Quando si usa la fotografia in bianco e nero e quando il colore

Vi svelo un segreto. Non si scatta in bianco e nero perché ci piace di più o perché le fotografie hanno un non so che di poetico e lontano nel tempo. Almeno, la scelta non dovrebbe essere legata a questo se si
tratta di un racconto, di un progetto che si è deciso di intraprendere.
Il bianco e nero e il colore hanno finalità differenti.
Il bianco e nero resta una scelta di molti fotografi, anche dopo l’entrata nel mondo della fotografia del colore.
La fotografia a colori, quando è nata, ha fatto presupporre a molti che fosse una ripresa più veritiera della realtà. I colori delle immagini dovrebbero corrispondere ai colori dei soggetti fotografati. I dati del
mondo vengono quindi rispettati.
Siamo sicuri sia così?

La fotografia rimane, a colori o in bianco e nero, un’illusione. Diciamo che il bianco e nero ha minor presunzione di assomigliare alla realtà, ecco. Entrambe le scelte restano astrazioni della realtà.
Per molti anni, il bianco e nero è stato considerato lo strumento documentale più valido. Scattando in bianco e nero, effettivamente l’occhio dello spettatore non è distratto dagli impulsi ai quali i pesi tonali
delle differenti “parti cromatiche” lo sottoporrebbero.
Per il piacere di produrre immagini siete liberi di non considerare le informazioni che seguono. Siete liberi di scattare a colori, tornare a casa e dire a voi stessi: “Oh, che bella, questa la porto in bianco e nero
perché sta meglio!”.
In generale, però, un fotografo con le idee chiare sa, prima di uscire di casa, se scatterà in bianco e nero oppure a colori, perché l’approccio al lavoro cambia totalmente.
Se osserviamo la fotografia che segue, non possiamo sperare di ottenere lo stesso effetto se la scattiamo in bianco e nero.

Be the bee body be boom, est west – Sara Munari
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Be-the-bee-body-be-boom-est-west-1.jpg
Be the bee body be boom, est west – Sara Munari


Non fraintendetemi, la lettura dell’azione che si svolge all’interno della fotografia non cambia.
Togliendo il colore dall’immagine, togliamo parecchie informazioni sul soggetto e questo provoca una lettura parziale della fotografia. Per questo si sceglie di scattare a colori.
Questa foto creerebbe la stessa tensione in bianco e nero? Sicuramente no.
Quello che sostengo è che in una fotografia a colori, il colore deve diventare parte dell’informazione che la fotografia vuole trasmettere. Questo succede a prescindere dal fatto che vi sia un messaggio effettivo a livello connotativo. Vale anche se la fotografia si basa su presupposti esclusivamente estetici.
Trovo la fotografia a colori decisamente più complicata della fotografia in bianco e nero. Gli aspetti di cui ci si deve occupare, negli scatti a colori, sono sicuramente maggiori rispetto al bianco e nero. Una fotografia a colori, scattata senza rispettare l’equilibrio tra i pesi tonali, potrebbe distrarre l’attenzione con elementi dell’immagine non funzionali, o addirittura inutili per il messaggio che si vuole far passare.
Scattare a colori è più complicato e ci mette nelle condizioni di dover prestare attenzione a molteplici fattori che con uno scatto in bianco e nero passerebbero in secondo piano.
Potete disapprovare affermando che: “Ci sono fotografie che stanno meglio a colori, altre in bianco e nero”. E io rispondo così.
Questo vale solo se ipotizzate che il vostro progetto non abbia finalità particolari, ma come ho ripetuto tante volte, tutte le scelte che potete fare da fotografo sono dettate dalle vostre necessità comunicative.
Che finalità ha il vostro portfolio?
Torniamo al portfolio, sì, perché non riesco a immaginare una fotografia sola, buttata lì, mi riferisco sempre a progetti ben strutturati che abbiano un target, una motivazione precisa, una finalità necessaria.
Sono mille le motivazioni per cui un fotografo sceglie la fotografia a colori, piuttosto che il bianco e nero e viceversa. L’importante è che non facciate questa scelta senza un criterio preciso.
Nella fotografia in bianco e nero potrete costruire immagini che si basano sulle tonalità di grigio presenti, oltre al bianco e al nero.
Il bianco e nero ci dà l’opportunità di far percepire bene i contrasti, oppure di estendere al massimo la scala tonale dei grigi e rafforza il peso dell’azione dei soggetti, che non vengono messi in secondo piano, da nessuna informazione legata al colore.
Sono due scelte molto diverse che avranno ricadute su molti aspetti della vostra fotografia. Sono tutti fattori di cui tenere conto a livello comunicativo e su cui ragionare in termini di necessità e consapevolezza da parte del fotografo.

Ciao

Sara

The Colourful Mr Eggleston. Per imparare a guardare i colori.

Buongiorno! In questo documentario che ho trovato interessantissimo, Alan Yentob esplora il lavoro di William Eggleston, uno dei fotografi più influenti e originali, al lavoro. Questo fotografo normalmente timido e sfuggente si racconta attraverso questo filmato.

William Eggleston è nato a Memphis, nel Tennessee, ed è cresciuto a Sumner, nel Mississippi. Suo padre era un ingegnere e sua madre era la figlia di un eminente giudice locale. Da ragazzo Eggleston era introverso; gli piaceva suonare il piano, disegnare e lavorare con l’elettronica. Fin da piccolo, è attratto dai media visivi e si diverte a comprare cartoline e ritagliare foto da riviste.

All’età di 15 anni, Eggleston fu inviato alla Webb School, un istituto navale per giovani. Eggleston in seguito ha ricordato affettuosamente la scuola, dicendo a un giornalista: “Aveva una sorta di routine spartana per

“costruire il carattere” di noi ragazzi. Era il tipo di luogo in cui eri considerato effeminato se ti piacevanno la musica e la pittura “. Eggleston era solito evitare le tradizionali attività maschili del sud come caccia e lo sport, preferendo attività artistiche.

Eggleston ha frequentato la Vanderbilt University per un anno, il Delta State College per un semestre e l’Università del Mississippi (Ole Miss) per circa cinque anni, nessuna di queste esperienze ha portato alla sua laurea. Tuttavia, è stato durante questi anni universitari che il suo interesse per la fotografia ha messo radici. Eggleston ha studiato arte viene introdotto all’espressionismo astratto dal pittore, Tom Young.

Il sito del fotografo: http://www.egglestontrust.com/

Fotografia di William Eggleston

Lin Zhipeng, No. 223. I giovani cinesi.

Lin Zhipeng, alias 223, è nato nella provincia del Guangdong, in Cina, nel 1979. Dopo essersi laureato in Finanza Inglese presso la Guangdong University of Foreign Studies ha intrapreso la carriera di fotografo e scrittore freelance con base a Pechino. A partire dal 2003 la sua fama online crebbe enormemente grazie all’apertura del suo blog North Latitude 23 in cui giornalmente pubblicava immagini accompagnati da testi che ricevettero milioni di visualizzazioni. Il suo nome, No. 223, è ripreso dal personaggio poliziesco del film Chungking Express del regista di Hong Kong Wong Kar-Wai. Da lui prese ispirazione non solo per il nome ma anche per l’atmosfera poetica e sognante ed il mistero e la solitudine dei protagonisti delle sue immagini.

Lin Zhipeng,
FOTO PRESE DA http://www.linzhipeng223.com/


Tutto il lavoro di Lin Zhipeng è concentrato sul tema della gioventù inserito all’interno di in un contesto culturale conservatore come quello cinese. Il suo punto di vista propone fotografie spontanee in cui i giovani ragazzi cinesi sono in continuo bilico tra la gioia e una profonda malinconia. L’esuberanza e la sessualità giocosa ripresa dal fotografo forse sono solo la manifestazione di una necessità da parte delle giovani generazioni di essere visti, amati e considerati da una società indifferente ed in continua evoluzione.

Lin Zhipeng,
FOTO PRESE DA http://www.linzhipeng223.com/

Questo diario fotografico cerca di raccontare per immagini sia una storia collettiva della società odierna sia una parte del vissuto personale dell’artista. Ritraendo la sua sfera familiare e la cerchia di amici Lin Zhipeng racconta per mezzo di immagini sfacciate ed eccessiva il contesto storico e sociale della Cina contemporanea. Il coinvolgimento personale del fotografo è percepibile dal fruitore grazie alle inquadrature scelte: spesso ardite e ravvicinate che mostrano come lo sguardo dell’autore non si limiti alla scena ma sia completamente connesso con il soggetto davanti al suo mirino.

La sua stessa vita, i suoi ricordi, le sue emozioni e le sue ideologie vengono immortalate in ogni singolo scatto. La sua ripresa diretta del reale prende la forma di un lavoro documentario in qui frammenti di quotidianità, gestualità e momenti del presente si uniscono in una narrazione visuale che da voce alla nuova generazione che sfida l’autarchia cinese ed il suo sistema di censura e controllo. In un’intervista con Dominique Musorrafiti No. 233 afferma con chiarezza e semplicità ciò che vuole dire con le sue immagini: “What do you want to tell with your photos? Life. Any moment and mood of life, my experience, and my friends”.
Il suo ultimo libro fotografico pubblicato è Flowers and Fruits del 2019. I soggetti principali di queste fotografie sono appunto fiori e frutti che con la loro bellezza momentanea diventano in questo contesto metafora dell’esistenza affascinante ed accattivante dei giovani ragazzi immortalati. Immagini colorate e vibranti creano continue connessioni tra corpi e frutti, sessualità e fiori, giovinezza e fioritura.

Lin Zhipeng,
FOTO PRESE DA http://www.linzhipeng223.com/

I suoi lavori sono stati pubblicati internazionalmente sia come progetti collettivi che come esposizioni personali in galleria quali Walther Collection Ulm, De Sarthe Gallery Beijing, Stieglitz19 Gallery Antwerp, M97 Gallery Shanghai, Delaware Contemporary Museum e molte altre. Inoltre ha pubblicato diversi libri fotografici a Taiwan, in Francia, in Canada e in Giappone.

Lin Zhipeng,
FOTO PRESE DA http://www.linzhipeng223.com/

SITOGRAFIA
https://vimeo.com/345024558
http://www.linzhipeng223.com/info/biography/
https://www.objectsmag.it/lin-zhipeng-il-reportage-sociale-oltre-la-censura/
https://china-underground.com/2018/10/15/interview-no-223-art-photographer/
https://www.shashasha.co/en/book/flowers-and-fruits

Di Ylenia Bonacina

William Eggleston, la critica lo ha stroncato, la critica…

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(© William Eggleston)

Fino agli anni sessanta, la fine degli anni sessanta, la fotografia a colori era poco considerata sia dai critici che dai fotografi stessi.
Poi arriva William Eggleston e la fotografia a colori esplode.

Eggleston aveva cominciato a scattare in bianco e nero con il quale, il fotografo, sperimentava diversi supporti e formati.
Nel 1967 mostrò il suo lavoro a colori a John Szarkowsky, curatore del settore fotografia al MoMa di New York e nel 1976 realizzò, primo al mondo, una personale di fotografie a colori nello stesso museo.
Durante e dopo la mostra, le sue immagini furono oggetto di critiche feroci e il suo stile provocò un gran “casino”.
Pensate che Ansel Adams scrisse una lettera di protesta al MoMa (si facesse i cacchi suoi, anche lui).

Eggleston riesce a vedere la complessità e la bellezza nell’ordinari e anche questo crea qualche problemino…perchè fotografare la spazzatura? Cruscotti di auto, cartelli stradali, bottiglie di salsa?
Perchè non succede apparentemente niente nelle sue immagini?
Perchè la luce, la composizione e i colori seguono un registro preciso, hanno una forza prepotente, funzionano. Niente, si incazzano tutti lo stesso. Uscire dalla logica della documentazione fotografica fatta esclusivamente in bianco e nero, non è stato facile.

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(© William Eggleston)

Eggleston ha sempre sostenuto di avere uno “sguardo democratico”, un’attenzione verso oggetti marginali, come più di metà della fotografia scattata oggi…(chissà da chi abbiamo preso!)

Si serviva di un procedimento di stampa chiamato dye transfer, tecnica brevettata dalla Kodak negli anni quaranta. Nel dye transfer i negativi in bianco e nero sono stampati in tricromia tramite proiezione, attraverso appositi filtri che sviluppano un’ampia gamma di rossi, blu e gialli. Qui il procedimento.

Questo documentario offre uno sguardo su di lui che viene definito spesso padre della fotografia a colori. Il film mostra riprese di Eggleston nella sua città natale, Memphis, nel Tennessee.

Ciao Sara

 

Biografia presa dalla Treccani

Eggleston, William. – Fotografo statunitense (n. Memphis, Tennessee, 1939). Avvicinatosi alla fotografia sul finire degli anni Cinquanta, ha abbandonato l’università per studiare da autodidatta sui libri di fotografi quali H. Cartier-Bresson e W. Evans. E. è ricordato soprattutto per aver introdotto il colore nella fotografia, in un periodo in cui questo era utilizzato perlopiù per i messaggi pubblicitari: nel 1974, mentre insegnava ad Harvard ha preparato il suo primo portfolio (14 Pictures), le cui stampe sono state realizzate con il procedimento del dye transfers (in grado di donare saturazione e chiarezza alle immagini). Due anni dopo, grazie all’aiuto di J. Szarkowski ha raggiunto la notorietà con una memorabile personale al Museum of Modern Art (MoMA) di New York. E. ha definito il proprio modo di fotografare “democratico”; nei suoi scatti, infatti, compaiono soggetti comuni, spesso triviali (quali insegne, cortili, stazioni di servizio), che descrivono il sud degli Stati Uniti in cui il fotografo è cresciuto. Il celebre triciclo immortalato in Untitled 1970 è una delle opere di E. più quotate nel mercato dell’arte contemporanea.

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(© William Eggleston)

 

 

Un nuovo giovanissimo autore MU.SA.: Tiberio Ventura

“The Silent Land”

The aim of this project is to investigate the landscape and culture of the inhabitants living on The Aran Islands. The Aran Islands are located on the west coast of Ireland at the mouth of Galway Bay. The Aran Islands consist of: Inishmore, this being the largest of the three islands followed by Inishmaan and then Inisheer which is the smallest. The Population of the islands is 1200. The majority of which speak Gaelic, but for the most part the inhabitants are also fluent in English. I will focus on the geo-political location of the three islands, which is at the border of Europe. The geographic position of the Aran Islands plays an important part in the economy and lifestyle of the Islands’ inhabitants. In fact as Russell King and John Connell have stated in their book “Small Words, Global Lives, Islands and Migration”, the words ‘Islands’ and ‘Migration’ are always linked together. The phenomenon of emigration is very frequent on islands due to the absence of economic alternatives.

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Genesis – Salgado. A me sto libro fa davvero venire la pelle d’oca! Guardate che fotografie…

Sebastião Salgado (Aimorés, 8 febbraio 1944) è un fotografo brasiliano, che attualmente vive a Parigi.

Dopo una formazione universitaria di economista e statistico decide, in seguito ad una missione in Africa, di diventare fotografo. Nel 1973 realizza un reportage sulla siccità del Sahel, seguito da uno sulle condizioni di vita dei lavoratori immigrati in Europa. Nel 1974 entra nell’agenzia Sygma e documenta la rivoluzione in Portogallo e la guerra coloniale in Angola e in Mozambico. Nel 1975 entra a far parte dell’agenzia Gamma ed in seguito, nel 1979, della celebre cooperativa di fotografi Magnum Photos. Nel 1994 lascia la Magnum per creare, insieme a Lelia Wanick Salgado, Amazonas Images, una struttura autonoma completamente dedicata al suo lavoro. Salgado si occupa soprattutto di reportage di impianto umanitario e sociale, consacrando mesi, se non addirittura anni, a sviluppare e approfondire tematiche di ampio respiro.

A titolo di esempio, possiamo citare i lunghi viaggi che, per sei anni, lo portano in America Latina per documentarsi sulla vita delle campagne. Questo lavoro ha dato vita al libro Other Americas.

Durante i sei anni successivi Salgado concepisce e realizza un progetto sul lavoro nei settori di base della produzione. Il risultato è La mano dell’uomo, una pubblicazione monumentale di 400 pagine, uscita nel 1993, tradotta in sette lingue e accompagnata da una mostra presentata finora in oltre sessanta musei e luoghi espositivi di tutto il mondo.

Dal 1993 al 1999 Salgado lavora sul tema delle migrazioni umane. I suoi reportages sono pubblicati, con regolarità, da molte riviste internazionali. Oggi, questo lavoro è presentato nei volumi In Cammino e Ritratti di bambini in cammino, due opere che accompagnano la mostra omonima edite in Italia da Contrasto.

Nel 2013 Salgado ha dato il suo sostegno alla campagna di Survival International per salvare gli Awá del Brasile, la tribù più minacciata del mondo. Nell’agosto 2013 O Globo ha pubblicato un lungo articolo sulla tribù, corredato dalle sue fotografie.

StileimageCon studi di economia alle spalle, Salgado approda tardi nel mondo della fotografia, occupandovi subito una posizione di primo rango. Le sue opere si ispirano a quelle dei maestri europei, filtrate però dall’eredità culturale sudamericana. Esse attirano l’attenzione su tematiche scottanti, come i diritti dei lavoratori, la povertà e gli effetti distruttivi dell’economia di mercato nei Paesi in via di sviluppo. Una delle sue raccolte più famose è ambientata nella miniera d’oro della Serra Pelada, in Brasile, e dove migliaia di persone, giunte da tutto il mondo a causa della presenza di filamenti auriferi nel terreno, sono ritratte mentre si arrampicano fuori da un’enorme cava su primitive scale a pioli, costretti, da nessuno se non dalla propria dipendenza nei confronti dell’oro, a caricare sacchi di fango che potrebbero contenere tracce del metallo.

Salgado scattava nel modo tradizionale, usando pellicola fotografica in bianco e nero e una fotocamera da 35 mm: strumenti portatili e poco ingombranti. È nota la sua preferenza per le macchine Leica, in virtù della qualità dei loro obiettivi. Particolarmente attento alla resa dei toni della stampa finale, Salgado applica uno sbiancante con un pennello per ridurre le ombre troppo intense.

Nel corso della realizzazione del progetto Africa, Salgado ha avuto la necessità di stampare alcune scene in grande formato. Ma la Leica non gli consentiva di andare oltre una certa misura, per cui ha iniziato ad utilizzare una Pentax 645 in formato 220.

All’inizio della realizzazione del progetto Genesis, inoltre, egli ha calcolato che avrebbe dovuto girare il mondo con 600 rullini di formato 220, con un peso di 30 chili circa di pellicola. Ma con le misure di sicurezza instaurate negli aeroporti di tutto il mondo, in conseguenza dell’attentato dell’11 settembre, le pellicole avrebbero dovuto attraversare più volte i rilevatori a raggi X, con perdita di qualità dell’immagine e quindi del vantaggio qualitativo che avrebbe dovuto derivare dall’uso del medio formato. Allora il grande fotografo ha deciso di utilizzare una Canon 1Ds Mark III, da 21 megapixel, riducendo il peso previsto del materiale sensibile, da 30 kg delle pellicole, ad 1,5 kg di schede digitali.

Per acquistare Genesis 

Bellissima presentazione di Salgado del suo lavoro…da vedere!

ciao Sara

David LaChapelle, vi piace? Bella galleria e interessante intervista.

David LaChapelle nasce a Fairfield (Connecticut, USA) il giorno 11 marzo 1963. Fotografo e regista è attivo nei campi della moda, della pubblicità e della fotografia d’arte. Deve la sua fortuna al suo personalissimo stile surreale, spesso umoristico e sarcastico, tanto che viene riconosciuto come uno dei fotografi più geniali di sempre, talvolta con l’appellativo di “Fellini della fotografia”. Dichiaratamente omosessuale, note sono anche le sue foto di nudo maschile, fra le più apprezzate in questa categoria.
Il percorso di studi artistici di LaChapelle passa dapprima attraverso la “North Carolina School of the Arts” e successivamente da New York. Nella grande mela frequenta contemporaneamente la “Art Students League” e la “School of Visual Arts”. Non ha ancora terminato gli studi quando Andy Warhol gli commissiona un servizio per la rivista “Interview magazine”, di fatto è il primo incarico professionale per LaChapelle.
Terminati gli studi si arruola nei marines; poi si trasferisce a Londra: dopo un matrimonio presto fallito torna a New York. Lavora per copertine e servizi fotografici di per le testate internazionali di maggior prestigio fra cui Vanity Fair, Flaunt, i-D, The Face, Arena e Rolling Stone e non passa molto tempo che viene annoverato tra i più grandi fotografi del secolo.
Il primo libro fotografico “LaChapelle Land” (1996) permette a David di far conoscere il suo stile a un ampio pubblico: le sue fotografie dai colori molto accesi appaiono a volte oniriche, a volte bizzarre. Il successivo volume “Hotel LaChapelle” (1998) sarà uno dei libri fotografici più venduti di tutti i tempi: contiene diversi scatti raffiguranti visi celebri. Nel 2006 pubblica le raccolte “Artists and Prostitutes” (in tiratura limitata, venduto a 1500 dollari il pezzo, con l’autografo dell’artista) e “Heaven to Hell”.
Il fotografo ha poi esteso la sua attività alla regia, prima di videoclip musicali, poi anche a eventi teatrali e documentari.

“L’arte è stata una vocazione, ho sempre saputo che sarei diventato un artista”
“Provo a fotografare l’in-fotografabile”

Sito dell’autore

Bella intervista su Vogue

Quote by Richard Avedon from the -The New York Times article by Amy M. Spindler
“Mr. LaChapelle is certain to influence the work of a new generation of photographers in the same way that Mr. Avedon pioneered so much of what is familiar today.”

“Mr. Avedon said that ‘of all the photographers inventing surreal images, it was Mr. LaChapelle who has the potential to be the genre’s Magritte.'”
-The New York Times

Quote by Helmut Newton from the NY Times article by Cathy Horyn
“He isn’t very impressed by current photography. ‘There’s a lot of pornographic pictures taken by the young today,’… He frowned. ‘A lot of the nudity is just gratuitous. But someone who makes me laugh is David LaChapelle. I think he’s very bright, very funny, and good.’”
– The New York Times

English version

David LaChapelle’s photography career began in the 1980’s in New York City galleries. After attending the North Carolina School of Arts, he moved to New York where he enrolled at both the Art Students League and the School of Visual Arts. With shows at 303 Gallery, Trabia McAffee and others, his work caught the eye of his hero Andy Warhol and the editors of Interview Magazine, who offered him his first professional photography job.

Working at Interview Magazine, LaChapelle quickly began photographing some of the most famous faces of the times. Before long, he was shooting for the top editorial publications of the world, and creating the most memorable advertising campaigns of a generation. His striking images have appeared on and in between the covers of magazines such as Italian Vogue, French Vogue, Vanity Fair, GQ, Rolling Stone and i-D. In his twenty-year career in publishing, he has photographed personalities as diverse as Tupac Shakur, Madonna, Amanda Lepore, Eminem, Philip Johnson, Lance Armstrong, Pamela Anderson, Lil’ Kim, Uma Thurman, Elizabeth Taylor, David Beckham, Paris Hilton, Jeff Koons, Leonardo DiCaprio, Hillary Clinton, Muhammad Ali, and Britney Spears, to name just a small selection.

After establishing himself as a fixture amongst contemporary photography, LaChapelle expanded his work to include direction of music videos, live theatrical events, and documentary film. His directing credits include music videos for artists such as Christina Aguilera, Moby, Jennifer Lopez, Britney Spears, The Vines and No Doubt.

His stage work includes Elton John’s The Red Piano, the Caesar’s Palace spectacular he designed and directed in 2004, which just recently ended its five year run in Las Vegas. His burgeoning interest in film led him to make the short documentary Krumped, an award-winner at Sundance from which he developed RIZE, the feature film acquired for worldwide distribution by Lions Gate Films. The film was released in the US and internationally in the Summer of 2005 to huge critical acclaim, and was chosen to open the 2005 Tribeca Film Festival in New York City.

Recent years have brought LaChapelle back to where he started, with some of the world’s most prestigious galleries and museums exhibiting his works. Galleries such as the Tony Shafrazi Gallery in New York, Jablonka Galerie in Berlin, the Robilant + Voena Gallery in London; and Maruani & Noirhomme in Belgium have housed his works as well as Institutions such as the Palazzo delle Esposizioni and Palazzo Reale in Italy; the Barbican in London, and The Helmut Newton Foundation in Berlin.

In 2009, exhibitions in Mexico City at the Museo del Antiguo Colegio de San Ildefonso, in Paris at the Musee de La Monnaie, and in Guadalajara at the Museo de Las Artes all broke attendance records. These shows presented his latest series of works with which LaChapelle has broken out of the frame, presenting three-dimensional sculptural murals.

” I am presenting a selection of works that best portray the consistent themes I have been exploring throughout my career – from some of my earliest works that were shown during the 1980’s in New York galleries, on through the 15 years I spent while working for magazines.

This time my objective was to document America’s obsessions and compulsions using publications as a means to reach the broadest possible audience. I was employing “pop” in the broadest sense of the word. I was photographing the most popular people in the world to the marginalized always attempting to communicate to the public in an explicit and understandable way. The images were always meant to attract, not alienate. Inclusion has always been the goal when making these pictures, and continues on in the newest works that will be exhibited.

The difference between the works I did as a photographer for hire and the most recent is that I’m freed from the constraints of magazines. The work has not only been liberated from the limitations of glossy pages, but has also emerged from the white frame, engaging the viewer with the exploration of three-dimensional tableaux.

I feel that we are living in a very precarious time, with environmental devastation, economic instability, religious wars waged, and excessive consumption amidst extreme poverty. I have always used photography as a means to try to understand the world and the paradox that is my life.

There is the feeling that we are living at a precipice. My hope is that through the narratives told in my images, I will engage people and connect with them addressing the same ideas or questions that possibly challenge them.

My latest pictures are a reflection of my earliest pictures. I reintroduce my personal ideas of transfiguration, regaining paradise, and the notion of life after death. “