Davvero è solo una fiaba? (seconda parte)

Daniel Rodrigues

Se la prima parte vi ha incuriosito, se ne avete preso, perchè così volevate, solo l’aspetto fiabesco della vicenda, va bene così, altrimenti, se la cosa vi ha aperto riflessioni o vi siete posti delle domande, ecco come Michele Smargiassi, sul proprio blog Fotocrazia del 14 marzo 2013, analizzava l’ accaduto:

Storie di gavetta abbondano in tutte le carriere celebri di tutti i mestieri. Qui la fata dai capelli d’argento è un premio, il più celebre e controverso premio di fotogiornalismo. Robert Capa che, non ancora tale, squattrinato esule a Parigi, portava la sua Leica al banco dei pegni tra un servizio e l’altro. Se non ricordo male, lo scoop che gli avviò la carriera, le foto rubate a un comizio di Trotzkij, furono prese con quella macchina che entrava e usciva dal monte di pietà. La dolcezza dell’episodio, e la simpatia istintiva che mi ispira Rodrigues, però, non mi fanno cambiare idea sul ruolo incongruo che i premi stanno assumendo nel meccanismo della selezione professionale del fotogiornalismo: barra doganale all’ingresso di una carriera, quando dovrebbero essere la sanzione del suo successo. Semmai, questa storia mi fa pensare a quel che manca, ma non è sempre mancato, in quel meccanismo. Allora: il problema è impedire lo spreco dei talenti, evitare che carriere promettenti vengano stroncate sul nascere dalle ristrettezze economiche? Ma per questo esistevano, una volta (non so quante ne esistano ancora), le borse di studio, i grant che prestigiose istituzioni culturali o generosi mecenati destinavano a fotografi dotati per consentire loro di mettersi alla prova. La storia della fotografia deve moltissimo a questi mecenatismi, un esempio per tutti, The Americans di Robert Frank. I premi sono le nuove borse di studio? No. Lo possono essere per supplenza, ma concettualmente sono un’altra cosa. I premi vanno in cerca del “bel colpo” e non della bella testa, premiano una performance e non una persona. Sono vetrine pubblicitarie (sicuramente efficaci) ma non palestre per maturare. Sollecitano il conformismo verso stili già ufficiali, approvati, dominanti, e non incoraggiano la ricerca del nuovo. Sono sistemi di omologazione e non di sperimentazione e di rottura degli schemi. The Americans (la cui pubblicazione fu rifiutata in Usa) non sarebbe stato premiato, e invece ha cambiato la visione fotografica di un’epoca. Dove era Canon Portogallo, dove era quella banca quando Daniel vendeva la sua fotocamera? Anziché accorrere come prìncipi pentiti con la scarpetta di cristallo in mano, non potevano pensarci prima della mezzanotte, prima che la fotocamera di Cenerentola si trasformasse in zucca? E ora, ammaestrati dall’esperienza, ci penseranno sopra e istituiranno un grant annuale destinato a un fotografo portoghese, selezionato sulla base di un progetto articolato, consapevole, innovatore?Ne dubito, ma sperare non costa nulla.”

Dopo questa considerazione, la bella favola a lieto fine, assume toni leggermente amarognoli: cosa pensate sia cambiato dopo due anni? Valgono ancora i dubbi sollevati dal giornalista? Lasciateci i vostri commenti, le vostre esperienze e tutto quanto vorrete condividere, attendiamo con piacere

 http://www.danielrodriguesphoto.com/

 http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/

Davvero è una favola? (prima parte)

Daniel Rodrigues

Daniel Rodrigues aveva 26 anni nel 2012 e voleva fare il fotografo; si trovava in Guinea Bissau, nel villaggio di Dulombi Galomaro, al seguito di una missione umanitaria impegnata a costruire un ospedale ed una scuola, cercando come tanti, di unire l’esigenza di portare aiuto ed un’occasione per mettersi alla prova come fotoreporter. I ragazzi del campo, stanno giocando una partita di calcio, non è difficile che accada, tutt’altro, ci giocano tutti i giorni tutto il giorno e quella volta Daniel è della partita; esce dal campo poco dopo per impugnare la fotocamera, cerca delle buone inquadratura per farci qualcosa, magari da proporre all’agenzia Global Imagens, con cui saltuariamente collabora.

Il ritorno a Lisbona, non è però dei migliori, l’agenzia è in forte crisi e tutti i contratti con i collaboratori vengono tagliati, Daniel si ritrova senza nemmeno quel lavoro. Vive con l’anziana nonna e deve fare quadrare i conti famigliari, è così costretto a vendere tutta l’attrezzatura ad un collega ed a mettere via il proprio sogno.

Ma la foto di quei ragazzi scalzi che si gettano confusamente sul pallone, alzando nuvole di polvere che la luce rende argentee, vince il primo premio nella categoria “vita quotidiana” al World Press Photo; i giornali portoghesi danno ampio spazio alla notizia e quando uno di questi scopre che il fotografo che ha portato il proprio paese nell’olimpo della fotografia, ha dovuto vendere tutto per campare, il quadro si ribalta in un attimo.

Lo scalpore della notizia fa muovere diversi privati tra cui la Canon portoghese ed una banca, che si offrono di fornire una nuova attrezzatura e il la città di Lisbona, commissiona un lavoro a Rodrigues

Daniel è di nuovo un fotografo e da quel poco che se ne sa, sembra se lo meriti, inoltre torna al villaggio in Guinea Bissau a portare qualcosa ai ragazzi di quel campetto “il merito del premio è anche loro”

Questa è la storia tratta dal racconto del fotografo stesso, cosa ne pensate? È solo una bella fiaba a lieto fine o merita altre riflessioni? Aspettiamo i vostri commenti in merito, tra qualche ora, la seconda parte.

 http://www.danielrodriguesphoto.com/

 http://www.worldpressphoto.org/awards/2013