Sonja Braas, la fotografa che ricostruisce scenari possibili

Sonja Braas è una fotografa tedesca, nata nel 1968 a Siegen. Dopo aver studiato Comunicazione Visiva, Fotografia e Design presso l’Università delle Scienze Applicate di Dortmund, si trasferì a New York per continuare gli studi presso la School of Visual Arts.

La fotografa tedesca ricostruisce scenari idealizzati all’interno di uno studio fotografico rifacendosi alla tradizione della pittura di paesaggio del XVIII secolo che posponeva la realtà della natura alla sua rappresentazione ideale.

Tutto, nelle sue fotografie, appare perfetto: in Tornado, ad esempio, la tromba di un uragano occupa il centro dell’immagine e ne divide il campo secondo le regole di composizione della sezione aurea; il colore scuro del cielo fa sì che il vortice d’aria risalti contro lo sfondo, esaltandone la plasticità. In Lava flow, il campo dell’immagine è suddiviso dalle colate di lava; si direbbero pennellate di giallo oro sullo sfondo nero di una tela.

Sonja Braas si è occupata fin dai suoi primi lavori di immagini artificiali della natura. Per la serie “You are here” ha presentato una serie di fotografie di paesaggi naturali “confezionati”, scattate in giardini zoologici o musei di scienze naturali e, accanto ad esse, ha posto delle foto di paesaggi “veri”: l’osservatore che si trova a confrontare queste immagini distingue con difficoltà la natura “vera” da quella “falsa”.  Le sue opere rimandano così alla concezione della natura tipica dell’uomo moderno, una concezione influenzata e profondamente caratterizzata delle immagini mediatiche. L’onnipresenza dei mass-media pone allora l’esigenza di una rappresentazione “autentica” delle catastrofi naturali. Con le sue fotografie, Sonja Braas si sottrae a questa richiesta e presenta provocatoriamente all’osservatore la rappresentazione di una rappresentazione.

Nella serie “The Quiet of Dissolution” Sonja Braas affronta la tematica della preoccupazione per la conservazione dei nostri ecosistemi e delle catastrofi naturali : una catastrofe si verifica quando si rompe un equilibrio e ciò può accadere o perché entra in gioco una nuova grande forza che causa la catastrofe nel sistema oppure perché una piccola causa interviene in una situazione di equilibrio instabile.

Le fotografie dell’artista non hanno niente in comune con le consuete immagini di terremoti, incendi, tornadi e inondazioni che ci vengono regolarmente proposte dai media. Siamo abituati a immagini in bassa definizione, spesso scattate con telefoni cellulari, oppure filmati vacillanti e quasi amatoriali. Al contrario, le immagini di catastrofi naturali create da Sonja Braas rinunciano a qualsiasi intenzione narrativa e trasmettono un senso di serenità; del tutto prive di contatto e contaminazione con il destino umano, appaiono colte in un tempo immobile. Il tornado non minaccia alcuna città e il fiume di lava può essere ammirato in tutta la sua maestosità poiché l’eruzione sembra assolutamente priva di conseguenze.  

Fotografate in primo piano estremo, quasi come se la fotocamera fosse proprio in mezzo a loro, le catastrofi di Sonja Braas non toccano la presenza umana, concentrandosi poco sull’effetto quanto sul fatto stesso. Immagini che rinunciano a qualsiasi intenzione narrativa, rappresentando i disastri nella loro bellezza spettacolare, come fossero immersi in un atmosfera estetica di tranquillità. 

L’osservatore è portato a chiedersi in che modo l’artista sia riuscita a scattare queste immagini e come abbia potuto spingersi così vicino al tornado e in che modo abbia posizionato la sua camera. Le immagini presentate dall’artista non provengono, infatti, da teatri di sconvolgenti catastrofi naturali, ma nascono nel suo atelier come modelli idealizzati del reale. Sonja Braas ci presenta delle fotografie di modelli di vulcani e tornado realizzati da lei stessa con straordinaria precisione, al fine di costruire immagini ideali e perfette che simulano eventi naturali.

«Le immagini, illuminate artificialmente da sorgenti luminose esistenti, sono state scattate in location in Virginia e Massachusetts. MI e MII sono immagini di set che ho costruito (fisicamente non digitalmente) nel mio studio a Brooklyn, New York».

Creare una reazione emotiva immediata è ciò che Braas immagina sulla modalità della fotografia. La parte centrale del suo lavoro è infatti generare sospetto nella percezione chi guarda.

Tutte le immagini sono di ©Sonja Braas, il post ha solo scopo didattico e divulgativo, le immagini non verranno usate per scopi commerciali.

Sitografia:

https://www.sonjabraas.com/

http://www.strozzina.org/manipulatingreality/braas.php

https://fotografiaartistica.it/sonja-braas-the-quiet-of-dissolution/

Articolo di Rossella Mele

Mostra di Benedetta San Rocco vincitrice del Premio Musa per fotografe

Con preghiera di diffusione

Buongiorno!

La vincitrice del Premio Nazionale Musa per fotografe 2022 esporrà il progetto vincitore presso Musa fotografia!

Siamo lieti di invitarvi alla serata!

Prima Classificata settore Progetto personale, Fotografia concettuale, Ricerca, Still life

Benedetta San Rocco con il progetto CHOCOLATE & DIRTY CLOTHES

Data Inaugurazione mostra da Musa Fotografia – Via Mentana, 6 Monza:

15 Dicembre ore 18.30

Data Inaugurazione mostra da Musa Fotografia – Via Mentana, 6 Monza:

15 Dicembre ore 18.30

PRESENTAZIONE DEL LAVORO

Antonio Pantalone lasciò l’Italia per cercare lavoro.

La sua vita fu perennemente sospesa tra due realtà: il luogo di lavoro straniero

e il piccolo paese d’origine in abruzzo.

Nel mezzo la dogana.

Lì l’immigrato Antonio non ha nulla da dichiarare. Solo “panni sporchi e cioccolata

per i bambini”.

Nel 1962 nel cantiere di Brugg cedette un rinforzo. Crollarono tonnellate di terra.

Dopo dodici ore di scavi, i soccorritori trovarono due persone,

una vittima e un sopravvissuto.

Antonio fece da scudo. Probabilmente salvò la vita ad Angelo Lezoli.

Come lui emigrato dall’Italia.

Angelo tornò a casa. Antonio no.

Antonio Pantalone era mio nonno e aveva 39 anni.

Io non l’ho mai conosciuto eppure la sua storia fa parte della mia.

Partendo da un’immagine mancante sono arrivata altrove: dal momento dell’incidente le strade della mia famiglia e quella dei Lezoli si sono divise, solo dopo una

lunga ricerca, io le ho intrecciate di nuovo in questo progetto.

È sempre stato desiderio di mia madre incontrare la persona che per ultima aveva visto vivo suo padre e che per ultima sicuramente aveva sentito la sua voce.

Dopo oltre cinquanta anni di infruttuose ricerche io sono riuscita a trovarla.

Ho sfogliato e risfogliato i quotidiani e i settimanali dell’epoca che parlavano dell’incidente e che mia madre custodiva gelosamente per cercare qualche indizio: lì

erano riportati solo la provincia di provenienza, Parma, e il nome di Angelo Lezoli ma, come quello di mio nonno, era stato trascritto male. Dopo numerosi tentativi,

tutti vani, sono riuscita a risalire al suo vero nome. Grazie a un database digitale di lapidi, ho riconosciuto il suo volto, che avevo imparato nel tempo a delineare

attraverso le fotografie di quei giornali, e anche se ormai era un viso diverso, invecchiato, non ho avuto alcun dubbio, e così mi sono messa in contatto con uno

dei figli.

Per questo lavoro ho scelto di utilizzare solo le immagini che ho trovato negli archivi delle nostre due famiglie. Attraverso i racconti di mia madre sono riuscita a

costruire un immaginario: ho collezionato frammenti, spazi interstiziali e dettagli impalpabili per raccontare un’assenza che si manifesta sempre, per riflettere su

quanto rimane a chi aspetta al di qua del confine.

Seguirà festa di chiusura per le vacanze natalizie di Musa

Aperitivo e scambio auguri.

STAMPA DELLA MOSTRA. La mostra sarà stampata presso Fotofabbrica, laboratorio di Piacenza, specializzato nella stampa fine art di fotografie.

Per informazioni www.musafotografia.it

CHOCOLATE & DIRTY CLOTHES Benedetta San Rocco

Elian Somers, Border Theories, l’utopia socialista

Elian Somers (Sprang-Capelle, NL, 1975), è una fotografa olandese che lavora a Rotterdam. Il suo background spazia dalle arti visive all’architettura avendo completato gli studi architettonici presso la Delf University ed il Master di Fotografia a St. Joost Academy di Breda nel 2007.[1] Nelle sue immagini Elian Somers indaga paesaggi utopici ed urbani ed analizza come questi siano influenzati da fondamenti ideologici e storici. I suoi ultimi lavori hanno come comune denominatore l’essere rappresentazione fotografica di realtà e verità appositamente costruite in cui storie nascoste ed esperimenti utopici vengono sapientemente intrecciati. In questi paesaggi si mescolano molteplici realtà, storie e verità.[2]

Il suo progetto a lungo termine più celebre è Border Theories realizzato tra il 2009 e il 2013. Qui, la fotografa, si interroga sull’utopia socialista e sulla scrittura e riscrittura della storia basata sui significati che vennero associati all’architettura all’interno del paesaggio urbano. Border Theories indaga sulla costruzione identitaria e sulla storia di tre esperimenti urbani nei confini remoti dell’ex Unione Sovietica: Birobidzhan, Kaliningrad e Yuzhno-Sakhalinsk. Questi esperimenti urbani hanno avuto origine da conflitti e guerre di confine, da luoghi chiusi e da forzati a spopolamento e successivo ripopolamento. Le storie di questi tre diversi luoghi sono aperte a molteplici interpretazioni: in particolare modo la storia ebraica, prussiana e giapponese nonché la narrativa storica sovietica. Quello che Elian Somers cerca di fare in questo lavoro è quello di capire come la pianificazione urbana e l’architettura possano essere impiegate come mezzi politici utili a scrivere e manipolare la storia del paesaggio. Nell’osservazione di questi paesaggi e nell’indagine storica le domande continuano a susseguirsi. Quale è la verità? Cosa è successo e cosa sta accadendo in queste zone? Quale è la realtà dei fatti? Il progetto di Elian Somers è composto da fotografie, materiale d’archivio e frammenti di articoli di giornale. I testi inseriti supportano la storia portando alla luce la varie diverse interpretazioni e le molte verità nascoste tra Birobidzhan, Kaliningrad e Yuzhno-Sakhalinsk.[3]

Border theories Kaliningrad – Elian Somers

Oltre a Border Theories Elian Somers ha realizzato diversi progetti che indagano la natura di paesaggi prettamente urbani: A Stone from the Moon (2015-ongoing), One and Another State of Yellow (2013-2017), California City (2010-2012) e Droom als er ooit een was / A Dream if Ever There Was One (2006-2008).[4]

Border Theories – KALININGRAD

Around 1200 km west of Moscow the city of Kaliningrad was founded on the ruins of the Prussian City of Köningsberg. Kaliningrad became the capital of the Kaliningrad Region along the Soviet-Polish border. In 1943, the Soviet regime defined East Prussia as being ‘original Slavic soil’ which had been the victim of German occupation for 700 years. In 1945, the Soviet Union liberated the Prussian city of Köningsberg. The architect Dmitrii Navalikhin envisioned the new city of Kaliningrad, as the embodiment of pre-war Russian history. The city was to become a reconstruction of Moscow, based on Moscow’s ring roads, skyscrapers and mediaval monuments. As the ‘native city’ for the new Soviet settler Kaliningrad was to be deeply rooted in Russian history.[5]

IMMAGINI PRESE DA

http://eliansomers.nl/border-theories-about.html

SITOGRAFIA

https://fotografiaartistica.it

  http://eliansomers.nl


[1] https://fotografiaartistica.it/border-theories-di-elian-somers/

[2] http://eliansomers.nl/about.html

[3] http://eliansomers.nl/border-theories-about.html

[4] http://eliansomers.nl/about.html

[5] http://eliansomers.nl/border-theories-detail.html?slide=15

Articolo di Ylenia Bonacina

Tutte le fotografia sono di © Hannes Meyer, il post ha solo scopo didattico e divulgativo.

Andrea Torres Balaguer, Unknown, la tesi della sottrazione.

Buongiorno, vi presento oggi un’autrice che ho trovato interessante!

Ciao

Sara

Fotografia di Andrea Torres Balaguer dal progetto Unknown

La fotografia contemporanea presenta alcuni esempi di artiste che hanno, con modalità differenti, ragionato sull’annullamento del concetto di identità. Un’inclinazione in cui prende forza la tesi della sottrazione.

Durante la fiera di fotografia Paris Photo del 2018 e 2019 molte fotografe e artiste sono state presentate con lavori che raccontavano la femminilità attraverso ritratti, mise en scene o photo trouvée, con la caratteristica di avere le identità dei soggetti, spesso loro stesse, completamente cancellata visivamente ma presente concettualmente.

Andrea Torres Balaguer, nella serie The Unknown ritrae sé stessa, coprendosi il viso con una pennellata di colore. L’autrice afferma «Mi nascondo, ma posso essere qualunque persona decida lo spettatore. Posso essere chiunque, tranne me».I suoi progetti riflettono sulla rappresentazione e le ambiguità dell’identità femminile che ancora oggi fa apparire le donne come la società le vuole, corpi senza volto, capaci d’indossare molteplici identità. L’autrice gioca anche con i meccanismi della rappresentazione, spingendosi oltre le consuetudini del ritratto e mostra quanto si possa investire in costumi che ci delineano come modelli culturali (e di genere), non considerando le nostre imperfezioni naturali che pure determinano unicità.

Fotografia di Andrea Torres Balaguer dal progetto Unknown

Il lavoro di Andrea Torres Balaguer è influenzato dal sogno e dal surrealismo, esplorando il rapporto tra femminilità e natura attraverso il simbolismo e la tecnica della trascrizione del sogno.

L’autrice, crea immagini che suggeriscono storie e invitano lo spettatore a interpretarle, cercando di sperimentare i confini tra realtà e finzione.

Fotografia di Andrea Torres Balaguer dal progetto Unknown

Biografia

Andrea Torres Balaguer (Barcellona, ​​1990) è laureata in Belle Arti presso l’Università di Barcellona. Dopo aver vinto il primo premio di Artevistas New Talents, il suo lavoro è stato esposto a Barcellona, ​​Madrid, Parigi, New York, Londra, Bruxelles, Berlino, Amsterdam e molte fiere d’arte in Europa.

Il suo lavoro è stato incluso in collezioni private come Fundació Vila Casas, Col·lecció Bassat e Universitat de Barcelona ed è stato presentato in alcune riviste popolari come Fubiz, Lamono, Ignant mag e Worbz.
Nel 2015 è stata selezionata come Commended Photographer per i Sony World Photography Awards, categoria Enhanced. Attualmente vive a Barcellona (Spagna) e lavora come fotografa di moda, cercando di mescolare la sua estetica con la moda.
I suoi fotografi di ispirazione sono Duane Michals, Sally Mann e Annie Leibovitz.

Il sito dell’autrice

Una breve intervista alla fotografa

Penelope Umbrico, consumare fotografie

Penelope Umbrico propone una rilettura radicale di immagini legate al consumismo e scatti quotidiani raccolti dall’autrice cambiandone il significato per cui erano state create, applicando un intento concettuale . Trova queste immagini nelle pagine dei cataloghi di vendita per corrispondenza di prodotti di consumo, opuscoli di viaggi e tempo libero e siti web come eBay o Flickr.

L’autrice lavora cercando nel flusso incessante di immagini del mondo virtuale del marketing dei consumatori e dei social media, oggetti e informazioni che possono avere sfaccettature seducenti. Il suo desiderio è di ragionare sull’impatto di Internet e dei social network sulla fotografia.

Ha ancora senso uscire a scattare una foto di un tramonto quando un semplice clic ci dà accesso a milioni di foto? La domanda della Umbrico, tratta daun catalogo di Arles, perunodei festival di fotografia più importanti del mondo, potrebbe fare da sinossi al suo progetto più noto, iniziato nel 2006, intitolato Suns from Flickr.

Flickr è stato lanciato per la prima volta in Canada nel 2002 ed è un sito in cui i fotografi possono condividere il proprio lavoro. Nel 2011 la fotografa aveva già raccolto una collezione di 2.500 soli (fotografie che ritraevano il sole), prese daiprofili di fotografi che avevano scattato fotografie a tramonti, provenienti da tutto il mondo.

Un’installazione tipica della Umbrico può contenere anche 1000 o 2000 fotografie, organizzate in un fondale rettangolare. Sembra lo stesso sole, fotografato ripetutamente allo stesso modo, da un numero infinito di fotografi nessuno dei quali è particolarmente conosciuto. Ma, con l’intervento di Umbrico, l’effetto cumulativo delle loro immagini risulta stupefacente.

Fotografia di Penelope Umbrico, dal progetto Suns from Flickr

Penelope Umbrico (nata a Filadelfia, 1957) si è laureata all’Ontario College of Art and Design di Toronto e ha conseguito un MFA presso la School of Visual Arts di New York. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, tra cui il San Francisco Museum of Modern Art e il PS1 Contemporary Art Center, New York. Le collezioni pubbliche che accolgono il suo lavoro includono il Guggenheim Museum (NY), International Center of Photography (NY), McNay Museum of Art (TX), Metropolitan Museum of Art (NY), Museum of Contemporary Photography (IL), Museum of Contemporary Art, San Diego (CA), Museum of Modern Art (NY) e San Francisco Museum of Modern Art (CA), Los Angeles County Museum of Art (CA), tra gli altri. Vive a New York City.

Per visitare il sito dell’autrice http://www.penelopeumbrico.net/

Qui un’intervista dell’autrice

Ciao Sara

Mimmo Jodice, grandissimo.

Mimmo Jodice è uno dei grandi fotografi della storia della fotografia italiana. Vive a Napoli dove è nato nel 1934. Fotografo di avanguardia si dagli anni sessanta, attento alle sperimentazioni ed alle possibilità espressive possibilità espressive del linguaggio fotografico, è stato protagonista instancabile nel dibattito culturale che ha portato alla crescita e successivamente alla affermazione della fotografia italiana anche in campo internazionale.

Nel 1980 pubblica VEDUTE DI NAPOLI che segna una svolta nel suo linguaggio e contribuisce a fornire una nuova visione del paesaggio urbano e dell’architettura. Nel 1981 partecipa alla mostra EXPRESSION OF HUMAN CONDITION, curata da Van Deren Coke, al San Francisco Museum of Art con Diana Arbus, Larry Clark, William Klein, Lisette Model. Nel 1985 inizia una lunga ed approfondita ricerca sul mito del Mediterraneo. Il risultato è un libro MEDITERRANEO, pubblicato da Aperture, New York, e una mostra al Philadelphia Museum of Art, a Philadelphia.

Sue mostre personali sono state presentate nei seguenti Musei: New York, Memorial Federal Hall,1985; Pechino, Archivi Imperiali, 1994; Philadelphia Museum of Art, 1995; Kunstmuseum Dusseldorf, 1996; Maison Européenne de la Photographie, 1998, Paris; Palazzo Ducale di Mantova, 1998; Museo di Capodimonte, Napoli 1998; The Cleveland Museum of Art, Cleveland 1999; Galleria Nazionale di Arte Moderna, Roma 2000; Castello di Rivoli, Torino 2000; Galleria d’Arte Moderna, Torino 2000; MassArt, Boston 2001; Wakayama, Museum of Modern Art, Japan 2004, The Museum of Photography, Moscow 2004; MASP – Museu de Arte de Sao Paulo 2004; MART – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto 2004; Istituto Italiano di Cultura, Tokyo 2006, Galleria d’Arte Moderna, Bologna 2006; Galleria d’Arte Moderna, Bologna 2006; Spazio Forma, Milano 2007, Museo di Capodimonte, Napoli 2008, Palazzo delle Esposizioni, Roma 2010, M E P Maison Européenne de la Photographie, Parigi 2010.

Nel 2003 l’Accademia dei Lincei gli ha conferito il prestigioso premio ‘Antonio Feltrinelli’ per la prima volta dato alla Fotografia. Sempre nel 2003 il suo nome è stato inserito nell’Enciclopedia Treccani. Nel 2006 l’Università degli Studi Federico II di Napoli gli conferisce la Laurea Honoris Causa in Architettura.

Biografia personale dal suo sito

Interessante presentazione, da vedere.

Sito personale dell’autore

Intervista dal sito del National Geographic, presa perché mi sembra interessante.

Come si è accostato alla fotografia?
Da autodidatta. Ho sempre avuto una grande disponibilità verso l’espressione artistica, inizialmente con il disegno e la scultura. Poi mi è stato regalato un piccolo ingranditore per la stampa in bianco e nero. Avrò avuto poco più di vent’anni, e lo usavo per sperimentare, anche senza negativo, con frammenti di tessuto, foglie secche… È stato allora che ho capito che la fotografia offriva una grande possibilità espressiva, e mi sono innamorato di questo mezzo.

Lei ha attraversato varie fasi creative, avvicinandosi anche alla fotografia documentaristica sulla sua Napoli, salvo poi tornare all’espressione puramente artistica.

Perché?
Inizialmente facevo pura sperimentazione, sia tecnica che linguistica. Poi, con l’avvento della rivoluzione creativa degli anni Sessanta, ho avvertito l’esigenza di documentare ciò che succedeva attorno a me, di occuparmi di problematiche sociali. Insegnavo all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, dove sono stato il primo docente di fotografia in Italia, ed ero quindi vicino al mondo degli studenti e al loro impegno. Ma quella fase è durata solo alcuni anni, poi sono tornato alle mie sperimentazioni artistiche.

Spesso le sue foto sono caratterizzate da una visione metafisica, onirica… Quanto c’è di autobiografico nel suo lavoro?

Molto. Le mie foto non nascono da occasioni, sono riflessioni sulla realtà. Guardo molto più dentro di me che fuori. Quando concepisco un progetto può capitare che vada in giro a cercare le immagini necessarie per realizzarlo, ma sempre all’interno di una visione personale, che mi appartiene e che è silenziosa e  metafisica.

Lei è sempre stato fedele al bianco e nero analogico. Ha mai provato I nuovi mezzi digitali?

Ho cominciato col bianco e nero perché all’epoca si usava solo quello, ma poi è diventata una scelta espressiva. Stampo tuttora tutte le mie foto da solo, e se passassi al digitale dovrei rivedere la mia identità espressiva. La stessa cosa vale per il colore. La mia visione deve lasciare spazio per l’immaginazione, è meno descrittiva rispetto a quella della fotografia a colore.
Comunque il digitale è un passo avanti, una risorsa ulteriore per i fotografi: accelera i tempi e offre possibilità di intervento molto creative. Ma bisogna stare attenti nel manipolare: ci vuole grande capacità critica verso il proprio lavoro, altrimenti  –  come spesso accade  –  si rischia di combinare dei pasticci.

Cosa consiglia a un giovane che vuole accostarsi oggi alla fotografia?
Di non avere fretta. Non si possono raccogliere consensi in tempi brevi. Bisogna lavorare a lungo, sperimentare, maturare prima di mettersi in vetrina. Consiglio di studiare molto, di conoscere bene ciò che è stato già fatto, di confrontarsi con gli altri. Questo è fondamentale per tutti i linguaggi artistici. Occorre innanzitutto avere la capacità di comprendere, per poi lentamente progredire. Poi naturalmente bisogna imparare bene la tecnica fotografica (luce, composizione, equilibrio formale), e infine avere qualcosa da comunicare, cioè delle idee.

Ciao Sara