Buongiorno, ho avuto occasione di vedere alcuni di questi documentari su Netflix e li ho trovati interessanti. Spero che abbiate occasione di poterli vedere. Tales by Light fa parte di una serie del National Geographic, un ottimo lavoro che riassume storie di alcuni fotografi e e degli ambienti che raccontano. Tre stagioni attualmente in streaming.
Ritaglio pagina Netflix
Fotografi e registi attraversano il mondo per catturare immagini indelebili di persone, luoghi, creature e culture da punti di vista completamente inediti.
Buona visione
Sara
Condividi l'articolo con gli amici, ci piace condividere!
Ciao! Ho trovato questo interessante e completo documentario su Man Ray. Mi è piaciuto! Guardatelo se avete tempo. Ciao Sara
Chi è man Ray
Emmanuel nasce a Filadelfia da una famiglia di immigrati russi di origine ebraica. Cresce a New York dove completa gli studi. Termina la scuola superiore ma rifiuta una borsa di studio in architettura per dedicarsi all’arte. A New York lavora nel 1908 come disegnatore e grafico. Nel 1912 inizia a firmare le sue opere con lo pseudonimo “Man Ray”, che significa uomo raggio. Acquista la sua prima macchina fotografica nel 1914, per fotografare le sue opere d’arte.
Nel 1915 il collezionista Walter Conrad Arensberg lo presenta a Marcel Duchamp, di cui diverrà grande amico. I tre fondarono la Society of Independent Artists.
Nel 1919 dipinge le sue prime aerografie, immagini prodotte con un’aeropenna, uno strumento di ritocco di uso comune per un grafico disegnatore. A New York, con Marcel Duchamp formò il ramo americano del movimento Dada che era iniziato in Europa come un rifiuto radicale dell’arte tradizionale. Dopo alcuni tentativi senza successo e soprattutto dopo la pubblicazione di un unico numero di “New York Dada” nel 1921, Man Ray affermò che “il Dada non può vivere a New York”.
Nel 1921 Duchamp torna a Parigi. Man Ray, che in precedenza aveva rinunciato a trasferirsi in Francia a causa della grande guerra, lo segue. A Parigi Duchamp gli presenta gli artisti più influenti di Francia, fra cui anche André Breton e Philippe Soupault. Soupault ospitò nella sua libreria (Librairie Six) la prima mostra di Man Ray, dove venne esposta la famosa opera Cadeau, un ferro da stiro su cui erano stati incollati dei chiodi, tipico esempio della sua giustapposizione sintagmatica di oggetti senza un legame logico, ma solo «mentale», paradossale, controverso; in questo caso decontestualizzandone la normale utilizzazione «codificata», fino a trovare uno strettissimo rapporto allusivo al «negativo».Il successo Parigino di Man Ray è dovuto alla sua abilità come fotografo, soprattutto di ritrattista. Celebri artisti dell’epoca, come James Joyce, Gertrude Stein, Jean Cocteau e molti altri, posarono di fronte alla sua macchina fotografica.
Nel 1922 Man Ray produce i suoi primi fotogrammi, che chiama ‘rayographs’ (rayografie), ovvero immagini fotografiche ottenute poggiando oggetti direttamente sulla carta sensibile.
Man Ray scoprì per caso le rayografie nel 1921[3]. Mentre sviluppava alcune fotografie in camera oscura, un foglio di carta vergine, accidentalmente, finì in mezzo agli altri e dato che continuava a non comparirvi nulla, poggiò, piuttosto irritato, una serie di oggetti di vetro sul foglio ancora a mollo e accese la luce. L’artista ottenne così delle immagini deformate, quasi in rilievo sul fondo nero. Attraverso i suoi rayographs, termine costruito sul suo cognome, ma che contemporaneamente evoca il disegno luminoso, poteva sondare ed esaltare il carattere paradossale e inquietante del quotidiano.
Nel 1924 nasce ufficialmente il surrealismo, Man Ray è il primo fotografo surrealista. La produzione dei suoi lavori di ricerca va di pari passo con la pubblicazione delle sue fotografie di moda su Vogue. Si innamora della famosa cantante francese Alice Prin, spesso chiamata Kiki de Montparnasse, che in seguito divenne la sua modella fotografica preferita. Insieme a Jean Arp, Max Ernst, André Masson, Joan Miró e Pablo Picasso, fu rappresentato nella prima esposizione surrealista alla galleria Pierre a Parigi nel 1925.
Nel 1934, la celebre artista surrealista Meret Oppenheim, conosciuta per la sua tazza da te ricoperta di pelliccia, posò per Man Ray in quella che divenne una ben nota serie di foto che la ritraggono nuda in piedi vicino a un torchio da stampa. Anche della pittrice surrealista Bridget Bate Tichenor, del cui padre Ray era grande amico, restano numerose fotografie. Insieme alla fotografa surrealista Lee Miller che fu la sua amante e assistente fotografica. All’epoca utilizzò sistematicamente per primo la tecnica fotografica della solarizzazione.
Lo scoppio della seconda guerra mondiale obbliga Man Ray, che è di origine ebrea, a rientrare negli Stati Uniti. Nel 1940 arriva a New York ma poco dopo si trasferisce a Los Angeles. In questo periodo insegna fotografia e pittura in un college, espone in varie mostre le sue fotografie, fra cui anche alla galleria di Julien Levy di New York. Finita la seconda guerra mondiale Man Ray ritorna a Parigi, dove vivrà fino al giorno della sua morte, in questi anni continua a dipingere ed a fare fotografie. Nel 1975 espone le sue fotografie alla Biennale di Venezia.
Negli ultimi anni della sua vita Man Ray fece spesso ritorno negli Stati Uniti, dove visse a Los Angeles per alcuni anni. Tuttavia egli considerava Montparnasse come casa sua e vi fece sempre ritorno e fu lì che morì il 18 novembre 1976. Venne seppellito nel cimitero di Montparnasse. Il suo epitaffio recita: “Non curante, ma non indifferente.”
Da Wikipedia
Condividi l'articolo con gli amici, ci piace condividere!
Robert Frank, un documentario su questo fantastico fotografo, sarà presentato in anteprima in occasione del prossimo fine settimana a New York Film Festival. “Don’t blink” è un ritratto dell’artista prima e dopo il suo più famoso progetto. Quello che conosciamo meglio di Robert Frank è “The americans”, del 1959, libro di fotografie in bianco e nero, che ritrae persone provenienti da tutti i ceti sociali, tutte le parti del paese, un viaggio in strada epico.
Ecco Robert Frank nel documentario: giacca mimetica, camicia di flanella, jeans, potrebbe sembrare un qualsiasi ragazzo scontroso a New York City, che scatta con la sua Leica o una delle tante macchine fotografiche istantanee. Da non perdere. Attendiamo con ansia.
Biografia
Nato in una famiglia di origini ebraiche, dal 1941 al 1944 lavora come assistente fotografo al seguito di Hermann Segesser e Michael Wolgensinger. Nel 1946 si autofinanzia la prima pubblicazione, cui dà il titolo di 40 Fotos. Nel 1947 lascia l’Europa per trasferirsi negli Stati Uniti. A New York Alexey Brodovitch lo ingaggia come fotografo di moda per Harper’s Bazaar. Parallelamente alla fotografia di moda svolge una prolifica attività di reporter freelance che lo porta ad affrontare viaggi in Perù e Bolivia nel 1948 (una selezione delle fotografie là riprese sono pubblicate sulla rivista Neuf di Robert Delpire nel 1952 e, quattro anni dopo, nel libro Indiens pas morts) e nel 1949 in Europa (Francia, Italia, Svizzera e Spagna). Le fotografie di Parigi sono pubblicate in un libro dell’artista Mary Lockspeiser, che Frank sposerà l’anno successivo. Nel 1950 Frank ha già un nome ed Edward Steichen include alcune sue fotografie nella mostra 51 American Photographers allestita al Museum of Modern Art di New York e poi nella celebre The Family of Man del 1955.
Biografia
Tra il 1952 e il 1953 continua in Europa la sua attività di reporter tra Parigi, Londra, Galles, Spagna e Svizzera. In questo periodo abbandona definitivamente la fotografia di moda e comincia a lavorare sempre più seriamente come fotogiornalista freelance. Nel 1955 Robert Frank è il primo fotografo europeo a ricevere la borsa di studio annuale promossa dalla Fondazione Guggenheim di New York. Con i soldi ricevuti viaggia per tutti gli Stati Uniti dal 1955 al 1956, riprendendo oltre 24.000 fotografie. Nel 1958 Robert Delpire pubblica a Parigi Les Américains, una selezione di 83 immagini tratte dal viaggio americano e l’anno dopo la Grove Press pubblica il volume negli Stati Uniti col titolo The Americans.
Al contempo Frank viene a contatto con i principali esponenti della nuova generazione letteraria e artistica americana, soprattutto con gli esponenti della Beat Generation. In primo luogo stringe una salda amicizia con lo scrittore Jack Kerouac, col quale porta a termine varie collaborazioni. Oltre ad aver compiuto un viaggio on the road insieme, compiuto nel 1958 verso la Florida, Kerouac si occupa di scrivere l’introduzione al libro The Americans per l’edizione americana. Nel 1959 viene realizzata la più nota collaborazione con la Beat Generation, quando Frank, unitamente al pittore Alfred Leslie, dirige il suo primo film, Pull My Daisy. Scritto e narrato da Jack Kerouac e interpretato, tra gli altri, da Allen Ginsberg e Gregory Corso, il film sarà considerato il padre del New American Cinema.
Negli anni sessanta, nonostante il crescente successo dei suoi lavori, Frank abbandona la fotografia per dedicarsi completamente alla realizzazione di film. Un cinema, il suo, carico di tensioni e tematiche prettamente private e introspettive, come Conversations in Vermont (1969) o About Me: A Musical (1971). Collabora ancora con i beats, soprattutto Ginsberg, Orlovsky e Burroughs, ma anche con i Rolling Stones (Cocksucker Blues, 1972, documentario censurato dallo stesso gruppo), Tom Waits, Joe Strummer (Candy Mountain, 1986) e Patti Smith.
Dopo la tragica perdita della figlia Andrea, appena ventenne, Frank ricomincia a riutilizzare la macchina fotografica. Dalla metà degli anni settanta a oggi, la sua fotografia è lontana dai reportage precedenti: usa collage, vecchie fotografie, fotogrammi, polaroid; scrive, graffia e incide direttamente sul lato sensibile della pellicola. Frank alterna soggiorni a New York con lunghe permanenze a Mabou, in Nova Scotia, insieme alla compagna e pittrice June Leaf.
Nel 1994 dona gran parte del suo materiale artistico alla National Gallery of Art di Washington che crea la Robert Frank Collection; è la prima volta che accade per un artista vivente. Nel 1996 ottiene l’Hasselblad Award[1] e nel 2000 il Cornell Capa Award. Tra il 2005 e il 2006 un’ulteriore retrospettiva della sua vita artistica gira il mondo: si tratta della mostra Robert Frank: Story Lines, partita da Londra nel novembre 2004.
Da wikipedia
Condividi l'articolo con gli amici, ci piace condividere!