e sul “personaggio” Bonatti.

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GAME OVER – le spose bambine in Bangladesh – SARA MUNARI

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Lecco – Camera del Lavoro “Pio Galli” – Salone Di Vittorio
Mercoledì 25 novembre 2015 ore 9.30

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Gian Paolo Barbieri – Skin

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29 Arts In Progress presenta “Skin”, il nuovissimo ciclo di lavori di Gian Paolo Barbieri, nell’ambito di una più ampia mostra dedicata al maestro della fotografia di moda.

La selezione delle opere fotografiche esposte sarà principalmente consacrata ai nuovissimi lavori di Barbieri, oltre agli storici scatti dedicati alla moda e ai suoi protagonisti che abbracciano oltre quaranta anni di fotografia nei quali la teatralità dei suoi set ha fatto di Barbieri uno degli interpreti prediletti del Made in Italy: un inno all’eleganza, alla maestosità del corpo umano e alla sensualità.
Il suo nuovo lavoro, Skin, è più introspettivo, visioni quasi metafisiche di ricordi, di visitazioni, di dediche, di esperienze culturali di cui Barbieri, per tutta la vita, è stato allievo e interprete.

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E’ come se adesso volesse regalare lui al suo strumento amato – la camera fotografica – la possibilità di reinventare immagini già acquisite durante la sua vita, immagini che hanno segnato il lungo sentiero che da anni sta seguendo.
Non più dunque istantanee di sensualità, ma descrizione di situazioni, momenti, eventi fermati nella mente, ricordi di impressioni avute nei musei, esperienze da letture notturne.
Skin è poesia pura, celata per tanto tempo nella sua mente.
Immagini, che per quanto costruite al minimo particolare, non perdono mai l’essenza dell’istante, respirano la loro attualità e sentono la pulsazione della vita sotto la loro “pelle”.
Questo è il tocco del maestro. Far rievocare allo spettatore sensazioni, come “déjà vu”, attirarlo nel mondo del suo immaginario, farlo perdere in un labirinto di doppie esperienze, dove quella del creatore e quella dello spettatore si mescolano, e originano emozioni, come in un teatro silenzioso, quando l’immagine basta e riesce ad esprimere molto di più che di un testo declamato.
Il tocco di Barbieri è quello che l’antichità ellenica ha per anni fatto legge: la bellezza.
Così diventa testimone importante la foto del Narciso, anche Barbieri si guarda nello specchio d’acqua, preferendo suicidarsi dentro la sua stessa amata bellezza che tradire i suoi ideali.

La mostra si terrà presso il nuovo Spazio Montebellotrenta a Milano dove sarà anche presentato il nuovo libro in uscita, “Skin”, edito da Silvana Editoriale.

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Hiroji Kubota Photographer

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November 19, 2015 – January 14, 2016  – Aperture Foundation – New York

Hiroji Kubota Photographer is a retrospective exhibition composed of two parts: platinum prints of black-and-white photographs made from 1963 to 1989, featured at Aperture Gallery; and dye-transfer prints made from 1978 to 2003, featured on the ground floor of Aperture Gallery’s building at Sundaram Tagore Gallery. This exhibition is in conjunction with the publication Hiroji Kubota Photographer (Aperture, 2015), the first comprehensive survey of veteran Magnum photographer Hiroji Kubota’s work.

Spanning over fifty years of his extraordinary life and world travels, Hiroji Kubota Photographer encompasses the best images from Kubota’s life’s work. Rooted in his experience of Japan, ravaged by destruction and famine at the end of World War II, Kubota’s work is characterized by a desire to find beauty and honor in human experience. The exhibition includes examples of all his key bodies of work, including photographs from his many extended trips throughout China, Burma, the U.S., North and South Korea, and his home country, Japan. As Elliott Erwitt states in his preface to the book, Kubota “has produced a remarkable view of our world.”

Francesco Cito – Coma. Vite sospese

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I loro occhi ti guardano, sembrano scrutarti attentamente, sembrano volerti chiedere chi sei, sembrano….ma il loro, è solo buio. La scienza dice che la loro corteccia celebrale è morta. Sono figli, sono mariti, sono padri, madri, sono i tanti, vittime di incidenti stradali, da cadute dal motorino, o investiti da un pirata della strada. E ancora, pazienti che non si sono più ripresi dall’ anestesia durante un intervento chirurgico, o ancora, figli vittime di una dose eccessiva di ecstasy. Sono tanti.
Le stime dicono che le persone in stato vegetativo in Italia sono oltre tremila. Probabilmente sono molte di più, dal momento che non esiste un vero censimento. Molto spesso la loro esistenza è quasi totalmente a carico delle famiglie, lasciate sole a vivere un calvario nella speranza di un miracolo di una guarigione. Dopo centottanta giorni di tentativi di riabilitazione, di chi entra in coma, le probabilità di recupero dallo stato vegetativo, tendono a ridursi, e dopo il primo ricovero, il cinquantacinque per cento dei pazienti torna a casa, il dodici per cento viene ricoverato in una struttura protetta. Solo il tre per cento, viene accolto in una struttura di lunga degenza. Dopo un anno i numeri si perdono, ma di certo quasi tutti lasciati a se stessi, a carico delle famiglie.

Cristina aveva 14 anni quando a Bologna venne falciata sulle strisce pedonali all’uscita da scuola. Da trenta vive in stato vegetativo, con il padre anziano rimasto ormai solo, il suo tempo dedicato a lei. Vorrei poter morire mezz’ora prima che accade a lei ripete Romano, anche quando con alcuni amici festeggia il suo settantaduesimo compleanno, e Cristina posta nella sua sedia a rotelle, sembra oDavide, figlio unico, aveva quindici anni quando fu sbalzato dal motorino. Dal coma allo stato vegetativo, è sempre stato accudito dai genitori. Una fatica morale e fisica durata venti anni, con viaggi negli Stati Uniti dal guru di turno nella speranza di una terapia che riportasse il loro figlio alla vita normale. Poi la rassegnazione ma senza mai perdere la speranza, e Davide continuamente assistito, con l’aiuto di volontari, per lavarlo, accudirlo, spostarlo per evitare le piaghe da decubito. La vita intorno a Davide ha ripreso a girare, un figlio resta un figlio sempre, e, così nonostante le condizioni, si sono festeggiati i suoi compleanni, i lunghi trasporti in un ospedale lontano per un controllo o un piccolo intervento, o la visita dal papa.
Sempre con il sorriso sulle labbra, mamma Paola ha continuato imperterrita ad accudire il suo figliolo fino alla suo trentacinquesimo anno di vita non vita, poi un’improvvisa polmonite l’ha portato via dopo vent’anni in stato vegetativo.sservare a questa ricorrenza, questa quasi festa, a che la vita continui.
L’inaugurazione della mostra avverrà sabato 14 novembre alle ore 18 presso i locali della Civica Fototeca “Tranquillo Casiraghi” e verrà esposta dal 14 novembre al 5 dicembre 2015. L’incontro con l’autore avverrà sabato 14 novembre alle ore 17.00 presso la biblioteca “Pietro Lincoln Cadioli”.

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Wildlife phtographer of the year

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La mostra di fama mondiale Wildlife Photographer of the Year per il quarto anno consecutivo arriva a Milano grazie all’Associazione culturale Radicediunopercento presieduta da Roberto Di Leo.

Un’edizione della mostra veramente speciale che celebra i cinquant’anni del prestigioso concorso di fotografia naturalistica, nato nel 1965 e indetto dal Natural History Museum di Londra con il Bbc Wildlife Magazine.Patrocinata dal Comune di Milano, da EXPO Milano 2015 e EXPO in Città, l’esposizione avrà luogo dal 9 ottobre al 23 dicembre 2015 in una nuova suggestiva location in pieno centro, a due passi da EXPO Gate e dal Castello Sforzesco, presso la Fondazione Luciana Matalon, Foro Buonaparte 67.A fare gli onori di casa alcune grandi sculture di Luciana Matalon conservate negli spazi della Fondazione, a sua volta un’opera d’arte; un ambiente ideato e personalizzato in ogni parte dall’artista, veneta di nascita ma milanese di adozione, a partire dalla variegata pavimentazione realizzata con resine e fibre ottiche.

Un luogo concepito come crocevia internazionale di nuove idee, occasioni di arricchimento visivo, emotivo e mentale, ideale per accogliere le 100 immagini mozzafiato premiate al concorso londinese, alla fine dello scorso anno, e arrivate in Italia grazie all’esclusiva concessa alla PAS EVENTS di Torino.La competizione non perde mai il suo fascino e in questa 50a edizione hanno concorso 42.000 scatti, realizzati da fotografi professionisti e amatoriali provenienti da 96 paesi, che sono stati selezionati da una giuria internazionale di esperti, in base alla creatività, al valore artistico e alla complessità tecnica.L’esposizione regala come sempre spettacolari immagini della natura mostrando la bellezza del pianeta in tutte le sue forme, dai paesaggi più remoti e incontaminati, al mondo animale, al regno botanico, che sono in costante evoluzione. Quest’anno la mostra è inoltre nel programma di Photofestival, la manifestazione che da undici edizioni coordina il mondo della fotografia milanese, e oggi anche del territorio metropolitano, con una variegata proposta espositiva e di ricerca.

LA MOSTRA

Allestite nelle belle sale della Fondazione Matalon le immagini premiate nelle 21 categorie in gara, a partire dal riconoscimento più ambito, il Wildlife Photographer of the Year, assegnato a The last great picture di Michael Nichols (USA).Scattata in Tanzania nel Serengeti National Park, la foto mostra cinque leonesse che si riposano insieme ai loro cuccioli su uno sperone di roccia, dopo aver attaccato e cacciato due maschi del branco. L’immagine è incorniciata con la vista delle pianure in un cielo di tardo pomeriggio ed è stata catturata agli infrarossi, trasformando così la scena in qualcosa di primordiale, quasi biblico.

 Stinger in the sun di Carlos Perez Naval (Spagna, 8 anni) è invece la foto vincitrice assoluta del premio Young Wildlife Photographer of the Year per la sezione junior, divisa in tre categorie fino a 17 anni.Lo scatto ritrae un comune scorpione che mostra il suo pungiglione come un avvertimento. Carlos lo ha trovato su una roccia vicino a casa a Torralba del Sinones nel nordest della Spagna, un luogo che visita spesso alla ricerca di rettili. Il sole del tardo pomeriggio crea un bagliore, abilmente catturato dal giovanissimo fotografo attraverso una doppia esposizione.

 In questa edizione, ben 7 riconoscimenti sono andati a fotografi italiani.

Bruno D’Amicis è il vincitore nella Categoria Il Mondo nelle Nostre Mani, con la foto The price they pay. Impegnato da tempo in un progetto dedicato alle salvaguardia delle specie in via di estinzione nel Sahara, in un villaggio nel sud della Tunisia, Bruno ha immortalato un adolescente che vende un cucciolo di volpe Fennec presa da un covo nel deserto. Cattura o uccisione di queste volpi selvatiche sono illegali, ma ancora molto diffuse e immagini stimolanti come questa possono contribuire ad aumentare la consapevolezza su ciò che sta accadendo al fragile ambiente del Sahara.Inoltre sono giunti finalisti nelle rispettive categorie: Simone Sbaraglia, con la foto Communal warmth (categoria Mammiferi), Silvio Tavolaro, con la foto Snow Stand (categoria Piante e Funghi), Adriano Morettin, con la foto Touch of Magic (categoria Specie Acquatiche), Alessandro Carboni, con la foto Ice land (categoria Ambienti terrestri), Cristiana Damiano, con la foto A long line in legs (categoria Bianco e Nero), e Bernardo Cesare, con la foto Kaleidoscope (categoria Natural Design).
Percorso espositivo

Oltre ai due massimi riconoscimenti Wildlife Photographer of the Year e Young Wildlife Photographer of the Year, il percorso espositivo illustra tutte le categorie in gara raggruppate in sezioni: Diversità sulla Terra con le categorie Mammiferi; Uccelli; Anfibi e Rettili; Invertebrati; Piante e Funghi; Specie Acquatiche. Creatività e Tecnica con le categorie Natural Design; Bianco e Nero e il nuovo Premio speciale TimeLapse, filmati, con riproduzione accelerata dei fotogrammi, che rivelano all’occhio umano processi di trasformazione altrimenti non percepibili. Documentario con le categorie Il Mondo nelle nostre mani e Premio speciale Fotogiornalista di natura dell’anno. Portfolio con le categorie Premio speciale talento emergente (età 18-25 anni) e Premio speciale Portfolio (oltre i 26 anni). Sezione e categoria Ambienti terrestri e sezione Primi scatti con le categorie dedicate ai giovani fotografi fino a 10 anni; 11-14 anni e 15-17 anni.

Le didascalie e i testi che accompagnano le immagini raccontano sia i requisiti tecnici della fotografia sia la storia e le emozioni che hanno motivato l’autore nella realizzazione dello scatto, insieme a dati di carattere scientifico sulle specie fotografate.

Wildlife photographer of the year è in mostra dal 9 ottobre al 23 dicembre alla Fondazione Luciana Matalon in Foro Buonaparte 67, a Milano.

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IL FUTURO GETTATO – Andrea Taschin
DIALOGHI SILENZIOSI – Giampiero Gori
INCANTO – Manfredi inverso

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dal 14 al 22 novembre – Limonaia di Villa Vogel – Firenze

Andrea Taschin – Il Futuro Gettato

Rimango colpito da come vengono buttate via le cose, da come in Italia sono sprecati entusiasmo, passione e vitalità delle nuove generazioni. Attraverso la manipolazione digitale, propongo immagini di una paradossale vita quotidiana di bambini attorno ai cassonetti e alla spazzatura. Se i bambini sono il nostro futuro, e il consumo dissennato il nostro presente, le mie immagini sono metafore visive di un paese che si sbarazza con leggerezza del passato, che ha perso il senso dell’investimento, che non offre prospettive di inserimento alle nuove generazioni:  un paese che non investe più in istruzione, cultura e ricerca getta via il proprio futuro. Vorrei insomma sollecitare una riflessione che non sia puramente ecologica, ma che assuma un carattere di denuncia ed esorti alla costruzione di un futuro migliore per i nostri figli.

Giampiero Gori – HUMAN

Nella fortezza fiorentina fatta costruire da Ferdinando I° si mostrano nella loro forma artistica le opere di A. Gormeley e, come recita il titolo, sono  sembianze umane, pesanti sculture ferree come rapporto gravitazionale tra il materiale impiegato, la terra e il luogo dove sono esposte. Le figure  sono ora riverse sulle scalinate come appena caduti o abbattuti in battaglia, altre sono affacciate come ammiranti la sottostante città o sentinelle di  essa, altre insistono sulla postura eretta, con orgoglio, vicino a simili accucciate su loro stesse, alcune si appoggiano alle mura stancamente ed altra  ancora sedute su una inesistente sedia. Firenze è lo scrigno mondiale della rappresentazione del corpo umano interpretato nei secoli, l’Autore ha  dato una nuova interpretazione artistica del corpo umano non come mero sfoggio artistico, piuttosto come materializzazione dell’uomo nel suo  spazio e nella propria condizione; la posizione delle opere ne è la conferma.
Viene da chiedersi se davanti a tanto interesse artistico valga la pena riprodurlo con la fotografia, la risposta è sì senza indugiare troppo, guardando  le opere di Gori, negli scatti si nota un’essenzialità che possiede solo chi, della fotografia, ne ha fatta ragione di riflessione e di saper guardare per  vedere, per poter leggere in profondità quanto gli sta davanti, penetrando i significati e accomunarli poi al pensiero più intimo e personale. Il rapporto tra le sculture e le inquadrature scelte dall’Autore fotografo è improntato al linguaggio necessario per far sì che la fotografia possa parlare, assuma il potere narrante unita alla creatività e artisticità del Fotografo, ecco allora spiegarsi l’opera fotografica di Gori che riesce a seguire un percorso non banale o rispecchiante unicamente la fotografia salonistica. Gli strumenti per far nascere il linguaggio giusto questo Autore li conosce profondamente, si evince dal lessico raffinato cui è stato capace; la navigazione di lungo corso nel mare della fotografia ha fatto la formazione giusta per vedere quale porto rappresentare, ma più importante ancora come rappresentarlo. Allora è l’altezza macchina delle riprese, l’impiego della lunghezza focale giusta, è la provenienza della luce scelta e la partecipazione di quanto sta intorno al soggetto, la somma di tutti questi elementi forma il valore aggiunto di queste fotografie. In fondo il valore aggiunto di un’opera fotografica così non può che essere la profondità della partecipazione del fotografo alle significazioni espresse prima dallo Scultore, una volta penetrate, fatte proprie. Sono i tagli delle inquadrature a far vivere dinamiche e frequenze diverse dal reale, sono il matrimonio tra il cielo e la terra su cui poggiano le sculture, sono quei precisi attimi partecipati da persone altre come instaurarsi di un loro privato dialogo con la ferrea materia. Dinamiche diverse dal reale, dunque, ma questo è il dovere metonimico della fotografia in generale e, per soggetti come quelli rappresentati in questa silloge peculiarità essenziali, proprio per la sintesi della rappresentazione scenica molto interiorizzante.
L’umano, dunque, quello raffigurato da Gori è nella posizione da lui scelta in rapporto con la natura e il cosmo, passando da una fotografia altamente narrante.

Manfredi Inverso – INCANTO

Incanto: quasi Incantamento, simile a Innamoramento, sicuramente nuovo Incontro. Recitava una vecchia canzone: “…Abbiamo vissuto / un altro tempo e un altro luogo…” un po’ quello che stanotte, quella notte, ha vissuto il nostro Autore in una notte di serena solitudine, due passi ed ecco ritrovare qualcosa sicuramente già vissuto, tu e io Firenze, come allora, alle prime uscite da adolescente. Ma adesso so vedere in te la semplicità di linee, ascoltare il coro di transitate voci, lo scolorire dei grigi che divengono del color della luce della notte. Ti ritrovo in un Incanto consapevole, e il sensore della mia fotocamera è felice come il mio sentire: Firenze stasera un po’ più mia, indubbiamente più vera nel tuo respirare la nebbiolina dell’Arno, oppure mentre la neve incanutisce il Cupolone. Il Cupolone…, sono cresciuto, ma per guardarti devo ancora alzarmi in punta di piedi, hai ancora tanti capelli tu, e quella neve forse non ti crea problemi; la spazzatrice meccanica è già passata, allora le strade, le piazze sono più mie, io, loro e un occhio, quello del mio otturatore felice di registrare tanta pace.
La silloge fotografica di un esperto fotografo molto incline alle nuove tecnologie, ci mostra una città guardata col sentimento e ritratta con volontà di lasciare alla storia un ritratto, di com’era quella prima notte d’incantamento, di quelle altre notti in cui solo il passo di Inverso scandiva l’avvicinamento al giorno e tutto era spiegato, la grandezza medicea, la Firenze capitale, la bellezza cantata dall’ultimo chansonnier, dagli spiriti fiorentini sempre pronti a manifestarsi un po’ alla bottegaia.
Ci sono molteplici modi di manifestare il proprio intendimento fotografico, quello impiegato dal nostro Autore è sicuramente quello più adatto a raccontare una notte, le notti, di una città ritrovata per caso in una passeggiata solitaria, allora tecnica inveterata e “Occhio” formano la cifra stilistica di Manfredi Inverso coerente in tutte le accezioni della fotografia, la sua, semplicemente poetica e desiderosa di narrare.

3 DICEMBRE, MILANO: ASTA CHARITY “HANDS UP!”
ORGANIZZATA DA MISSION BAMBINI IN COLLABORAZIONE CON SOTHEBY’S
OPERE IN MOSTRA DAL 27 NOVEMBRE

Oltre cinquanta opere d’arte e oggetti messi all’asta presso lo Spazio Bigli, nella storica cornice di Palazzo Ponti. All’asta anche l’esperienza unica di farsi ritrarre dal fotografo Giovanni Gastel. Il ricavato sarà devoluto al progetto “Cuore di bimbi”.

Alzate la mano: il vostro gesto salverà la vita di un bambino cardiopatico in attesa di cure. La Fondazione Mission Bambini invita tutti all’asta charity di opere d’arte e oggetti “Hands up!”, organizzata in collaborazione con la casa d’aste Sotheby’s. I fondi raccolti serviranno a sostenere il progetto “Cuore di bimbi”, che dà una speranza di vita a tanti bambini nati con una grave malattia al cuore in un Paese povero. L’iniziativa avrà luogo a Milano giovedì 3 dicembre presso lo Spazio Bigli, situato nella storica cornice di Palazzo Ponti, sede milanese della società Nextam Partners. Welcome cocktail alle ore 18.30, asta a seguire.

All’asta oltre cinquanta opere fotografiche, pittoriche, illustrazioni e installazioni, donate da artisti italiani in crescita o già consolidati. A partire da Virgilio Carnisio, testimone di una Milano in bianco e nero all’inizio degli anni ’70, fino alla giovane Neige De Benedetti che propone reportage da terre lontane. La serata permetterà di aggiudicarsi un’opera dalla serie “Backies” di Ago Panini, artista poliedrico, fotografo, regista e scrittore, o lasciarsi incuriosire dai nuovi nomi che si affacciano sul panorama della fotografia artistica: Pietro Baroni, Francesca Manetta, Simone Durante, tra i più interessanti.

Tra i pezzi battuti all’asta da Filippo Lotti, Amministratore Delegato di Sotheby’s, anche l’esperienza unica di farsi ritrarre da Giovanni Gastel, fotografo e presidente onorario dell’Associazione Fotografi Italiani Professionisti, che ha collaborato con alcune delle più importanti riviste di moda.

Nei giorni precedenti l’asta – da venerdì 27 novembre a giovedì 3 dicembre compreso – i pezzi saranno in mostra sempre presso lo Spazio Bigli in via Bigli 11/a, location unica ed elegante situata nel cuore di Milano a pochi passi da Via Montenapoleone e Piazza San Babila. Ingresso libero, dalle ore 10.00 alle ore 18.00.

L’asta “Hands up!” è un’occasione unica per avvicinarsi all’arte e scoprire che un piccolo gesto, come alzare la mano, può fare la differenza. Attraverso il progetto “Cuore di bimbi”, dal 2005 ad oggi Mission Bambini ha salvato la vita a più di 1.400 bambini gravemente cardiopatici, grazie alle missioni di medici volontari e al sostegno agli ospedali locali in Paesi come Zimbabwe, Eritrea, Uganda, Uzbekistan, Cambogia.

Anna

Francesco Cito racconta il suo lavoro in un bel video.

Francesco Cito, è nato a Napoli il 5 maggio 1949. Interrotti gli studi si trasferisce a Londra nel 1972 per dedicarsi alla fotografia. Per sopravvivere nella capitale britannica degli anni 70,  si adatta ai più svariati mestieri, dal lavapiatti in un ristorante in King’s Road, al facchino dei Magazzini Harrod’s.

L’ inizio in campo fotografico, 1975, avviene con l’ assunzione da parte di un settimanale di musica pop-rock (Radio Guide mag.), per esso gira l’ Inghilterra, fotografando concerti e personaggi della musica leggera. In seguito, divenuto fotografo free-lance, inizia a collaborare con The Sunday Times mag, il quale gli dedica la prima copertina per il reportage “La Mattanza”. Successivamente collabora anche con L’Observer mag.

Video girato in occasione del festival di Seravezza dai collaboratori del festival.

Nel 1980, è uno dei primi fotoreporter a raggiungere clandestinamente l’Afghanistan occupato con l’invasione dell’Armata Rossa, e al seguito di vari gruppi di guerriglieri che combattevano i Sovietici, percorre 1200 KM a piedi. Sue le foto dei primi soldati della Stella Rossa caduti in imboscate.

Nel 1982 – 83, realizza a Napoli un reportage sulla camorra, pubblicato dalle maggiori testate giornalistiche, nazionali ed estere. Sempre a Napoli nel 1978 aveva realizzato per The Sunday Times mag.  un reportage sul contrabbando di sigarette dallo interno dell’organizzazione contrabbandiera.

Nel 1983 è inviato sul fronte Libanese dal settimanale Epoca, e segue il conflitto in atto fra le fazioni palestinesi, del leader pro siriano Abu Mussa, e del nazionalista fondatore di Al-Fatah, (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) Yasser Arafat e i suoi sostenitori. E’ l’unico foto-giornalista a documentare la caduta di Beddawi (campo profughi), ultima roccaforte di Arafat in Libano. Seguirà le vari fasi della guerra civile libanese, fino al 1989.

Nel 1984 si dedica alle condizioni del popolo palestinese all’interno dei territori occupati della West Bank  (Cisgiordania)  e la Striscia di Gaza. Seguirà tutte le fasi della prima “Intifada” 1987 – 1993 e la seconda 2000 – 2005. Resta ferito tre volte durante gli scontri. Nel 1994 realizza per il settimanale tedesco “Stern”  un reportage sui coloni israeliani oltranzisti. Nell’aprile 2002, è tra i pochi ad entrare nel campo profughi di Jenin, sotto coprifuoco e posta sotto assedio per 40 giorni dallo esercito Israeliano “Tzahal” come anche le altre città amministrate dal Governo dell’Autonomia Palestinese.

Nel 1989 è inviato in Afghanistan dal Venerdì di Repubblica e clandestinamente ancora a seguito dei “Mujahiddin” per raccontare la ritirata sovietica. Tornerà in quelle aree di nuovo nel 1998 inviato dal settimanale Panorama, con l’intento di incontrare Osama Bin Laden. Incontro mai avvenuto a causa l’inizio dei bombardamenti americani.

Nel 1990, è in Arabia Saudita nella prima “Gulf War” a seguito del primo contingente di Marines americani dopo l’invasione irachena del Kuwait. Seguirà tutto il processo dell’operazione  “Desert Storm” e la liberazione del Kuwait  27 – 28 febbraio 1991.

Negli anni 90 segue le varie fasi dei conflitti balcanici.

In Italia si occupa spesso di casi di mafia, ma anche di eventi come il Palio di Siena che gli varrà il primo premio al World Press Photo 1996 ed altri rilevanti aspetti della società contemporanea.

Dal 1997 l’ obiettivo è anche puntato sulla Sardegna fuori dagli itinerari turistici, tra il sociale e le tradizioni, lavoro già in parte racchiuso in in foto-libro.

Nel 2007 è invitato dal Governatorato di Sakhalin (Russia), l’isola ex colonia penale raccontata da Checov, per un lavoro fotografico, sul territorio, illustrando la vita e le attività produttive, a seguito della scoperta di ingenti giacimenti petroliferi. Lavoro divenuto una mostra e un foto libro editato in Russia.

Dal 2005 al 2011, sempre in Palestina realizza il suo lavoro nelle varie fasi della costruzione del “Muro d’Israele” e contemporaneamente si dedica nel’ illustrare lle condizioni  dei bambini palestinesi affetti da problemi di sordità. Entrambe le storie sono state esposte in mostre fotografiche, come altresì il lavoro ancora in fase di realizzazione, sul tema del “Coma”, le vite sospese.  Biografia dal sito di Seravezza Fotografia.

Ciao, Buona giornata! Sara