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Democratica la “fotografia”? Certo che no.

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Buongiorno,

scrivo questo articolo perchè stuzzicata da una considerazione di Michele Smargiassi su questo tema.

L’articolo di Smargiassi, che potete leggere qui a questo link, si interroga sulla democratizzazione della Fotografia.

Spesso si dice “la fotografia è democratica”. Ragionando un po’ su questa affermazione, credo di non essere d’accordo.

Nel 1888 George Eastman fonda la Kodak e inizia a pubblicizzare la prima macchina fotografica PER TUTTI, la Box Kodak. Lo slogan è  “You press the button, we do the rest” (“Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto”) questo significa che il grande pubblico, chiunque, da quel momento può produrre immagini attraverso la Kodak. Avviene una prima democratizzazione della fotografia.

Oggi sta avvenendo lo stesso. Abbiamo centinaia di migliaia di mezzi che producono immagini, ma si può dire che è la fotografia ad essere democratica, o il mezzo con la quale si produce?

Da fotografi spesso veniamo accusati di guardare alle fotografie prodotte per il piacere di produrle, su Instagram, su Facebook, quelle per i parenti, per gli amici, con la puzza sotto il naso.

Non è così.

Non mi importa della produzione di chi lo fa anche solo per il piacere del un ricordo, di aver mangiato il Sushi, dei piedini di un bambino senza identità, della zia sotto la Torre di Pisa, o della gita al lago coi bellissimi tramonti.

Il punto non è questo. Scattate quanto vi va, lo trovo bellissimo.

Non posso non fare una considerazione: non è la fotografia ad essere democratica, è il mezzo con cui si scattano fotografie ad esserlo. Il risultato di quel generare immagini non è democratico.

Quindi la distinzione sta nel fine.

In questo senso sostengo che non tutti siano fotografi, anche se hanno un mezzo che produce immagini. Spesso (non sempre) l’intento di chi le scatta nel tempo libero o per piacere, è slegato dalla committenza o dal fine per cui vengono prodotte queste immagini. Qualcuno dirà: il fine è mostrarle agli amici, alla famiglia, divertirsi.

Tutto vero, ma quando io scatto, sto già scattando per voi, per fare un discorso attraverso le immagini, per proporre nuove interpretazioni delle “cose del mondo”, per parlare, per documentare. Il tutto è fatto con consapevolezza (e anche questo è importante) legata al fine, attraverso studio, con coerenza e perseveranza.

Qui è la differenza. Non è una differenza da poco, secondo me.

Ciao

Sara

 

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