Buongiorno a tutti, eccomi a proporvi una serie di piccole interviste fatte a fotografi più o meno giovani e conosciuti, italiani. Ho pensato fosse un buon momento per riflettere e capire la fotografia e i suoi utilizzi.
Alla domanda
Cosa sta significando, per te, fare il fotografo/a, poterti esprimere con la fotografia, in questo periodo così complicato?
Che vantaggi, quali frustrazioni (se ci sono), a che scoperte ha portato?
Ognuno di loro ha risposto differentemente e ha mosso dubbi e consapevolezze che possono essere interessanti da capire.
Cercherò di farveli conoscere e apprezzare per il loro lavoro e per quello che hanno detto nelle interviste!
Ringrazio i fotografi e tutti quelli che vorranno seguirci in questa piccola avventura.
Fotografo, poeta, scrittore e docente di comunicazione visiva. Si occupa di didattica dello sguardo e di creazione visiva, dopo studi letterari e di storia dell’arte.
Ha curato mostre per Pavia Fotografia, per la Triennale di Milano e ha diretto la Galleria Gonda di Milano (sezione Fotografia). Insegna tecniche della comunicazione fotografica collaborando, con seminari e conferenze, con Università, Accademie e Licei. E’ Direttore Artistico di Oltrefoto – Laboratorio Permanente di Fotografia.
Dal 2016 collabora con Mother India School, assieme a Shobha Battaglia.
Privilegia l’esplorazione dei luoghi, l’elemento narrativo delle immagini e il ruolo della musica nella creazione visiva.
Tiene laboratori sul cambiamento dei paradigmi visivi, sui sensi e la memoria in fotografia.
Dal 2012 scrive sul suo blog: La Valigia di Van Gogh
I poeti, si sa, sono strani, per
dire una cosa costruiscono castelli di
parole, architetture fuori tempo che a volte stentiamo a comprendere, e Yves
Bonnefoy, l’autore del libro di cui mi appresto a parlarvi, è un poeta.
Quindi una prima cosa di questo piccolo comodo libricino la potete già
intuire: la sostanza non sarà mai priva di forma, una forma a tratti
straordinariamente immediata, a tratti un tantino complicata.
Ma cosa ci racconta Bonnefoy a modo suo?
Ci racconta il rapporto che ebbe la fotografia con la letteratura
dell’epoca, e come venne percepita la giovane e rampante fotografia, nel
periodo in cui iniziava a farsi spazio nel mondo, da coloro i quali erano
impegnati con le parole.
Secondo l’autore
infatti, la nascita di immagini capaci di riprodurre la realtà e fissarla
(almeno così si credette in un periodo nel quale a fissare immagini ci
pensavano pittori e vignettisti) avveniva e ben si intersecava con ciò che
avveniva sull’altra sponda del fiume, dove poeti e scrittori stavano
affrontando l’avvento del nulla e con esso la ricerca dell’assoluto, e lo
faceva riportando tutte le cose del mondo alla loro forma essenziale,
strappandole al tempo e trasferendole in un’altra dimensione, quella di un
luogo diverso nel quale diversamente non avrebbero mai potuto trovarsi.
Spiega infatti Bonnefoy: [..] Ciò che colpisce
è che su una lastra di rame si ottiene una riproduzione tanto completa quanto
esatta di ciò che prima di quel momento si sarebbe potuto vedere solo nelle sue
tre dimensioni, e dunque che questo “fuori”, questo continuo mutare, è stato
ora fissato, e li rimarrà, immobilizzato,in questa nuova immagine singolare.
Ma perché la
fissazione è così importante? […] Perché essa permette a cose che non
potrebbero che essere considerate ciascuna in sé e per sé di coabitare in modo
permanente insieme ad altre percepite allo stesso modo, e di abbandonare così
il loro piano di realtà in movimento temporale, per esistere sul piano delle
immagini […].
Per avvalorare
la sua tesi l’autore si avvale della collaborazione di grandi personaggi
dell’epoca; dal suo magico cilindro si
srotolano due vie: una sulla quale mette Mallarme (spinto avanti Allan Poe) e
Nadar (il nostro buffo straordinario Nadar), l’altra sulla quale camminano
fianco a fianco Maupassant e Atget.
Lungo entrambe
le strade cerca di mettere in relazione il tipo di immagini che venivano
prodotte dai fotografi, con l’uso che veniva fatto delle parole dagli
scrittori; lo fa lui perché io credo che l’intento di scrittori e fotografi fosse diverso, da un lato infatti c’era
un’arte antica, la scrittura che passando attraverso i secoli aveva cercato e
ragionato su stessa e sull’essere umano, mentre dall’altro c’era un giovane
strumento figlio della scienza che avrebbe rivoluzionato il modo di percepire
il mondo e le persone e rispetto all’utilizzo del quale iniziavano ad essere
fatti i primi ragionamenti.. Del resto, mentre Mallarme volontariamente cerca
di distruggere le cose portandole all’essenzialità di ciò che sono, per poi
risalire a qualcosa di infinitamente profondo, dall’altro Nadar, utilizzando
quello strumento, capace mostrando i dettagli, di ridurre le cose del mondo a
linee e forme essenziali, riproducendo i volti delle persone e i loro sguardi,
va al di là della loro presenza fisica, restituendo dignità a qualcosa che
probabilmente ne era ormai ritenuto privo.
Ci sono poi
Maupassant e Atget seduti l’uno accanto all’altro nell’immaginario mondo del
nostro moderno poeta, loro si occupano dell’atmosfera che avvolgeva le strade
di Parigi, loro… Va beh dai, leggete il libro, se no a voi cosa rimane?
Vi lascio solo
l’immagine di uno accanto a un frammento di testo dell’altro, e lascio che sia
l’immaginazione, per il momento, a mostrarvi cosa hanno in comune immagine e
testo.
“Davanti a ciascuna luce del
marciapiede le carote s’illuminavano in rosso, i navoni
s’illuminavano in bianco, i cavoli s’illuminavano in verse; e passavano una
dietro l’altra quelle carrette rosse d’un rosso fuoco, bianche d’un bianco
d’argento, verdi d’un verde smeraldo. Le seguii, poi svoltai per la rue Royale,
e tornai sul boulevard. Nessuna persona, nessun caffè illuminato; soltanto
qualche passante in ritardo che s’affrettava. Non avevo mai visto Parigi così
morta, così deserta.
Cos’è rimasto a
me invece? A me è rimasta, sospesa nell’aria della stanza, l’atmosfera che si
respirava a metà ottocento per le strade di Parigi e la consapevolezza di un
legame in alcuni casi inconsapevole, in altri meno, fra due forme di comunicazione
così diverse e così intimamente legate dal loro vivere e realizzarsi in uno
stesso periodo storico.
Ciò a dire che
la fotografia (come la pittura, la musica o la scrittura) non potrà mai essere
compresa davvero se tolta dal contesto specifico nel quale viene realizzata.
Provate a fare anche voi questo viaggio vi sorprenderà.