Tutte le mostre di fotografia a luglio

Ciao a tutti,

ecco qua le mostre che vi consigliamo per questo mese di luglio.

Non impigritevi anche se fa caldo!

Anna

Robert Capa in Italia

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La mostra, dedicata al grande fotoreporter di guerra Robert Capa racconta gli anni della seconda guerra mondiale in Italia, con 35 fotografie originali incorniciate e oltre 100 immagini del biennio 1943 – 44, consultabili nello spazio multimediale dell’Alinari Image Museum.
Per la prima volta la mostra presenta oltre alle fotografie originali, un’ampia selezione di immagini digitali, con postazioni multimediali e interattive che permetteranno di contestualizzare la figura di Capa, il suo lavoro, la campagna italiana.

Considerato da alcuni il padre del fotogiornalismo, da altri colui che al fotogiornalismo ha dato una nuova veste e una nuova direzione, Robert Capa (Budapest, 1913 – Thái Binh, Vietnam, 1954) pur non essendo un soldato, visse la maggior parte della sua vita sui campi di battaglia, vicino alla scena, spesso al dolore, a documentare i fatti.

A settanta anni di distanza, la mostra racconta lo sbarco degli Alleati in Italia con una selezione di fotografie provenienti dalla serie Robert Capa Master Selection III conservata a Budapest e acquisita dal Museo Nazionale Ungherese tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009.

Esiliato dall’Ungheria nel 1931, Robert Capa inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino e diventa famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Quando arriva in Italia come corrispondente di guerra, ritrae la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio.

Le immagini colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza e per l’empatia che scatenano in chi le guarda. Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba ad orologeria o il funerale delle giovanissime vittime delle famose Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove impazzano i combattimenti e i soldati alleati accolti a Monreale.

Grazie a un visore 3D immersivo ci si ritrova in trincea, trasportati all’interno di una azione di combattimento, tra aerei, uomini e carri armati, dove la violenza degli scontri non è mostrata, ma la tensione dell’attesa è realistica. Nello spazio 3D, indossando gli occhialini si ha davanti, in tre dimensioni, mezzi di trasporto o armi usati durante la campagna in Italia.
Una parete proiettata in alta definizione, mostra i volti della gente nella guerra, l’impatto del conflitto sulla vita civile, accompagnati dalle parole di Capa.

Trieste
Alinari Image Museum
Bastione Fiorito
Castello di San Giusto
Dal 27 maggio al 17 settembre

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Henri Cartier-Bresson Fotografo

16 giugno – 15 ottobre 2017 – Galleria di Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” – San Gimignano

140 scatti di Henri Cartier Bresson, in mostra alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea “Raffaele De Grada” di San Gimignano dall’16 giugno al 15 ottobre 2017, dedicati al grande maestro, per immergerci nel suo mondo,  per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, testimonianza di un uomo consapevole, dal lucido pensiero, verso la realtà storica e sociologica.

I suoi scatti colgono la contemporaneità delle cose e della vita. Le sue fotografie testimoniano la nitidezza e la precisione della sua percezione e l’ordine delle forme.
Egli compone geometricamente solo però nel breve istante tra la sorpresa e lo scatto. La composizione deriva da una percezione subitanea e afferrata al volo, priva di qualsiasi analisi. La composizione di Henri Cartier-Bresson è il riflesso che gli consente di cogliere appieno quel che viene offerto dalle cose esistenti, che non sempre e non da tutti vengono accolte, se non da un occhio disponibile come il suo.

“Fotografare, è riconoscere un fatto nello stesso attimo ed in una frazione di secondo e organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. È mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore”.

La mostra è curata da Denis Curti e promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di San Gimignano, prodotta da Opera-Civita con la collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi.

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Be the bee body be boom –  Sara Munari

 

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L’edizione 2017 del Festival vede Sara Munari in una duplice veste: la prima come giurata del Concorso Fotografico 2017 e la seconda come artista in mostra in una delle nostre sedi, con uno dei suoi progetti più belli.

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In “Be the bee body be boom” (bidibibodibibu), Sara Munari si è ispirata alle favole del folklore e alle leggende urbane che soffiano sui paesi dell’Europa dell’Est.
“L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari”, afferma la fotografa di questo lavoro che contempla il suo immaginario, accumulato durante i numerosi viaggi in Est Europa e che è stato definito “visionario”, “stregato e coerente”, “magico”.

Dal 1 al 26 Luglio 2017 – Orbetello, Piazza del Popolo, Sala Espositiva ImagO Palazzo di Piazza del Popolo
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EU: SATOSHI FUJIWARA

 

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“EU” è una mostra antologica del fotografo giapponese Satoshi Fujiwara. Il progetto include alcuni dei lavori più significativi dell’artista e “5K Confinement”, una commissione realizzata per “Belligerent Eyes”, il progetto di ricerca sulla produzione contemporanea di immagini proposto dalla Fondazione nell’estate 2016 a Venezia.

Curata da Luigi Alberto Cippini in un allestimento di Armature globale, la mostra propone un’alternativa ai regimi rappresentativi che stabilizzano l’attuale “identità fotografica europea”. Come osserva Cippini, “la produzione fotografica contemporanea sembra essere determinata da rigidi standard di risoluzione, impatto e distribuzione. Un numero crescente di reporter freelance documentano quotidianamente avvenimenti sociali e politici all’interno e ai margini dell’Unione Europea, producendo immagini che sebbene libere da forme rigide di classificazione, rimangono sottostanti a determinati regimi estetici, di accessibilità, spaziali e di contenuto. Queste costrizioni permettono e sostengono il lavoro delle nuove generazioni di fotografi, aumentando la possibilità di pubblicazione dei loro scatti e contribuendo alla formazione di un gusto medio e neutrale”.

Satoshi Fujiwara (Kobe, Giappone, 1984), attraverso una peculiare scelta delle inquadrature, della distanza focale dai soggetti ritratti e della definizione eterogenea delle fotografie crea un’azione pressante e critica sull’osservatore, deviando dai canoni standard del foto-giornalismo e da una dimensione esclusivamente documentaristica, producendo in questo modo un nuovo lessico emergente.

La mostra si divide in due sezioni: la prima parte, ospitata al piano inferiore dell’Osservatorio, ricostruisce la commissione “5K Confinement”, mentre il secondo piano ospita una retrospettiva che espande e riunisce opere dalle serie “#R”(2015-in corso), “THE FRIDAY: A report on a report” (2015), “Police Brutality” (2015), “Venus” (2016-in corso), “Continent” (2017-in corso), “Animal Material” (2016-in corso), “Mayday” (2015), “Scanning”(2016) e “Green Helmet (2016).

L’allestimento di “EU” è costituito da sequenze di immagini assemblate, volte a eliminare qualsiasi contesto narrativo lineare. Un’operazione che trae origine dalla rielaborazione dell’architettura espositiva disegnata da Herbert Bayer per la mostra “The Road to Victory: a procession of photographs of the nation at war”, tenutasi al MoMA di New York nel 1942.
Porzioni di telecamere consumate dall’uso, assieme a diversi formati di presenza umana e sorveglianza convergono in una sorta di tazibao, in cui le storiche forme di informazione pubblica in uso durante la rivoluzione culturale cinese sono combinate a forme di costruzione e associazione visiva attualmente diffuse, quali i software di editing video ed elaborazione digitale. Come sostiene Cippini, l’allestimento si presenta come “un conglomerato di formati e standard di definizione che registra l’assuefazione al consumo di immagini e la necessità di dialogare con le forme meno visibili di propaganda contemporanea”.

“EU” è accompagnato da una pubblicazione, “5K Confinement. HD Environment Surface Surveillance “, a cura di Luigi Alberto Cippini ed edita da Fondazione Prada.

7 giugno – 6 ottobre – Osservatorio – Milano

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Vivian Maier – Una fotografa ritrovata

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Loggia degli Abati di Palazzo Ducale – Genova
23 giugno – 8 ottobre 2017
Vivian Maier era un nome pressoché sconosciuto fino ad una decina di anni fa. Sarebbe rimasto presente probabilmente solo nel ricordo dei bambini che aveva accudito come tata negli anni Cinquanta e Sessanta, tra Chicago e New York. E invece, grazie ad una fortunata serie di coincidenze, oggi è uno dei nomi più celebrati e amati della fotografia contemporanea.
Palazzo Ducale ospita nella Loggia degli Abati la retrospettiva dedicata a Vivian Maier, con oltre 120 fotografie in bianco e nero, una selezione di immagini a colori e alcuni filmati in super8 che mostrano come la Maier si avvicinasse ai suoi soggetti. E’ infatti questo uno dei tratti peculiari della sua fotografia: uno sguardo partecipe e distaccato al tempo stesso, a volte discreto, altre volte dissacrante. Un approccio sensibile e curioso, attento ai dettagli, alle imperfezioni, capace di documentare il reale restando nell’ombra. Era un’autodidatta, e le sue fotografie non sono mai state esposte né pubblicate mentre era in vita, la maggior parte dei rullini non sono mai stati sviluppati. Oggi proprio quelle fotografie costituiscono il racconto di un’epoca, un ritratto (non in posa) dell’America del dopoguerra. I soggetti sono bambini, anziani, lavoratori, donne: persone che Vivian Maier incontrava per la strada e immortalava con la sua inseparabile Rolleiflex, sapendo restare nascosta pur stando in mezzo alla gente.
Ciò che affascina maggiormente della sua storia è la scelta di tenere per sé le sue fotografie, di non mostrarle né condividerle con gli altri. Era un’artista continuamente all’opera, ma soltanto raramente sviluppava i suoi negativi, essendo forse più interessata all’atto stesso della fotografia che non al suo prodotto, tantomeno al commercio. Come se già solo il fare fotografia bastasse, o meglio, bastasse a lei stessa.
Nel 2007 John Maloof, allora agente immobiliare, ritrovò i migliaia di negativi della Maier stipati dentro scatoloni confiscati e messi in vendita all’asta. Da allora non smetterà di cercare materiale sulla misteriosa fotografa, arrivando ad archiviare oltre 15.000 negativi e 3.000 stampe.
La mostra di Palazzo Ducale offre l’occasione di conoscere una parte di questo immenso archivio, lasciando ammirare l’enigma di una donna misteriosa, tata di mestiere e fotografa per vocazione.

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Le mostre di Cortona on The Move

17 LUGLIO – 1 OTTOBRE 2017

Giunto alla settima edizione, il festival internazionale di fotografia Cortona On The Move ospiterà tanti protagonisti della fotografia internazionale, dai grandi maestri ai giovani talenti, in un fitto programma di mostre, eventi, letture di portfolio con esperti di fama e una serie di iniziative inedite.

Tantissime le mostre da vedere. Qua trovate il programma completo.

Segnaliamo tra le tante, Donna Ferrato, Francesco Comello, Donald Weber, Matt Black e Justyna Mielnikiewicz.

OBIETTIVO MILANO. 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas

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Dal 1° giugno al 6 settembre 2017 Palazzo Morando | Costume Moda Immagine ospita la mostra organizzata da Associazione Memoria & Progetto, “OBIETTIVO MILANO. 200 fotoritratti dall’archivio di Maria Mulas” a cura di Maria Canella e Andrea Tomasetig con Antonella Scaramuzzino e Clara Melchiorre.

Sono 200 i ritratti fotografici esposti in mostra provenienti dall’archivio di Maria Mulas, prestigiose testimonianze professionali e dei legami intessuti dalla fotografa nel corso della sua vita.

Le foto raffigurano personaggi che hanno animato la scena artistica, culturale e sociale di Milano dalla fine degli anni Sessanta al Duemila, siano essi meneghini di nascita, di adozione o di passaggio, stranieri compresi: artisti, galleristi, designer, stilisti, scrittori, editori, giornalisti, registi, attori, intellettuali, imprenditori e molti altri.

L’insieme dei materiali conferma Maria Mulas tra le più importanti fotografe del Novecento italiano e il suo archivio come uno strumento indispensabile per documentare e ricostruire la storia visiva di Milano nel secondo Novecento.

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Questioni di Famiglie

Il CIFA, Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena (AR), ente nato per volontà della FIAF, la storica Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, presenta la mostra fotografica “Questioni di Famiglie”, che si terrà da lunedì 17 giugno a domenica 3 settembre 2017.

La mostra “Questioni di Famiglie” viene presentata con un anno di anticipo rispetto al Progetto Nazionale “La Famiglia in Italia”, che verrà esposto a Bibbiena nel 2018 in occasione del 70° anniversario della Federazione. Il progetto, già in fase di realizzazione, si rivolge a tutti gli appassionati fotografi e chiede loro di immortalare la famiglia contemporanea italiana; l’obiettivo è quello di realizzare una campagna fotografica di ricognizione che coinvolga migliaia di fotografi.

“Questioni di Famiglie” intende presentare al pubblico i molteplici aspetti di come la famiglia è stata raccontata fotograficamente in passato. Con la  consapevolezza che l’argomento è molto vasto, sono state scelte dai dieci curatori della mostra alcune tra le diverse possibili tematiche rappresentative dell’argomento per offrire spunti di riflessione e stimoli anche ai fotografi che si apprestano a partecipare al prossimo Progetto Nazionale.

La mostra è divisa in dieci sezioni (tra cui “La famiglia a tavola”, “La famiglia Social”, “La famiglia nel cinema italiano”..) e ciascuna sezione è seguita da un curatore differente per un totale di oltre 200 immagini esposte. Con le sue 16 celle e un grande corridoio, il CIFA rappresenta il luogo ideale per questo tipo di esposizione, che si offre ai visitatori come un percorso a tappe in cui scoprire, a volte anche con curiosa sorpresa, alcuni esempi di come la fotografia in Italia ha declinato il tema della Famiglia.

Tra i vari Autori che espongono è possibile trovare Cesare Colombo, Nino Migliori, Costantino Ruspoli, Paolo Ventura, Settimio Benedusi, Federico Patellani, Paul Ronald, Eugenio Giacinto Garrone, Gianni Berengo Gardin, Mario Cresci, Toni Thorimbert, Gabriele Galimberti, Giovanni Gastel, Gabriele Basilico e ancora molti altri.

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La progettualità dello sguardo. Fotografie di paesaggio di Gabriele Basilico

 

La mostra, ideata e promossa dall’Accademia di architettura (USI) di Mendrisio assieme allo Studio Gabriele Basilico, presenta 60 fotografie. Tra le immagini selezionate quelle tratte dalla serie “Bord de Mer” e un gruppo di paesaggi realizzati in Italia, Portogallo e Spagna. Particolare attenzione è dedicata alla Svizzera: una serie racconta l’architettura di Luigi Snozzi a Monte Carasso e un’altra il passo di San Gottardo. Un nucleo di 40 fotografie è invece dedicato alla ricostruzione di Gemona del Friuli, lavoro che Basilico ha realizzato nel 1992.

Chiesa di San Lorenzo – San Vito al Tagliamento (Pordenone)

16 giugno – 10 settembre 2017

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Ed van der Elsken – Camera in Love

 

from 13 June 2017 until 24 September 2017 – Concorde, Paris

Ed van der Elsken (1925-1990) is a unique figure in Dutch 20th-century documentary cinema and photography. As a photographer, his preferred subject was the street, and in cities like Paris, Amsterdam, Hong Kong or Tokyo, he enjoyed ‘hunting’ for subjects. Often qualified as a “photographer of marginal figures”, he sought in reality an aesthetic form, a visual authenticity, devoid of artifice, a beauty that was sometimes openly sensual, at times even erotic. Ed van der Elsken was fascinated by these proud figures, full of life and vitality.

The exhibition at the Jeu de Paume presents a large selection of some of his most iconic images: shots of Paris from the 1950s, figures photographed on his numerous travels or in his native Amsterdam from the 1960s onwards, as well as his books, and excerpts from his films and slide shows, particularly Eye Love You and Tokyo Symphony.

Van der Elsken photographs and films his subjects in situations that are often theatrical, and he behaves like a director, engaging in conversation with the people he photographs. He likes to be provocative and encourages his subjects to exaggerate or accentuate certain personality traits he detects in them. In addition to his theatrical, extravagant photography, Van der Elsken has also produced a large number of understated and moving images, revelatory of his poetic nature, his innate sense of solidarity with others, and his profound empathy for all living creatures.

Van der Elsken published approximately twenty books and produced a large number of films. His first book, Love on the Left Bank, was published in 1956. Taking the form of a banal but rather unusual photobook, Love on the Left Bank is a semi-fictive account of disaffected young people, living in Paris after the Second World War. The dark tone and expressive approach, as well as the book’s almost cinematic quality contributed to its instant success. Love on the Left Bank was followed by a number of photo documentaries from his travels: Bagara (1958) featuring photographs from his trip to Equatorial Africa, and Sweet Life (1966), from his round-the-world journey in 1959-1960.
Jazz (1958) is also worth mentioning. The book is a vibrant ode to the explosion of jazz music on the Amsterdam scene. In the 1980s, he published photobooks on Paris and Amsterdam, as well as De ontdekking van Japan (The Discovery of Japan) based on his numerous trips to Japan, and colour publications: Eye Love You (1976), depicting photographs from around the world against the backdrop of the liberal atmosphere of the 1960s and 70s, and Avonturen op het land (Adventures in the Countryside) (1980), Van der Elsken’s tribute to life in the polders in the northern Netherlands.

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Willy Ronis

from 28 June 2017 until 29 October 2017 – Château de Tours

This retrospective presents a specific aspect of Willy Ronis’s work: a deep awareness of the nature of images, despite his being traditionally categorised as a mainstream humanist. For Ronis photography is not an end in itself but a means of expressing his experience of the social realities around him. Taken in the street, a factory, the countryside or some intimate setting, his photographs add up to a set of moments that span his entire career, and constitute the basis of his personal version of reality.

After World War II the torch-bearers of French photography were the Groupe des XV, whose members included Robert Doisneau, René-Jacques, Marcel Bovis and, of course, Willy Ronis. Anecdote, parody, tenderness and visual finesse were among the narrative techniques favoured by French humanist photography, and what it sought to convey. Taking as their subject busy Paris streets, working class neighbourhoods, people out for a walk, children playing and other scenes of daily life, these photographs blended poetry with a spontaneously assumed vocation of reporting on the world.

Ronis is nonetheless very much aware of the dishonesty of any attempt by photography to take the edge off social injustice. He sets out to explore the life of the poor with method, conviction and lucidity. Hence his photographs of workers, picket lines and passionate union harangues in the Citroën and Renault factories in 1936 and 1950, the Saint-Étienne mines in 1948 and the streets of Paris in 1950. But in addition to his empathy with workers in the factory, at home and in society, we sense a photographer whose socio-political concerns could not be satisfied with a few fragments of lives picked up here and there, but required active commitment. Ronis never concentrates on the sordid, nor does he disguise poverty or romanticise the poor; rather he sides with their demands and their struggle.

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EPIFANIE 02 –  LAB/per un laboratorio irregolare

Cembalo

LAB/per un laboratorio irregolare è un progetto di Antonio Biasiucci che nasce nel 2012 per rispondere all’esigenza di creare un percorso per giovani artisti, completamente gratuito, in cui trasmettere un metodo di costante approfondimento e critica del proprio lavoro. Dopo l’esperienza della prima edizione del “laboratorio irregolare”, il progetto è proseguito intorno a un tavolo, nello studio di Biasiucci, per oltre due anni, in cui si sono incontrati i giovani artisti e il fotografo per raccogliere, condividere e sviluppare i loro lavori.

Scrive Antonio Biasiucci: “oggi restituisco quello che mi è stato dato, perché non ha senso che sia io solo a salvarmi. Metto a disposizione le mie conoscenze, affinché sia dato spazio, tempo e possibilità ad altri di fare buona fotografia attraverso un Laboratorio ispirato ad Antonio Neiwiller, regista napoletano scomparso venti anni fa, che io considero mio maestro. Il Laboratorio produce immagini essenziali, nelle quali l’autore può trovare una parte di sé; sono immagini che si aprono all’altro”. Il progetto applica dunque i metodi teatrali di Antonio Neiwiller alla fotografia. Non si tratta di una scuola in senso stretto, ma di un percorso dove l’azione didattica diventa un’azione di esistenza e dove la formazione non è fine a sé stessa ma diviene: “lo stimolo a solleticare corde interne del pensiero e dell’emozione, affinché diventino delle epifanie pure e scarnificate” (Leo de Berardinis).

“Come l’azione dell’attore sul palcoscenico – spiega Giovanni Fiorentino, che presenta nel catalogo i principi e l’azione del Laboratorio – è ridotta all’essenza, così nel laboratorio irregolare il viaggio di formazione porta il fotografo a mirare all’interno di sé, ricercando una performance profonda, elaborata per sottrazione, che trasformi l’oggetto della ricerca stessa in soggetto dalla dimensione universale. Biasiucci ha messo intorno al tavolo otto esperienze di vita, e di fotografia, eterogenee, selezionandole tra più di cento di proposte per competenze e qualità della ricerca. Intorno a quel tavolo la fotografia è diventata uno strumento di connessione e di scambio continuo, apprendimento condiviso e relazione sensibile”.

Per questo i lavori del laboratorio irregolare sono sempre “Epifanie” dal contenuto e dalla forma eterogenea. Sguardi autonomi, guidati da un unico metodo, che mette insieme otto esperienze di vita e ricerche fotografiche diverse. Così Pasquale Autiero racconta delle contraddizioni inguaribili del Sud tra il sacro e il profano, Ciro Battiloro dell’umanità che popola il Rione Sanità a Napoli, Valentina De Rosa di persone affette da grave disabilità, Maurizio Esposito di una geografia dell’anima, Ivana Fabbricino della percezione del sé attraverso l’autoritratto, Vincenzo Pagliuca di case ai margini dello spazio, Valerio Polici di un viaggio nel proprio immaginario, Vincenzo Russo della “riproducibilità dell’opera d’arte”.

“Fare il Laboratorio non significa diventare artisti, ma è il tentativo di scoprire cosa è importante; aiuta a distinguere il fondamentale dall’effimero, ad acquisire una forma mentis, una metodologia che è funzionale perlomeno a realizzare una fotografia che non mente. Una fotografia, appunto, una fotografia di se stessi. Nel Laboratorio non si privilegia un genere ma, al contrario, si punta alla cancellazione del genere. È privilegiato solo il proprio dire che eventualmente può prevedere più generi per comunicarlo. Aiuta a capire che lo scambio, il confronto, il relazionarsi sono fondamentali per crescere, insegna ad avere il coraggio di presentarsi nudi, ma consapevoli che è questo l’unico modo possibile”, così Biasiucci parla del Laboratorio Irregolare.

Dal 7 giugno scorso sino al 30 luglio prossimo, un tavolo lungo 15 metri, disegnato da Giovanni Francesco Frascino, su cui sono poggiati gli 8 portfoli-libro degli artisti di LAB, illuminato da un’unica striscia di luce, accoglie i visitatori all’interno della Chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini, detta La Misericordiella. Gli otto lavori di Epifanie 02 sono pubblicati in un catalogo, a cura di Antonio Biasiucci, e edito da Peliti Associati.

14 giugno / 15 luglio 2017 – Galleria del Cembalo Roma
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POP STYLE ICONS

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30 anni di icone da Kate Moss a David Bowie negli scatti di Michel Haddi.

Barberino Designer Outlet in collaborazione con ONO arte contemporanea è lieta di presentare POP STYLE ICONS: 30 anni di icone da Kate Moss a David Bowie negli scatti di Michel Haddi, una mostra che attraverso i soggetti più rappresentativi del celebre fotografo di moda francese racconta non solo l’evoluzione dello stile di tre epoche segnate da profondi cambiamenti storici e culturali, ma testimonia anche il passaggio dall’analogico al nuovo mondo digitale e alle infinite possibilità che questo ha aperto nell’ambito della fotografia di moda e costume.

La fotografia mi permette di creare una realtà alternativa. La fotografia di moda non è una rappresentazione accurata della realtà. Certo, ci sono elementi didascalici, cosa va di moda, quali sono gli argomenti di maggior interesse popolari al momento, ma è anche un sistema fantasmagorico. Ho campo libero.
Michel Haddi

Le immagini esposte sono state selezionate insieme a Michel Haddi e provengono da un archivio sterminato di volti noti e meno noti: icone del passato e nuovi modelli culturali sono qui accomunati dal taglio contemporaneo e sempre attuale di Haddi. La sua volontà di inventare storie, di far vivere lo scatto anche al di fuori dell’immagine fotografica, è evidente nella maggior parte dei suoi ritratti che sembrano implicare un continuum spazio-temporale con il mondo esterno: un prima e un dopo che diventano quasi necessari, come se la fotografia fosse un frame tratto da una pellicola cinematografica. Le immagini che compongono la mostra descrivono non solo la sua personale evoluzione nell’ambito della fotografia di moda, ma ci offrono anche uno spaccato della trasformazione interna della cultura visuale delle riviste patinate degli ultimi trent’anni, così come dello stile visivo e popolare tout-court.

A Barberino Designer Outlet la mostra è visitabile gratuitamente dal 13 giugno al 30 luglio ogni giorno dalle 11:00 alle 20:00. Pop Style Icons: un’occasione unica per lasciarsi rapire dalle celebrità del mondo del cinema e della musica immortalate dall’arte di Michel Haddi.

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Another Look – Daniele Tamagni

Dal 6 luglio al 16 settembre, presso la Galleria del Cembalo (Palazzo Borghese) a Roma, la mostra ANOTHER LOOK, a cura di Giovanna Fazzuoli, racconterà la moda di strada come strumento di affermazione individuale e di rivendicazione politica e sociale. Dai dandy congolesi di Brazzaville ai metallari cowboys di Gaborone, dai giovani ballerini di Johannesburg ai creativi di Nairobi e Dakar, Daniele Tamagni è riuscito a cogliere l’immediatezza espressiva di queste comunità.

Nel suo lungo lavoro di reportage condotto in diversi paesi africani, Tamagni ritrae fenomeni di resistenza eccentrica e di rivendicazione della differenza attraverso la moda. L’identità delle fashion tribes è rappresentata in diversi contesti geografici in cui si è radicata una controcultura popolare che si ispira a quella coloniale e occidentale, sfidandola e reinterpretandola con inesauribile creatività.

L’intimità di questi ritratti testimonia lo stretto rapporto di fiducia che il fotografo riesce a instaurare con i soggetti rappresentati: “Questo forte legame gli ha permesso di andare alle radici, di realizzare vitali scatti istantanei con gli occhi di una persona di fiducia, calata all’interno di un microcosmo difficile da conoscere, dove è raro per un estraneo essere ammesso.” (Paul Goldwin, già curatore Tate Gallery, London).

Tra globalizzazione e tradizione, desiderio di emulazione e affermazione sociale, spontaneità e artificio, creatività individuale e reinterpretazione, le tribù della moda, raccolte nel volume “Fashion Tribes”, rivendicano la propria identità nella realtà di tutti i giorni, una realtà che Tamagni ha saputo guardare da un punto di vista diverso, sfidando stereotipi e luoghi comuni.

6 luglio / 16 settembre 2017 – Galleria del Cembalo Roma

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Mostre per dicembre

Anche per dicembre il calendario delle mostre si annuncia quanto mai ricco. Ve ne segnalo alcune tra le più interessanti.

Cercate di sfruttare il periodo di vacanza per andarne a vedere almeno qualcuna, perchè vi assicuro che c’è molto da imparare!

Ciao

Anna

James Nachtwey – Pietas

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Considerato universalmente l’erede di Robert Capa per la sua capacità di cogliere momenti tragici a una distanza ravvicinata, e con una tecnica e precisione sconvolgente, Nachtwey è un testimone di eccezione. Pietas raccoglie oltre 200 immagini dai suoi celebri reportage in una produzione nuova e con un montaggio innovativo.

Dal 01 Novembre 2016 al 30 Aprile 2017 – Milano  – Palazzo della Ragione Fotografia

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Give me yesterday

21 Dic 2016 – 12 Mar 2017
“Give Me Yesterday”, a cura di Francesco Zanot, apre la programmazione di Osservatorio, il nuovo spazio espositivo della Fondazione Prada in Galleria Vittorio Emanuele II a Milano dedicato alla fotografia e ai linguaggi visivi.

In un percorso che comprende i lavori di 14 autori italiani e internazionali (Melanie Bonajo, Kenta Cobayashi, Tomé Duarte, Irene Fenara, Lebohang Kganye, Vendula Knopova, Leigh Ledare, Wen Ling, Ryan McGinley, Izumi Miyazaki, Joanna Piotrowska, Greg Reynolds,  Antonio Rovaldi, Maurice van Es), il progetto esplora l’uso della fotografia come diario personale in un arco di tempo che va dall’inizio degli anni Duemila a oggi.

In un contesto caratterizzato dalla presenza pervasiva di  dispositivi fotografici e da una circolazione ininterrotta di immagini prodotte e condivise grazie alle piattaforme digitali, una generazione di giovani artisti ha trasformato il diario fotografico in uno strumento di messa in scena della propria quotidianità e dei rituali della vita intima e personale. Consapevoli delle ricerche di autori come Nan Goldin e Larry Clark negli Stati Uniti o Richard Billingham e Wolfgang Tillmans in Europa, i fotografi presentati in “Give Me Yesterday” sostituiscono l’immediatezza e la spontaneità dello stile documentario con un controllo estremo dello sguardo di chi osserva ed è osservato. Creano così un nuovo diario nel quale si confonde la fotografia istantanea con quella allestita, si imita la catalogazione ripetitiva del web e si usa la componente performativa delle immagini per affermare un’identità individuale o collettiva.

Ospitato al quinto e sesto piano di uno degli edifici centrali della Galleria Vittorio Emanuele II, Osservatorio si trova al di sopra dell’ottagono, al livello della cupola in vetro e ferro che copre la Galleria realizzata da Giuseppe Mengoni tra il 1865 e il 1867. Gli ambienti, ricostruiti nel secondo dopoguerra a seguito dei bombardamenti che hanno colpito il centro di Milano nel 1943, sono stati sottoposti a un restauro che ha reso disponibile una superficie espositiva di 800 mq sviluppata su due livelli.

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Vivian Maier – Where the streets have no name

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Quando nel 1987 la rock band irlandese degli U2 pubblicò la canzone “Where the Streets Have No Name”, cantando contro l’anonimato delle società divise e di divisione, in cui l’indirizzo di una persona, l’accento, il colore della pelle, il sesso, lo stato mentale o l’abbigliamento possono determinare, in base alla nostra valutazione, la sua vita e le sue conquiste personali, una fotografa di strada ancora sconosciuta stava scattando a Chicago quelle che probabilmente sarebbero state le ultime immagini di una costante e produttiva documentazione. Il suo lavoro può essere affiancato a quello dei grandi fotografi di strada del 20° secolo. Era un’imparziale opportunista che ritraeva persone provenienti da tutti i ceti social ma con la mente critica e l’occhio di un’osservatrice politicamente coscienziosa. Molte delle sue immagini sono ormai entrate nella nostra memoria collettiva. Le sue migliori fotografie rimarranno con noi per sempre e ci ricorderanno l’umile natura di perseguire con una macchina fotografica la verità nelle strade. Si tratta di un duro lavoro che raramente ripaga. Nel 1987, gli U2 hanno cantato, “Voglio correre, voglio nascondermi, voglio abbattere i muri che mi tengono dentro. Voglio toccare con mano la fiamma. Dove le strade non hanno nome”. Queste parole sembrano risuonare autentiche anche per Vivian Maier, ma noi non lo sapremo mai davvero …
ILEX Gallery è orgogliosa di presentare la prima mostra di Vivian Maier a Roma con oltre 30 stampe in gelatina d’argento.

 Vivian Maier (1926 – 2009) è stata una fotografa americana nata a New York City. Tata di professione, la fotografia di Vivian Maier è stata scoperta da John Maloof in una casa d’aste di Chicago. Nel corso di cinque decenni, Vivian Maier ha esposto oltre 2.000 rotoli di pellicola, 3.000 stampe e più di 100.000 negativi, la maggior parte scattati con la sua Rolleiflex a Chicago e New York City e mai condivise con nessuno. Le sue fotografie in bianco e nero offrono uno delle finestre più affascinanti nella vita americana della seconda metà del ventesimo secolo.

4 novembre 2016 – 5 gennaio 2017  – ILEX Gallery @ 10b Photography Gallery

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Robert Frank – Gli Americani

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“Quella folle sensazione in America, quando il sole picchia forte sulle strade e ti arriva la musica di un jukebox o quella di un funerale che passa.

È questo che ha catturato Robert Frank nelle formidabili foto scattate durante il lungo viaggio attraverso qualcosa come quarantotto stati su una vecchia macchina di seconda mano”.

Jack Kerouac 

La mostra, con il patrocinio del Comune di Milano, è realizzata in collaborazione con la MEP, Maison Européenne de la Photographie di Parigi, e promossa da Forma Meravigli, un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto.

Per la prima volta in mostra a Milano 83 fotografie vintage; la serie completa del progetto fotografico che, a metà degli anni ’50, ha cambiato il modo di pensare al reportage; nelle sale di Forma Meravigli, l’America immortalata on the road dall’obiettivo del più grande fotografo vivente, Robert Frank.

Fino al 19 febbraio 2017 – Forma Meravigli – Milano

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Nan Goldin – blood on my hands

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Matthew Marks is pleased to announce Nan Goldin: blood on my hands, the next exhibition in his gallery at 523 West 24th Street. It is the first public exhibition of Goldin’s drawings, and it includes five new large-scale “grids” of multiple photographs composed in a single frame.

Goldin has kept a diary since childhood, often filling the pages with drawings. Recently those drawings have taken on a new life as independent works of art. Emerging from her regular practice of daily reflection, they share the charged emotional atmosphere of her photographs, but their symbolic imagery, handwritten texts, and complex surfaces, made with a variety of mediums, introduce an expressive element that is new to her work.

Goldin selects the photographs for her grids according to formal or psychological themes. For the new grids, the unifying element is color: pink, blue, gold, red, or black. Each color unites moments she has captured in different countries across the decades. The grid format, which she has been working with for over twenty years, emerged from the same associative impulse as her slide shows. As Elisabeth Sussman has written, “The grid, an echo of the slide show, sums up her view that history and time exist as an aggregate of individual lives.”

Nan Goldin’s work has been the subject of two major touring museum retrospectives, one organized by the Whitney Museum of American Art (1996) and the other by the Centre Georges Pompidou (2001). Her awards include the French Legion of Honor (2006), the Hasselblad Award (2007), and the Edward MacDowell Medal (2012). An exhibition of Goldin’s work, including The Ballad of Sexual Dependency presented in its original 35mm slide format, is on view at the Museum of Modern Art in New York through February 12.

This is Goldin’s tenth one-person exhibition at the Matthew Marks Gallery since 1995.

Nan Goldin: blood on my hands is on view at 523 West 24th Street from November 5 to December 23, 2016

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Be the Bee Body Be Boom – Sara Munari

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Il progetto Be the Bee Body Be Boom verrà esposto in occasione del Festival Internazionale di Fotografia Angkor Photo Festival & Workshps, che si terrà dal 3 al 10 dicembre 2016 a Siem Reap in Cambogia.

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Letizia Battaglia – per pura passione

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a cura di Paolo Falcone, Margherita Guccione e Bartolomeo PietromarchiOltre 200 scatti, provini e vintage print inediti provenienti dall’archivio storico della grande fotografa, insieme a riviste, pubblicazioni, film e interviste
Non solo “Fotografa della mafia” ma anche testimone della vita e della società del nostro Paese: Letizia Battaglia è riconosciuta come una delle figure più importanti della fotografia contemporanea non solo per i suoi scatti saldamente presenti nell’immaginario collettivo, ma anche per il valore civile ed etico da lei attribuito al fare fotografia.

Una grande mostra monografica per testimoniare quarant’anni di vita e società italiana
Un album ininterrotto che passa dalle proteste di piazza a Milano negli anni Settanta al volto di Pier Paolo Pasolini, dai tanti morti per mafia, alla inconsapevole eleganza delle bambine del quartiere della Cala a Palermo; e poi le processioni religiose, lo scempio delle coste siciliane, i volti di Piersanti Mattarella, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, fino al feroce boss Leoluca Bagarella.

Un ritratto a 360 gradi per restituire l’intensità che caratterizza tutto il suo lavoro: dagli scatti all’impegno politico, dall’attività editoriale a quella teatrale e cinematografica sino alla recente istituzione del Centro internazionale di fotografia a Palermo.

24 novembre 2016 – 17 aprile 2017 – Maxxi Roma

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FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma XV edizione: ROMA, IL MONDO

Sala Bianca, Studio #1 e #2, Foyer
XV edizione di FOTOGRAFIA – Festival Internazionale di Roma, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, organizzato da Zètema Progetto Cultura, con la direzione artistica di Marco Delogu e co-curatore Alessandro Dandini de Sylva.

L’esposizione, che, come di consueto, ospita fotografi di fama internazionale e offre una ricognizione importante sullo stato della fotografia contemporanea, quest’anno è interamente dedicata alla città di Roma con il tema centrale “Roma, il mondo”, scelto nel duecentesimo anniversario della pubblicazione del primo volume di Viaggio in Italia di Goethe, per sottolineare come Roma voglia ancora con tutte le forze essere un grande crocevia d’incontro della cultura internazionale attraverso l’arte fotografica (quest’anno la Commissione Roma è stata affidata a 4 fotografi internazionali) nell’unica città al mondo che, eredità del “Grand Tour”, ha un sistema di accademie di cultura estere che sempre collaborano con il festival.

LA MOSTRA COLLETTIVA
Nella grande mostra collettiva principale, a cura di Marco Delogu, sono confluiti i lavori di tutti i fotografi delle passate edizioni della “Rome Commission”: Josef Koudelka, Olivo Barbieri, Anders Petersen, Martin Parr, Graciela Iturbide, Gabriele Basilico, Guy Tillim, Tod Papageorge, Alec Soth, Paolo Ventura, Tim Davis, Paolo Pellegrin, Hans Christian Schink e lo stesso Marco Delogu).

Si aggiungono i lavori della XIV edizione della Commissione Roma affidata quest’anno a:  Roger Ballen, Jon Rafman, Simon Roberts, Leo Rubinfien.

LE ALTRE MOSTRE

Pino Musi “Opus”
Il lavoro “Opus” è composto da una serie di tredici fotografie in successione lineare che prende in considerazione molteplici aspetti della sapienza costruttiva ed architettonica nell’antica Roma.

Alfred Seiland “Imperium Romanum”
L’autore ha esplorato e fotografato una serie di luoghi – dai paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo fino a quelli del Nord Europa e oltre – dove sopravvive, o rivive, l’idea dell’Antica Roma.

Martin Bogren “Rome, portraits”
Le sue foto-documento, catturate durante lunghe passeggiate fatte la mattina presto o la sera tardi, offrono un universo personale e poetico dove spazio e tempo sono sempre subordinati all’incontro con un altro essere umano.

Pier Paolo Pasolini
Una raccolta fotografica dedicata a Pasolini dalla collezione privata di Giuseppe Garrera e in un allestimento a cura di Alessandro Dandini de Sylva. La mostra raccoglie un gruppo di fotografie inedite che indagano il denso ed eccezionale rapporto di grandi fotografi con il volto e il corpo di Pasolini (William Klein, Ugo Mulas, Mario Dondero, Tazio Secchiaroli, Mario Tursi, Dino Pedriali e molti altri).

Kate Steciw & Letha Wilson “Fold and unfold”
Le due artiste americane Letha Wilson e Kate Steciw oltrepassano i confini tradizionali della fotografia, liberando l’immagine fotografica dai limiti della bidimensionalità.

Muri Socchiusi
Progetto proiettivo della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, MACRO, della Direzione Casa Circondariale “Regina Coeli” in collaborazione con VO.RE.CO – VOlontari REgina COeli e con Shakespeare and Company2, a cura di Claudio Crescentini. Video, frames e fotografie narrano gli interventi artistici realizzati, a partire da marzo 2016, sulle pareti interne di “Regina Coeli”, che, per la prima volta si apre all’arte, grazie all’operatività e la creatività di tre artiste fotografe e video-maker Laura Federici, Camelia Mirescu e Pax Paloscia e di alcuni detenuti del carcere.

Carlo Gianferro, Tommaso Ausili “Jubilee people”
Come i pittori alla Pompeo Batoni della Roma di Sette e Ottocento lavoravano per immortalare i turisti del Grand Tour, così Carlo Gianferro e Tommaso Ausili realizzano oggi una storia visiva del Grande Viaggio e dei suoi protagonisti. Nel loro progetto “Jubilee People”, ritraggono i pellegrini che sono passati durante l’ultimo Giubileo.

Daniele Molajoli e Flavio Scollo “Distruzione / Ricostruzione”
In collaborazione con Poste Italiane e il Circolo – Italian Cultural Association London, la XV edizione di FOTOGRAFIA Festival Internazionale presenta un importante progetto dedicato alla raccolta fondi – tramite il sito del festival ed altre iniziative – per il restauro di alcuni beni storico-artistici di Amatrice e delle altre zone colpite dal sisma dello scorso agosto.
I borghi medievali, le chiese affrescate e gli edifici storici oggi sono in gran parte ridotti ad un cumulo di macerie ed è doveroso pensare anche alla ricostruzione di questi luoghi. La mostra propone un reportage ricco di fotografie inedite che racconta la storia dei luoghi danneggiati, creando una sorta di mappatura dei più importanti beni storici e culturali danneggiati o distrutti dal terremoto. Una prima parte del progetto (per rispetto dell’emergenza umanitaria) è stato svolto in Val Nerina, nella provincia di Norcia, e la seconda parte coinvolgerà invece i comuni di Amatrice, Accumuli ed Arquata del Tronto.

21/10/2016 – 08/01/2017 – Macro via Nizza – Roma

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Taylor Wessing Photographic Portrait Prize 2016

17 November 2016 – 26 February 2017 – National Portrait Gallery – London

The Taylor Wessing Photographic Portrait Prize 2016 is the leading international competition, open to all, which celebrates and promotes the very best in contemporary portrait photography from around the world.

Showcasing talented young photographers, gifted amateurs and established professionals, the competition features a diverse range of images and tells the often fascinating stories behind the creation of the works, from formal commissioned portraits to more spontaneous and intimate moments capturing friends and family.

The selected images, many of which will be on display for the first time, explore both traditional and contemporary approaches to the photographic portrait whilst capturing a range of characters, moods and locations. The exhibition of fifty-seven works features all of the prestigious prize winners including the winner of the £15,000 first prize

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Prima Visione 2016 – I fotografi e Milano

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Torna alla Galleria Bel Vedere, Prima Visione, la mostra dedicata a Milano, in collaborazione con il G.R.I.N. (Gruppo Redattori Iconografici Nazionale) e giunta alla dodicesima edizione. Tra le proposte dei 42 autori selezionati che nel 2016 hanno realizzato almeno un’immagine della città, oltre ai monumenti storici in tutta la loro bellezza e alle immancabili periferie, anche qualche visione di una Milano quasi inedita, negli interni, nella nebbia, notturna e romantica.
Non mancano poi le persone, ritratte in solitario, o durante feste ed eventi, come il Capodanno cinese, le corse di auto d’epoca, al museo, o riprese in pose curiose e un po’ surreali.

Dal 18 Novembre al 21 Dicembre – Galleria Bel Vedere – Milano

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Robert Capa in Italia 1943-44

Robert Capa 937; 536.WAR.ITA.032; 43-4-28; 1943

Robert Capa 937; 536.WAR.ITA.032; 43-4-28; 1943

La mostra Robert Capa in Italia 1943 – 1944, dedicata al grande fotoreporter di guerra, con immagini che raccontano gli anni della seconda guerra mondiale in Italia.La mostra, che resterà aperta sino al 15 gennaio 2017, è organizzata e prodotta dalla Fratelli Alinari Fondazione per la Storia della Fotografia in collaborazione con il Museo Nazionale Ungherese di Budapest, con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Parma, il patrocinio della Regione Emilia Romagna ed il supporto del Lions Club Parma Maria Luigia.

L’esposizione è curata da Beatrix Lengyel e promossa dal Ministero delle Risorse Umane d’Ungheria, dal Consolato Onorario Ungherese di Bologna, e dall’Associazione Culturale Italia-Ungheria e presenta 78 immagini in bianco e nero scattate da Capa in Italia nel biennio 1943 – 44.

Considerato da alcuni il padre del fotogiornalismo, da altri colui che al fotogiornalismo ha dato una nuova veste e una nuova direzione, Robert Capa (Budapest, 1913 – Thái Binh, Vietnam, 1954) pur non essendo un soldato, visse la maggior parte della sua vita sui campi di battaglia, vicino alla scena, spesso al dolore, a documentare i fatti: “se le tue fotografie non sono all’altezza, non eri abbastanza vicino”, ha confessato più volte.

In oltre vent’anni di attività ha seguito i cinque maggiori conflitti mondiali: la guerra civile spagnola, la guerra sino-giapponese, la seconda guerra mondiale, la guerra araboisraeliana del 1948 e la prima guerra d’Indocina.

A settanta anni di distanza, la mostra racconta lo sbarco degli Alleati in Italia con una selezione di fotografie provenienti dalla serie Robert Capa Master Selection III conservata a Budapest e acquisita dal Museo Nazionale Ungherese tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. La serie, composta da 937 fotografie scattate da Capa in 23 paesi di 4 continenti, è una delle tre Master Selection realizzate da Cornell, fratello di Robert Capa, anch’egli fotografo, e da Richard Whelan, biografo di Capa, all’inizio degli anni Novanta e oggi conservate a New York, Tokyo e Budapest. Le serie, identiche tra loro e denominate Master Selection I, II e III, provengono dalla collezione dell’International Center of Photography di New York, dove è conservata l’eredità di Capa.

Esiliato dall’Ungheria nel 1931, Robert Capa inizia la sua attività di fotoreporter a Berlino e diventa famoso per le sue fotografie scattate durante la guerra civile spagnola tra il 1936 il 1939. Quando arriva in Italia come corrispondente di guerra, ritrae la vita dei soldati e dei civili, dallo sbarco in Sicilia fino ad Anzio: un viaggio fotografico, con scatti che vanno dal luglio 1943 al febbraio 1944 per rivelare, con un’umanità priva di retorica, le tante facce della guerra spingendosi fin dentro il cuore del conflitto.

Le immagini colpiscono ancora oggi per la loro immediatezza e per l’empatia che scatenano in chi le guarda. Lo spiega perfettamente lo scrittore John Steinbeck in occasione della pubblicazione commemorativa di alcune fotografie di Robert Capa: “Capa sapeva cosa cercare e cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva, ad esempio, che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino”.

Ed è così che Capa racconta la resa di Palermo, la posta centrale di Napoli distrutta da una bomba ad orologeria o il funerale delle giovanissime vittime delle famose Quattro Giornate di Napoli. E ancora, vicino a Montecassino, la gente che fugge dalle montagne dove impazzano i combattimenti e i soldati alleati accolti a Monreale dalla gente o in perlustrazione in campi opachi di fumo, fermo immagine di una guerra dove cercano – nelle brevi pause – anche il recupero di brandelli di umanità.

Settantotto fotografie per mostrare una guerra fatta di gente comune, di piccoli paesi uguali in tutto il mondo ridotti in macerie, di soldati e civili, vittime di una stessa strage. L’obiettivo di Robert Capa tratta tutti con la stessa solidarietà, fermando la paura, l’attesa, l’attimo prima dello sparo, il riposo, la speranza.

Così Ernest Hemingway, nel ricordare la scomparsa, descrive il fotografo: “ Ѐ stato un buon amico e un grande e coraggiosissimo fotografo. Era talmente vivo che uno deve mettercela tutta per pensarlo morto”.

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Around Ai Weiwei Photographs 1983 – 2016

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A cura di Davide Quadrio

La mostra Around Ai Weiwei. Photographs 1983-2016 mette in evidenza i diversi momenti del percorso artistico di Ai Weiwei – figura provocatoria e controversa – indagando non solo la sua poetica artistica dagli esordi fino ai giorni nostri ma anche il suo ruolo nel dibattito culturale, sociale e politico, cinese e internazionale. La mostra esplora la genesi di Ai Weiwei come personaggio pubblico e come icona del mondo asiatico, oltre a stimolare una riflessione sul modo in cui l’ambiente contemporaneo lo abbia trasformato, piuttosto che interrogarsi su “chi” Ai Weiwei sia diventato.

“In un panorama di mostre che presentano le opere monumentali di Ai Weiwei abbiamo concepito questo progetto – racconta il curatore Davide Quadrio – espressamente per riorientare lo sguardo del pubblico verso gli elementi documentari che circondano la vita dell’artista, in quanto testimonianze del suo affascinante viaggio come uomo, creatore e attivista. Per i più, Ai Weiwei è ormai un prodotto globale di origine cinese.”

All’ingresso di Camera ci troviamo davanti a un’unica opera d’arte monumentale Soft Ground, un tappeto lungo 45 metri con una riproduzione fotografica in scala 1:1 delle tracce lasciate da carri armati su una carreggiata a sud-ovest di Pechino e che ricordano quelle lasciate dai carri inviati a Piazza Tiananmen durante le proteste del 1989.

Lungo il muro, alla destra del tappeto, scorre la vita di Ai Weiwei nel contesto newyorkese grazie all’esposizione di una serie di fotografie dal titolo New York Photographs 1983-1993: come fermi immagine di un film in bianco e nero, gli 80 scatti, selezionati tra gli oltre 10.000 della serie, costituiscono una sequenza di momenti privati e incontri che l’artista fece quando visse negli Stati Uniti dal 1983 al 1993.

Dopo questa passeggiata introduttiva, e come risultato di tutto ciò che essa rappresenta, la mostra si sviluppa in modo cronologico e per capitoli tematici. Come raggruppamenti principali all’interno della narrazione complessiva, le due opere video Chang’an Boulevard (“Viale Chang’an”) e Beijing: The Second Ring (“Pechino: il secondo anello”) descrivono lo scenario della capitale cinese nei primi anni 2000. Ai Weiwei documenta attraverso riprese di paesaggi urbani e frammenti di vita le radicali trasformazioni che investono Pechino, dissezionando e indagando una città in continua metamorfosi.

Viene presentata anche una rara video-intervista condotta da Daria Menozzi, Before Ai Weiwei (1995) che mostra l’artista coinvolto in un dialogo intimo, offrendoci così uno scorcio dei primi anni del suo ritorno in Cina dopo il soggiorno newyorkese. Questo documentario pressoché inedito conferma il decisivo contributo di Ai Weiwei all’interno del discorso intellettuale, culturale e artistico nella Cina degli anni Novanta, rivelandoci anche l’essenza del suo pensiero e della sua attività artistica durante quell periodo.

Con questo approccio fotografico, che mette in evidenza l’urbanistica e l’architettura dell’epoca, la mostra presenta Beijing Photographs 1993-2003 (“Fotografie di Pechino, 1993-2003”). Questa serie inedita di fotografie ritrae la vita, le azioni e l’entourage di Ai Weiwei appena prima del rapido processo di trasformazione che avrebbe reso Pechino la città globale di oggi.

L’immagine guida scelta dall’artista, capace di riassumere e illustrare la mostra, è una fotografia del 2003 dal titolo The Forbidden City during the SARS Epidemic (“La Città Proibita durante l’epidemia SARS” – sala 5). In questo autoritratto, che somiglia a un selfie ante litteram, Ai Weiwei è solo nella Città Proibita, svuotata dall’epidemia che ha isolato la Cina dal resto del mondo per sei mesi e che ha trasformato in città fantasma moltissimi tra villaggi e cittadine.

La trama autobiografica della mostra è scandita anche da una selezione di sculture che diventano simboli dello svolgersi della vita di Ai Weiwei nel corso di quattro decenni. I readymade dell’artista e le opere in porcellana rappresentano le molteplici capacità e le ricche sfumature espressive che l’artista utilizza. Ogni scultura si manifesta come punto di riflessione, come una sospensione del tempo che i visitatori possono esperire attraverso le sale di Camera.

L’ultima sezione offre un’anteprima di uno degli ultimi progetti di Ai Weiwei: Refugee Wallpaper, ovvero 17.000 immagini scattate da Ai durante il suo continuo contatto con l’emergenza rifugiati che si sta dispiegando in Europa, in Medio Oriente e altrove. Questa serie monumentale sembra voler far interrogare il pubblico sulle implicazioni dell’attivismo dell’artista. All’interno dei confini divenuti fragili sotto il peso degli eventi globali e della politica internazionale, il dramma della migrazione diviene spettacolo come tutto il resto.

La mostra è curata da Davide Quadrio con la collaborazione di You Mi, curatore aggiunto e Ryan Nuckolls, ricerca e coordinamento in Cina.

La mostra è realizzata grazie al sostegno di Compagnia di San Paolo e Lavazza, ed è promossa e organizzata con Fondazione Palazzo Strozzi, Firenze affiancandosi alla grande retrospettiva Ai Weiwei. Libero.

Dal 28 ottobre 2016 al 12 febbraio 2017

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The Radical Eye: Modernist Photography from the Sir Elton John Collection

 

 

This is a once-in-a-lifetime chance to see one of the world’s greatest private collections of photography, drawn from the classic modernist period of the 1920s–50s. An incredible group of Man Ray portraits are exhibited together for the first time, having been brought together by Sir Elton John over the past twenty-five years, including portraits of Matisse, Picasso, and Breton.

With over 70 artists and nearly 150 rare vintage prints on show from seminal figures including Brassai, Imogen Cunningham, André Kertész, Dorothea Lange, Tina Modotti, and Aleksandr Rodchenko, this is a chance to take a peek inside Elton John’s home and delight in seeing such masterpieces of photography.

10 November 2016 – 7 May 2017 – Tate Modern London

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Indagine ai limiti di una città

 

Gli spazi di Officine Fotografiche Roma accoglieranno, per circa un mese, sette progetti fotografici di altrettanti fotografi italiani che hanno intrapreso un viaggio personale intorno al concetto di margine: Vincenzo Labellarte, Daniele Cametti Aspri, Mauro Quirini, Paolo Fusco, Michele Miele, Gabriele Lungarella e Michele Vittori.

L’idea che sta alla base di questo progetto espositivo e di questa riflessione corale e fotografica prende spunto dalla frase del sociologo e filosofo Zygmunt Bauman:

“…I confini dividono lo spazio; ma non sono pure e semplici barriere. Sono anche interfacce tra i luoghi che separano…”

I fotografi che partecipano alla collettiva, attraverso la loro sensibilità e la loro visione soggettiva, si sono confrontati direttamente sul concetto di confine espresso da Bauman, che non è inteso solo come confine di spazio, né soltanto come misura di tempo: è un idea in grado di rappresentare una dimensione altra, multiforme e mutevole.

 Così, dalle cinte murarie di Roma alle piccole frazioni, dalle spiagge silenziose agli appezzamenti di terreno, dai quartieri popolari al “drizzagno del Tevere”, fino al Monte Terminillo, il progetto espositivo messo a punto da Massimo Siragusa consente un continuo dialogo tra piani e punti di vista diversi su Roma e dintorni della Capitale, in una dimensione corale che tende più a sottolineare le similitudini piuttosto che a rimarcare le differenze.

 Il progetto fotografico in mostra a Officine Fotografiche diventerà presto un libro, di oltre 100 pagine, dal titolo LìMINE. Indagine ai limiti di una città, a cura di Doll’s Eye Reflex Laboratory su progetto di Irene Alison, in uscita nel 2017 e da oggi in prevendita sul sito http://www.dollseyereflex.org.

dal 17 Novembre al 7 Dicembre 2016 – Officine Fotografiche – Roma

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Afro-Iran | The Unknown Minority – Mahdi Ehsaei

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Afro-Iran | The Unknown Minority, la serie fotografica e il libro realizzato dal fotografo iraniano-tedesco di nascita, Mahdi Ehsaei, rivela un lato dell’Iran sconosciuto persino a molti iraniani. Un viaggio in terre abitate dai discendenti di schiavi e mercanti africani, guida il fotografo alla scoperta di una popolazione iraniana incredibilmente unica.

La provincia di Hormozgan, sul Golfo Persico, è una regione tradizionalmente e storicamente caratterizzata da una popolazione etnicamente differente e poco conosciuta. È inserita all’interno di paesaggi incomparabili e persone dalla personalità profondissima. Sono iraniani che continuano ancora oggi a mantenere la loro ricca eredità culturale africana attraverso l’abbigliamento, la musica, le danze, le tradizioni tramandate oralmente e i loro rituali.
I ritratti di Mahdi Ehsaei – mostrando il confronto tra la cultura persiana e la coscienza africana – rivelano volti ben lontani dalle comuni rappresentazioni dell’Iran, documentando la secolare storia di questa minoranza etnica.
Da questo confronto fra la cultura persiana e la consapevolezza africana, insolita per l’Iran, si presenta agli occhi dello spettatore un’esperienza sorprendentemente nuova.

WSP photography ospiterà una selezione di 20 fotografie tratte dal progetto complessivo e il libro fotografico che accompagna la serie. La sera dell’inaugurazione sarà presente il fotografo Mahdi Ehsaei, in conversazione con Alessandra Migani (curatrice) e Antonello Sacchetti (giornalista, scrittore, blogger, appassionato di Iran).

 Nato in Germania da genitori iraniani, Mahdi Ehsaei (27 anni) non è estraneo alla vita tra culture diverse, esplorando la sua doppia identità all’interno di questi mondi. Si è laureato come designer e fotografo presso la Facoltà di Design presso l’Università di Scienze Applicate di Darmstadt, in Germania. Per il suo lavoro sugli Afro-Iraniani è partito per l’Iran per fare luce e documentare visivamente una comunità di persone che, come lui, rappresentano la complessità di una doppia identità, utilizzando la sua grande passione per la fotografia.
La serie Afro-Iran è stata esposta finora in Germania e in Colombia.

La mostra sarà esposta fino al 15 dicembre –  WSP photography – Roma

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