Poesia e fotografia

Poesia e fotografia di Bonnefoy Yves, testo di
Annalisa Melas


Poesia e fotografia
di Bonnefoy Yves (Autore)
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I poeti, si sa, sono strani, per dire una cosa  costruiscono castelli di parole, architetture fuori tempo che a volte stentiamo a comprendere, e Yves Bonnefoy, l’autore del libro di cui mi appresto a parlarvi, è un poeta.

Quindi una prima cosa di questo piccolo comodo libricino la potete già intuire: la sostanza non sarà mai priva di forma, una forma a tratti straordinariamente immediata, a tratti un tantino complicata.

Ma cosa ci racconta Bonnefoy a modo suo?

Ci racconta il rapporto che ebbe la fotografia con la letteratura dell’epoca, e come venne percepita la giovane e rampante fotografia, nel periodo in cui iniziava a farsi spazio nel mondo, da coloro i quali erano impegnati con le parole.

Secondo l’autore infatti, la nascita di immagini capaci di riprodurre la realtà e fissarla (almeno così si credette in un periodo nel quale a fissare immagini ci pensavano pittori e vignettisti) avveniva e ben si intersecava con ciò che avveniva sull’altra sponda del fiume, dove poeti e scrittori stavano affrontando l’avvento del nulla e con esso la ricerca dell’assoluto, e lo faceva riportando tutte le cose del mondo alla loro forma essenziale, strappandole al tempo e trasferendole in un’altra dimensione, quella di un luogo diverso nel quale diversamente non avrebbero mai potuto trovarsi.

 Spiega infatti Bonnefoy: [..] Ciò che colpisce è che su una lastra di rame si ottiene una riproduzione tanto completa quanto esatta di ciò che prima di quel momento si sarebbe potuto vedere solo nelle sue tre dimensioni, e dunque che questo “fuori”, questo continuo mutare, è stato ora fissato, e li rimarrà, immobilizzato,in questa nuova immagine singolare.

Ma perché la fissazione è così importante? […] Perché essa permette a cose che non potrebbero che essere considerate ciascuna in sé e per sé di coabitare in modo permanente insieme ad altre percepite allo stesso modo, e di abbandonare così il loro piano di realtà in movimento temporale, per esistere sul piano delle immagini […].

Per avvalorare la sua tesi l’autore si avvale della collaborazione di grandi personaggi dell’epoca; dal suo magico cilindro  si srotolano due vie: una sulla quale mette Mallarme (spinto avanti Allan Poe) e Nadar (il nostro buffo straordinario Nadar), l’altra sulla quale camminano fianco a fianco Maupassant e Atget.

Lungo entrambe le strade cerca di mettere in relazione il tipo di immagini che venivano prodotte dai fotografi, con l’uso che veniva fatto delle parole dagli scrittori; lo fa lui perché io credo che l’intento di scrittori e fotografi  fosse diverso, da un lato infatti c’era un’arte antica, la scrittura che passando attraverso i secoli aveva cercato e ragionato su stessa e sull’essere umano, mentre dall’altro c’era un giovane strumento figlio della scienza che avrebbe rivoluzionato il modo di percepire il mondo e le persone e rispetto all’utilizzo del quale iniziavano ad essere fatti i primi ragionamenti.. Del resto, mentre Mallarme volontariamente cerca di distruggere le cose portandole all’essenzialità di ciò che sono, per poi risalire a qualcosa di infinitamente profondo, dall’altro Nadar, utilizzando quello strumento, capace mostrando i dettagli, di ridurre le cose del mondo a linee e forme essenziali, riproducendo i volti delle persone e i loro sguardi, va al di là della loro presenza fisica, restituendo dignità a qualcosa che probabilmente ne era ormai ritenuto privo.

Ci sono poi Maupassant e Atget seduti l’uno accanto all’altro nell’immaginario mondo del nostro moderno poeta, loro si occupano dell’atmosfera che avvolgeva le strade di Parigi, loro… Va beh dai, leggete il libro, se no a voi cosa rimane?

Vi lascio solo l’immagine di uno accanto a un frammento di testo dell’altro, e lascio che sia l’immaginazione, per il momento, a mostrarvi cosa hanno in comune immagine e testo.

Bonnefoy Yves

 “Davanti a ciascuna luce del marciapiede le  carote        s’illuminavano in rosso, i navoni s’illuminavano in bianco, i cavoli s’illuminavano in verse; e passavano una dietro l’altra quelle carrette rosse d’un rosso fuoco, bianche d’un bianco d’argento, verdi d’un verde smeraldo. Le seguii, poi svoltai per la rue Royale, e tornai sul boulevard. Nessuna persona, nessun caffè illuminato; soltanto qualche passante in ritardo che s’affrettava. Non avevo mai visto Parigi così morta, così deserta.

                                                                (da La Notte di Guy De Maupassant)

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Cos’è rimasto a me invece? A me è rimasta, sospesa nell’aria della stanza, l’atmosfera che si respirava a metà ottocento per le strade di Parigi e la consapevolezza di un legame in alcuni casi inconsapevole, in altri meno, fra due forme di comunicazione così diverse e così intimamente legate dal loro vivere e realizzarsi in uno stesso periodo storico.

Ciò a dire che la fotografia (come la pittura, la musica o la scrittura) non potrà mai essere compresa davvero se tolta dal contesto specifico nel quale viene realizzata.

Provate a fare anche voi questo viaggio vi sorprenderà.

Di Annalisa Melas

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