Mostre per novembre

Ed eccoci all’appuntamento fisso con le mostre di fotografia. Anche il programma di novembre si presenta ricco ed entusiasmante! Cercate di non perdervele, si impara tantissimo dalle mostre di altri autori.

Sulla pagina dedicata, trovate l’elenco delle mostre in corso sempre aggiornato.

Anna

Omaggio al Giappone

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Dal 3 settembre 2016 al 5 gennaio 2017, il Museo Civico Pier Alessandro Garda di Ivrea (TO) ospita “Omaggio al Giappone”, una mostra che propone uno sguardo approfondito sulla fotografia nipponica contemporanea attraverso l’obiettivo dei suoi maggiori e più riconosciuti maestri.

L’iniziativa, organizzata e curata dal Fondo Malerba per la Fotografia, col patrocinio della città di Ivrea e il sostegno della Fondazione Guelpa, presenta 21 immagini di Nobuyoshi Araki, Yasumasa Morimura, Daido Moriyama, Toshio Shibata, Hiroto Fujimoto e Kazuko Wakayama, provenienti dalla Collezione Malerba.

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Genesi – Sebastião Salgado

Il 28 ottobre 2016 aprirà a Forlì, presso la chiesa di San Giacomo in San Domenico, la mostra “Genesi” di Sebastião Salgado, protagonista di un tour internazionale di grandissimo successo.

Potente nella sua essenziale purezza, il messaggio di “Genesi” è incredibilmente attuale, perché pone al centro il tema della preservazione del nostro pianeta, tema portante anche della Settimana del Buon Vivere, nel cui ambito ha preso il via il ciclo delle grandi mostre fotografiche forlivesi inaugurato lo scorso anno da Steve McCurry.

“Genesi” di Sebastião Salgado è un progetto iniziato nel 2003 e durato 10 anni, un canto d’amore per la terra e un monito per gli uomini. Con 245 eccezionali immagini che compongono un itinerario fotografico in un bianco e nero di grande incanto, la mostra racconta la rara bellezza del patrimonio unico e prezioso, di cui disponiamo: il nostro pianeta. Le fotografie di Salgado sono state realizzate con lo scopo di immortalare un mondo in cui natura ed esseri viventi vivono ancora in equilibrio con l’ambiente.

Ideata da Amazonas Images, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune di Forlì, la mostra è organizzata da Civita Mostre in collaborazione con Contrasto.

Chiesa di San Giacomo in San Domenico – Forlì

dal 28 Ottobre 2016 al 29 Gennaio 2017

Avevamo già raccontato di questo importante lavoro di Salgado qua

Jacob Aue Sobol

Phos, Centro Polifunzionale per la Fotografia e le Arti Visive presenta una mostra di
Jacob Aue Sobol.

Il tratto stilistico di Jacob Aue Sobol si inserisce nella tradizione della scuola di fotografia del Nord Europa, nata con Christer Strömholm e proseguita con Anders Petersen.
Questa declinazione non si limita all’uso del bianco e nero ma trova corrispondenza anche nell’attenzione alla vita e alle relazioni che il fotografo riesce a instaurare con le diverse realtà che documenta. I suoi lavori infatti non rappresentano un punto di vista esterno sulla realtà fotografata, ma sono frutto della capacità dell’artista di entrare a far parte delle situazioni documentate.
E’ dunque possibile parlare di un approccio personale e intimo alla fotografia.
Le immagini raccontano di emozioni e di condivisione, la presenza stessa dell’artista è riconoscibile nei suoi scatti tanto quanto i suoi distintivi tratti estetici, che vedono i bianchi staccarsi con violenza dai neri. Questa scelta consente a Sobol di evidenziare gli aspetti essenziali eliminando le specificità dello spazio e del tempo.

Jacob Aue Sobol è nato e cresciuto nella periferia a sud di Cophenhagen. Dopo essersi spostato dal Canada alla Groenlandia fino a Tokyo, nel 2008 ha fatto ritorno in Danimarca, dove ora vive e lavora. Ha studiato presso European Film College e, successivamente, è stato ammesso al Fatamorgana, scuola danese di fotografia d’arte.

Mostra a cura di Claudio Composti / Mc2 Gallery.

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Herbert List “La spiaggia e la strada. Der Strand und die Straße. Opere, 1930-1955”

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 “Ogni giorno viene prodotto un numero incalcolabile di fotografie ma un’immagine che possa essere apprezzata come oepra d’arte non è più frequente di una parola di poesia tra tutto quanto scritto” Herbert List

Contrasto Galleria propone una mostra decicata a Herbert List. L’open space della galleria offre un percorso che si sviluppa dagli anni Trenta del secolo scorso, e ne ripercorre la bellezza tramite alcuni degli scatti più celebri ed eleganti del fotografo tedesco.

Dove: Contrasto galleria, via Ascanio Sforza 29, Milano

Quando: dal 28 settembre al 30 dicembre 2016

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 Vivian Maier – Nelle sue mani

Ad aprire la stagione autunnale sarà una figura singolare e affascinante, recentemente ritrovata e definita una delle massime esponenti della cosiddetta “street photography”: Vivian Maier. Dopo il grande successo della mostra “Robert Doisneau. Le merveilleux quotidien”, all’Arengario di Monza continua il programma espositivo dedicato ai grandi protagonisti della fotografia.

Dall’8 ottobre 2016 all’8 gennaio 2017, gli spazi dell’Arengario ospiteranno “Vivian Maier. Nelle sue mani”, un progetto a cura di Anne Morin, prodotto e organizzato da ViDi in collaborazione con il Comune di Monza, diChroma photography, John Maloof Collection, Howard Greenberg Gallery, New York, realizzato con la consulenza scientifica di Piero Pozzi.

Nata a New York nel 1926 da madre francese e padre austriaco, Vivian Maier trascorre la maggior parte della sua giovinezza in Francia, dove comincia a scattare le prime fotografie utilizzando una modesta Kodak Brownie. Nel 1951 torna a vivere negli Stati Uniti e inizia a lavorare come tata per diverse famiglie. Una professione che manterrà per tutta la vita e che, a causa dell’instabilità economica e abitativa, condizionerà alcune scelte importanti della sua produzione fotografica.

Fotografa per vocazione, Vivian non esce mai di casa senza la macchina fotografica al collo e scatta compulsivamente con la sua Rolleiflex accumulando una quantità di rullini così grande che non riuscirà nemmeno a svilupparli tutti.

Tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del nuovo millennio, cercando di sopravvivere, senza fissa dimora e in gravi difficoltà economiche, Vivian vede i suoi negativi andare all’asta a causa di un mancato pagamento alla compagnia dove li aveva immagazzinati. Parte del materiale viene acquistato nel 2007 da John Maloof, un agente immobiliare, che, affascinato da questa misteriosa fotografa, inizia a cercare i suoi lavori dando vita ad un archivio di oltre 120.000 negativi. Un vero e proprio tesoro che ha permesso al grande pubblico di scoprire in seguito l’affascinante vicenda della bambinaia-fotografa.

La mostra nasce dal desiderio di rendere omaggio a questa straordinaria artista che mentre era in vita ha realizzato un numero impressionante di fotografie senza farle mai vedere a nessuno, come se volesse conservarle gelosamente per se’ stessa.

Attraverso un racconto per immagini composto da oltre cento fotografie – in maggior parte mai esposte prima in Italia – in bianco e nero e a colori, oltre che da pellicole e negativi, il percorso espositivo descrive Vivian Maier da vicino, lasciando che siano le opere stesse a sottolineare gli aspetti più intimi e personali della sua produzione.

Con uno spirito curioso e una particolare attenzione ai dettagli, Vivian ritrae le strade di New York e Chicago, i suoi abitanti, i bambini, gli animali, gli oggetti abbandonati, i graffiti, i giornali e tutto ciò che le scorre davanti agli occhi. Il suo lavoro mostra il bisogno di salvare la “realtà” delle cose trovate nei bidoni della spazzatura o buttate sul marciapiede. Pur lavorando nei quartieri borghesi, dai suoi scatti emerge un certo fascino verso ciò che è lasciato da parte, essere umano o no, e un’affinità emotiva nei confronti di chi lotta per rimanere a galla.

In mostra non mancano i celebri autoritratti in cui il suo sguardo severo riflette negli specchi, nelle vetrine e la sua lunga ombra invade l’obiettivo quasi come se volesse finalmente presentarsi al pubblico che non ha mai voluto o potuto incontrare

L’esposizione offrirà, quindi, la possibilità di scoprire una straordinaria fotografa che con le sue immagini profonde e mai banali racconta uno spaccato originale sulla vita americana della seconda metà del Ventesimo Secolo.

Per tutta la durata della mostra una serie di incontri ed eventi gratuiti, a cura di Piero Pozzi – fotografo e docente di fotografia presso il Politecnico di Milano, Facoltà del Design – permetteranno ai visitatori di approfondire l’opera di Vivian Maier e la storia della fotografia.

Arengario di Monza
Piazza Roma – 20090 Monza

Date
8 ottobre 2016 – 8 gennaio 2017

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Looking back while going forward – Sylvia Plachy

Curata da Roberta Fuorvia e Yvonne De Rosa, la mostra presenta – per la prima volta in Italia – un’accurata selezione di 29 immagini a colori e b/n selezionate ad hoc per la realizzazione della mostra, unica data italiana dell’autrice.

Sylvia Plachy è nata a Budapest nel 1943. Da giovane fuggì dall’Ungheria con i suoi genitori dopo la rivoluzione del 1956. Si stabilì, quindi, negli Stati Uniti nel 1958. Dopo aver conseguito la laurea al Pratt Institute, ha iniziato a lavorare come fotografa. Tra il 1974 e il 2004 è stata fotografa per il Village Voice di New York City e più tardi anche per Metropolis e il New Yorker. Ha pubblicato sei libri di cui il primo –Unguided Tour (ed. Aperture book)- ha vinto il premio per il miglior Infinity Award nel 1990. Un’altra sua pubblicazione sulle memorie fotografiche dell’ Europa orientale, Self Portrait with Cows Going Home (ed. Aperture book), ha vinto il premio Golden Light 2004. Nel corso degli anni Sylvia Plachy ha insegnato in molti workshop in Europa, in Messico e negli Stati Uniti. Le sue fotografie fanno parte di collezioni private e in musei come il MOMA di New York. Tra gli altri premi ricordiamo il Guggenheim Fellowship, Lucie, e il Dr. Erich Salomon Preis.

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Henri Cartier Bresson. Fotografo.

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“Sono solo un tipo nervoso, e amo la pittura.” …”Per quanto riguarda la fotografia, non ci capisco nulla” questo affermava all’età di 24 anni Henri Cartier Bresson, che aveva comprato la sua prima Leica da appena due anni. Dal non capirci nulla a diventare un maestro il passo alla fine è stato breve, e per ripercorrere la grandezza della sua arte, per scoprire il carico di ricchezza di ogni sua immagine, la Villa Reale di Monza ospita una grande mostra dal titolo Henri Cartier Bresson. Fotografo. A partire dal 20 ottobre, l’esposizione offrirà la possibilità di immergersi nel suo mondo attraverso 140 scatti.
Non capire nulla di fotografia per Bresson significava tra l’altro, non sviluppare personalmente i propri scatti. Un lavoro questo che lascia agli specialisti del settore. Bresson non vuole apportare infatti alcun miglioramento al negativo, non vuole rivedere le inquadrature, perché lo scatto deve essere giudicato secondo quanto fatto nel qui e ora, nella risposta immediata del soggetto. Bresson non torna mai ad inquadrare le sue fotografie, non opera alcuna scelta, le accetta o le scarta, nulla più. In questo senso ha quindi pienamente ragione nell’affermare di non capire nulla di fotografia, in un mondo, invece, che ha elevato quest’arte a strumento dell’illusione per eccellenza.
“Per me, la macchina fotografica è come un block notes, uno strumento a supporto dell’intuito e della spontaneità, il padrone del momento che, in termini visivi, domanda e decide nello stesso tempo. Per “dare un senso” al mondo, bisogna sentirsi coinvolti in ciò che si inquadra nel mirino. Tale atteggiamento richiede concentrazione, disciplina mentale, sensibilità e un senso della geometria. Solo tramite un utilizzo minimale dei mezzi si può arrivare alla semplicità di espressione”, questo scriveva Henri Cartier-Bresson.
La mostra, curata da Denis Curti per la Villa Reale, si pone dunque come obiettivo quello di far conoscere e far capire il modus operandi di questo grande maestro della fotografia, la sua ricerca del contatto con gli altri, nei luoghi e nelle situazioni più diverse.
L’esposizione è promossa dal Consorzio Villa Reale e Parco di Monza e da Nuova Villa Reale di Monza in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson e Magnum Photos Parigi e organizzata da Civita Mostre con il supporto di Cultura Domani.
Sarà visitabile fino al 26 febbraio 2017.

Villa Reale di Monza
Secondo Piano Nobile
20 ottobre 2016 – 26 febbraio 2017

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EOLO PERFIDO – UNREVEALED

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La galleria due piani, in occasione del suo primo anno di attività, è lieta di ospitare Eolo Perfido in un doppio appuntamento che lo vedrà protagonista della mostra UNREVEALED, a cura di Benedetta Donato e di un workshop durante le giornate dell’8 e 9 ottobre.

 Dopo il successo della mostra Tokyoites, presentata alla Leica Galerie di Milano lo scorso 20 settembre, l’Autore, tra i più stimati street photographer del mondo, conosciuto per le sue serie di ritratti, le campagne pubblicitarie e le prestigiose collaborazioni che vantano nomi come Steve McCurry, Eugene Richards, Elliott Erwitt e James Natchwey, nella sede di Pordenone esporrà una selezione tratta dalla produzione di Street Photography, realizzata negli ultimi due anni tra l’Italia, la Germania e il Giappone.

 Le fotografie di UNREVEALED sembrano essere idealmente accompagnate da un verso del poeta Lec «La vita costringe l’uomo a molte azioni spontanee» che il fotografo riesce ad intercettare un attimo prima del loro compiersi, isolandole in una realtà sospesa eppure colta nel caos urbano quotidiano caratterizzante le metropoli. Instancabile esploratore e grande osservatore, Eolo Perfido ci conduce lungo un percorso non convenzionale, fatto di storie non svelate del tutto, solo sussurrate, accennate, lasciate all’interpretazione dello spettatore. E qui la scelta di non svelare il volto delle persone sembra essere un flusso spontaneo del racconto, più che una casualità o una necessità. Non svelare per raccontare molto di più una realtà che, nell’interpretazione offerta in questa mostra, diviene ordinata, rigorosamente attenta alle geometrie, a tratti metafisica, spesso ironica.

 La serie UNREVEALED dimostra lungo tutto il percorso espositivo, un atteggiamento coerente mantenuto dal fotografo, che vede nella realtà uno strumento per suggerire visioni urbane dove i soggetti ritratti con il viso sempre celato ne diventano attori inconsapevoli.
Le opere di Eolo Perfido rimarranno esposte fino al 20 novembre e saranno accompagnate dalle recenti pubblicazioni sul lavoro dell’artista, in visione presso la galleria due piani.

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Voix d’Afrique | opere da una collezione privata
Malick Sidibé | Seydou Keïta

Mc2gallery è orgogliosa di presentare una selezione di opere di due grandi artisti africani riconosciuti ed acclamati anche al di fuori del loro paese, che hanno saputo raccontare la dignità e la cultura del popolo del Mali: Seydou Keïta e Malick Sidibé. I due artisti hanno documentato un’Africa in rapida evoluzione, un’Africa che voleva fortemente rivendicare la propria identità. Gli scatti di Keïta e Sidibé liberano i personaggi dagli stereotipi del razzismo ed esaltano la bellezza della loro individualità. I loro sono veri e propri ritratti, meticolosamente studiati in tutti i dettagli dell’ambientazione circostante. Donne, uomini, coppie e famiglie, formano una galleria di personaggi affascinanti ed eleganti, immortalati sia in attimi di quotidianità sia in momenti di divertimento e spontaneità. I loro volti ci parlano di emancipazione, del loro sogno di libertà e di una forte complicità con l’artista. << E’ semplice scattare una foto, ma ciò che realmente fa la differenza è che io sapevo sempre come trovare la giusta posizione, non sbagliavo mai…Ero in grado di far sembrare qualcuno veramente bello…Ecco perché dico sempre che è vera arte… >> (S.Keïta)

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 Shifting boundaries – European Photo Exhibition Award

E’ stata definita non a torto “la palestra europea della fotografia” perché epea03, cioè la terza edizione della European Photo Exhibition Award è l’esposizione fotografica itinerante frutto del lavoro di 12 giovani fotografi che, nei mesi scorsi, hanno percorso l’Europa, per interpretare con i loro scatti i cambiamenti più profondi, secondo il tema “Confini sfuggenti”. Ne è emersa una collettiva che raccoglie centinaia di immagini e installazioni capaci di focalizzare l’evoluzione dei territori europei, sia come un’unica entità che come stati singoli.
Grazie alla Fondazione Banca del Monte di Lucca, che ha fatto proprio il progetto europeo a sostegno dei giovani talenti, e grazie alla collaborazione con la Provincia di Lucca, la mostra dei lavori del 12 fotografi sarà esposta a Viareggio, Villa Argentina dal 15 ottobre all’11 dicembre, a ingresso libero.
L’esposizione è stata presentata questa mattina dal presidente della Fondazione Banca del Monte di Lucca, Oriano Landucci, insieme al consigliere della Provincia di Lucca, Umberto Buratti e al curatore delle mostra, Enrico Stefanelli.
I fotografi proposti per l’Italia, dalla Fondazione Banca del Monte di Lucca, sono stati selezionati da Enrico Stefanelli, ideatore e anima del Photolux Festival.

I 12 fotografi scelti per questa edizione sono: Arianna Arcara (Italia), Pierfrancesco Celada (Italia), Marthe Aune Eriksen (Norvegia), Jakob Ganslmeier (Germania), Margarida Gouveia (Portogallo), Marie Hald (Danimarca), Dominic Hawgood (Regno Unito), Robin Hinsch (Germania), Ildikà Péter (Ungheria), Eivind H. Natvig (Norvegia), Marie Sommer (Francia) e Christina Werner (Austria), che provengono da 9 Paesi europei.
epea, mira a creare uno spazio libero in cui sviluppare temi socialmente rilevanti in materia europea, discussi da fotografi di talento che vivono e lavorano in Europa e che ancora si trovano all’inizio della loro carriera di fotografi professionisti.
Uno dei modi migliori per percepire la storia europea è esaminare i suoi costanti e complessi cambiamenti e le trasformazioni, come sintomi di un processo dinamico di sviluppo che ha la tendenza non solo a rimodellare la realtà, ma anche le proprie idee e l’immagine. Non sorprende, quindi, che le recenti analisi della situazione europea contemporanea si siano concentrate sugli effetti delle maggiori trasformazioni che stanno avvenendo nella società: la transizione verso un’economia postindustriale, il forte aumento del flusso e delle reti di comunicazione e delle merci; l’aumento della mobilità delle persone, in particolare la ripresa del fenomeno dell’immigrazione (e la conseguente intensificazione del dibattito sulle condizioni di integrazione, ma anche di controllo e legalità); e gli effetti della globalizzazione economica, tecnologica e culturale. Questi sono solo alcuni esempi che rafforzano l’idea che ci troviamo di fronte a significativi (e in alcuni casi radicali) cambiamenti delle condizioni di vita e delle strutture sociali e culturali in Europa, una percezione che è stata recentemente accentuata dalla grave crisi economica e politica che ha avuto conseguenze devastanti per la società, che istigano nuovi fronti di frammentazione nello spazio europeo e l’emergere di nuovi tipi di fenomeni e di conflitto.

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Malick Sidibé – “Portraits”

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In mostra una trentina di ritratti degli anni Settanta realizzati da Malick Sidibé nello Studio Malick a Bamako, capitale del Mali. La mostra celebra il grande fotografo africano, scomparso nell’aprile 2016: “Mio padre non ha mai potuto vedere la sua immagine, se non riflessa in uno specchio o nell’acqua. Eppure da sempre l’uomo cerca l’immortalità nella pittura o nella poesia. La fotografia è un modo per vivere più a lungo, oltre il tempo. Io credo nel potere dell’immagine. Per questo ho passato tutta la vita a ritrarre le persone, nel miglior modo possibile”. Con i suoi ritratti in studio Malick si è confrontato con una lunga tradizione, nata in Europa, ma rapidamente acquisita in tutta l’Africa. Nelle sue immagini mette a frutto i suoi studi d’arte, intervenendo, fino alla fine della sua vita, con i suoi soggetti, spostandoli, suggerendo pose, incitando sempre a sorridere davanti all’obiettivo. Il suo entusiasmo, la curiosità e una profonda umanità danno alle sue immagini una forza emotiva particolare e una poesia rare da trovare nelle fotografie in studio. Oggi quelle immagini rappresentano un tesoro inestimabile, che racconta la storia di un popolo. “L’ho detto durante la mia premiazione alla Biennale d’Arte di Venezia: sono solo un piccolo africano che ha raccontato il suo Paese, ancora sorpreso del riconoscimento che il mondo mi tributa. Oggi c’è chi mi chiama artista: io continuo a preferire la definizione di fotografo”.

Malick Sidibé

È nato nel 1936 in Mali. A Bamako studia disegno e gioielleria. Nel 1955 il fotografo Gérard Guillat-Guignard gli chiede di decorare il suo negozio e Sidibé rimane folgorato dalla fotografia. Rimane come apprendista e nel 1962 apre il suo atelier, lo Studio Malick, nel quartiere popolare di Bagadadji, dove rimarrà per tutta la vita.  Nel 1994, durante la prima edizione dei Rencontres de la Photographie de Bamako (la manifestazione più importante di fotografia africana) autori e critici occidentali scoprono il suo talento e Sidibé inizia a esporre in tutto il mondo. Nel 2003 ha vinto il Premio Hasselblad, nel 2007 il Leone d’oro alla carriera alla Biennale d’Arte di Venezia, nel 2008 l’ICP Award, nel 2009 il Premio Baume & Mercier PhotoEspaña. Malick Sidibé si è spento a Bamako il 14 aprile di quest’anno

NONOSTANTE MARRAS, Via Cola di Rienzo 8, 20144 Milano dal 24 settembre al 20 novembre 2016

In posa

Un’immagine in posa è per definizione un’immagine costruita, ferma o sorpresa nell’illusione del movimento. Posa, dunque, come “vera finzione”. Riflettendo su questo tema cardine dalla fotografia, dalle sue origini a oggi, la mostra presenta le opere di venti autori, diversi per generazione, fama, percorso professionale e artistico. Come in una grande rappresentazione teatrale, come nel “grande teatro del mondo”, ognuno prende la sua posa, veramente falsa, falsamente vera, e recita in un susseguirsi di cambi di scena.

Dai fondali dipinti, come nell’Ottocento, di Malick Sidibé e Paolo Ventura alle periferie urbane di Francesco Ricci e alle accademie militari di Paolo Verzone, così fredde e formali, dalle atmosfere intime degli autoritratti di Marina Cavazza e Silvia Camporesi, a quelle surreali di Duane Michals, per ritrovarsi poi nella natura selvatica dove sorgono dalla terra le maschere primordiali di Charles Fréger. Fine del primo atto.

Quando si rialza il sipario, appaiono sulla scena, per illuderci, confonderci o consolarci, i ritratti e le nature morte di Antonio Biasiucci, Paolo Gioli e Nicolò Cecchella. Accanto a loro, i corpi marmorei di Helmut Newton, come statue viventi, poi, cambiando scala, le figurine di carta di Gilbert Garcin, i manichini in uniforme coloniale, ripresi di spalle da Alessandro Imbriaco, quindi un soldato americano in vetroresina sorpreso da Stefano Cerio tra le luci di Gardaland, e ancora i pupazzi in scatola di Alessandro Albert, pronti per essere proposti in uno scaffale.

Ultimo atto e tra i riverberi di una risonanza magnetica al cranio, firmata da Enrico Bossan – in posa per sfidare la malattia – appaiono i corpi mostruosi di Roger Ballen e Joel-Peter Witkin – necrofilia come pensiero in posa – e le figure senza volto, oppresse dal peso della storia, dell’arte, della memoria di Daniele Cascone. Cala il sipario e l’ultimo a lasciare la scena è Oscar Wilde, mentre ci ricorda che “la spontaneità è una posa difficilissima da tenere”.

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#JustJazzShots

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#JustJazzShots è la mostra di Nicola Malaguti, fotografo che da oltre  trentacinque anni racconta il mondo del Jazz e che ha immortalato artisti  del calibro di Miles Davis, Chet Baker, Clarcke Terry e George Benson.

L’esposizione, ideata in occasione di Mantova Capitale Italiana della  Cultura, sarà aperta gratuitamente alla Casa del Rigoletto dal 29 ottobre al  27 novembre.

Con questa mostra, dove per la prima volta espone scatti in digitale,  Malaguti presenta le performance dei grandi del genere in ritratti che sono  in grado di restituire al visitatore l’atmosfera dei concerti, la magia dei suoni, la passione che condivide con i musicisti. Le sue fotografie sono  tributi straordinari all’improvvisazione e all’inventiva, istantanee di automatismi e virtuosismi di quel “mondo a parte” chiamato Jazz.  Infatti prima di ogni scatto Malaguti si dedica all’ascolto di brani dalla sua collezione di oltre 4000 cd e a uno studio profondo della personalità dell’artista. Il suo fine è quello di far trasparire dalla pellicola l’animo dei soggetti
catturati.

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Mein Name ist Giulia – Giulia Efisi

In questa mostra inedita, presentata per la prima volta al pubblico di Berlino, l’artista raggiunge una nuova tappa nella sua esplorazione visiva del concetto di identità e dei passaggi che ne hanno segnato l’evoluzione. Il suo percorso, partito da una ricerca sul proprio corpo e proseguito con la riscoperta del suo universo privato fatto di persone e oggetti della memoria, è approdato negli ultimi anni all’identità dell’altro con i suoi Ritratti/Portraits di persone comuni e famose che l’artista ha scelto di ritrarre per il particolare legame che la unisce a esse.

Nelle dodici opere inedite in mostra, Giulia Efisi affronta uno scenario nuovo, la metropoli, in cui dà luogo alla sua prima performance artistica. Un mondo privo di riferimenti certi, tranne una panchina sulla quale si è seduta e ha cominciato a urlare il proprio nome per sperimentare le reazioni dei passanti. I loro sguardi bassi, l’aumentare della distanza, l’evidente disagio dipinto sui loro volti nell’assistere a un gesto così audace che spezza la frenesia e l’anonimato dell’universo urbano le hanno fatto provare sulla propria pelle il peso dell’indifferenza e l’effetto sugli altri del voler rivendicare il valore della propria unicità. Un’esperienza che l’artista ha rappresentato nel bianco e nero minimalista caratteristico del suo stile, eliminando dall’inquadratura i volti e i riferimenti del contesto, immergendo nel bianco assoluto quelle presenze simili a fantasmi. In questo modo ha amplificato la sensazione del vuoto, dell’isolamento e dell’angoscia dovute all’impossibilità di sottrarsi del tutto al flusso anonimo e conformista della metropoli contemporanea.

 La mostra sarà visitabile dal 15 ottobre al 15 novembre  – Galleria >Artér – Eberfelder Strasse, 6 – Berlin

Anna

Mostre per ottobre

Ciao! Con ottobre riparte alla grande la stagione delle mostre fotografiche. Di seguito ve ne proponiamo alcune. C’è solo l’imbarazzo della scelta!

Ricordate di dare sempre un’occhiata alla pagina dedicata, dove troverete tutte le mostre in corso, sempre aggiornata.

E se siete al corrente di qualche mostra che magari ci è sfuggita, segnalatecela pure!

Anna

W. Eugene Smith. Usate la verità come pregiudizio

 

Dove: CMC – Centro Culturale di Milano, Largo Corsia dei Servi 4, Milano

Quando: 24 settembre – 4 dicembre 2016

II modo più efficace per essere un buon giornalista è cercare di essere il miglior artista possibile.
W. Eugene Smith

Dal 24 settembre al 4 dicembre 2016, il Centro Culturale di Milano inaugura la sua nuova sede nel cuore della città, in Largo Corsia dei Servi 4, con una mostra dedicata a W. Eugene Smith (1918-1978), uno dei più grandi maestri della fotografia di reportage.

L’esposizione, ideata da Camillo Fornasieri, direttore del CMC, curata da Enrica Viganò, con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano, presenta 60 original print in grado di ripercorrere la carriera del fotografo americano, attraverso i suoi cicli più famosi, realizzati tra il 1945 e il 1978, provenienti dalla collezione privata di H. Christopher Luce di New York.

La rassegna documenta i “saggi fotografici” di Eugene Smith, ovvero i suoi reportage di racconto sociale o di denuncia, nei quali ha abbracciato i periodi della depressione, della guerra, della ricchezza del dopoguerra e quello della disillusione, dalle fotografie scattate sui teatri della seconda guerra mondiale, dalle battaglie nel Pacifico fino a Okinawa, dove venne gravemente ferito, alla serie del Country Doctor (1948), commissionatagli dalla rivista Life, che racconta la vita quotidiana del dottor Ernest Ceriani, un medico di campagna nella cittadina di Kremmling a ovest di Denver.

Il percorso continua con le serie Nurse Midwife (La levatrice)del 1951, in cui segue le vicende di Maude Callen, una levatrice di colore, per testimoniare le difficoltà nell’esercitare il suo lavoro nel profondo sud degli Stati Uniti e, al contempo, per approfondire temi connessi alla discriminazione razziale.

Nel 1951, Life pubblica il suo reportage condotto in Spagna, a Deleitosa, un piccolo centro contadino di non più di 2.300 abitanti, sull’altipiano occidentale dell’Estremadura. “Cercherò di conoscere a fondo un villaggio spagnolo – aveva dichiarato Eugene Smith – per descrivere la povertà e la paura provocate dal regime di Franco. Spero di realizzare il migliore reportage della mia carriera”. Quello che risultò fu un quadro di una società rurale arcaica, in preda a gravi difficoltà economiche dovute al pesante regime franchista.

Non mancheranno le fotografie di A Man of Mercy (Un uomo di carità) dedicate al lavoro e alla comunità di Albert Schweitzer nell’Africa Equatoriale Francese, o il ritratto panoramico e singolare della città di Pittsburgh del 1955-58.
Chiudono idealmente la rassegna, gli scatti su Minamata (1972-75), la città giapponese devastata dall’inquinamento di mercurio che la Chisso Corporation versava nelle acque dei pescatori e che portava gli abitanti a soffrire di una terribile malattia nervosa – Minamata illness – che prese il nome proprio da quello della città. In mostra si troverà la fotografia più famosa di questo ciclo, definita la Pietà del Ventesimo Secolo, che raffigura la bambina Tomoko mentre fa il bagno tra le braccia della madre.

I visitatori potranno cogliere la freschezza delle original print di Smith, da lui stampate, di cui molte firmate e unite ai passe-partout, originali anch’essi e annotati con commenti dall’autore e, al tempo stesso, comprendere l’arte e la ricerca iconografica del “metodo di Smith”, vero mago della camera oscura.

I temi dei suoi reportage, lo stile della la sua vita, i suoi appunti sul campo, saranno al centro di una serie di incontri con fotoreporter e giornalisti quali Mario Calabresi, Massimo Bernardini, Franco Pagetti, Paolo Pellegrin, che s’interrogheranno sulla funzione dell’immagine e dell’informazione, della libertà e della verità dell’arte e sul linguaggio dei media oggi. Previste visite guidate per le scuole a cura di Opera d’Arte.

Accompagna la mostra un catalogo (Admira edizione), nono volume della collana I Quaderni del CMC.
Il nuovo spazio di cultura e teatro del CMC – Centro Culturale di Milano ridona alla città, grazie alla collaborazione di Fondazione Cariplo, il palazzo firmato dallo Studio Caccia Dominioni in Largo Corsia dei Servi, a fianco della chiesa di San Vito al Pasquirolo. Il nuovo spazio, insieme alla riqualificazione urbana della piazza voluta dal Comune di Milano, farà da volano alla rinascita di un’area degradata nel cuore della città a pochi passi dal Duomo e di un edificio storico, abbandonato da tempo.
Per questa nuova apertura CBA Designing brands with heart, importante realtà internazionale con sede a Milano e 11 uffici distribuiti in tutto il mondo, ha ideato una nuova immagine e identity brand per lo storico Centro Culturale di Milano che festeggia così i 35 anni di attività.

Qui i dettagli

Sarah Moon – Qui e ora. Ici et maintenant

La mostra Sarah Moon. Qui e Ora – Ici et Maintenant, curata da Carla Sozzani in occasione del premio annuale di Mercanteinfiera, e grazie al Comune di Parma, inaugura la nuova sede per la fotografia a parma a Palazzetto Eucherio Sanvitale.

“Sarah Moon. Qui e Ora – Ici et Maintenant” racconta un incontro d’autore, inatteso e intenso con gli affreschi rinascimentali e le sculture di Palazzetto Eucherio Sanvitale nel Parco Ducale di Parma e apre un dialogo inedito con la fotografia contemporanea.

Sarah Moon, artista francese tra le maggiori fotografe contemporanee, da molti anni indaga la bellezza e lo scorrere del tempo. Il titolo “Qui e Ora – Içi et Maintenant” è stato scelto da Sarah Moon per aprire un dialogo tra le sue opere e palazzetto Eucherio Sanvitale a Parma.

L’amicizia e l’affinità tra Sarah Moon e Carla Sozzani risalgono alla fine degli anni Settanta quando iniziano a collaborare insieme per Vogue Italia e poi Elle Italia.La prima mostra alla Galleria Carla Sozzani è nel 1996, “120 fotografie” curata dal Centre National de la Photographie di Parigi, a cui è seguita la mostra ” Fotografie” nel 2002 e infine la mostra “fil rouge” nel 2006.

L’alfabeto segreto della Moon rimanda alla sfera dell’emotività, dell’intimo, e mette in scena una realtà immaginaria, filtrata dal ricordo e dall’inconscio. Il suo linguaggio antinarrativo evoca momenti, sensazioni, coincidenze e bellezza.

Le visioni di Sarah Moon spesso schiudono un universo magico di immagini poetiche. Di lei si sa poco. Raramente parla di sé, nascosta dietro il suo eterno berretto che sembra proteggerne la timidezza fragile e delicata. Come dice lei stessa, le sue immagini parlano di lei. Le sue fotografie sono così misteriose, così cariche di tensione drammatica e tuttavia riservate, che sembrano un intero mondo visto attraverso uno spiraglio luminoso.

“Sin dall’inizio ho sempre voluto sfuggire al linguaggio codificato del glamour. Quello che cercavo era più intimo, erano le quinte ad interessarmi, un diaframma sospeso prima che il gesto si compia, un movimento al rallentatore…come quello delle donne che si allontanano di spalle” – scrive Sarah Moon nel libro Coincidences, pubblicato da Delpire nel 2001.

 A Parma, presso il Palazzetto Eucherio San Vitale (Parco Ducale) – dal 16 settembre al 15 ottobre 2016.

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Qua trovate un approfondimento su Sarah Moon

Helmut Newton – Fotografie

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Il progetto della mostra Helmut Newton – Fotografie (White Women / Sleepless Nights / Big Nudes), curata da Matthias Harder e Denis Curti, nasce per volontà di June Newton, vedova del fotografo, e raccoglie le immagini dei primi tre libri di Newton pubblicati tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, da cui deriva il titolo della mostra e l’allestimento articolato i tre sezioni. I tre libri sono fondamentali per capire la fotografia di Newton, che li ha progettati personalmente, selezionando le immagini fotografiche e la loro impaginazione.

Il percorso espositivo permetterà di conoscere un Helmut Newton più profondo e se vogliamo più segreto rispetto a quanto già diffuso: infatti, se l’opera del grande fotografo è sempre stata ampiamente pubblicata e con enorme successo su tutte le riviste di moda, non sempre la selezione effettuata dalle redazioni corrispondeva ed esprimeva compiutamente il pensiero dell’artista.

L’obiettivo di Newton aveva la capacità di scandagliare la realtà che, dietro il gesto elegante delle immagini, permetteva di intravedere l’esistenza di una realtà ulteriore, che sta allo spettatore interpretare.

Obiettivo della mostra è mettere a nudo qual è la storia che l’artista vuole raccontare al suo pubblico.

Sottoporticato di Palazzo Ducale – Genova

dal 14 settembre 2016 al 22 gennaio 2017

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Alex Webb – La Calle, Photographs from Mexico

La Calle brings together more than thirty years of photography from the streets of Mexico by Alex Webb, spanning from 1975 to 2007. Whether in black and white or color, Webb’s richly layered and complex compositions touch on multiple genres. As Geoff Dyer writes, “Wherever he goes, Webb always ends up in a Bermuda shaped triangle where the distinctions between photo journalism, documentary, and art blur and disappear.” Webb’s ability to distill gesture, light, and cultural tensions into single, beguiling frames results in evocative images that convey a sense of mystery, irony, and humor.

Following an initial trip in the mid-1970s, Webb returned frequently to Mexico, working intensely on the U.S.–Mexico border and into southern Mexico throughout the 1980s and ’90s, inspired by what poet Octavio Paz calls “Mexicanism—delight in decorations, carelessness and pomp, negligence, passion, and reserve.” La Calle presents a commemoration of the Mexican street as a sociopolitical bellwether—albeit one that has undergone significant transformation since Webb’s first trips to the country.

Aperture Gallery New York – September 08 – October 26, 2016

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Avevamo già approfondito la conoscenza con Alex Webb  qua e con le sue foto messicane in questo articolo

SONY WORLD PHOTOGRAPHY AWARDS

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Dal 16 settembre al 16 ottobre 2016, Sony espone allo Spazio Tadini di Milano le fotografie vincitrici e finaliste del più grande concorso fotografico al mondo.
È la prima volta che la prestigiosa mostra promossa dalla World Photography Organisation arriva in Italia.

In esposizione, tra gli altri, i 3 italiani vincitori della categoria Professionisti, Marcello Bonfanti (Ritratto), Alberto Alicata(Fotografia in posa) e Francesco Amorosino (Natura Morta), il vincitore del National Award, Christian Massari e la vincitrice della categoria Panorama dello Youth Award, Anais Stupka Milano, 12 luglio.

Per la prima volta in Italia la mostra del prestigioso Sony World Photography Awards, il più grande concorso fotografico al mondo. Sony porta a Milano, allo Spazio Tadini, la migliore selezione delle opere vincitrici e finaliste dell’edizione 2016 per offrire anche agli italiani amanti della fotografia la possibilità di vedere dal vivo questo campione dell’arte internazionale.

Con l’esposizione di una selezione dei lavori dei vincitori e finalisti delle diverse categorie, tra cui le opere di nove fotografi professionisti italiani1, la mostra celebra le immagini più belle dell’edizione 2016 dei Sony World Photography Awards, scattate sia da fotografi professionisti sia da talenti emergenti.

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IN PRIMA LINEA. Donne fotoreporter in luoghi di guerra

Quattordici donne “armate” solo della loro macchina fotografica, in prima linea nei punti caldi del mondo dove ci sono guerre, conflitti e drammi umani e sociali. Con coraggio, sensibilità e professionalità ci aiutano a capire, a non dimenticare, a fermarci a pensare.
Palazzo Madama presenta, dal 7 ottobre al 13 novembre 2016, In prima linea. Donne fotoreporter in luoghi di guerra. Una mostra costituita da 70 immagini scattate da 14 giovani donne fotoreporter che lavorano per le maggiori testate internazionali e che provengono da diverse nazioni: Italia, Egitto, Usa, Croazia, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Spagna.
Linda Dorigo, Virginie Nguyen Hoang, Jodi Hilton, Andreja Restek, Annabell Van den Berghe, Laurence Geai, Capucine Granier-Deferre, Diana Zeyneb Alhindawi, Matilde Gattoni, Shelly Kittleson, Maysun, Alison Baskerville, Monique Jaques, Camille Lepage si muovono coraggiosamente in atroci e rischiosi campi di battaglia per documentare e denunciare quella “terza guerra mondiale” che è in corso in molte parti del mondo.
Nella mostra ciascuna delle fotografe presenta 5 foto emblematiche del proprio lavoro e della propria capacità di catturare non solo un’azione, ma anche un’emozione, testimoniando e denunciando con le immagini le violenze perpetrate sui popoli e le persone più deboli e indifese.
Le 70 fotografie in mostra sono emblematiche nella durezza dei loro contenuti. A colori e in bianco e nero, scattate con macchine digitali o ancora con la pellicola, quasi a testimoniare senza filtri ciò che accade davanti all’obiettivo, le immagini reportage sono esse stesse “articoli” scritti con la fotocamera che non hanno bisogno di parole, se non una sintetica didascalia che precisa il dove e il quando, per raccontare “la” storia.
Nata da un’idea di Andreja Restek, la rassegna – curata con la giornalista Stefanella Campana e con Maria Paola Ruffino, conservatore di Palazzo Madama – è ospitata nella Corte medievale, con allestimento a cura dell’architetto Diego Giachello.

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Giovanni Gastel – The 40 Years Exhibition

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dal 23 settembre al 13 novembre 2016 – Milano Palazzo della Ragione

La mostra sarà articolata in quattro sezioni dedicate ciascuna a un decennio di attività artistica del fotografo, sviluppando da un lato la sua vita professionale e dall’altro il mood di quegli anni, al fine di comprendere e connotare maggiormente i singoli scatti seguendo l’evoluzione professionale dell’artista.

Con il Patrocinio del Comune di Milano
Curatore: Germano Celant
Allestimenti: Arch. Piero Lissoni

Non ha bisogno di grandi presentazioni. E’ un’icona della fotografia Italiana e internazionale.
Un’origine importante in una delle famiglie più antiche e storiche, nipote del grande regista Luchino Visconti, cresce in un contesto permeato d’arte e di grandi personaggi della scena internazionale.
Vive tra Milano e Parigi, l’affermazione del made in Italy in cui si delinea il suo stile inconfondibile: poeticamente ironico ma sempre permeato, come nell’arte, dal gusto per una composizione equilibrata.
Nel 2002, nell’ambito della manifestazione La Kore Oscar della Moda, riceve l’Oscar per la fotografia.
Molte le mostre: Milano, Venezia, New York, Parigi e i libri pubblicati anche di poesia, l’altra passione dell’artista, che continua tuttora a lavorare nel suo studio milanese.
E’ membro permanente del Museo Polaroid di Chicago e dal 2013 è Presidente dell’Associazione Fotografi Professionisti.

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Hai dato alla vergine un cuore nuovo – Giulia Bianchi

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Il 17 gennaio 1998, giorno del suo 48° compleanno, Janice Sevre-Duszynska decise di presentarsi per la cerimonia di ordinazione presso la cattedrale di Lexington in Kentucky. «Ero seduta con tutti i candidati al sacerdozio», ha ricordato, «mi alzai in piedi, buttai il mio cappotto a terra, e iniziai a camminare verso il Vescovo. “Sono chiamata dallo Spirito Santo al sacerdozio. Lo chiedo per me e per tutte le donne”, a cui lui ha risposto: “torni al suo posto!” Invece mi prostrai nella navata con un giglio tigre tra le mani. Le persone intorno a me agirono come se io fossi pazza. Speravo che alcuni dei miei amici avrebbero mostrato solidarietà. Invece non successe niente in quel momento. Non erano pronti.»
Per tutta la sua vita, Janice ha parlato apertamente della sua vocazione al sacerdozio con tutti quelli che conosceva. Alle persone che le suggerivano di entrare in convento, lei rispondeva di non essere d’accordo perché le suore sono laiche a servizio della Chiesa, senza nessuna autorevolezza spirituale, non possono predicare e non possono consacrare l’Eucaristia.

Nell’estate del 2002, sette donne cattoliche (da Austria, Germania e Stati Uniti) sono state illecitamente ordinate sacerdote, su una nave da crociera sul Danubio. Poco dopo, tre donne sono state ordinate vescovi in gran segreto, in modo che potessero continuare le ordinazioni femminili senza interferenze da parte del Vaticano. Da allora, molte cerimonie analoghe sono state tenute da RCWP, un gruppo di suffragette che svolgono disobbedienza religiosa a favore dell’ordinazione delle donne. Oggi, il movimento conta più di 215 donne sacerdote e 10 vescovi in tutto il mondo.

Il Vaticano ritiene che l’ordinazione femminile sia un grave reato, chiunque partecipi incorre in una scomunica automatica. Per questo crimine, i dipendenti della Chiesa cattolica perdono il proprio lavoro, le pensione, il sostegno. La gravità del peccato per tentata ordinazione di una donna è secondo la Chiesa allo stesso livello del crimine di pedofilia da parte di sacerdoti.
Nonostante questo, la maggior parte di queste donne non vogliono lasciare la Chiesa, ma trasformarla, attraverso un modello che è molto preoccupante per il Vaticano: la spiritualità femminista è radicata nella uguaglianza e inclusione, intrinsecamente non gerarchica, e onora collaborazione e compassione versus il potere.
Le donne prete non creano un nuovo culto, ma raccolgono tutte quelle persone che non si sentono accolte dalla Chiesa ufficiale. La maggior parte di loro sono donne mature, molte sono ex suore, missionarie e teologhe. Lavorano nella giustizia sociale, nei movimenti ecologici, in organizzazioni non-profit.

Questo è un momento storico cruciale nella storia della religione cattolica che sempre piú sembra oggi un modello obsoleto, lontano dalle esigenze e realtà spirituali dell’individuo. In questo momento sembrano decidersi le sorti della Chiesa: l’istituzione corrente potrebbe scomparire divenendo il culto di alcuni conservatori, oppure trasformarsi profondamente nelle sue forme amministrativa e religiosa.
Al centro di questi dibattiti e queste possibilità, sembra giorcarsi la battaglia per un sacerdozio rinnovato che includa anche le donne.

La Chiesa Romano Cattolica si distingue per aver lottato accanitamente contro il femminismo e contro l’ordinazione delle donne nell’ultimo secolo. La Santa Sede è uno degli ultimi governi al mondo (insieme a Yemen, Haiti e Qatar) ad essere governato esclusivamente da persone di sesso maschile. Così, è venuto come una sorprendente apertura storico in cui il 12 maggio 2016, Papa Francesco ha promesso di fronte a una platea di 900 suore che avrebbe aperto una commissione per studiare il diaconato femminile (il primo passo per essere ordinati) agli albori del cristianesimo e la possibilità di applicarlo oggi.

Giulia Bianchi ha lavorato su questo progetto dal 2012 incontrando più di 70 donne prete negli Stati Uniti e in Colombia, fotografandole e intervistandole.
Attualmente sta documentando questa storia in Europa e in Sud Africa.
Giulia sta creando un documentario web http://www.donneprete.org e creando un libro. Essi presenteranno fotografie, interviste, disegni, documenti d’archivio, saggi teologici e di femminismo, diventando un punto di riferimento per questo argomento.

BIO
Giulia Bianchi è una fotografa interessata ai temi della spiritualità e del femminismo. Da quattro anni lavora ad un progetto sul sacerdozio femminile proibito nella chiesa cattolica.
Ha insegnato documentaristica all’ICP di New York, a Londra, e a Camera Torino. Ha lavorato come fotografa indipendente con National Geographic, TIME, The Guardian, Espresso, etc. ed esposto il suo lavoro internazionalmente.

Fonderia 20.9 – Verona

dal 17 settembre al 16 ottobre 2016

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L’ALTRO SGUARDO – Fotografe italiane 1965-2015

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La mostra, a cura di Raffaella Perna, propone una selezione di più di centocinquanta fotografie e libri fotografici provenienti dalla Collezione Donata Pizzi, concepita e costituita con lo scopo di favorire la conoscenza e la valorizzazione delle più significative interpreti nel panorama fotografico italiano dalla metà degli anni Sessanta a oggi. La collezione – unica nel suo genere in Italia – è composta da opere realizzate da circa cinquanta autrici appartenenti a generazioni diverse: dai lavori pionieristici di Paola Agosti, Letizia Battaglia, Lisetta Carmi, Carla Cerati, Paola Mattioli, Marialba Russo, sino alle ultime sperimentazioni condotte tra gli anni Novanta e il 2015 da Marina Ballo Charmet, Silvia Camporesi, Monica Carocci, Gea Casolaro, Paola Di Bello, Luisa Lambri, Raffaella Mariniello, Marzia Migliora, Moira Ricci, Alessandra Spranzi e numerose altre.

È la prima mostra nata dalla partnership tra la Triennale di Milano e il MuFoCo – Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, una collaborazione che produrrà anche l’esposizione dedicata a Federico Patellani, La guerra è finita. Nasce la Repubblica. Milano 1945-1946, a cura di Kitti Bolognesi e Giovanna Calvenzi, dal 17 Settembre 2016 al 15 Gennaio 2017, presso il Museo di Fotografia Contemporanea, dove è conservato l’intero archivio fotografico del grande fotoreporter.

In Italia l’ingresso massiccio di fotografe, fotoreporter e artiste nel circuito culturale risale agli anni Sessanta: in questo momento l’accesso delle donne al sistema dell’arte e del fotogiornalismo – ambiti rimasti a lungo appannaggio quasi esclusivo di presenze maschili – è favorita dai repentini cambiamenti sociali e dalle lotte femministe. Grazie anche alle conquiste di quella generazione oggi fotografe e artiste hanno acquisito posizioni di primo piano nella scena culturale del nostro Paese e in quella internazionale: il loro lavoro è presente in musei, gallerie, festival, riviste e pubblicazioni specializzate, in Italia e all’estero. Nonostante la decisa inversione di rotta, la storia e il lavoro di molte fotografe è ancora da riscoprire, promuovere e valorizzare: le opere della Collezione Donata Pizzi testimoniano momenti significativi della storia della fotografia italiana dell’ultimo cinquantennio; da esse affiorano i mutamenti concettuali, estetici e tecnologici che hanno caratterizzato la fotografia nel nostro Paese. La centralità del corpo e delle sue trasformazioni, la necessità di dare voce a istanze personali e al vissuto quotidiano e familiare, il rapporto tra la memoria privata e quella collettiva sono i temi nevralgici che emergono dalla collezione e legano tra loro immagini appartenenti a vari decenni e generi, dalle foto di reportage a quelle più spiccatamente sperimentali.

Nella mostra sarà esposta anche l’installazione Parlando con voi tratta dal libro omonimo di Giovanna Chiti e Lucia Covi (Danilo Montanari Editore), e prodotta su idea di Giovanni Gastel da AFIP International – Associazione Fotografi Professionisti e Metamorphosi Editrice.
L’installazione multimediale, costituita da trenta schermi ognuno dei quali con un’intervista esclusiva a una fotografa e una sequenza di sue opere e pubblicazioni consente al visitatore di conoscere e approfondire le vite di professioniste e artiste, le loro esperienze di donne originali e coraggiose.

A corredo dell’esposizione verrà pubblicato un catalogo, italiano-inglese (Silvana Editoriale), con testi di Federica Muzzarelli, Raffaella Perna, un’intervista a Donata Pizzi e schede biografiche di Mariachiara Di Trapani.

In mostra sono esposte fotografie di: Paola Agosti, Martina Bacigalupo, Marina Ballo Charmet, Liliana Barchiesi, Letizia Battaglia, Tomaso Binga (Bianca Menna) Giovanna Borgese, Silvia Camporesi, Monica Carocci, Lisetta Carmi, Gea Casolaro, Elisabetta Catalano, Carla Cerati, Augusta Conchiglia, Paola De Pietri, Agnese De Donato, Paola Di Bello, Rä di Martino, Anna Di Prospero, Bruna Esposito, Eva Frapiccini, Simona Ghizzoni, Bruna Ginammi, Elena Givone, Nicole Gravier, “Gruppo del mercoledì” (Bundi Alberti, Diane Bond, Mercedes Cuman, Adriana Monti, Paola Mattioli, Silvia Truppi), Adelita Husni-Bey, Luisa Lambri, Lisa Magri, Lucia Marcucci, Raffaela Mariniello, Allegra Martin, Paola Mattioli, Malena Mazza, Libera Mazzoleni, Marzia Migliora, Verita Monselles, Maria Mulas, Brigitte Niedermair, Cristina Omenetto, Michela Palermo, Lina Pallotta, Luisa Rabbia, Moira Ricci, Sara Rossi, Marialba Russo, Chiara Samugheo, Shobha, Alessandra Spranzi.

5 Ottobre 2016 – 8 Gennaio 2017 – La Triennale di Milano

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Sara Munari

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Sara Munari, Bucharest

 

Dove Quarenghicinquanta – spazio fotografia

Via Quarenghi, 50 – 24122 Bergamo (interno cortile)

 Nome della mostra:

Be the bee body be boom (Bidibibodibibu)

Inaugurazione

15 Ottobre 2016 alle ore 18,30

Durata dell’esposizione

Dal 16 ottobre al 5 novembre 2016

Orari di apertura

Giovedì e venerdì : 16,00 19,30

Sabato e domenica: 10,00 – 12,30  16,00 – 19,30

Per chi lo volesse, in galleria saranno messi in vendita i libri di Sara Munari, tra cui Bidibibodibibu.

Note dell’autrice

Per Be the bee body be boom (bidibibodibibu) mi sono ispirata sia alle favole del folklore dell’Est Europa, sia alle leggende urbane che soffiano su questi territori. Un incontro tra sacro e profano, suoni sordi che ‘dialogano’ tra di loro permettendomi di interpretare la voce degli spiriti dei luoghi. Ogni immagine è una piccola storia indipendente che tenta di esprimere rituali, bugie, malinconia e segreti. L’Est Europa offre uno scenario ai miei occhi impermeabile, un pianeta in cui è difficile camminare leggeri, il fascino spettrale da cui è avvolta, dove convivono tristezza, bellezza e stravaganza: un grottesco simulacro della condizione umana. A est, in molti dei paesi che ho visitato, non ho trovato atmosfere particolarmente familiari, in tutti questi luoghi ho percepito una forte collisione tra passato, spesso preponderante, e presente. Sono anni che viaggio a est, forse il mio sguardo è visionario e legato al mondo dei giovani, a quella che presuppongo possa essere la loro immaginazione.

Anno esecuzione 2008-2015

Biografia

Sara Munari nasce a Milano nel 72. Vive e lavora a Lecco. Studia fotografia all’Isfav di Padova dove si diploma come fotografa professionista. Apre, nel 2001, LA STAZIONE FOTOGRAFICA, Studio e galleria per esposizioni fotografiche e corsi, nel quale svolge la sua attività di fotografa. Docente di Storia della fotografia e di Comunicazione Visiva presso ISTITUTO ITALIANO DI FOTOGRAFIA di Milano. Dal 2005 al 2008 è direttore artistico di LECCOIMMAGIFESTIVAL per il quale organizza mostre di grandi autori della fotografia Italiana e giovani autori di tutta Europa. Organizza workshop con autori di rilievo nel panorama nazionale. Espone in Italia ed Europa presso gallerie, Festival e musei d’arte contemporanea. Fa da giurata e lettrice portfolio in Premi e Festival Nazionali. Ottiene premi e riconoscimenti a livello internazionale. Non ha più voglia di partecipare a Premi, per ora. Si diverte con la fotografia, la ama e la rispetta.

Eolo Perfido – Tokyoites

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I Tokyoites – come gli stranieri chiamano gli abitanti di Tokyo – danno l’impressione di andare sempre di fretta. Veloci come chi sa sempre dove andare, vivono le soste imposte da un semaforo o da uno spostamento in metro con gli occhi puntati sul loro smartphone.
Come racconta Perfido “La mia prima volta a Tokyo, da ragazzo, fu un viaggio senza macchina fotografica. Me ne innamorai. In bilico tra passato e futuro, tradizione e innovazione, Tokyo, da quella prima volta è sempre stata al centro delle mie curiosità intellettuali.
Credo che la mia attrazione per il Giappone sottenda in parte alle classiche leggi degli opposti che si attraggono, ed in parte alle meravigliose contaminazioni mediatiche che hanno caratterizzato la mia vita, ed in seguito la mia professione, a partire dagli anni 80 in poi.”

A Tokyo convivono persone, stili di vita, quartieri così diversi e in contrasto tra loro che diventa subito chiaro che non si tratta di una sola città ma di tante piccole città diverse, in continuo movimento, in continua mutazione.
L’occhio del Gaijin – parola giapponese che significa “persona esterna al Giappone” – aiuta però a riconoscere dei tratti talmente comuni a gran parte dei Tokyoites che il loro manifestarsi nei luoghi pubblici sono diventati lo spunto intorno al quale ho costruito il mio lavoro di fotografia di strada.
Capaci di isolarsi contro una parete per rispondere ad un messaggio o consultare una mappa, riescono a definire una convezione quasi materica di spazio personale. Il contrasto tra un’altissima densità di popolazione e l’isolamento di ogni singolo individuo è palpabile.
In una città come Tokyo quello che potrebbe sembrare un limite, diventa spesso una virtù, necessaria alla civile sopravvivenza. Non solo imposizione culturale ma adattamento che permette la convivenza armonica di oltre 16 milioni di persone.
Senza sosta i cittadini si spostano per le strade e le stazioni, ordinati e silenziosi, sincronizzati come in una danza, evitando di scontrarsi e di darsi disturbo nel contatto.

Leica Store Milano – Via Mengoni, 4
Dal 20 settembre 2016 al 5 novembre 2016

Ri-creazioni – Mario Cresci

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Ri-creazioni scaturisce dall’incontro tra Mario Cresci e le immagini conservate nell’Archivio Fotografico di Eni, un patrimonio di alto valore storico e artistico, capace di offrire uno spaccato di tutto il XX secolo, così come con alcuni fra i materiali più recenti e innovativi sviluppati dalla stessa azienda. Un ampio percorso di approfondimento all’interno del complesso universo creativo di Cresci, tra le sue tecniche, le sue intuizioni e le sue invenzioni, tra passato, presente e futuro.

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Poesia del reale – Toni Nicolini

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Proprio nella scelta della fotografia narrativa o di “reportage” sta anche, per Toni e per altri suoi colleghi, il tentativo di piegarsi a seguire con implacabile “freddezza” la grande commedia del mondo.

Cesare Colombo

Giovedì 15 settembre alle 18.30 inaugura a Forma Meravigli (Milano) la mostra Poesia del reale. Fotografie di Toni Nicolini. L’esposizione è promossa e organizzata da CRAF. Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo in collaborazione con Fondazione Forma per la Fotografia. Sarà visitabile fino al 23 ottobre 2016. Forma Meravigli è un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto.

Poesia del reale è la prima grande mostra retrospettiva che presenta l’opera di Toni Nicolini, interprete sensibile della realtà italiana, uno dei più raffinati fotografi del nostro Paese, scomparso nel 2012. Le sue fotografie, realizzate dagli anni Sessanta ai Duemila, testimoniano uno sguardo attento e partecipe al nostro tempo e ai mutamenti della società. Il libro, e il volume che l’accompagna pubblicato da Contrasto e curato da Giovanna Calvenzi e Walter Liva, sono il frutto di un lungo lavoro sul suo archivio di immagini, realizzato da Cesare Colombo e Walter Liva. A Forma Meravigli sarà esposta una selezione ampia e accurata delle immagini che Nicolini ha realizzato in cinquanta anni di carriera.

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Identità Negate:

Lingering ghosts – Sam Ivin  |  Foibe – Sharon Ritossa

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Che cosa significa essere un richiedente asilo nel Regno Unito? È questo il punto di partenza della ricerca di Sam Ivin, iniziata in un centro di prima accoglienza a Cardiff, in Galles, e poi continuata in tutta l’Inghilterra.

Il risultato è una serie di 28 ritratti, cui gli occhi sono stati raschiati via manualmente dall’autore: una volta arrivati nel Regno Unito, questi migranti si trovano a vivere in una sorta di limbo, costretti ad attendere notizie della loro richiesta di asilo per mesi o addirittura anni. Diventano dei lingering ghosts, delle ombre sospese.

Graffiare i volti di questi 28 migranti è un modo per tramettere in maniera immediata l’idea della perdita di sé, la confusione che li attanaglia mentre aspettano di conoscere il loro destino.

Quello di Ivin è uno sguardo contemplativo, distante dai riflettori dei media. I suoi ritratti gettano luce su una questione spesso taciuta: l’emergenza dei richiedenti asilo. Nonostante siano presentate prive di occhi, queste persone hanno una loro identità e in loro riconosciamo madri, padri, figlie e figli: esseri umani.

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Foibe. Il Carso è un territorio brullo e roccioso dell’altipiano triestino, sloveno e croato dove si registra una forte concentrazione di cavità geologiche: grotte o pozzi modellati da fiumi sotterranei che scavando nella terra per millenni hanno scolpito la roccia calcarea dando vita a dei profondi inghiottitoi, chiamati foibe.

Dopo la Seconda Guerra mondiale, le foibe presenti lungo tutta la zona carsica vennero utilizzate come fosse comuni per occultare i corpi di italiani, croati sloveni e tedeschi uccisi per motivi politici.

Ancora oggi la storia di questi profondi abissi resta oscura, contestata e spesso negata, e le foibe continuano a celare dei segreti. Sono anche difficili da individuare sul territorio perché, di fatto, manca una mappatura completa.

Questo progetto fotografico intende riflettere su quanto la conformazione geologica di un’area geografica possa incidere sulle sue vicende storiche e sociali. È un tentativo di far entrare lo spettatore in contatto con il territorio, sottolineando che le foibe sono prima di tutto un prodotto della natura e un tratto caratteristico di una certa zona.

Il viaggio alla ricerca di queste cavità naturali è stato fatto con l’aiuto di speleologi locali che hanno messo a disposizione le loro competenze e i loro strumenti di esplorazione.

Galleria del Cembalo – Roma dal 15/09/2016 l 26/11/2016

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Anna