Pensieri di Mu.Sa.

Qui potete trovare molti degli articoli che ho scritto, ciao! Sara Munari

Quali sono i motivi per cui alcune persone non amano o non desiderano essere fotografate.

Qualsiasi cosa tu faccia in fotografia, André Kertész l’ha fatta prima di te.

H.C.Bresson definisce Kertesz suo mentore e afferma: “Tutto quello che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima”.

Cominciammmo bbbene!

E’ vero, cacchio, è vero! Mi fa venire il latte alle ginocchia per quanto è vero…

Tutti abbiamo fonti di ispirazione, lui lo è per me e per centinaia di altri fotografi.

Il fotografo ungherese ha lottato per ottenere successo e riconoscimento. Kertész ha passato tutta la sua vita cercando consenso da parte della critica e del pubblico. I suoi lavori, tuttavia, vennero poco apprezzati.

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A differenza di H.C.Brassaï, rifiutò molte commissioni con il principio che erano contrarie alle sue idee e alla sua creatività.

“Fotografo il quotidiano della vita, quello che poteva sembrar banale prima di avergli donato nuova vita, grazie ad uno sguardo nuovo. Amo scattare quel che merita di essere fotografato, il mondo quindi, anche nei suoi squarci di umile monotonia. Sono nato chiuso, ma un chiuso aperto alla strada, ed ho cercato la felicità nel silenzio di un istante. Batteva intanto il cuore al tempo di un click. Ho cercato gli occhi innocenti, di cui ogni sguardo sembra il primo, le menzogne dietro la superbia ed i sorrisi fatui, fantasmi seduti al sole su delle vecchie sedie. Senza trucchi ho cercato di vedere, ho cercato di capire. Ho cercato di vedere, e quando ho capito, ho lasciato gli occhiali su un tavolo insieme alla pipa”. (M.Thompson Nati, Around, 2015. Around André Kertész).

Oggi è considerato un pioniere della composizione fotografica moderna e del fotogiornalismo come lo conosciamo. Nel 1964, lo scrittore e curatore americano John Szarkowski ha scritto: “Il lavoro di Kertész, forse più di ogni altro fotografo, definisce la direzione in cui si sviluppa la fotografia europea moderna”.

Profondamente riservato, Kertész è rimasto coerentemente e fedele alle sue convinzioni e origini. Il suo lavoro ha ricevuto riconoscimento tardivo, solo dagli anni ’60 in poi, con un picco negli anni ’80.

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Da giovane, nei primi anni 1920, ha fotografato i contadini ungheresi. Già da allora sembrava avere uno stile chiaro, forte connessione emotiva con i suoi soggetti e potenti geometrie erano presenti nelle sue immagini. Per Kertész, fare una fotografia implicava catturare un’atmosfera, ma anche assolvere a problemi compositivi collegando forma e contenuto.

Nel 1925 si trasferì a Parigi, dove si gettò nella scena artistica, collegato al movimento Dada e scattava fotografie ogni giorno. A causa della persecuzione degli ebrei, si trasferì successivamente a New York.

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Nel 1927 nella galleria Au sacre du printemps fu organizzata una delle prime mostre fotografiche di Kertész. Il catalogo è introdotto da una poesia del teorico dadaista Paul Dermée:

« Kertész, occhi innocenti di cui ogni sguardo sembra il primo,
che vede il grande re nudo quando è vestito di menzogne
che freme per i fantasmi che bazzicano i Quai de la Sein
che ci meraviglia a ogni nuova immagine che crea
tre sedie nel sole ai Giardini del Lussemburgo
la porta di Mondrian aperta sulla scala,
gli occhiali su un tavolo insieme alla pipa
nessun arrangiamento, nessun trucco, nessun inganno e nessuna manipolazione
la tua è tecnica onesta, incorruttibile come la visione,
nel nostro ospizio di ciechi,
Kertész è il fratello che vede per noi. »
(Paul Dermeé)

Innumerevoli cambiamenti nel suo stile e nel linguaggio, dimostrano le sue capacità e la continua ricerca fatta in campo fotografico.

Morì a New York nel 1985 lasciando 100.000 negativi, molti dei quali fino ad oggi, non visti.

“Io sono un dilettante e intendo rimanere tale tutta la vita. Attribuisco alla fotografia il compito di registrare la vera natura delle cose, l’interiorità, la vita. L’arte del fotografo è una scoperta continua che richiede pazienza e tempo. Una fotografia trae la sua bellezza dalla verità con cui è segnata. Proprio per questo rifiuto tutti i trucchi del mestiere e il virtuosismo professionale che potrebbe intralciare la mia carriera. Non appena trovo un argomento che mi interessa, lo lascio all’ottica fotografica per registrarlo sinceramente. Guarda i giornalisti e il fotografo dilettante! Entrambi hanno un solo obiettivo: registrare memoria o un documento. E questa è pura fotografia “. André Kertész

Qui un articolo di Eric Kim che elenca i consigli che ha ritenuto importanti, lasciati da Kertész, per scattare per strada.

Ciao

Sara

Quali sono i motivi per cui le persone non vogliono essere riprese

Le ragioni sono svariate e spesso dipendono da ragioni che non sta a noi fotografi giudicare, piuttosto, rispettare.

Vi faccio alcuni esempi che spero possano avvalere la mia tesi sul rispetto.

Una ragione logica potrebbe essere la condizione in cui ci si trova  la persona (volontariamente o meno) in termini di mancanza di permessi di soggiorno, situazioni di consapevolezza della propria situazione disagiata, in un periodo specifico della sua vita.

Perché fotografare gente di colore chiaramente in situazione difficile, ‘barboni’, poveri, feriti, malcapitati di tutti i generi che non hanno voglia di essere ripresi?

Voi direte, per documentare una situazione sociale. Bene, sappiate che fotogiornalisti di professione avranno già trattato lo stesso tema e meglio. Entrando in contatto con il gruppo o l’individuo in questione e raccontandone le vicende. Se siete in grado di farlo in modo professionale, siete i benvenuti, ma scattare per strada a poveri o ‘esclusi’ di qualsiasi genere,  senza progettualità o consapevolezza, non fa di fotografi ma avvoltoi…

Un altro motivo logico può essere la vergogna, il provare vergogna, per ragioni differenti, di fronte all’obiettivo. Quindi, se non strettamente necessario, perché insistere?

Nel mio caso, per esempio, l’immagine di me bidimensionale, non mi piace particolarmente. Se c’è da fare una foto, la faccio tranquillamente, già consapevole di non piacermi, quindi eviterei nella maggior parte dei casi. 

Probabilmente è legato al fatto che si abbia la sensazione di non poter controllare il risultato per evitare che la propria immagine, non particolarmente amata, giri per il mondo.

Quindi se posso evitare e non mi va, non mi faccio fotografare e rispetto la stessa necessità da parte di altri individui.

Altro motivo potrebbe essere la quantità di immagini in circolazione, il finire in mezzo al marasma di fotografie del cacchio che circolano, è un pensiero al quale si potrebbe dare peso. 

In qualche caso, soprattutto all’estero, ci sono motivi religiosi che spingono le persone a non amare l’essere fotografate.

Conviene proprio adeguarsi per evitare casini…come è capitato a me, con relativa fuga e inseguimento. Ho imparato a rispettare le regole che esistono nel luogo in cui mi reco e ad avere riguardo sia dei posti che delle persone che per scelta personale o scelta imposta, non vogliono essere riprese.

I dieci comandamenti del fotografo

Ciao a tutti, un po’ per divertimento e un po’ no…ecco i dieci comandamenti da seguire! Condividete e diffondete! Ciao Sara

1) Non avrai che da studiare per migliorare te stesso e le tue fotografie.

2) Non denigrare mai le immagini di fotografi di cui non conosci percorso, il tempo in cui hanno scattato le foto e le motivazioni.

3) Ricordati che inventarsi qualcosa di nuovo è difficile, possiamo mettere, da fotografi, piccoli mattoni a muri già costruiti.

4) Onora chi sa più di te e te lo può dimostrare, approfondisci la consapevolezza su chi sia il tuo interlocutore.

5) Non uccidere la Fotografia presupponendo di produrre immagini interessanti solo perché le hai prodotte tu.

6) Non commettere atti impuri (questi commettili tutti!)

7) Non rubare foto e idee di altri fotografi. Chi arriva secondo, rimane secondo.

8) Non prendere in giro il fruitore del tuo lavoro, se quello che riproduci non è reale, deve essere chiaro a chi lo guarda.

9) Non desiderare la macchina d’altri. La macchina fotografica è solo il mezzo, gli occhi sono i tuoi.

10) Non essere invidioso del successo altrui, chi ce la fa, con tutta probabilità è semplicemente più bravo di te.

Spero che vi siate fatti due risate e non cominci il solito polverone sui social, baci Sara

 

Caratteristiche di un buon Storyteller

Certo, non vanno bene tutti per raccontare storie. Gli storyteller migliori sono forse quelli di cui ci si dimentica il nome per ricordare, invece, le loro storie, diceva Einstein… mi pare.
Tenete ben presente il fatto che la narrazione, di qualsiasi tipo, richiede conoscenza e cultura. Per raccontare bene una storia si deve ‘conoscere’. Lo so, lo so che lo ripeto spesso, ma è così.
Chi racconta storie fantastiche, siano esse fotografiche o meno, ha determinate caratteristiche.
La creatività, per esempio, è un presupposto necessario da avere. Raccontare
storie significa far confluire fantasia, immaginazione e una forte capacità espressiva.
La creatività è sempre accompagnata dalla capacità di saper trasmettere un messaggio, condizione che diventa di primaria importanza.

Siete portatori di un punto di vista, di un messaggio che dovrebbe essere chiaro in voi, fin da quando iniziate il vostro progetto. In qualche caso potreste anche solamente prediligere un lavoro che si basi sull’estetica e quasi esclusivamente su questo.

Può funzionare, comunque, ma è più raro.

In generale, non si comunica tanto per, si comunica con uno scopo ben preciso. E quando si fa storytelling si parla a un pubblico per dire qualcosa, per trasferire ai lettori un messaggio chiaro e preciso.
Tutte le storie ci prendono, alcune più, alcune meno, a seconda delle emozioni che ci fanno provare. In un progetto fotografico, che sia di ricerca, fotogiornalismo, moda, dobbiamo suscitare emozioni. Facciamoli emozionare e facciamoli pensare, insomma. Tra l’altro, una cosa non dovrebbe prescindere dall’altra. Seducete chi guarda e, se
potete, portatelo a ragionare. Il ragionamento porta alle azioni e voi avrete raggiunto il massimo della potenzialità come storyteller. Un pubblico coinvolto emotivamente è molto più propenso a parlare di voi e delle vostre fotografie. Se annoiate, parleranno di quanto si sono annoiati!
Siate chiari nei vostri intenti, non mentite e, se lo fate, che sia chiara la menzogna. Al pubblico di una mostra o di una vostra presentazione non piace essere preso in giro.

Se decidete che ironia e un progetto in bilico tra finzione e realtà sia la strada che volete perseguire fotograficamente, chi guarda deve essere messo nelle condizioni di capire le
vostre intenzioni. Rispettiamo sempre chi dedicherà tempo e attenzione al nostro lavoro.
Rendete chiaro ciò che è complesso. Un portfolio fotografico strutturato bene può fare diventare semplice e comprensibile anche le situazioni più complicate.
Siate convincenti, prestate attenzione alla scelta dei soggetti, alle scelte tecniche, all’editing del lavoro e alla presentazione dello stesso. Dovete dare la certezza di essere autentici, i vostri ammiratori vogliono sentirvi coinvolti in ciò che proponete. Non dovete esclusivamente convincere per la vostra accuratezza, ma, a vostra volta, coinvolgere.
Una storia non dice alle persone quello che devono volere, ma le fa sentire parte di qualcosa e in qualche caso, protagoniste. Identificarsi con il protagonista, significa anche prendere una posizione precisa,
schierarsi contro un nemico. Una storia non è mai un racconto oggettivo, è sempre un punto di vista.
Dove i vostri soggetti saranno persone, nel reportage per esempio, sappiate dare voce ai vostri personaggi. Dobbiamo riuscire a mettere nelle condizioni di identificarsi nei personaggi che proponiamo, sia nei pregi che nei difetti.
I temi relativi alle più grandi narrazioni sono spesso gli stessi e riguardano gli importanti temi che coinvolgono l’intero genere umano: amore, pace, tolleranza, fede, religione, confitti, devastazione…
Certo, sono temi astratti ed è all’interno di questi che dovete cercare un’idea che vi conduca al racconto di un argomento interessante per i più, perché riguarda l’umanità, quindi potenzialmente un vasto gruppo di persone, anche se si concentra su un singolo soggetto o su piccole comunità.
Ricordate però… Un personaggio a cui va tutto bene, perfetto, con una bella famiglia, amato e ben voluto, purtroppo, non verrà particolarmente apprezzato dal pubblico.
Molti mi chiedono come mai in fotografia funzionino solo storie di difficoltà, socialmente difficili, talmente tristi o complicate da far rabbrividire.

Temi che coinvolgono l’uomo che, molto spesso, non sempre, hanno a che fare con alcune particolari condizioni umane come la malattia, la guerra, il disagio, la droga, il sesso, il cibo, l’ambiente, le tragedie familiari. Mi sono data questa risposta: la verità è che abbiamo un lato oscuro e siamo morbosi. La morbosità dà una strana esaltazione, anche fisica, uno stimolo quasi animale che ha, probabilmente, anche un valore dal punto di vista evolutivo. Le gazzelle osservano fintanto che una loro simile viene divorata da un leone. E così conoscono a cosa sono esposte se sospendono la loro corsa e si distraggono. Se si pensa alla sofferenza degli altri, è possibile che ci si senta in qualche modo sollevati di averla scampata. Lo stesso motivo, a mio parere, che fa funzionare lavori fotografici “tragici”. Spesso, tra l’altro, se si fotografa qualcosa di vissuto in prima persona, si dà l’impressione di essere semplici, attendibili e qualificati per farlo.
Allo stesso tempo, di fronte a immagini di stragi, incidenti, scatta una certa autotutela: rimaniamo quasi impassibili. Guardando il TG a pranzo e sentendo notizie tragiche, difficilmente ci lasciamo coinvolgere emotivamente, cioè continuiamo a mangiare tranquillamente, come se quelle notizie non ci riguardassero più di tanto, o comunque
riguardassero qualcosa di molto. È ovvio che questo discorso non vale per tutti, ma è inutile negare che se sentiamo la notizia di qualche strage in TV, mezz’ora dopo siamo in giro con gli amici. Non dovrebbe crearsi un senso di sconforto e preoccupazione tali da reagire?
Schierarci, muoverci, prendere posizione, mobilitarci, in quanti lo fanno ancora? Eppure siamo tutti (chi più chi meno) affascinati dalle disgrazie altrui.

Pensate anche all’umorismo, che si basa in grande parte sul fatto che qualcosa di spiacevole avvenga a qualcun altro.

Concludo con le parole di Francesco Nacci, mi sembrano calzanti e mi piacciono molto: «[…] È infatti finito il tempo in cui saper produrre una bella immagine fotografica, conoscere i segreti del materiale sensibile e le tecniche di ripresa e di utilizzo della macchina fotografica, erano considerati un privilegio, e lo erano, di pochi fortunati, studiosi e sperimentatori, amanti dell’arte non senza una certa disponibilità economica. È anche finito il tempo della cultura intesa come possesso di molte nozioni, di un titolo di studio superiore, preferibilmente classico-umanistico, di un trascorso sui libri e sulla dissertazione filosofica, dedicato allo studio dei grandi maestri della storia, ai fatti e ai movimenti intellettuali del passato, alla speculazione illuminata.
Oggi la cultura, quando non scritta con la “Q maiuscola”, è capacità di interpretare il presente, di ragionare sulle cose, di riconoscerne i valori, gli interrogativi, i significati. Capacità di vivere coscientemente il proprio tempo».

Impariamo quindi a raccontare storie forti, impariamo a concepire la arte narrativa del nostro lavoro.

Questo e molto altro sul mio libro: Storytelling a chi? Guida per fotografi cantastorie  Editore Emuse

 

Tutti critici ignoranti

Buongiorno a tutti!

Ho postato, attraverso il blog, fotografie di un autore che ha lavorato prevalentemente negli anni sessanta/settanta. Non che dopo non abbia fatto più niente, diciamo che viene ricordato soprattutto per i lavori prodotti in quel periodo.
Lui è Lewis Baltz.
Ecco il link all’articolo

La gente, al solito, si è messa a commentare le fotografie di questo autore dicendo, questa mi piace, questa non mi piace, questa poteva farla meglio!
Pazzesco non credete?
Mario Pellegrino Rossi che commenta le fotografie di un autore che ha, da parte sua, consolidato quello che ancora oggi si definisce “minimalismo”, in fotografia…

Ma quando è successo che ci siamo trasformati tutti in critici e fotografi?
Questa faccenda mi sconvolge sempre.

A parte questo.
Provate a pensare, quando siete di fronte a fotografie di grandi autori, perché decretati non solo dalla critica ma anche dal tempo, che se vi piacciono o meno le loro immagini, non frega niente a nessuno.

Provate solo a pensare per un attimo che parte del vostro modo di fotografare (le stesse cose), deriva proprio da quegli autori che per primi hanno visto e catturato il soggetto in quella precisa maniera. Spesso quello che viene dopo sono brutte copie, scattate tardi e senza lo stesso contenuto, svuotate anche dei concetti che avevano mosso i fotografi per produrre, in quel tempo, quei progetti. Solo in qualche caso (pochi, pochi) miglioriamo il lavoro di altri, se svolto allo stesso modo. Più che altro aggiungiamo frasi a racconti già intrapresi.
Il giudicare dicendomi: Ma scusa, perché non posso dire che mi fanno schifo?
Perché non posso dire che io l’avrei scattata diversamente e meglio?

I motivi sono parecchi:
1) Il lavoro di un autore, riguardo ad un determinato argomento, si giudica dal complesso delle immagini, non per il singolo scatto.
2) Il lavoro di un autore si giudica se si conosce il periodo storico nel quale sono state scattate le foto.
3) Il lavoro di un autore si giudica se si conosce il luogo nel quale sono scattate.
4) Il lavoro di un autore si giudica se si conoscono i concetti che stanno dietro alle foto.
5) Il lavoro di un autore si giudica se si conoscono le motivazioni che hanno spinto a trattare quell’argomento, in quel preciso momento, con quella precisa modalità.

Detto questo, il lavoro di un autore riconosciuto e affermato si guarda con attenzione, cercando di capire il più possibile, anche se non è nelle nostre corde, quindi non ci piace!

Tutto il resto sono chiacchiere da bar con un approccio tanto superficiale, quanto il giudizio che si da alle tette di Minnie a dodici anni (se si è uomini) e al culo di Robert Downey jr (se si è donne) … a tratti anche l’opposto.

Ciao

La fotografia in Italia, siamo alle cozze?

Buongiorno! Grazie per la visita al blog!

Ecco  a cosa ho pensato.

Molti di noi cercano di farsi conoscere, di trovare lavoro come fotografi, come curatori, critici.

Mandiamo curriculum, fotografie, progetti. In molti, troppi casi, non si riceve risposta. Questa, vi assicuro, è una prerogativa tutta Italiana: la grandiosa, generosa, confortevole “non risposta via mail”. A me partirebbe il vaffanzoom diretto, generalmente mi contengo.

Mi è capitato perfino di ricevere una richiesta esplicita: mi mandi il tuo lavoro? Tu mandi e magicamente la persona sparisce, non risponde più. Rimandi una mail dopo qualche tempo e niente. Io rimango lì così,  tra lo stupito e il “ma perché non te ne vai a….?”

Fortunatamente non mi capita quasi più.

Cerco sempre di rispondere a chi scrive, qualche volta potrebbe essermi sfuggito, spero poche volte…

Non so come possa fare una persona che si avvicini oggi alla fotografia e suppongo questo valga in molti settori. Non so bene quale sia il modo giusto per farvi ascoltare se non lavorare bene con perseveranza, costanza e testa.

Anche se sai che stai facendo il meglio, stai lavorando bene, studi, ti impegni può essere che i risultati non arrivino.

Sembra comunque che la raccomandazione e le conoscenze siano ancora le strade più semplici. Non sapete quanto mi dispiace ammetterlo e chi mi conosce, lo sa bene.

La parola giusta, detta alla persona giusta, nel momento giusto.

Altro modo semplice è pagare i “nomi” della fotografia giusti che ti faranno comunque fare strada, perché hai investito soldi. Anche qui, non tutti sono disposti a cedere alle lusinghe dei soldi, non tutti li accetteranno a prescindere dalla qualità del lavoro proposto.

Nonostante questo, vedo troppi lavori, davvero mediocri, farsi strada nel mondo della fotografia, senza logica apparente.

Le persone hanno capito come vendersi bene, hanno capito che frequentare gli ambienti giusti, avere sempre una frase da dire, sorridere e ammiccare, sono metodi decenti.

Si, perché sapersi vendere è un’altra prerogativa di chi cammina veloce, da sempre. Oggi, inoltre,  i mezzi che abbiamo a disposizione sono ancor più veloci e gli aspiranti nel mondo della fotografia, tanti.

tanti si sanno vendere.

Non ho niente contro la capacità in sé, anzi trovo sia una caratteristica positiva. Ma se l’unica capacità che hai è quella e di fronte hai gente che non distingue fotografia di m…. e buona fotografia (o non ritiene sia importante, giusto, meglio capirlo) il risultato è la diffusione di fotografia pessima…e questo dispiace. Sto combattendo contro questa “cosa” da anni. Mi dispiace.

Come saprete, forse qualcuno di voi si è reso conto, sto girando in lungo e largo l’Italia. Tra corsi, mostre e letture portfolio sono sempre in giro, quindi non parlo per frustrazione.

Bene! Questo mi ha dato la possibilità di capire alcune faccende del mondo della fotografia che “conta” e di quella che non conta.

La piccola fetta di gente che ha soldi in gestione e potrebbe davvero fare cose belle, coinvolgere i giovani, prepararli alla fotografia sia praticamente che culturalmente, spingere gli autori che hanno qualcosa da dire, migliorare il settore commerciale, tutelare gli archivi e aprire centri per la diffusione, i soldi se li “magna”.

Con questo non sto assolutamente affermando che ci siano singoli personaggi che prendono denaro. Questo non lo so e spero non sia così.

Sto dicendo che, anche dove ci sono fondi e potrebbero essere usati bene, niente, si perdono, vengono suddivisi malamente, non fruttano quanto dovrebbero, vengono affidati a persone che, a loro volta, li gestiscono male.

Non vale per tutti chiaramente, ho in mente esempi di festival gestiti con cura e associazioni fantastiche, in piedi da anni.

Ora.

Dato che conosco molte persone che si stanno impegnando seriamente, che amano la fotografia e non ‘spingono’ per convenienza gli amici e gli amici degli amici, piuttosto chi lo merita, mi chiedo: la modalità da raccomandazione molto Italiana, che porta alla lunga al disfacimento di un settore che si ritrova a non crescere, subentra perché cominciano a girare i soldi o già la scelta di chi viene messo a dirigere cose, fa schifo?

Sono i meccanismi troppo elaborati della burocrazia accompagnati dall’incapacità di incompetenti? Non so, non capisco.

Ci sono realtà che funzionano e che appena crescono, per bravura e perseveranza di chi crea questi circuiti di tipologie differenti (vedi festival, grosse associazioni, scuole ecc) niente, diventano un puttanaio.

Si litiga, ci si disgrega. Non si capisce più chi fa cosa e perché se non fa niente o fa da schifo, stia lì comunque.

Non si capisce perché la qualità dei lavori esposti in troppi casi decresce, tu chiedi e ti viene risposto candidamente, ah, ma questi vanno inseriti per forza.

Per forza?

Relativamente a questo, mi chiedo come stiano andando le cose successivamente agli ‘Stati generali della fotografia’, vi ricordate che furore l’anno scorso? Bene, qualcuno sa cosa stiano facendo? Non è una domanda polemica eh! Non lo so proprio e vorrei capirlo.

Qualcuno sa perché più di una volta mi hanno detto, lascia stare, non partecipare alle selezioni, sanno già chi scegliere.

Qualcuno sa perché spesso (mooolto) vengono presi autori stranieri per mostre, workshop ecc. Non siamo sufficientemente bravi o preparati qui? Fa figo lo straniero?

Qualcuno sa quale sia la motivazione per cui non si riesca ad unirsi in gruppi,  condividere a crescere per lasciare qualcosa a ‘sti ragazzi che si stanno avvicinando a questo mondo?

Stare fuori da questi circuiti è difficile, e anche se qualcuno potrebbe pensare di me (come mi ha fatto notare un mio amico fotografo) che io ci sia dentro in pieno, si sbaglia e non sa il culo che ti fai per starne lontano e continuare a lavorare sempre e al meglio.

Chiaramente ho amici, pochi (più nemici incazzati, non so manco per cosa) in questo mondo e se mi chiedono di esporre o di partecipare di qui e di là, io ci sono, sempre con gioia e tanta riconoscenza.

Ma mai ho chiesto: per favore mi fai fare questo o quello, mi coinvolgi che ne ho bisogno? Mai ho pagato per esporre, ho invece partecipato a premi in cui si prevedesse un’iscrizione in denaro. Mai ho ceduto a lusinghe velate o proposte esplicite che mi avrebbero condizionata nelle scelte successive. Chi mi conosce lo sa bene.

Molto di questo ha a che fare col fatto che vorrei sentirmi sempre libera di mandare a quel paese chi voglio, quando voglio.

La situazione mi preoccupa, anche se la mia strada è presa.

Ciao Sara

Nessuna fotografia mi stupisce più.

Ciao! Buongiorno!

Ieri pensavo, ma come mai così poche cose mi stanno stupendo in fotografia?

Come mai mi stupiscono maggiormente lavori di grandi autori del passato?

Mi son data alcune possibili risposte:

La prima riguarda la comprensione legata alla ‘riconoscibilità’ nel tempo.

Mi son detta che è più semplice riconoscere un lavoro che conoscerlo da zero. Le foto del passato sono già (non tutte una ad una ☺), per il nostro hard disk interno, incasellabili come genere, stile, linguaggio. In sostanza le stiamo inserendo in scatole che già abbiamo confezionato, conosciamo spesso gli eventi a cui sono legate, i tempi e i risvolti. Più semplici da digerire, insomma.

La seconda riguarda la comprensione, da parte degli ‘artisti’ in generale, delle faccende del mondo. Gli artisti prevedono, svelano, ci spiegano. Che l’arte stia dormendo/morendo un po’ perché la realtà ha superato le più grandi proiezioni della nostra fantasia?

Ci si ritrova così, senza pensieri sufficienti e idee che possano essere sfruttate per srotolare dubbi e svelare sorprendenti soggetti. Già fatto, già visto, già pensato, già compreso: è troppo tardi.

Eppure questa è una condizione che credo naturale, ci siamo sempre sentiti un po’ così…

Probabilmente non ci si aspetta nemmeno più che le “cose” siano reali o che un avvenimento sia davvero accaduto. Anche se la “verità” è una caratteristica che abbiamo sempre attribuito alla fotografia. Se è nella fotografia, è stato nella realtà.

Questa ‘realtà’ dei soggetti non è più richiesta (se non nel fotogiornalismo in cui si richiede una lucidità nella ricostruzione degli eventi), forse nemmeno più desiderata. Si spera quasi che nella fantasia, asciugata nelle opportunità, come ho detto prima, viva ancora qualcosa che verosimilmente ci possa compiacere piuttosto che qualcosa di veramente vero (scusate il gioco di parole).

Sembra l’era della verità verosimile, una post verità non proprio reale. In questo senso, se non devo concentrarmi sulla realtà, posso quindi tranquillamente spostare la mia attenzione, come fotografo, come comunicatore, sull’estetica. Quindi, in circolazione ci sono delle gran belle foto che effettivamente non dicono, non svelano, non raccontano una cippa! Si sentono tanto belle anche da sole e basta a tutti così.

Terza possibilità riguarda una sana invidia, una cosa del tipo: Ma cosa cacchio ci fa sta cagata in un museo quando io sono molto, ma mooolto meglio come fotografo? Mi rifiuto di capire e vorrei parlare con il curatore. Datemi il suo cellulare, per favore!

Non per capire, piuttosto per insultarlo, lui e il fotografo. Suvvia, basta con ‘ste boiate! 😂

Ecco, questi i miei dubbi di oggi sulla fotografia. Chiaramente ci saranno illuminati più luminosi che la vedranno differentemente, in questo caso: mi spegneranno!

Ciao

Sara

Quando la fotografia è inutile

Buongiorno a tutti!

Vi scrivo questo pensiero sulle fotografie che produciamo. Il mio ragionamento parte da un vecchio post, scritto per ridere che mi ha portato a fare piccoli ragionamenti su quello che “prendiamo” fotograficamente.

Nel 2016, secondo Deloitte, 2.5 trilioni di fotografie sono state condivise online e il 90% di queste scattate con uno smartphone.

Vi scrivo in numero per farvi capire meglio: 2.500.000.000.000.000.000

Nel mio post, prendendo la notizia in internet e senza pensarci troppo, ero stata stretta. Avevo affermato 1.300.000.000.000.000.000 nel 2017.

Inoltre avevo dichiarato che 1.299.000.000.000.000.000, fossero inutili, salvandone 1.000.000.000.000.000.

Mi sembrava un numero grandioso, ma no.

Qualcuno (più di uno) ha pensato che la differenza facesse 1 e mi ha accusata di essere presuntuosa dicendo che l’unica buona per me, fosse la mia. Carino!

Spiego, a questo punto, cosa intendo per fotografia utile e fotografia inutile.

Faccio una premessa secondo me fondamentale, ritengo una fotografia utile quando lo è per la comunità, per la società, non per il singolo individuo, altrimenti, ogni fotografia potrebbe essere utile, adeguata per chi la scatta, valida per chi la guarda. Valide ma non indispensabili.

Ma credo ci sia una differenza tra queste due foto che vi propongo, oppure no?

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“TETTE” NON SO DI CHI
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THE ‘TANK MAN’ STOPPING THE COLUMN OF T59 TANKS ON 5TH JUNE 1989. PHOTOGRAPH: STUART FRANKLIN/MAGNUM PHOTOS

Certo, per qualcuno potrebbe essere più emozionante la prima, ma credo che tutti siano d’accordo con la valenza maggiore della seconda, oppure no?

Quindi, una fotografia è utile, secondo me, se mostra fatti che non erano mai stati visti, il fotogiornalismo in generale (indispensabile), oppure mostra interpretazioni di luoghi, personaggi e cose, come non erano mai state mostrate e interpretate (essenziale) allo stesso modo.

Come faccio ad avere certezza che non siano mai state interpretate in quel modo?

Il punto di riferimento per la maggior parte di noi, è sé stesso.

Per ognuno di noi il “mai visto” dipende da molti fattori, troppi e l’asticella si alza in base alla propria cultura visiva (quante immagini ho visto e capito) e a tutti quegli elementi che determinano la lettura di un’immagine (cultura, il luogo di nascita, la religione o l’età ecc.).

Però mi sono fatta una domanda. Torniamo indietro di qualche anno.

Che foto non avremmo mai fatto con le vecchie pellicole, quali sono le fotografie di cui avremmo fatto a meno?

Avremmo fotografato tutte ‘ste tette, culi, pizze, piedi, gatti, cani, sushi, vestiti ecc.? Credo di no. Gli scatti si pagavano, costava stamparli. Non le avremmo fatte o meglio le avremmo fatte ma non avremmo voluto pagare per guardarle. Non erano indispensabili.

Chiaramente, ci sono fotografie personali che non riguardano la comunità intera, le fotografie di famiglia, per esempio. Ognuno scatta le sue, le stampa e hanno valenza per una piccola comunità, amici e parenti. Per qualcuno dei familiari sono indispensabili, tanto quanto una fotografia che ha cambiato la storia del mondo.

Ma torniamo alle fotografie che ritengo inutili e che ho elencato sopra. La percezione che se ne ha non riguarda la cultura, il luogo di nascita, la religione o l’età, (tette, pizze e vestiti, hanno lo stesso valore, in termini fotografici, ovunque) non varieranno di molto e forse nemmeno di un po’, la vita della gente.

Siamo parte di una cultura che avvalora ogni azione, esperienza, dettaglio, ogni accadimento in ogni momento prende presunto valore e vita infinita, attraverso lo scatto fotografico. Si riceve un minuto di fama, sufficienti “mi piace”, per poi scivolare via velocemente, lasciando spazio ad altre fotografie” inutili” in cerca di attenzione. ognuno è il centro del mondo.

In questo senso le fotografie che prendiamo,  sono essenziali per noi e basta, evidentemente. Solo in questo senso, ogni fotografia è utile.

Ciao Sara

Quali domande farsi prima di cominciare un progetto fotografico.

Io sono e resto per i lavori progettuali, lì vedo il fotografo.

Rimango dell’idea che qualche singolo scatto potrebbe “saltare fuori” a chiunque. E’ sulle lunghe distanze che si vede chi, con perseveranza, coerenza formale e stilistica, è riuscito a produrre un lavoro omogeneo e interessante.

Ricordate comunque che per produrre un racconto, è sulle singole immagini che dobbiamo concentrarci ( un articolo su questo argomento qui).

Fotografando, dovrete porre attenzione alle scelte compositive e al messaggio di ogni vostra singola fotografia , che dovrà essere funzionale al discorso che state intraprendendo.

Non voglio comunque limitarmi a parlare di singoli scatti, entriamo nel vivo del tema del racconto, del discorso che il fotografo vuole fare attraverso le sue immagini.

Ecco le domande che ci si pone prima di cominciare un progetto fotografico:

  1. Che argomento voglio trattare?
  2. Quale è la mia storia che tratterò all’interno dell’argomento?
  3. Che funzione ha il mio racconto, a cosa serve?
  4. Voglio esprimere un parere o esibire un’interpretazione?
  5. Che stile voglio usare?
  6. Chi sono i miei soggetti?
  7. Come li inserisco nella storia?
  8. Chi guarderà le immagini, si sentirà coinvolto?
  9. Quale è il contesto del lavoro?
  10. Quale è il mio target?
  11. Il lavoro è vendibile? Se si, a chi?
  12. Per ultima, ma non meno importante, ho un budget sufficiente? Se no, dove cavolo trovo i soldi?

So che consegnare domande, invece di dare risposte, può non sembrare carino. Ma se iniziate con il farvi le domande giuste, stringerete il campo d’azione e vi muoverete meglio in fotografia.

Ciao Sara

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Le caratteristiche di un buon fotografo

I fotoamatori non esistono più…

Mi ricordo che quando ho iniziato a fotografare, nella scuola che ho seguito a Padova (prima del corso non sapevo nemmeno cosa fosse una macchina fotografica), l’unica cosa che ho desiderato a lungo, è stata di diventare una fotografa professionista.
Ero felice, dico davvero, il periodo migliore, in termini di felicità.
Uscivo scattavo, mi divertivo e mi sentivo una buona fotografa, così, senza termini di paragone, senza competizione o ansia da prestazione.
Ero felicemente inconsapevole. Che figata!
Poi la Fotografia ha cominciato a funzionare.
Avevo piccoli successi che mi hanno resa orgogliosa, mi hanno fatto crescere e sono cresciuta (avevo già scritto un articolo su queste sensazioni), più cresco fotograficamente e più queste sensazioni mi risultano chiare.

La creatività non è mai venuta a mancare nel tempo, ma ho iniziato a concentrarmi su quello che producevo, a capire che domande farmi per far funzionare un progetto, a come muovermi, ho imparato a non chiedere favori e molto altro.

Oggi la fotografia che produco è più felice di me…
Non fraintendetemi, ci sono io lì dentro, ma lei ne uscirà meglio, infine, me lo sento.
Ho colleghi simpatici, accoglienti, intelligenti e molto di più e questo mi rende felice. Ho anche colleghi invidiosi, arrivisti, pessimo.

Va bene, tutto nella norma, anzi no, molto meglio, io faccio quello che vorrei fare, ma mi sono fregata da sola.

Più cresce la quantità di gente che mi segue (a proposito, grazie a tutti!) e più crescono invidie, cattiverie, strani comportamenti, tentativi di boicottaggio velati o espliciti, manco fossimo in gara per qualcosa.
Non mi sento in gara, io cammino pian pianino. Son qui, insomma, che cavolo d’altro posso fare se non fotografare e camminare?

Poi penso alla quantità di gente che produce immagini e un brivido mi scende sulla schiena.

Penso ai colleghi incazzati, delusi, frustrati.

Tanti.

Il problema è che la figura del fotoamatore non esiste più.

Il fotoamatore è chi è appassionato di fotografia, chi si dedica alla fotografia come dilettante. Il dilettante, invece, è colui che svolge una attività per diletto e non per professione o per lucro.

Definizioni del dizionario Garzanti

Il fotoamatore è un fotografo amatoriale o un fotografo professionista sconosciuto che produce fotografie che raffigurano la vita e le cose di tutti i giorni come soggetti. Esempi di foto amatoriali sono le foto di viaggio e le foto di vacanza, le foto di famiglia, le foto di amici.

La stragrande maggioranza delle fotografie amatoriali appartiene alla fotografia documentaria.

La fotografia amatoriale è uno degli hobby più popolari.

Dunque ditemi, esiste ancora questa figura che ama la fotografia senza competere, senza lucrare, interessata alla semplice riproduzione delle “cose del mondo” che lo circondano?

Nessuno vuole rimanere sconosciuto? Come nella definizione che ho scritto sopra?

Forse mi sbaglio io, non lo dico con rabbia o frustrazione, ma i luoghi fisici e non, che frequento, mi sembrano scannatoi.

Dal lato dei fotografi, che vivono in un modo o nell’altro di fotografia, tanti parlano male dei colleghi, sminuiscono, aggrediscono. In qualche caso si formano delle cricche in cui girano sempre gli stessi, non si capisce nemmeno più chi appoggia chi e perché.

Dal lato dei foto(amatori) una massa informe di gente che produce fotografie senza troppe consapevolezze (che magari manco sono interessati ad averne) ci avvolge e avanza alla ricerca di un po’ di sole, un po’ di soldi, attenzione.

Spesso sono davvero buoni fotografi e si distinguono, vincono premi e hanno riconoscimenti, quindi non sono più fotoamatori, non sono sconosciuti e non fotografano per diletto ma perché il loro lavoro venga riconosciuto come buono.

Quanti fotoamatori sono rimasti?

Dodici nel mondo.

E la Fotografia, lentamente si trasforma, magari in positivo, non so.

Io continuo a camminare…

fotor_14Sara Munari delta del Volga

Io sono e resto per i lavori progettuali, lì vedo il fotografo.

Rimango dell’idea che qualche singolo scatto potrebbe “saltare fuori” a chiunque. E’ sulle lunghe distanze che si vede chi, con perseveranza, coerenza formale e stilistica, è riuscito a produrre un lavoro omogeneo e interessante.

Ricordate comunque che per produrre un racconto, è sulle singole immagini che dobbiamo concentrarci ( un articolo su questo argomento qui).

Fotografando, dovrete porre attenzione alle scelte compositive e al messaggio di ogni vostra singola fotografia , che dovrà essere funzionale al discorso che state intraprendendo.

Non voglio comunque limitarmi a parlare di singoli scatti, entriamo nel vivo del tema del racconto, del discorso che il fotografo vuole fare attraverso le sue immagini.

Ecco le domande che ci si pone prima di cominciare un progetto fotografico:

  1. Che argomento voglio trattare?
  2. Quale è la mia storia che tratterò all’interno dell’argomento?
  3. Che funzione ha il mio racconto, a cosa serve?
  4. Voglio esprimere un parere o esibire un’interpretazione?
  5. Che stile voglio usare?
  6. Chi sono i miei soggetti?
  7. Come li inserisco nella storia?
  8. Chi guarderà le immagini, si sentirà coinvolto?
  9. Quale è il contesto del lavoro?
  10. Quale è il mio target?
  11. Il lavoro è vendibile? Se si, a chi?
  12. Per ultima, ma non meno importante, ho un budget sufficiente? Se no, dove cavolo trovo i soldi?

So che consegnare domande, invece di dare risposte, può non sembrare carino. Ma se iniziate con il farvi le domande giuste, stringerete il campo d’azione e vi muoverete meglio in fotografia.

Ciao Sara

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Il fotografo più sopravvalutato della storia, mah…

Buongiorno,

qualche tempo fa è apparso un sondaggio su Facebook, indetto dalla seguitissima rivista on line “Maledetti Fotografi” (rivista dedicata alle interviste di grandi autori nella Fotografia) che prevedeva di citare quale fosse, a nostro avviso, il fotografo più sopravvalutato di tutti i tempi. La domanda non mi ha stupito, può essere una curiosità lecita da condividere.

Credo, dal mio punto di vista che non esista risposta. Non riesco. Non esistono fotografi sopravvalutati, esistono fotografi che conosco, che non conosco e che potrò giudicare solo dopo aver finito il mio cammino in Fotografia.

Sono rimasta colpita dalle risposte della gente, da fotografi amatori e da docenti di Fotografia (ancor più stupefacente).

Gli autori con maggior numero di voti erano:

Steve McCurry

Oliviero Toscani

Settimio Benedusi

Gianni Berengo Gardin

Seguiti da Andreas Gursky, Terry Richardson, Guido Guidi ecc.

Questi alcuni commenti estrapolati da Facebook che mi trovano favorevole:

Stefano Di Maria: Chissà quanti di voi abbiano mai acquistato un solo libro di fotografia (non di tecnica fotografica) o un giornale di approfondimento fotografico (non di schede tecniche e guide al photoshop).
Molti degli autori “sopravvalutati” che leggo nei commenti hanno avuto sicuramente qualcosa da dire ed il loro lavoro va inquadrato nel periodo storico in cui si sono espressi. Hanno inventato modi di interpretare le immagini che oggi, grazie alle quintalate di immagini che trovate sul web, sono diventati i vostri “metodi per fare foto più belle”. Vedere commenti contro Tizio o Caio da gente che sui propri profili pubblica le “fotine” scattate davanti allo specchio con una reflex in mano o “foto belle” della rosa nel giardino mi fa venire qualche domanda: ma non é che il mercato dei megapixel ci sta dando un po’ alla testa?
Suggerisco: comprate libri e foto stampate e cercate di imparare…senza sopravvalutare voi stessi!

Romuald Desandré Bello sto sondaggio! Chi è il fotografo più sopravvalutato? Quello che al mattino compra la fotocamera al supermercato e che al pomeriggio apre la pagina nome.cognome.photographer, passando intere giornate a rispondere a post di critica alle sue “fotografie” volutamente sbagliate perché a lui piacciono così e gli altri come si permettono di criticarlo, solo perché hanno sprecato tempo sui libri invece di fare come lui autodidatta ritrattista a miaccuggina!

Paolo Ranzani: Allora…. 🙂 I commenti più sensati, secondo me, sono quelli di Sara Munari e di Carlo Caccia e forse un paio di altri, la risposta è impossibile perchè la domanda non è precisa, ma ci sta, capisco la voglia di fare onde e lo trovo anche divertente se si ha la consapevolezza di far parte di un gioco collettivo, così dai, …giusto per dire una percezione istintiva e soggettiva. Così mi presto anche io al “gioco” e do la mia risposta. Sarebbe facile dire Richardson, solo che in effetti quel tipo ha lanciato un mood che poi è diventata una cifra stilistica mica da poco, imitata e stradiffusa tanto da diventare “di moda”, quindi diventa difficile criticare ciò che ha fatto, il fotografo “buono/bravo” non è uno che produce “belle foto”, ma uno che riesce a lasciare tracce, a guadagnare con ciò che fa, a spostare l’estetica e Dio Santo se quel tipo li c’è riuscito! Che poi a me non piaccia è altro paio di maniche ma che gli vuoi dire? Quindi sposto la mia analisi sugli italiani,.. e decido di fare una provocazione che non so quanti coglieranno, non per mancanze loro ma perchè magari mi esprimerò non perfettamente… allora dico che il fotografo più sopravvalutato è il mio amico Settimio Benedusi …. 😀 solo che qui si entra in un corto circuito pazzesco, per prima cosa perchè lui è felice di essere nominato quindi neanche il gusto di dargli fastidio, seconda cosa perchè è proprio quello per cui si impegna a fare da anni,… non tanto di essere sopravvalutato, ma proprio di convincerci che lo sia. Stando così le cose vince lui. Riesce a fare ciò che vuole e come vuole, sulla fotografia e non solo. Se ci fosse una votazione reale lui voterebbe per se stesso capovolgendo il senso di tutto, come spesso fa. Forse per fregarlo dovremmo sottovalutarlo. L’avevo detto che era un corto circuito! 😀 Niente, non so rispondere a questa domanda 🙂

Per quanto riguarda me:

Settimio non saprei giudicare, se non le cose di cui abbiamo parlato e lui già conosce il mio pensiero, non conosco lavori suoi, oltre a quelli di cui ho parlato con lui personalmente.

Toscani mi ha insegnato tanto, non fotograficamente. Ma è intelligente ed è un comunicatore coi controcazzi. Mi ha insegnato che le fotografie possono diventare icone. Ho imparato.

Gianni Berengo Gardin, da lui ho imparato eleganza, rispetto e capacità di muoversi per strada con leggerezza e attenzione. Ho imparato.

Andreas Gursky mi ha insegnato l’approccio a contesti giganteschi, a sapere come dare un senso d’immensità agli spazi. Ho imparato.

A me non piace Steve McCurry come fotografo, per niente. Ho imparato da lui quando il colore funziona, ho imparato le proporzioni e la composizione delle fotografie. Ho imparato la capacità di trasformarsi e la capacità di sapersi vendere. Ho imparato.

Se conosciamo un fotografo, perché a livello italiano o mondiale (con le dovute proporzioni, non potendo confrontare, per esempio, Benedusi, con McCurry), ha ottenuto riconoscimenti, premi, sta lavorando e ha prodotto immagini che hanno comunque lasciato un segno nell’immaginario comune, come posso definirlo sopravvalutato?

Per chi poi?

Per il pubblico medio?

Chi ha permesso che McCurry, diventasse McCurry e Benedusi, Benedusi?

Prima di tutto loro, sono stati fotografi e sono stati bravi fotografi, nel loro settore. Sono piaciuti e POI si son saputi vendere bene! È un errore?

Non sembra.

Ormai molti fotografi che conosco, pur essendo fotografi mediocri, in qualche caso addirittura scarsi,  sono spinti e pubblicizzati come ottimi.

Funzionano, tengono corsi e fanno mostre.

Nessuno dice niente, neanche chi li usa per sponsorizzare i propri prodotti e cercare clienti, dato che  proprio da loro vengono scelti. Quindi?

Chi trasforma Pincopallo in Benedusi, a parte Benedusi?

Il pubblico medio, e la capacità di Settimio di scegliere come sponsorizzarsi. Quindi, chapeau!

Volete davvero giudicare?

State studiando gli autori, i movimenti e la storia della fotografia?

State studiando le motivazioni per cui si scatta e come questo interagisce sul pubblico?

Solo in questi casi potreste prendere parola.

Altrimenti imparate a fotografare e a sapervi vendere, almeno quanto han fatto loro.

 

Scattate buone fotografie, oppure no?

Ciao! Una delle cose che mi viene chiesta più spesso è:
Come faccio a capire se una mia foto è buona?
Bene, ci sono molti elementi che la possono fare  considerare tale. Alcuni riguardano l’aspetto tecnico, altri invece il contenuto ed il messaggio dell’immagine.
Vi scrivo cosa guardo io, spero possa essere utile.

1) Si percepisce bene quale sia il soggetto?
Guardate con attenzione, cosa verrebbe notato, a primo impatto, da chi osserva la vostra immagine?

Ricordate che dovreste far cadere l’attenzione sulle parti della foto che desiderate vengano lette dal fruitore finale, fate in modo di accompagnare lo sguardo attraverso i punti di interesse.

2) Ci sono elementi che distraggono?
Ombre, elementi sullo sfondo, colori vivaci che distolgono attenzione dal soggetto. Prestate attenzione, non basta beccare il soggetto, soprattutto per strada (ma in qualsiasi genere fotografico), dovete prestare attenzione alla composizione e alla relazione tra gli elementi che desiderate includere.
Le linee create dalle strutture, da ombre, da elementi umani o dal vostro soggetto, fanno in modo che la lettura della foto avvenga in modo corretto?

3) L’ esposizione è quella che desideravo? Non esistono foto corrette come esposizione o sbagliate… chiedetevi, dato che avete scelto di sovraesporre o sottoesporre o esporre sul suggerimento della macchina fotografica, se questo è funzionale all’immagine e al messaggio che volete mandare.

4) Ho usato la focale giusta?
La prospettiva della foto è quella che desideravo? Con quale focale avrei ottenuto una resa migliore?
Ricordate che più è lunga la focale, più si schiacciano i piani (otterrete inoltre, a seconda della quantità di sfocato, uno stacco maggiore dal fondo e meno elementi a cui dare peso), più la focale è corta, maggiore sarà il campo ripreso e la profondità di campo.

Fotografia di Anna Wu
anna-wu-photography

5) Cosa succede sullo sfondo?
Come ho accennato sopra, anche se in qualche caso non lo considerate, lo sfondo è da comporre quanto il soggetto principale. Spesso le foto migliori sono quelle in cui i due elementi comunicano tra loro.
Il contesto è fondamentale per strada, per esempio, imparate a considerarlo quanto gli elementi che metterete in primo piano.

6) La foto è composta bene?
Premetto che ci sono foto composte non seguendo nessuna regola precisa (per intenderci regola dei terzi) che funzionano benissimo. Spesso, se il contenuto della fotografia è molto potente, il fattore compositivo potrebbe passare in secondo piano.

Se state iniziando o è poco che fotografate, seguite tutte le regole possibili per poi infrangerle, piano piano, nel tempo.

7) Che genere di postproduzione richiede la foto?
Beh! Se state costruendo un progetto da tempo, avreste già dovuto scegliere quale tipo di postproduzione utilizzare per il vostro lavoro. Se invece è la prima foto di un progetto fotografico o una foto singola, ricordate sempre che un’immagine raramente viene migliorata dal fotoritocco.
Uno dei miei motti preferiti è:
Una foto di merda ritoccata bene, rimane una foto di merda! Sara Munari In sostanza con il fotoritocco potete migliorare alcune cose, ma non esagerate mai.
Se la foto necessita di fotoritocco per carenze tecniche, migliorare la tecnica, non la postproduzione!

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8) Siamo sicuri di aver mandato il giusto messaggio?

Quando scattiamo una fotografia, spesso ci dimentichiamo che, in un modo o nell’altro, questa immagine porta con sé un messaggio. Certamente le possibili interpretazioni di fronte ad una foto sono molteplici, ma da fotografi, dobbiamo metterci nelle condizioni di far arrivare un contenuto preciso con il nostro lavoro. Se l’immagine fa parte di un progetto, è probabile che il messaggio si percepisca dal lavoro nel suo insieme.

Se è una fotografia singola che stiamo proponendo, spesso si è certi che nella foto sia portatrice di un messaggio, di cui manco si vede l’ombra.

Dico sempre ai ragazzi “nella foto, c’è quello che c’è nella foto e basta”. Chi guarda la foto non sa in che condizioni eravate voi, cosa avete provato, non conosce i contesti e le situazioni, quindi imparate a non dare niente per scontato.

9) Siamo sicuri che la foto non sia l’ennesima riproduzione di altre foto simili?

Evitate di fare ennesime produzioni di cose già viste e riviste. So che non è facile, ma dovete studiare, capire cosa è già stato fatto e cercare di portare un tassello in più, alla totalità delle immagini prodotte, che sia diverso per l’interpretazione del soggetto che potreste essere in grado di fare.

Ricordiamoci sempre che se non abbiamo un cazzo da dire, possiamo anche stare zitti e non fotografare.

 

Siamo un paese di impreparati competenti.

Stravolti ed esposti ad informazioni di ogni genere, facilitati da internet  e dalla tecnologia in generale, ci sentiamo tutti uguali da dietro i pc.

Autocompiacimento e egotismo: tutti sanno tutto.

Quattro cazzate sulla fotografia nel web e nel circolo di paese, quattro foto con più di 30 like e siamo convinti di poter discutere a pari di tutti.

Gridiamo su facebook le nostre posizioni e gridiamo allo stesso modo in faccia ad un critico di settore o un panettiere.

fotor_14

Spesso il web non aiuta in questo senso. Si risponde alle discussioni senza effettivamente sapere con chi ci si interfaccia e forse manco ci interessa, sappiamo tutto.

La considerazione che si da al panettiere e al critico, è la stessa per il medesimo motivo che ho spiegato sopra. Questo porta ad un’esponenziale crescita di convinzioni sbagliate e l’ignoranza settoriale dilaga.

Succede anche in fotografia.

Il riconoscimento e la valorizzazione della competenza, nulli. Tutti uguali, l’appiattimento della considerazione.

Eppure la diffusione di notizie avrebbe dovuto portare ad un pubblico sapiente.

Invece no, siamo non informati e sempre incazzati, tutte le opinioni hanno pari valore e si è d’accordo solo con chi la pensa uguale a noi (a prescindere da chi sia), voglio conferme su quello che credo, voglio la conferma di quanto “sono bravo”, non confronti che mettano in discussione la mia tesi, le mie foto.

Tutte le discussioni diventano zuffe, eppure dal vivo, nei miei numerosi incontri, non mi capita praticamente mai di avere particolari scontri. Sul web, il caos.

Onanismo virtuale.

Etica nel fotogiornalismo

Una forte valenza etica deve stare alla base di qualsiasi lavoro di un fotogiornalista.

Il recente scandalo che coinvolge il fotografo Souvid Datta, mette in luce i danni che possono essere fatti quando i fotogiornalisti non rispettano l’etica professionale.

Datta ha ammesso di aver falsificato questa foto e altre. Potete leggere l’intervista con le ammissioni qui. Sembra che il suo sito, il profilo Facebook e Twitter siano stati chiusi, o comunque penetrabili esclusivamente con una password.

Negli ultimi anni Datta aveva vinto premi prestigiosissimi quali

PDN 30 nelgiornalistica.

5.Sforzarsi di essere discreti e umili nel trattare con i soggetti.

6.Rispettare l’integrità del momento fotografico.

7.sforzarsi di mantenere lo spirito e standard elevati, espressi in questo codice. Nell’affrontare situazioni in cui il comportamento corretto non è chiaro, chiedere il parere di coloro che hanno più esperienza nella professione. Fotogiornalisti dovrebbero studiare continuamente la propria professione e l’etica che la guida.

Spero che chi si appresta a questa professione, lo legga o lo abbia già letto…credo serva e sia fondamentale.

Ecco il link alle regole italiane, più restrittive, ma quanto  seguite? http://www.odg.it/leggi_norme 2017

Pulitzer Centre Grant nel 2016

Getty Grant for Editorial Photography nel 2015

PDN Annual nel 2015

Magnum Photos 30 Under 30 Award nel 2015.

Come se non bastasse è anche uno dei concorrenti di “Masters of Photography” su Sky Arte, vedremo se ha vinto anche questo.

Anche Daniele Volpe accusa Datta di aver spacciato alcune fotografie postate su facebook, come sue.

Di recente è scoppiato un caso simile che ha compromesso in parte, anche la credibilità di Steve McCurry. Ne avevo parlato quiqui

Insomma un gran casino…

Sono andata a cercarmi quindi, quale dovesse essere il codice di comportamento di un fotogiornalista serio, ho trovato l’associazione NPPA, che promuove il fotogiornalismo nel tentativo di mantenere livelli adeguati di professionalità.

Altra priorità è difendere l’interesse della gente di ricevere giuste informazioni su tutti gli eventi pubblici, di cui i fotogiornalisti sono testimoni.

L’NPPA afferma che i fotogiornalisti hanno la responsabilità di documentare la società e preservare la sua storia attraverso le proprie immagini.

Allego qui il codice etico tradotto.

Questo codice etico è destinato a promuovere con la massima qualità, tutte le forme di fotogiornalismo e rafforzare la fiducia del pubblico nella professione. Inoltre, questo codice serve come strumento educativo per i fotogiornalisti e coloro che apprezzano fotogiornalismo.

CODICE ETICO

I Fotogiornalisti e coloro che gestiscono la produzione di notizie sono responsabili e devono lavorare secondo le seguenti regole durante lo svolgimento della professione.

1.Essere preciso e completo nella rappresentazione dei soggetti.

2.Resistere dall’essere manovrati dalle opportunità fotografiche messe in scena.

3.Evitare gli stereotipi su individui e gruppi. Riconoscere e evitare di rivelare i propri pregiudizi nelle immagini.

4.Trattare tutti i soggetti con rispetto e dignità. Dare particolare attenzione ai soggetti più vulnerabili e compassione alle vittime di reati o una tragedie. “Entrare” in momenti privati ​​e di dolore solo quando il pubblico necessita effettivamente di quella testimonianza.

5.Non tentare di alterare o influenzare gli eventi intenzionalmente.

6.Editando le immagini, si devono mantenere l’integrità del contenuto e del contesto. Non devono manipolare le immagini, aggiungere o modificare il suono in alcun modo se questo può confondere il pubblico.

7.Non pagare fonti e soggetti o ricompensarli materialmente per le informazioni. 8. Non accettare doni, favori o compensi da coloro che potrebbero cercare di influenzarci. 9.Non sabotare intenzionalmente gli sforzi di altri giornalisti.

Idealmente un fotoreporter dovrebbe:

1.Sforzarsi di divulgare ciò che è di interesse pubblico. Difendere i diritti di accesso a tutti i giornalisti.

2.Pensare proattivamente, come uno studente di psicologia, sociologia, politica e arte per sviluppare una visione e presentazione unica. Lavorare con avidità alla ricerca di notizie e coi mezzi di comunicazione visiva contemporanei.

3.Sforzarsi di avere accesso illimitato a tutti i soggetti, cercando alternative alle opportunità poco profonde o affrettate, cercare diversi punti di vista e lavorare per esporre anche i punti impopolari o non presi molto in considerazione.

4.Evitare di essere coinvolti politicamente, civilmente, potreste compromettere la vostra indipendenza

Le frasi da non dire ad un fotografo

È facile essere fotografi, vero?

Cosa c’è di difficile nello scattare una foto?

Quante volte l’ho sentito dire.

A me lo ha detto perfino mio padre.

Mi son fatta una bella lista delle cazzate che sento più spesso.

1) Per il matrimonio, le foto le fa mio cugino, oppure compriamo delle usa e getta e teniamo le foto prodotte con quelle, tanto cambia poco. Come mangiare una merendina dietetica (quelle in compensato) e dire che è uguale alla crostata al cioccolato con panna.

2) Bella foto, l’hai costruita in Photoshop!  Il mio motto è sempre stato: una foto di merda scattata, rimane una foto di merda ritoccata!

3) Che belle foto, devi avere una super macchina fotografica. Si, certo…di sicuro. Le foto le fa da sola difatti… manco so come si chiama la mia macchina e mi confondo regolarmente!

4 )Conosco uno che mi fa le foto ad un prezzo più basso! Sicuro lo conosci e magari è pure bravo, ma forse fa foto di merda! Comunque è meglio che tu vada da lui. Risparmiare è importante! Quando vi dicono questa frase sono, per esperienza, pianta grane. Creeranno altri problemi.

5) Mi raccomando, mi faccia bella! E vabbè, ci si prova.. ma se assomigli ad una pantegana, posso fare del mio meglio, ma al massimo assomiglierai a un topo! Alternativa è: Mi raccomando, mi faccia magra! 180kg di donna.

6) Questa foto sapevo farla anche io! Questo mi è successo personalmente. Commento ricevuto da un insospettabile conoscitore della materia. Rispondo: quando qualcuno dice così, significa che lo sa rifare, non fare. Altrimenti lo avrebbe già fatto. (Bruno Munari)

7) Bella foto, sembra un quadro! E qui mi parte proprio l’embolo.

8) Lo sfondo è mosso, lo puoi sistemare (lo sfondo è sfuocato e non si sistema)

9) Vieni a fare due scatti e io in cambio ti faccio pubblicità ( i due scatti sono 8 ore di lavoro e anche se fossero due scatti, si pagano cocco, altrimenti vieni a casa mia a cucinare o stirare due cose la sera, io ti faccio pubblicità)

10) Chissenefrega della reflex, col il cellulare le faccio meglio! Si, SICURO, perché non sai usare la reflex.

Come trovo idee per un progetto?

Buongiorno!

Una domanda che mi fanno spesso le persone è: come faccio a trovare un’idea interessante per un progetto? Cosa mi invento? Cosa posso raccontare? Perché non mi viene in mente niente?

Ecco, perfetto. Mi dispiace, non ho soluzioni per far venire idee a voi, spesso non ho soluzioni certe per far venire idee a me, figuriamoci … (e magari questo riguardasse solo la Fotografia).

Anche la domanda che mi fate così spesso è, a dir poco, strana.

La risposta più logica sarebbe: scusa se non hai idee e niente ti crea la curiosità sufficiente per metterti a lavorare su un argomento, probabilmente è perché non hai niente da dire su quell’argomento…e se nessun altro argomento ti viene in mente, probabilmente è perché non hai niente da dire (in questo momento o per sempre) e basta. Quindi che cavolo scatti di qua e di là come un pazzo?

Dovreste leggere e guardare con attenzione cosa avviene intorno a voi.

Anche se in qualche caso, l’idea del progetto può farsi chiara con lo scorrere del lavoro iniziato, alla base di un buon progetto, c’è comunque e sempre tanto studio e tanta preparazione. Quindi, prima cosa, vi preparate davvero prima di iniziare un progetto? Studiate chi ha affrontato lo stesso argomento prima di voi? Andate a ricercare notizie sui luoghi e sulle persone che lo abitano?  Leggete testi  o articoli di giornale?

Molti di voi non fanno nulla di questo e aspettano l’illuminazione divina. Poi tornano a casa e qualcuno sente di aver prodotto il progetto del secolo, senza sapere che non aggiunge niente dato che lo stesso lavoro, con lo stesso intento, con le stesse modalità, è stato fatto nel 1912 e meglio (rimane comunque un buon allenamento, se considerato tale). Altri, più consapevoli, rimangono insoddisfatti e tristi e scrivono a me: ma come faccio a farmi venire idee?

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Dal progetto “Be the be body be boom” Sara Munari

La cosa più assurda è che anche se dovessi suggerire delle idee precise, sarebbe in grado una persona alla quale quell’idea non è mai venuta, di portare avanti il lavoro con curiosità, costanza e coerenza, dato che l’idea non è sua?

Boh. Pensieri del mattino. Mi bevo un caffè, ciao

Sara

 

Lasciare scorrere tempo per giudicare una foto.

Una delle caratteristiche che ritengo più interessanti della fotografia analogica rispetto al digitale è lo scorrere lento del tempo.

Non avevamo l’opportunità di controllare subito il risultato delle fotografie prodotte e questo può aiutare molto.

Allora avevo la possibilità di staccarmi emotivamente dai miei scatti, questo mi permetteva di guardare, in fase di editing, il mio lavoro, con maggiore obbiettività.

Con il digitale, una “nuova caratteristica della fotografia” è diventata la velocità.

Immediatamente, la fase successiva allo scatto, è diventata la fase di controllo sullo schermo.

Tra l’altro, questa parte, che ormai è intrinseca allo scatto in sé, mi scollega dalla realtà per qualche secondo. Ho sempre pensato che potesse essere motivo della perdita di altri scatti, che probabilmente, sarebbero stati altrettanto interessanti, avvenuti proprio in quel lasso di tempo.

Quante volte ho pensato, questa foto è davvero interessante, poi ho scoperto dopo qualche settimana, che non solo non lo era, ma faceva proprio schifo.

Non so se per tutti i fotografi

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

il procedimento sia lo stesso, probabilmente per qualcuno, lo scorrere del tempo diventa motivo di apprezzamento ulteriore sul proprio lavoro.

Io non riesco.

Quando ho tempo di rivedere i miei progetti scorsi, mi ritrovo a pensare che mai e poi mai, oggi, rifarei le stesse foto o affronterei la “storia” nello stesso modo.

La verità è che non posso consigliarvi di lasciare scorrere del tempo, prima di valutare un progetto.

Quello che posso dire è che in molte occasioni questo mi è servito per rendermi più “critica” e spero più oggettiva, sulle fotografie che avevo ripreso.

Forse potrebbe servire anche a voi.

Siete buoni editor o buoni fotografi?

Buongiorno, oggi proverò a pensare al contrario, oggi remo contro il perfezionismo.

Come?

Bene, oggi vi suggerirò di scattare foto di merda, per un lungo periodo. Così, quello che vi gira, uscite e scattate.

Del resto molti dei più grandi fotografi dichiarano di riuscire a tirar fuori dai propri lavori, una foto buona al mese, cosa possiamo fare noi, se non scattare 2000000 di fotografie, per ottenerne una buona?

Quindi, non abbiate paura di scattare foto schifose, continuate a scattare.

Probabilmente, avendo meno aspettative, se non avete un progetto a cui pensare, avrete la possibilità di tirare fuori qualche scatto buono.

Poi arrivate a casa e cercate di osservare le vostre immagini, tantissime, nelle cartelline del computer, distinte per data. Probabilmente passerete più tempo a riguardare le foto fatte che tempo a farle, d’ora in poi. Ma del resto, da quando c’è la fotografia digitale, anche questo può capitare.

Quindi sedetevi, salvate le fotografie, aprite le cartelle. E adesso siate brutali. Eliminate tutto, tutto quello che vi sembri pessimo e anche solo appena buono, tenete solo gli scatti migliori.

Forse non sarete fotografi, ma imparerete sicuramente ad essere buoni editor di immagini e anche questo può funzionare, …forse.

Vi dico questo perché credo che anche dalle foto raccolte per strada, senza particolari ragionamenti, si possa imparare.

Molti progetti di autori conosciuti, sono nati da errori che loro stessi hanno ammesso di aver fatto. Un errore, in sostanza, può diventare un metodo.

Quello che spero, suggerendovi questa cosa, è che in fase di editing, sappiate poi riconoscere, nell’errore in fase di scatto, la potenzialità di una BUONA fotografia.

Molte delle persone che conosco mi dicono:  non capisco quali siano le foto migliori che ho scattato, non so se sia meglio una o l’altra.

E voi riuscireste? Riuscireste tra 10000 fotografie, a tirare fuori qualcosa che, anche lontanamente, possa diventare uno stile, il vostro stile? A me pare difficile quanto fotografare per strada, io continuerò con il metodo: Sara non scattare se non ha un caz da dire.

Magari per voi è diverso, che dite? Io non posso escludere che in qualche caso possa funzionare.

Ciao

Sara

Scattare in P, perchè no?

Sei per strada e ti incasini, smadonni coi tempi e coi diaframmi?

Perdi le foto, non riesci a scattare. Il “manuale” ti manda in bestia, lo sai usare, si, ma non in velocità?

Non so perché, ma sembra quasi non si possa dire: “io scatto in P”.

Gli sguardi si incupiscono e i mormorii si accendono. Il pubblico si congela un pochino con le bocche piegate leggermente di lato.

Io scatto in P (non sempre chiaramente) e scatto pure con una macchina che farebbe ridere i più. La mia macchina è un rottame ormai, ma funziona (per “funziona” intendo che quado premo il pulsante lei produce la foto che avevo nella mente).

Questa modalità mi permette di non avere pensieri, mi diverto e sono concentrata solo sulla scena.

Eppure, se bloccate le impostazioni per non fare grossi pasticci (io uso il fuoco al centro e gli iso a 800 al max ed il tempo mai al di sotto del 200 di secondo), spesso scattare in P è la soluzione più semplice e veloce

Non è funzionale a tutti i tipi di fotografia, certo, ma per la street photography può essere una buona tattica.

Del resto non sono sicura che molti altri fotografi, ben più bravi e affermati di me, non lo facciano. Che ne sappiamo delle impostazioni della macchina dei grandi autori?

 

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Non so, ma qualcuno, probabilmente, mi darebbe ragione.

Inoltre, non potrete più dire che eravate concentrati sul mezzo, se la foto non c’è, non c’è perche l’avete bellamente mancata.

Con la possibilità che abbiamo, di mettere paletti sia agli ISO che ai tempi più bassi…tutto il resto è solo legato alla vostra velocità e alla vostra capacità di comporre buone immagini.

Io vi consiglio di provare.

Ciao

Sara

Le fotografie misteriose, funzionano?

Pensare che una fotografia sortisca lo stesso effetto e la stessa interpretazione da parte di tutti, è impossibile. Spiegare in continuazione i propri scatti è, a mio avviso un errore (che tante volte ho fatto).

Non mi è capitato finora, ma spesso noto che molti danno titoli allucinanti alle proprie immagini nella speranza che questi guidino i fruitori delle immagini in una direzione interpretativa piuttosto che un’altra.

Certo questo discorso vale solo se non siete fotogiornalisti o avete la necessità di una documentazione che sia il più coerente possibile con quello che ritenete sia eticamente giusto dire, di un determinato evento. In questi casi la didascalia è fondamentale. Così come in tutti i generi in cui la documentazione è il fulcro del vostro lavoro. Altre volte, il lavoro viene spiegato nelle presentazioni dei progetti, di solito di tipo concettuale. Senza queste spiegazioni, la comprensione sarebbe complicata, se non impossibile.

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Forse per la prima volta, parlo di fotografie singole.

Per l’ultimo mio lavoro “Be the bee body be Boom”, qualcuno mi ha chiesto, ma cosa vogliono dire queste fotografie, belle si, ma non raccontano l’Est Europa (luogo dove sono state scattate), non raccontano un fatto o un personaggio.

Tutto vero, raccontano semplicemente di me. So che può non essere sufficiente, lo so bene, ma la realtà è questa. Sono una fotografa “buttata” nel mondo e cerco di raccontarne la mia visione. Non lavoro per giornali o gallerie in particolare, non vendo nulla.

Desidero che le mie immagini siano suscettibili ad interpretazioni differenti, desidero che chi le guarda venga coinvolto a livelli e con modalità differenti.

Questo, lo potete fare anche voi.

Non dite tutto con la vostra fotografia, aggiungete mistero e ambiguità.

Dico sempre che di fronte ad un’immagine, chi la guarda dovrebbe farsi almeno una domanda, basta una domanda e il fotografo ha raggiunto il suo scopo.

Tentare di soddisfare sempre la curiosità della gente diventa, a volte, una necessità dalla quale non ci si può sottrarre. Credo che questo sia, in parte, legato all’insicurezza di chi le ha prodotte: non so se capirai quindi ti spiego tutto, in questo modo saprai che sono un buon fotografo.

So con certezza però, che le foto più enigmatiche (oltre a quelle tragiche e/o iconiche), sono quelle che vengono ricordate maggiormente.

Se riuscite a creare immagini per cui la gente si faccia domande invece che trovare la soluzione all’interno dello scatto stesso, avete, a mio parere una capacità non usuale, di usare la fotografia.

Spetta a chi guarda, attraverso la sua esperienza, sensibilità e intelligenza, dare un senso a ciò che vede e questo mi sembra magico.

Una sola fotografia, mille interpretazioni. Che “potere” abbiamo…

Ciao Sara

Fotoamatrice per sempre. Voi cosa cercate nelle fotografie che fate?

Quando mi sono avvicinata alla fotografia, una quindicina di anni fa, non sapevo minimamente quale sarebbe stata la mia strada.

Mi sono iscritta ad un corso biennale di fotografia, a Padova, perché i posti al corso di restauro, a Venezia, erano finiti. Forse l’esclusione non è stato il fattore più logico con cui scegliere, ma oggi posso dire di aver scelto bene. Mi sono divertita finora, quindi credo sia stata la scelta giusta.

Sono ancora sulla strada, cammino. Sto cercando. Certo, nel tempo ho acquistato consapevolezza, so cosa vorrei da ogni singolo scatto che va a comporre un mio portfolio, una mia storia, ma non so con certezza dove mi porterà questa strada.

Io cerco di mostrarvi il mondo per come lo vedo, qualche volta ci riesco, altre volte no.

Qualcuno mi chiede: ma cosa vogliono dire queste o quelle foto? Perché l’orso, il cane la bambina spaventosa?

Io non voglio spiegare quello che ho visto e non riesco a dire bene quello che sento. Una volta scelto il soggetto, perché la mia pancia, oltre che la mia testa, lo suggerisce, l’unico limite che mi pongo è che la foto non abbia una connotazione temporale. Cerco questo. Mi piacerebbe scattare fotografie che abbiano la stessa valenza con lo scorrere del tempo, tutto qui.

Quello che voglio dalla fotografia è che mi permetta di vedere con occhi più attenti le faccende del mondo, mi permetta di mostrarle al mondo e mi faccia divertire.

Ho già usato due volte la parola “divertire”, per questo ci sarà qualcuno pronto a dire: superficiale questa Sara…ecc. Ma io mi devo divertire per trovare le mie storie.

Sicuramente è poco, rispetto a molti colleghi fotogiornalisti o legati alla fotografia commerciale che hanno ben più alte responsabilità.

Io credo che rimarrò fotoamatrice per sempre. Esattamente, foto-amatrice. Sono una persona che ama la forza delle immagini, in sostanza. Amo scattare fotografie nelle quali sembra tutto sospeso, l’attimo in cui non avviene nulla di concreto, il preludio alle tempeste, il silenzio dopo uno scontro.

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“Be the bee body be boom” Sara Munari

Mi piace che tra molti anni mio nipote, o chissà chi, vedendo un libro di fotografie mie o una singola foto possa dire:

-Cavoli, emozionante!

Oppure:

-Cavoli, che cagata!

Non so, mi rende felice il farmi potenzialmente dedicare un pensiero, nonostante la mia definitiva assenza. Egocentrica assenza.

Ecco cosa vorrei dalla fotografia.

Democratica la “fotografia”? Certo che no.

Buongiorno,

scrivo questo articolo perchè stuzzicata da una considerazione di Michele Smargiassi su questo tema.

L’articolo di Smargiassi, che potete leggere qui a questo link, si interroga sulla democratizzazione della Fotografia.

Spesso si dice “la fotografia è democratica”. Ragionando un po’ su questa affermazione, credo di non essere d’accordo.

Nel 1888 George Eastman fonda la Kodak e inizia a pubblicizzare la prima macchina fotografica PER TUTTI, la Box Kodak. Lo slogan è  “You press the button, we do the rest” (“Voi schiacciate il bottone, noi facciamo il resto”) questo significa che il grande pubblico, chiunque, da quel momento può produrre immagini attraverso la Kodak. Avviene una prima democratizzazione della fotografia.

Oggi sta avvenendo lo stesso. Abbiamo centinaia di migliaia di mezzi che producono immagini, ma si può dire che è la fotografia ad essere democratica, o il mezzo con la quale si produce?

Da fotografi spesso veniamo accusati di guardare alle fotografie prodotte per il piacere di produrle, su Instagram, su Facebook, quelle per i parenti, per gli amici, con la puzza sotto il naso.

Non è così.

Non mi importa della produzione di chi lo fa anche solo per il piacere del un ricordo, di aver mangiato il Sushi, dei piedini di un bambino senza identità, della zia sotto la Torre di Pisa, o della gita al lago coi bellissimi tramonti.

Il punto non è questo. Scattate quanto vi va, lo trovo bellissimo.

Non posso non fare una considerazione: non è la fotografia ad essere democratica, è il mezzo con cui si scattano fotografie ad esserlo. Il risultato di quel generare immagini non è democratico.

Quindi la distinzione sta nel fine.

In questo senso sostengo che non tutti siano fotografi, anche se hanno un mezzo che produce immagini. Spesso (non sempre) l’intento di chi le scatta nel tempo libero o per piacere, è slegato dalla committenza o dal fine per cui vengono prodotte queste immagini. Qualcuno dirà: il fine è mostrarle agli amici, alla famiglia, divertirsi.

Tutto vero, ma quando io scatto, sto già scattando per voi, per fare un discorso attraverso le immagini, per proporre nuove interpretazioni delle “cose del mondo”, per parlare, per documentare. Il tutto è fatto con consapevolezza (e anche questo è importante) legata al fine, attraverso studio, con coerenza e perseveranza.

Qui è la differenza. Non è una differenza da poco, secondo me.

Ciao

Sara

 

Intervenire nella scena, voi lo fate?

A volte, per strada, mi capita di vedere gesti o espressioni, di essere coinvolta in piccole situazioni che si rivelano, ai miei occhi, eccezionali. Ma manca qualcosa. L’attimo perfetto, il momento che nella testa ti fa fare click. Immancabilmente me ne vado, consapevole che la foto stava per arrivare lì, pronta a farsi prendere, quasi c’era.

Io per scelta me ne vado, sempre. Mi è capitato solo un paio di occasioni di far fermare il soggetto e già mi è sembrato strano.

Una delle due fotografie è questa:

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Scattata a Bucarest, l’anno scorso. Il ragazzo si cambiava sotto una rampa per pattinatori, half pipe.

Da lontano ho visto le righe sul suo petto e mi sono avvicinata a passo veloce. Lui mi ha guardata e si è letteralmente bloccato, non capiva come mai gli andassi incontro così velocemente. Credo fosse anche un po’ preoccupato!

Comunque in questa occasione, ho sicuramente cambiato le scelte che avrebbe fatto il ragazzo da solo, senza il mio intervento.

E’ stato più forte di me.

I fotografi, per strada, non hanno tutti lo stesso atteggiamento.

C’è chi preferisce chiedere: “Lo rifaresti per me?”

In qualche caso le persone saranno ben contente di ripetere l’azione. Se dovesse accadere, state ben attenti a far rimanere la fotografia “fresca”. Mi spiego meglio.

Generalmente chi si sente fare questa richiesta, sapendo di essere fotografato, cambierà espressione o atteggiamento. Fate in modo che questo non sia visibile nello scatto, la fotografia, a mio parere dovrebbe comunque sembrare “candid”.

Certo non credo che la soluzione migliore sia dire “Fai finta che io non sia qui”, come ho spesso sentito dire…ma il risultato dovrebbe essere quello, insomma.

C’è chi vi ignorerà completamente e chi invece riderà e avrà completamente stravolto il senso della vostra fotografia. In questi casi, state lì a “giracchiare” fino a che non tornerete trasparenti e se la situazione lo permette ancora, scattate la vostra immagine.

Non giudico nessuna delle due scelte migliore dell’altra (la mia di andarmene o quella di intervenire), so solo che parte del mio divertimento è “beccarla al volo” la foto. Questo è il motivo per cui evito di intervenire, sarei meno soddisfatta e mi divertirei meno.

E voi cosa fate in queste situazioni?

Ciao

Sara

Ti racconto il “tutto” in dieci foto. Si, certo.

La religione, la solitudine, l’amore, la sofferenza, la povertà….tutto in un portfolio, tutto in 10 o 20 fotografie al massimo che quasi sempre si riducono ad un elenco di luoghi comuni. Le fotografie sono tutte simili tra loro.

  • Per la solitudine: anziano su panchina preso di spalle, bambino che gioca da solo, lago con persona su panchina…
  • Per l’amore: due che si baciano sotto portico, due che si tengono per mano (di spalle)…
  • Per religione: donne con hijab in città italiane, chiesa buia con candele e vecchietti di vario genere…
  • Per sofferenza: barbone per strada, barbone per strada, barbone per strada…

I titoli sono vaghi e possono fare da contenitore per tutto. Quello che a voi sembra un buon modo per mostrare le vostre immagini, diventa presto consapevolezza per qualcuno e incazzatura per altri che deriva dalla comunicazione da parte mia (o di altri lettori) della superficialità con cui avete affrontato questo tema.

In alcuni casi qualche foto è anche buona, ma non racconta certo quello che speravate, né da singola, né nel gruppo. Per raccontare qualcosa dovete prendere l’abitudine di studiarlo, andare a fondo sull’argomento e soprattutto, STRINGERE IL CAMPO.

Ma chi è in grado di raccontare “la religione”?

Lo han fatto bene in pochi, un esempio di Abbas, fotografo della Magnum,  qui.

 

Per sette anni, Abbas ha percorso ventinove differenti paesi alla ricerca del nuovo Islam o meglio, dei diversi Islam del mondo. Il racconto del suo viaggio è racchiuso in queste pagine: spinto dal desiderio di comprendere le tensioni interne che attraversano le diverse società musulmane, Abbas è riuscito ad individuare le contraddizioni tra il rigurgito di un movimento politico ispirato ad un passato mitico e il desiderio universale per la modernità e la democrazia. La finezza formale delle sue immagini, il rigore della ricerca giornalistica, la competenza dello studioso, fanno di Abbas uno dei rari autori in grado di informare il lettore. (da Amazon)

Lui, bravissimo, ci ha messo un viaggio di sette anni in giro per “mezzo mondo” a raccontare una storia parziale (solo Islam) sulla religione nel mondo, potremmo mai noi metterci 10 fotografie scattate ad Abbiategrasso  per raccontare la solitudine?

Il mio consiglio è: imparate a scegliere piccoli temi nei quali le persone possano sentirsi coinvolte, va benissimo anche la “shampista di Boffalora”, un garage sotto casa, un parente, un amico, un luogo circoscritto. Una piccola storia alla vostra portata, ma fatta bene.

Questo articolo è rivolto a chi si presenta a letture portfolio, chi dice di essere fotografo e si presenta a selezioni di altro genere come premi o submissions on line….tutti gli altri si divertano un sacco!

Ciao

Sara

 

Croppare le fotografie, perché?

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“Se si inizia a tagliare o ritagliare una fotografia, significa far morire la geometria corretta e il gioco delle proporzioni. Inoltre, capita molto raramente che una fotografia che è stata debolmente composta, possa essere salvata da una ricostruzione della sua composizione sotto l’ingranditore in camera oscura; l’integrità della visione non c’è più. ” Henri Cartier-Bresson

Un errore, dal mio punto di vista, comune a molti fotografi è l’eccesso di ritaglio apportato alle proprie immagini. Spesso vengono ritagliate anche quando non è necessario.

I motivi per cui si “croppa” sono sostanzialmente tre:

1) Siamo pigri quando scattiamo fotografie in strada.

Invece di muovervi fisicamente più vicino ai soggetti, preferite affidarvi al “tanto la ritaglio dopo”. Questo non farà altro che rendervi sempre più pigri e vi impedirà di migliorare sia composizione che inquadratura.

In principio può sembrare difficile non farlo e imporsi di pre-visualizzare l’immagine con più attenzione e velocità.

Nel tempo imparerete a concentrarvi sul “riempimento della struttura” della fotografia. Questo migliorerà la vostra capacità compositiva in modo prepotente.

2)  Siamo lenti.

Anche quando un elemento “vi entra” nella foto e non siete stati in grado di scattare prima è un errore vostro. La velocità e la capacità di calcolare le velocità dei soggetti al fine di scegliere il giusto momento, fa parte delle caratteristiche di un buon fotografo.

3) Abbiamo paura delle persone.

Il non avvicinarvi vi pone in una condizione di distanza più accettabile da gestire. Ricordatevi che chi scatta per strada, non dovrebbe avere paura della gente, della vicinanza, del contatto.

Non posso imporvi di NON ritagliare le VOSTRE fotografie.

Molti fotografi, maestri negli scatti di strada, ritagliano e hanno ritagliato le proprie immagini.

Robert Frank stesso ha fatto qualche ritaglio radicale per il suo libro più conosciuto: “Gli americani”. In qualche caso ha trasformato paesaggi in ritratti…Ma Frank è Frank e noi dobbiamo imparare al meglio.

Quindi vi consiglio, se il vostro intento è quello di migliorarvi, non ritagliate. Se proprio volete/dovete farlo per migliorare a vostro parere, lo scatto, fatelo davvero con moderazione. Se per caso, quello scatto finisse in una mostra, con altri scatti non “croppati”, ne vedreste subito la differenza, paragonato agli altri.

In strada, dato che gli scatti sono presi in velocità, ricordate che anche i bordi del fotogramma sono importanti e non di meno il contesto, che spesso risulta confuso.

QUESTO ARTICOLO è rivolto a chi vorrebbe imparare a fotografare e non a chi, per necessità di lavoro è costretto a tagliare le fotografie, qualsiasi lavoro esso sia.

Ciao

Come trovo idee per un progetto?

Buongiorno!

Una domanda che mi fanno spesso le persone è: come faccio a trovare un’idea interessante per un progetto? Cosa mi invento? Cosa posso raccontare? Perché non mi viene in mente niente?

Ecco, perfetto. Mi dispiace, non ho soluzioni per far venire idee a voi, spesso non ho soluzioni certe per far venire idee a me, figuriamoci … (e magari questo riguardasse solo la Fotografia).

Anche la domanda che mi fate così spesso è, a dir poco, strana.

La risposta più logica sarebbe: scusa se non hai idee e niente ti crea la curiosità sufficiente per metterti a lavorare su un argomento, probabilmente è perché non hai niente da dire su quell’argomento…e se nessun altro argomento ti viene in mente, probabilmente è perché non hai niente da dire (in questo momento o per sempre) e basta. Quindi che cavolo scatti di qua e di là come un pazzo?

Dovreste leggere e guardare con attenzione cosa avviene intorno a voi.

Anche se in qualche caso, l’idea del progetto può farsi chiara con lo scorrere del lavoro iniziato, alla base di un buon progetto, c’è comunque e sempre tanto studio e tanta preparazione. Quindi, prima cosa, vi preparate davvero prima di iniziare un progetto? Studiate chi ha affrontato lo stesso argomento prima di voi? Andate a ricercare notizie sui luoghi e sulle persone che lo abitano?  Leggete testi  o articoli di giornale?

Molti di voi non fanno nulla di questo e aspettano l’illuminazione divina. Poi tornano a casa e qualcuno sente di aver prodotto il progetto del secolo, senza sapere che non aggiunge niente dato che lo stesso lavoro, con lo stesso intento, con le stesse modalità, è stato fatto nel 1912 e meglio (rimane comunque un buon allenamento, se considerato tale). Altri, più consapevoli, rimangono insoddisfatti e tristi e scrivono a me: ma come faccio a farmi venire idee?

La cosa più assurda è che anche se dovessi suggerire delle idee precise, sarebbe in grado una persona alla quale quell’idea non è mai venuta, di portare avanti il lavoro con curiosità, costanza e coerenza, dato che l’idea non è sua?

Boh. Pensieri del mattino. Mi bevo un caffè, ciao

Quando la fotografia diventa arte?

Buongiorno, rispondo  a questa domanda che mi ha rivolto un lettore.

Premetto che per me definire la figura dell’artista è complicato. Chi è secondo me un artista?

L’artista è colui che riesce a mostrarmi cose che non avevo ancora compreso o visto interpretate in quel modo. L’artista serve, nella mia mente a svelare i segreti del mondo.

Di qualsiasi tipo essi siano.

L’artista va distinto dall’artigiano. Molti pittori e scultori che conosco, sono artigiani, non artisti.

Insomma, nella mia esperienza, il mondo è pieno di artigiani. Gli artisti sono pochi.

Seguendo questo ragionamento, legato al proprio back ground, cultura, luogo di nascita alle proprie esperienze ecc., ognuno di noi ha una modalità differente per definire un artista.

Per molti chi produce quadri, sculture o opere definite d’arte è sempre un artista. Per me l’asticella si alza con l’evolversi della mia esperienza. E’ una figura fluida.

Per quanto riguarda la Fotografia, se pensiamo al concetto diffuso di arte, c’è un limite intrinseco: la fotografia non può essere separata dalla realtà. Quello che fotografi deve essere di fronte a te.

Scriveva Rosalind Krauss: «Se si può dipingere un quadro a memoria o grazie alle risorse dell’immaginazione, la fotografia, in quanto traccia fotochimica, può essere condotta a buon fine solo in virtù di un legame iniziale con un referente materiale»

Per la fotografia un passaggio importante è avvenuto già dal 20 secolo, quando è nata la differenziazione tra fotografi “puri” e artisti che utilizzavano la fotografia per esprimersi nelle proprie ricerche.

Anche se già da prima i fotografi si erano mossi in tal senso. Pensate che nel 1866 Peter Henry Emerson dichiarò la fotografia arte pittorica, elogiando le tecniche che portavano la fotografia ad una lettura che fosse simile a quella utilizzata per la pittura. Ritrattò in seguito dichiarando che la fotografia non si sarebbe mai portata al livello dell’arte pittorica. Nonostante questo, la fotografia pittorica o pittorialismo conquistò una bella fetta di mondo.

La fotografia non è solo l’oggetto fotografico, se pensiamo che, lavorando concettualmente, esprimiamo idee attraverso le nostre fotografie. In questo caso, non basta più parlare di fotografia dal punto di vista tecnico.

Chi fotografa con consapevolezza, in genere, elabora una personale modalità, che permetta di esprimere la propria idea attraverso alcune regole che mettano nelle condizioni di comunicare con il mondo. Il contenuto della fotografia, in questo caso, può non essere l’idea legata a quella immagine.

In questo senso può essere considerata opera d’arte.

Come ha scritto Michele Smargiassi qui

Bisognerebbe quindi dire, meglio, che la fotografia è in prima battuta una una tecnica applicata. Si potrebbe meglio dire che la fotografia  è una pratica che si può “applicare” a tante funzioni, quindi anche all’arte.

La fotografia non è un’arte pura, per sua e nostra fortuna. Non ha nulla di puro:  evviva. È un meraviglioso ibrido, fin dall’inizio.

Fu definita “la figlia bastarda abbandonata dalla scienza sulla soglia dell’arte”. I bastardi sono sempre i migliori.

Le fotografie, di qualsiasi genere, lontanissime fra loro, hanno tutte in comune una cosa. Mettono in relazione gli esseri umani. Una foto, d’autore o senza autore, bella o brutta, professionale o banale, è uno scambio di sguardi fra umani, e arricchisce la relazione fra gli umani

Fate bene a non difendere la Fotografia. Chissenefrega.

Io vi ringrazio, si, vi ringrazio tutti. Tutti quelli che leggeranno questo scritto e tutti quelli che lo commenteranno senza nemmeno aver aperto la pagina. Vi ringrazio perché mi date la possibilità di ragionare. Per come posso, chiaro.

Da fastidio, lo so, ho imparato, che qualcuno ti chieda: perché scatti fotografie? Cosa volevi dire?

Allora non ve lo chiedo più, chissenefrega del resto delle vostre motivazioni.
Chissenefrega delle motivazioni per cui scrivo o fotografo pure io.
La fotografia è democratica, giusto? Tutti abbiamo mezzi per fotografare la “nostra epoca”. Tutti fruiamo migliaia di immagini e tutti le produciamo.

Il punto non era questo. Ho commesso un errore.
Il punto vero è la consapevolezza. Produciamo e leggiamo immagini senza preoccuparci della consapevolezza necessaria legata al crearle e al subirle (fruirle). E’ aumentata la produzione di immagini e per assurdo, è diminuita la capacità di capirle.

Abbiamo accresciuto la nostra possibilità di informarci? E’ servito a migliorare la qualità dell’informazione esistente? Non credo.
Anche io, del resto, vado ad alimentare questo flusso continuo e veloce di produzione.

Così riempiamo il mondo di una serie infinita di amenità quotidiane. Una dimensione fotografica tutta personale che ci rende liberi dalla critica. Perché è vero che tutto ha un significato, come mi hanno fatto notare. Tutto ha un significato, si, ma per me. Chissenefrega se questo non ha una valenza sociale.

Lecito.

Tanto qui chiunque è nessuno. Tutti uguali e tutto niente.

Del resto che differenza c’è tra un fotografo e uno che produce immagini la domenica? Nessuna. La lettura delle fotografie avverrà con la stessa superficialità.

Non abbiamo preparato nessuno a leggerle perché eravamo troppo occupati a produrle e a produrle col cavolo. Do la colpa a me come fotografo e docente, alla critica, ai photoeditor che pubblicano e mostrano progetti senza alcun senso.

Tanto dietro il pc siamo tutti uguali.

E nel mondo “reale”, chi può cambiare questo corso che ci fa sentire tanto sicuri, ma peggiora la qualità della nostra cultura e delle informazioni di cui necessitiamo?
Che cosa sarà della mia memoria?

Si, ma del resto, chissenefrega.

Ironicamente Sara

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In breve, come si giudica una fotografia.

 

Perché scattate se non avete niente da dire?

Ogni giorno scansiono la mia home di Facebook, scorro le immagini postate da tutti molto velocemente, raramente una foto mi colpisce, in quel caso mi fermo, vado a “controllare” chi l’ha scattata e perché ha deciso di scattare.
Si, perché se una foto mi colpisce, non è esclusivamente per il contenuto formale, per i pesi tonali o la composizione (avevo già parlato di questo qui), certo, tutto questo aiuta.
Sempre più spesso mi ritrovo a ragionare sulle motivazioni.
C’è un filo conduttore che lega questa foto ad un lavoro coerente che mi porti a farmi domande su quella singola immagine e su quelle alla quale dovrebbe essere legata?
Per me non è più solo è una questione di buon soggetto per lo scatto, è semmai questione di capacità e coerenza nel mettere insieme un discorso, attraverso le immagini.
Non posso più permettermi di valutare un fotografo per le singole fotografie, non mi importa più. Troppa gente produce immagini esclusivamente perché un mezzo qualsiasi che posseggono, le produce.
Credo che la bravura di un autore si percepisca sulla lunga distanza, siamo maratoneti non centometristi.
Con il blog ricevo tantissime proposte per la pubblicazione tra gli autori Musa. Spesso, delle 10 foto richieste (già poche a mio avviso) ce ne sono 3 coerenti nella forma, nel contenuto e nel messaggio, il resto si perde.
Come mai vi sembra così facile fotografare?
Perché scattate se non avete niente da dire?
Perché non pensate al fatto che chi vedrà le vostre immagini vorrà imparare qualcosa da voi?
Potreste rispondermi: perché mi diverto, per archiviare ricordi, per non dimenticare.
Tutto lecito, vero. Ma avete mai pensato che di fronte alle vostre fotografie qualcuno potrebbe farsi qualche domanda in più rispetto a: Ma che bel tramonto, dov’eri?
Ma che bel bambino, è tuo figlio? Ma che belle le maschere di Venezia quest’anno, sembrano quelle dell’anno scorso e dell’anno prima…e dell’anno prima e dell’anno prima……
La Fotografia serve a questo, solo a livello personale (raramente, anche se ci sono casi eccezionali ed eccezionalmente interessanti, che hanno fatto di album di famiglia il “lavoro della vita”, ma erano consapevoli di stare producendo quello, voi lo siete?), ma se pubblicate le vostre immagini, se le rendete pubbliche, non può bastare.
Questa è la differenza, secondo me, tra un produttore di immagini ed un fotografo.
Il fotografo lavora ad un progetto umano complessivo che diviene nel tempo e che deve servire, precorrendo i tempi, a spiegare avvenimenti, sensazioni e atmosfere, che fino a quel momento, in quel modo, nessuno era riuscito a spiegare, non con la medesima interpretazione.
Non è vero che tutto è stato fotografato e abbiamo spazio per muoverci. Non diamo colpa a questo. Niente è stato fotografato così come lo vediamo noi. Se il nostro “saper guardare” è uguale a quello della massa e quindi tutto ci sembra già riconosciuto e scattato, allora non siamo fotografi. Stiamo semplicemente adeguandoci ad una sorta di linguaggio e visione canonica delle cose, che ci permetta di ricevere più like su Facebook, ma che non aggiunge un cavolo alla storia del mondo e nemmeno alla nostra storia personale.
Ciao
Sara

Il tempo delle fotografie

Non sono una persona che scatta molto. Quando torno a casa dai miei viaggi, vicini e lontani, mi preoccupo regolarmente per la scarsa quantità di foto prodotte. Poi le abbandono, ho il periodo di rifiuto, mi fanno schifo e butterei tutto via. Quindi aspetto. Aspetto e aspetto. Dopo qualche tempo torno a guardare il lavoro nella speranza che contenga qualcosa, una sorpresa. Nonostante questo mi rendo conto che la maggior parte delle fotografie che produco, non verranno mai viste da nessuno. Sono immagini morte, se ne stanno lì silenziose, nelle cartelline gialle di Windows.
Forse capita anche a voi di produrre il lavoro per come ve lo eravate (più o meno) immaginati e percepire che tutto il resto si perda.
Oggi sto sistemando un progetto che dura da qualche anno e metterò insieme in tutto un sessantina di immagini. Ho fatto un breve calcolo, presupponendo una media di 1/125 di secondo a scatto, e’ uscito che ho prodotto tutto in 0,48 secondi. 0,48 secondi? Ma porca di quella zozza, sto lavorando da qualche anno per ottenere un cavolo di portfolio al quale ho dedicato in tutto 0,48 secondi??
Mi fa male la testa. Giuro.
L’unica speranza che mi rimane e’ che almeno qualcuna di queste immagini, abbia un significato per qualcuno.
Un piccolo significato sarebbe sufficiente, un segno, un punto di domanda, un bollo rosso nella mente, qualcosa.
Vado a dormire che sono incazzata.

Le caratteristiche di un buon fotografo

Curiosità: La curiosità è la caratteristica principale di un fotografo, a mio parere. Senza curiosità, essere fotografo non avrebbe senso. Curiosità significa cercare sempre, opportunità he possono migliorare la qualità dei vostri progetti.

Dovrete cercare spunti, situazioni, navigare su internet e sul mercato “prendendo” spunti e rielaborandoli per mettere a punto nuove idee e risorse per comunicare.

La curiosità fa in modo che non ci si fermi alle prime impressioni.

Occhio e orecchio sempre vigili, insomma…

Per il reportage di documentazione il rigore con cui  ci si documenta,  è indice di serietà, la capacità di selezione delle fonti e la relativa distribuzione di notizie.

Siate attenti, leggete e informatevi bene prima di produrre un lavoro fotografico.

Flessibilità mentale: fondamentale.

Spesso vi servirà a cambiare strada e capire come muovervi meglio.

La fotografia è sempre in movimento, cambia, gli stili cambiano, i modi relativi alla comunicazione, cambiano.

Siate dinamici, spesso vedo lavori non più adeguati al cambiamento della “Fotografia “.

La rigidità è il sintomo di limiti dai quali dobbiamo stare alla larga da fotografi, sempre. Ogni situazione vi si pone con caratteristiche differenti, a volte dovrete improvvisare, fidarvi del vostro intuito, della vostra “pancia”.

Schemi  precisi vi chiudono in gabbia, soprattutto quando si tratta di un progetto creativo, di idee, che se mai fotografate, non possono essere trovate sui libri.

Non meno importante sarà la vostra capacità di comunicare, anche parlare del vostro lavoro, farà parte di questo mestiere.

Poi c’è la vostra capacità tecnica. Dovete conoscere i limiti delle vostre macchine fotografiche, non le qualità. Portare la macchina al limite, senza cercare soluzioni introvabili (perché impossibili per i limiti tecnici del mezzo) sarà fondamentale.

Relativamente ad ogni genere fotografico, studiate la tecnica di riferimento, soprattutto per lavori in studio.

Conoscere la luce, sia in studio che in esterni.

Ultimo consiglio, siate umili e tentate di imparare da tutto e da tutti, siate pronti a mettervi in discussione per capire come migliorare.

Per il resto, cioè la vostra capacità di vedere fotograficamente, studiate, leggete, apritevi a tutto.

Se ancora non funziona, esistono un sacco di corsi di tango e cucina indiana a cui fare riferimento!!

baci

Sara

I tre modi per raccontare una storia con la fotografia

Ci sono tre tipi di approcci per poter raccontare una storia con le vostre fotografie:
1) I reportage che documentano
2) Le interpretazioni del fotografo di un soggetto o di un luogo con una particolare cifra stilistica
3) Le storie di cui non si capisce un caz, ma funzionano

Non classificabili sono i tentativi di ognuna di queste categorie che mal riescono 😳

A) Nei reportage di documentazione, gli elementi essenziali sono i classici elementi che caratterizzano i racconti. Sarà quindi necessario che dal portfolio si capisca bene chi è il soggetto, dove avviene il fatto, quando avviene…come e se possibile perché.
Alfredo De Paz, afferma: “Se ogni fotografia in generale – in quanto riporta immagini del (dal) mondo – può essere detta reportage, il reportage vero e proprio si riferisce a quelle immagini riprese da un fotografo in tempo reale sul luogo stesso di un determinato evento; in questo senso, la fotografia di reportage, in quanto registrazione meccanica del mondo, si distingue dalla “fotografia di atelier” in cui determinate situazioni vengono artificialmente costruite e messe a punto per finalità estetiche”.
Nel fotogiornalismo tradizionale questi sono gli elementi base per approcciarsi ad un lavoro fotografico.
Così come per fare un discorso, mettiamo insieme le fotografie tenendo ben presente il messaggio che vogliamo comunicare.
Come vi dico fino al vomito, singole belle foto, non producono discorsi.
Io sono e resto per i lavori progettuali, lì vedo il fotografo. Questa la mia opinione, che non cambio, quindi per favore, non cominciate coi pipponi dell’estetica della fotografia. A me dell’estetica della singola foto importa poco. P.u.n.t.o. …e ora al via la lapidazione!!
Per la documentazione fotografica devo costruire un discorso. Devo quindi imparare il linguaggio delle immagini. Devo saper usare i mezzi e il modo con cui la fotografia ci parla.
Non basta la tecnica, no, no! Ed è qui che vi voglio.
Ci sono tre fasi fondamentali per provare a costruire un progetto di documentazione:
1) Lo studio della situazione attraverso giornali, Riviste, internet, con una attenta analisi della situazione.
2) Il servizio effettivo, quindi la realizzazione della storia.
3) La destinazione del lavoro, che una volta prodotto, va piazzato.
Chi riesce nelle tre fasi è un fotogiornalista.

Nel 1971 Eugene Smith, realizzò uno dei suoi reportage più riusciti, “Minamata”, in cui fotografò i tragici effetti dell’inquinamento da mercurio in Giappone.

Il lavoro completo di Smith qui.

B) Le storie interpretate dal fotografo. In questo caso, secondo me, l’espressione del fotografo prende il sopravvento. È una sorta di reportage, ma effettivamente si distacca dalla documentazione. Una licenza poetica.

Mentre nel fotogiornalismo il racconto ha una valenza sociale e politica, in questo genere, il fotografo ci mette lo zampino, ancor più “pesantemente” che nel primo caso. Una bella impronta visibile. La realtà viene narrata con stili spesso personali, fino all’eccesso in qualche caso. Oggi è una modalità quasi abusata, secondo me.
Il racconto diventa personale, molto personale e la realtà perde di oggettività. Rischiamo quasi di risultare melensi. Le immagini si sgranano, i contrasti aumentano, si accetta il mosso lo sfuocato e nonostante questo, la storia arriva. Le immagini sono coordinate ma non con una funzione documentaria, più che altro legate al sentimento del fotografo di fronte ad un soggetto, un luogo o un fatto.
Questo tipo di lavoro da la possibilità al fruitore finale, di fronte alle foto, di dare un’interpretazione estremamente varia del lavoro, molto più che nel reportage di documentazione.

Qui sotto un lavoro di Michael Ackerman “End time city”.

Michael Ackerman (Tel Aviv 1967). Queste fotografie sono oggetto di un libro “End Time City”, che ottiene il Prix Nadar. In questo progetto, rifiutando la solita stereotipa rappresentazione, Ackerman ha fornito una visione unica e personale della città di Varanasi, dove la vita e la morte sono indissolubilmente legate. ‘End time city’ non è un resoconto della città, piuttosto un’esperienza onirica.

Qui il libro

http://www.amazon.it/End-Time-City-Michael-Ackerman/dp/3908247136

C) Storie senza capo ne coda, ma perfette, illuminanti. Lo sguardo del fotografo trasforma ciò che vede completamente in altro. Ogni fotografia ti sottopone ad una specie di stupore (un po’ per il contenuto delle foto, che spesso sembra non avere significato logico, quindi ti senti cretino, dato che non lo capisci al volo. Un po’ perché le foto sono slegate dal senso comune e strette alla visione personale di chi le scatta.)
A me sembrano una sorta di diario visionario del fotografo che racconta la sua quotidianità. Stravolge la realtà e la foto restituisce ciò che possiamo e abbiamo voglia di capire.
Allora essa ci appare come una “illuminazione”. O una cagata.

Per quello che ho potuto capire, durante la mia esperienza, queste sono le modalità con cui si può mettere insieme una storia. Spero possa servirvi.

Buona giornata.

Baci

Sara

Le foto che appiccicano lo sguardo

Quando ho cominciato a fotografare? Non me lo ricordo, non lo so con certezza.
Mi sono iscritta ad una scuola di fotografia a Padova, Isfav. Non seguivo tutte le lezioni e il primo anno non avevo nemmeno la macchina fotografica. La mancanza di soldi ha accentuato la necessità di osservare senza mezzi per riprodurle, le fotografie.
Quello che ho capito, durante le mie uscite, in quel tempo pre-fotografico, e’ che le faccende del mondo non ci stanno tutte in una foto.
Io non riesco. Fotografi eccezionali hanno raccontato tanto con singoli scatti. A me manca sempre qualcosa.

Ho maturato da poco questo pensiero: quello che vorrei contenessero le mie fotografie, e’ il prima e il dopo l’attimo in cui effettivamente sembri accadere qualcosa. L’attimo di vuoto, sospensione.
Ballando e sculettando me ne vado da una foto all’altra.
Ho capito che per far rimanere le persone incollate ad una foto, nel mio genere fotografico, bisogna far si che chi la guarda si faccia un sacco di domande. Più sono e più chi guarda rimarrà lì, fermo di fronte a voi, di fronte a quello che avete bloccato in quel centoventicinquesimo di secondo.
Mi sento meno grezza quando succede.
Direi che un buon risultato, per me, e’ quando di fronte ad una fotografia, chi si sofferma si chieda: ma che cavolo sta succedendo qui?

Questo, secondo me, devo continuare ad imparare.

Domande, domande…di fronte alle vostre fotografie. Ciao Sara

Cosa è la fotografia per un fotografo?

“Fa parte del lavoro del fotografo vedere in

modo più intenso di quanto non facciano le

altre persone.

Egli deve avere e tenere in vita dentro di sé

qualcosa di simile alla recettività del

bambino che guarda il mondo per la prima

volta o del viaggiatore che si avvicina a un

paese sconosciuto.”

Bill Brandt

La fotografia è il mezzo attraverso il quale un fotografo propone, oltre alle sue conoscenze tecniche, un prodotto che svela al pubblico un soggetto, un evento, un luogo o semplicemente alcune sensazioni che ha provato.

Molti fotografi hanno trattato, nel corso della storia della Fotografia, gli stessi argomenti, ma, facendo affidamento sul proprio talento, hanno reso lo stesso soggetto del tutto personale, grazie alla capacità interpretativa che hanno applicato al progetto.

Il fotografo è normalmente portato a proporre le proprie immagini al pubblico, dubito delle persone che, mostrandomi una foto dicono “Ma io scatto per me…”. Anche perché me la hanno appena mostrata.

E’ rarissimo.

Gli autori hanno voglia di mettersi in gioco e di mostrare, oltre al foglio dove pare ci sia appiccicata un’immagine, un oggetto che ha un contenuto preciso in qualche caso, un messaggio.

Chi guarda la foto ha la possibilità di interpretare.

Intercorrono tra loro, la capacità del fotografo di “parlare con la fotografia” e la possibilità del lettore di “interpretare la fotografia”.

In qualche caso il messaggio è chiaro a tutti. Spesso il messaggio è qualcosa che si intende, andando a scavare nel contenuto della fotografia.

L’”intenzione dell’autore” è intrinsecamente congiunta all’autore stesso.

Vien da chiedersi se, nell’intenzione del fotografo, ci fosse proprio la volontà far percepire quel preciso messaggio. In qualche caso, il messaggio sfugge di mano al fotografo e la fotografia o il portfolio, prendono vita propria, dando il via ad alcune interpretazioni che poco hanno a che fare con il fine per cui l’immagine stessa è stata scattata.

Quindi, non si può dire con convinzione che l’idea del fotografo fosse esattamente di provocare quella reazione precisa nel fruitore delle immagini.

Diverso è per i discorsi fatti a voce, in questo caso, nel momento in cui la frase manchi di chiarezza, basta chiedere se sia davvero tutto chiaro o meno.

Per le fotografie, soprattutto se proposte singole, questa possibilità, da fotografi, non la abbiamo.

Quello che produciamo ha subito riscontro visivo.

Penso alla gente che frequenta le mie mostre, alle quali non posso sempre essere presente.

MI chiedo spesso “Ma mi sarò spiegata?”

So che le possibilità di percezione si aprono a mille esplorazioni differenti.

Ricordo perfettamente mio nipote che, di fronte ad una mia foto, appesa a casa, mi dice:

“Zia, ma tu insegni a fotografare?”

Ed io “Si”

“Zia, allora perché in questa foto non si vede niente bene ed è tutta sfuocata, il bambino è morto?”

“No, dorme, la foto è mossa non sfuocata”

“Ma il cavallo sta scappando?”

“Ecco, Giuseppe, mh… no è una mucca, non scappa, non ti piace?

“No, mi fa paura”.

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Sara Munari da “Oceano India”

Una fotografia propone una serie di significati nascosti, rispetto a ciò che appare.

Alcuni elementi sono facilmente riconoscibili, per somiglianza con cose reali, ma suggeriscono idee o messaggi, che talvolta non sono nemmeno vicino al rappresentato.

Questo è un estratto del mio secondo libro, una piccola parte.

copertina_fotografoequilibrista_ebookPer chi è incuriosito, il libro si trova qui

Il mondo di Baricco è Bapovero

Sono a Mosca e guarda di cosa mi tocca di parlare da qui. Mi sono imbattuta, grazie ad un collega fotografo (Mauro), in una vicenda che riguarda Alessandro Baricco e la scelta di Repubblica di pubblicare regolarmente fotografie dell’autore in questione. Un’operazione che avrebbe la pretesa di mostrarci e raccontarci il mondo, “Coi miei occhi” , come intitola Baricco.
Link alle foto di Baricco

Ecco, e’ arrivato Alessandro a raccontarci il mondo per immagini, lo stavamo aspettando. Le foto sono, a mio parere, povere. Vedi titolo articolo…😳

Il problema, però, non è questo, non solo.

Leggendo le parole che Maurizio Valdarnini (che condivido pienamente e vi allego sotto) e Maurizio De Bonis hanno scritto in proposito, ho riflettuto e queste sono le mie considerazioni.

Lo scivolone del tutto inconsapevole ( ed è questo che mi fa riflettere maggiormente) di Baricco e’ anche colpa mia. Ho già ammesso questa colpa nel mio post di settimana scorsa su Facebook.
Colpa mia e di tutti gli appartenenti al settore della fotografia, intendo quelli seri, quelli che ci hanno messo pazienza, talento, studio, passione. Quelli che si sono fatti il culo, insomma.
Noi cosa stiamo facendo per evitare che lo sgretolarsi della cultura visiva legata alla fotografia, arrivi al disfacimento totale?
Perché Baricco, uomo di cultura, non sa che esiste una cultura legata alla Fotografia? Perché si permette di inanellare una serie di foto che nemmeno bendato, un fotografo farebbe?
Perché Repubblica le diffonde?

De Bonis sostiene che questo sia un problema del tutto italiano, io ho solo esperienza qui, quindi non lo posso affermare con certezza. Link al testo di De Bonis:

In una cosa ha certamente ragione De Bonis, piuttosto che contraddire “la casta” ce ne stiamo buoni, buoni, per evitare lo scontro o anche un sano dibattito.
Da fotografi, sgomitiamo per vincere premi e ottenere riconoscimenti assegnati da chi regge i fili, figurati se abbiamo la forza mentale e le palle per scontrarci.

Ma poi…da chi è composta ‘sta casta?
Sono dodici anni che lavoro in fotografia e mi impegno, ma chi sono quelli che decidono davvero?
Io sinceramente mica ho capito. Se qualcuno mi facesse dei nomi, gliene sarei grata. Sinceramente.

Riconosco i personaggi che da anni circolano e li vedo sgomitare quanto noi. Sono questi che compongono la casta?
Vedo anche loro alle prese con il tentativo di comprensione del “cambiamento” del mezzo, degli stili, del vortice della fotografia che non avendo regole dettate dall’alto, si muove convulsamente. Mi vengono in mente quegli uccellini in stormi sopra Milano ogni tanto, dei quali non capisco i movimenti, a volte fluidi, più spesso a scatti veloci.
Credo sinceramente che lo sbandamento sia generale.
Quelli che dovrebbero mettere i paletti stanno roteando insieme a me. È un gatto che si morde la coda e finché qualcuno non detterà “regole” (lo so, lo so che la parola regole non vi piace, ma è la parola più o meno giusta), andremo lentamente alla deriva.

Qualcuno mi dirà : Ma quali sono le regole di cui hai bisogno?
Ho bisogno che qualcuno ponga limiti. Se ogni foto e se ogni portfolio deve essere degno di considerazione dall’alto, perché mancano i termini precisi per giudicare una cagata, semplicemente una cagata, non abbiamo limiti…e la cacca si accumula.

Se nessuno ha voglia di darmi regole, ho bisogno di confrontarmi per capire.
Confrontiamoci, con rispetto.
Anzi, a dire il vero, ci ho provato in qualche occasione e le risposte sono state un po’ vane.
Io mi prendo anche la briga di fare nomi, se mi dite con chi si deve parlare, lo faccio.

Se avessi la forza per cambiare le cose, anche questo proverei a fare.
Per favore, qualcuno mi aiuta a cambiare un pochino le cose?
Impariamo insieme a Parlare di Fotografia?
Esco a fotografare, scusate se non ho scritto benissimo, spero almeno sia chiaro il mio pensiero.
Ciao
Sara

Prezioso testo di Valdarnini da cui ho preso spunto.

Gent.mo Alessandro Baricco
le scrivo in merito alla sua rubrica ‘ il mondo con i miei occhi’ pubblicata sulle pagine del quotidiano La Repubblica.
Ho letto con interesse ed attenzione il testo che ha introdotto la rubrica e, come sempre mi accade quando leggo i suoi scritti, ho apprezzato e gioito.
In particolare di questo articolo ho condiviso l’analisi riconoscendomi nelle complessità e nei profondi mutamenti che questa epoca esprime.
Ho avuto il piacere di incontrarla in occasione del ritratto fotografico che realizzai per la copertina de il Venerdì e da fotografo ho sentito l’impellenza di comunicarle il mio disagio nei confronti di questa sua iniziativa.
Da più di trent’anni svolgo, parallelamente alla mia attività di fotografo, quella di docente e questo inscindibile ruolo di autore-formatore condiziona la formulazione di questo appunto.
Ho atteso con pazienza lo svolgersi quotidiano dell’esibizione mordendo il freno e sperando in un immagine, che non é arrivata, che giustificasse il tutto.
La sublime intuizione che ci ha regalato, per iscritto, individuando differenze nella disposizione dei bovini nei pascoli è stata annichilita dalla foto pubblicata che non aveva nemmeno la dignità di didascalia del testo stesso pur essendo una tra le foto migliori.
Lei onestamente ci avverte sin dall’inizio di non essere un fotografo ma allora se la sua intelligenza riconosce questa evidenza perché non l’ha applicata fini in fondo?
le verrebbe mai in mente (supponendo che lei sia una campana!) di suonare o cantare durante un concerto sul palco solo perché è amico del musicista?
Pubblicare è un atto che implica responsabilità ed essendo il suo pulpito assai importante questo suo atto, seppur mosso da intenti assai degni, appare come un banale istinto di vanità o di puerile vendetta: se tutti scrivono senza competenze perché non posso, senza competenze, fotografare pure io?
E non mi basta il fatto che la sua autore-volezza le consenta di accedere alle pagine di un quotidiano che, tra l’altro, per tradizione disprezza la fotografia.
In italia, con raccapriccio, si assiste ad una completa mortificazione della fotografia.
Non intendo certo l’apprezzamento e la diffusione che la fotografia ha ma della sua considerazione in quanto testo autonomo e mi rammarico nel constatare che anche menti brillanti assecondino tale deriva culturale.
Prova ne sia il colpevole silenzio dei critici e dei giornalisti specializzati in merito alle sue foto.
Credo di avere ampiamente superato i limiti di battute suggerite dalla buona educazione ma, capirà, il dono della sintesi l’ho consacrato alla fotografia.
cordialmente
Maurizio Valdarnini

Cosa è un portfolio?
La creazione del portfolio è una delle cose più importanti e difficili che un fotografo possa fare con la propria produzione.
Durante le letture portfolio mi è capitato di tutto, foto delle vacanze, del giretto in montagna, del bambino appena nato, una volta perfino scatti che definirei porno. Olè!
Spesso incontro gente che, di fronte alla probabilità di rivedere migliaia di fotografie, si scoraggia e molla il colpo.
Mi capita che mi contattino dai posti più disparati e mi chiedano: “Ho scattato 2500 fotografie in tal posto…per cortesia me le sistemi e mi trovi una storia?”
Il problema è che la storia io la trovo e do alle fotografie un senso, se riordinate, ma quella rimane la mia storia, parte del lavoro del fotografo passa in secondo piano.
Diverso è l’intervento di un photoeditor che, all’interno di un tema definito, affrontato dal fotografo, sceglie le foto che meglio lo raccontino.
Definiremo nelle prossime pagine la necessità di avere le idee un po’ più chiare, sia durante la fase di scatto, che di elaborazione e presentazione finale del lavoro. Tutto questo tenendo presente quali sono le fasi necessarie alla sua creazione:
• Scelta dell’argomento
• Scelta della modalità di rappresentazione
• Fase di ripresa
• Editing (cioè la selezione delle foto e il loro ordine di presentazione, che non è, come qualcuno crede, la postproduzione)
• Postproduzione
• Stampa (se necessaria, secondo il target che scegliamo)
• Presentazione
Quindi, come si può definire un portfolio fotografico?
Un portfolio fotografico è semplicemente una raccolta di immagini del vostro lavoro. Il numero varia dalle 15 alle 50 a seconda della destinazione e successivo utilizzo.
Sul piano commerciale il portfolio è una selezione di immagini che rappresenti un’idea complessiva delle proprie attitudini lavorative da proporre ai possibili futuri clienti. Sul piano artistico il portfolio è una successione di fotografie collegate, il cui accostamento comunichi la capacità dell’autore di descrivere un fatto o un soggetto, attraverso l’idea progettuale e visiva che ha avuto.
L’errore comune è credere che debba essere il meglio di quanto abbiate mai prodotto. Anche se può essere vero in alcuni casi, è più probabile che si tratti di una serie di fotografie su un tema univoco, nel quale si sia mantenuto lo stesso stile espressivo.
Il portfolio è un insieme uniforme di immagini dal quale emerge la capacità espressiva, la fantasia, la tecnica e lo stile del fotografo nello sviluppare la sua idea iniziale, relativamente a un dato tema.
Le immagini selezionate per essere inserite hanno il compito di raccontare qualcosa e trasmettere un’emozione e, come dicevo più sopra, non sono le fotografie migliori che avete scattato. Spesso ho dovuto evitare di inserire nei miei portfolio scatti che giudicavo belli per inserire fotografie solo “passabili”, che servissero meglio alla narrazione del progetto.

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Questa è la definizione ufficiale della FIAF (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche):

“Si può intendere per “portfolio” un complesso coerente di immagini finalizzate a esprimere un’idea centrale. I soggetti delle singole foto (il “cosa”) e il modo scelto dal fotografo per rappresentarli e ordinare le immagini in sequenza utilizzando il valore espressivo degli accostamenti (il “come”) devono essere in grado di comunicare con logica e chiarezza l’idea scelta dall’autore e, cioè, il significato del portfolio (il “perché”). I “significati” possono spaziare in molte direzioni: documentaria – narrativa tematica o artistica – creativa – concettuale o altre ancora.”

Comitato di Direzione FIAF, 2004

Secondo Fulvio Merlak, Presidente d’Onore FIAF

“Il «portfolio fotografico» è un insieme coerente di fotografie finalizzate ad esprimere un significato, ovvero un concetto reso manifesto non solo in virtù del contenuto delle singole componenti ma anche grazie alla loro felice concatenazione.”

Secondo Enrico Stefanelli, direttore del Photolux Festival di Lucca:

“La lettura dei portfolio sta sempre più diventando un punto di riferimento sia per coloro che si sono avvicinati da poco alla fotografia che per coloro che sono già in uno stato avanzato del loro percorso.

Anche i professionisti più affermati si rivolgono a persone di loro fiducia per editare un libro, una mostra, ecc.

Ormai moltissimi festival, o manifestazioni fotografiche in genere, offrono al pubblico la possibilità di poter usufruire della lettura portfolio e, in queste occasioni, ultimamente mi è capitato di assistere a due tipi di approccio:

– Da un lato coloro che vivono la fotografia come un hobby, una passione, e che si fanno leggere il portfolio per avere un consiglio o per avere delle conferme sulle fotografie realizzate;

– Dall’altro professionisti, o coloro che vogliono avviarsi alla professione, che mostrano le fotografie per capire se le stesse possano essere destinate al mercato editoriale ovvero a quello delle gallerie e dei musei.

Anche nell’ultima edizione del Photolux Festival per la lettura dei portfolio sono stati scelti non solo i photoeditor ma anche galleristi e editori.

Nel caso dei photoeditor, inoltre, la scelta è ricaduta su professionisti provenienti dalle più importanti realtà europee in modo di dare la possibilità al pubblico che generalmente non  viaggia, di poter mostrare il loro lavoro e ricevere una critica da un punto di vista non usuale per l’Italia, in modo che ci si possa rendere conto di quali siano le dinamiche estere o i metri di valutazione che esistono nei vari paesi al di fuori dei nostri confini, non solo geografici.

Nell’ultima esperienza, quella del Festival di Arles, ci era stato richiesto esplicitamente, ad esempio, di dare un aiuto concreto a coloro che venivano a mostrarci le loro fotografie, dando loro dei consigli non soltanto da un punto di vista estetico o di linguaggio, ma anche di metterli in contatto con il mondo editoriale o con galleristi o direttori di musei, insomma, un avviamento al mondo professionale.

Credo, quindi, che molto riguardo debba essere posto scegliendo con attenzione a chi far leggere il proprio portfolio in base agli obiettivi che ogni fotografo si pone e ai risultati che vuole raggiungere, così come un buon esercizio sia quello di andare a vedere numerose mostre, ma soprattutto leggere i libri fotografici e cercare di capire l’editing che vi sta dietro.”

Secondo Antonio Grassi, delegato FIAF:

“Credo che la fotografia sia un linguaggio aperto, un mezzo di comunicazione universale assolutamente idoneo a essere contaminato da altre forme di espressione artistica, che a loro volta portano a nuove riflessioni e con esse arricchirne e completarne il significato.

Considero il portfolio la naturale evoluzione di questo pensiero, senza prevenzioni di ordine tecnico o concettuale, nella più ampia libertà di espressione possibile”.

Secondo Laura Davì, photoeditor:

“Il portfolio, in assenza di regole precise e nette che ne delimitino i confini, è per me prima di tutto la presentazione di un progetto. Nel progetto si sa cosa si deve fare (almeno lo si dovrebbe) e si sa come lo si vuol fare (come diceva Carlo Sini nel suo libro Pensare il progetto).

Il portfolio è il frutto di un lavoro molto complesso.

Per questo può presentarsi in forme assai diverse: narrazione cronologica di una storia, raccolta puramente estetica dei propri scatti migliori (o almeno ritenuti tali), racconto per contrapposizioni e contrasti, espressione di un’emozione, di una denuncia, di una suggestione…

Il portfolio è altresì il mezzo attraverso cui vengono mostrate qualità artistiche e tecniche, personalità, il modo in cui si sviluppano idee e capacità di valutazione e di scelta di ogni immagine”.

Spero vi sia stato d’aiuto, se vi interessa l’argomento, ecco il mio libro che parla di questo:

Il portfolio fotografico

Ciao Sara

Il fotografo invisibile.

Le foto migliori che ho fatto, sono sicuramente quelle in cui, nella scena, nessuno mi aveva notata. Ma come si fa ad essere poco visibili?
Vi dico quello che ho imparato io.
Non è una cosa semplice che ho imparato al volo. Quando ho cominciato a scattare fotografie per strada, ero spaventata. Spaventata dalle potenziali reazioni della gente, dalle distanze, dalle velocità dei soggetti che raramente riuscivo a sfruttare a mio favore.
Queste paure mi si riproponevano anche in interni, oltre che in strada.
Insomma, la paura di disturbare era fortissima.
A questo si sommava il problema del cambio completo della scena, nel caso in cui mi avessero notata. Alcuni si spostavano, altri sorridevano. La fotografia che mi ero prefissa di fare, non esisteva più.
Se vi trovate ad eventi organizzati, la gente accetta maggiormente la presenza di un fotografo, quindi in questi casi, non dovreste avere grandi problemi.
Per eventi organizzati intendo feste, manifestazioni ed eventi durante i quali molta gente partecipa.
Altri luoghi semplici sono i giardini, i luna park, i parchi divertimento.
In tutti questi casi non ho mai avuto grossi problemi. Quindi vi suggerisco di utilizzarli come “palestra” per imparare a sciogliervi sul campo.

Nel resto dei luoghi ho imparato che non sono e non posso essere invisibile (grazie al caz! ) ma ho la possibilità di:
– muovermi con naturalezza. Spesso quando vedo i “fotografi” in giro, saltellano come la pantera rosa, si muovono a scatti, si nascondono dietro i muri con l’occhio felino!
No! Questo è il modo peggiore. Dovete cercare di essere naturali, avere movimenti lenti e tranquilli.
– evitare di portare per strada troppa attrezzatura. Vedo fotografi con due corpi macchina al collo, uno in mano, ottiche di 30 cm….insomma tentate di passare inosservati. Sembrare uno sherpa non vi aiuterà.
– evitare vestiti vistosi  e troppo appariscenti. Soprattutto le donne che escono in minigonna coi tacchi e le calze a pois.
– evitare di ridere o parlare ad alta voce. Non attirate l’attenzione.
– evitare di muovermi velocemente, posso camminare tranquillamente, senza scatti.
Appena la gente vi riconosce come “fotografi” si chiederà chi siete, perché state scattando e dove finiranno quelle fotografie. E anche se doveste dire chi siete, si chiederanno se possono fidarsi di voi.
In questi casi apritevi coi soggetti, siate gentili e sorridenti fino a che la macchina fotografica non diventi il punto di unione tra voi e loro. Non siate rigidi e spiegate bene le motivazioni del vostro progetto. Dite loro che eventualmente manderete dei ritratti via email o riporterete alcune stampe del lavoro finito, in regalo.

Queste cose, che sembrano tanto normali, non sono rispettate da molti fotografi.
Se tutti questi accorgimenti non dovessero essere sufficienti per qualsiasi motivo, iniziate a correre…altra cosa per cui è meglio viaggiare leggeri.
Ciao
Sara

Cosa si cerca quando si fotografa.

Non so bene cosa cerco quando fotografo. Certo è che qualcosa sto cercando, non mi spiegherei altrimenti perché lo faccio da anni, con costanza, lentezza e passione. Crescendo mi accorgo che la fotografia che cerco riguarda il mio passato, qualcosa di lontano, qualche volta spaventoso.
Io scatto solo per strada o quasi. La strada e’ il mio mondo, da sempre. In strada trovo tutto quello che riconosco, tutto quello che mi serve.
Non fotografo di tutto, non tutto mi colpisce.
Non vorrei produrre immagini senza motivo (sicuramente mi e’ capitato, sicuramente mi ricapiterà). Mi serve che quella foto sia necessaria, almeno a me.image

Mi chiedo se sia davvero fondamentale che io mi muova tanto. Spesso fotografo paesi lontani ma sono certa che tutto quello con cui mi scontro, dall’altro lato del mondo sia qui, da qualche parte. Se uscite di casa e avete in mente di trovare una fotografia, la troverete.
La verità è che voglio vedere il mondo, mi piace, mi piace la gente, mi piace “il viaggiare”, lo zaino, la stanchezza, il cammino e più di tutto, il rientro.
Così, muovendomi nel mondo, porto a casa qualche fotografia e spero che qualcuna di queste riporti alla mente una storia, che vi evochi un ricordo.
Si, perché io scatto per voi, per mio nipote, per dire sono stata qui, una volta.
Sono felice di non spiegarmi bene, se questo avviene, nelle mie immagini. Sono felice che ciascuno interpreti come gli pare. Non ho la pretesa di documentare, non voglio questa responsabilità. Non voglio nemmeno essere certa di quello che sto dicendo, con la foto. Vorrei rimanere in equilibrio tra curiosità e stupore, fino alla stampa finale. Capita. Bellissimo.
Oggi ho finito un lavoro che durava da anni, per questo vi scrivo. Spero di avere occasione di mostrarvelo un giorno, magari in un libro, o no.
Ciao Buona giornata! Sara

Cosa è la VERA fotografia? Io non lo so, e voi?

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Facendo un giro in internet, mi sono imbattuta in questa immagine che dovrebbe rappresentare il timbro di un notissimo e stimato (anche da me) autore italiano.

Lui attesta che, quella su cui è apportato il timbro, sarebbe una vera fotografia…

Ma che cavolo è la VERA fotografia?

Che cavolo vuol dire non corretta, modificata o inventata al computer?

Non ce l’ho con Gardin, figuriamoci. Esponente romantico della storia della fotografia italiana, ho grande rispetto per lui  e il suo lavoro.

A mio parere, però, non c’è niente che abbia senso nel suo timbro, a parte la firma.

Vera fotografia, la vera fotografia quindi è esclusivamente analogica?

Una foto ritoccata, non è valida.

Una foto inventata, vabbè, non è nemmeno da chiarire, se si trasforma in un fotomontaggio che trasfigura totalmente la realtà, spero che i fruitori se ne rendano conto, ho fiducia in loro.

Il timbro è stato solo uno spunto per pensare a questo. Buona giornata! Sara

 

Cosa è la street photography?

Difficile definire la Street photography, o forse no, ora ci provo. Questo è quello che so io, un parere.
E’ sicuramente un genere legato alla fotografia di reportage, dal quale si slega dal mio punto di vista, per la “non progettualità”. Ogni scatto vale a sé, ogni scatto è un fermo immagine della vita urbana ripresa nella sua ordinarietà, trattando della vita urbana differenti tratti:
Tristezza, allegria, singolarità del gesto, bellezza e ironia.

Anche se, ogni scatto è una storia, ci sono lavori per prendono corpo nella Street, per diventare vere e proprie ricerche fatte da noti autori.

La Street è il racconto della società di oggi che i fotografi tracciano per gli uomini di domani.
La vita di tutti i giorni, le stranezze e le caratteristiche della nostra società, oggi, qui.

Non è semplicemente “Lo scatto fotografico fatto in strada” .

Ogni scatto deve contenere un racconto che si accattiva l’attenzione del fruitore, che pungolato, si costruisce una storia attraverso gli elementi che il fotografo gli mostra.

Solitamente non c’è contatto coi soggetti che sono semplici passanti.
Questo è secondo me straordinario, perché prevede una grandissima capacità del fotografo di entrare in relazione con il mondo circostante, per catturarne l’eccezionalità.

Spam! Ecco una storia nello scatto.

Ogni scatto di Street ci rivela un piccolo mondo, un’ eccezione!
Non basta una foto per strada buttata lì, mentre in qualche caso basta un particolare, una parte di corpo una gestualità…

Ricordate che comunque, per qualsiasi genere fotografico, il fotografo viene “giudicato” per l’insieme di scatti che produce, non per uno scatto qui e uno lì.

L’eccezione di cui parlo può essere relativa ad un’azione, ad un soggetto particolare, ad una luce grandiosa, a relazioni tra soggetti diversi nell’immagine, dipende dall’approccio del fotografo.

Ho sempre considerato la Street un gioco tra fotografo e mondo…il mondo scorre ed il bravo street photographer lo blocca in un rettangolo, una frazione di secondo, uno schiaffo, per raccontare un piccolo stralcio di quel mondo, una piccola faccenda interessante, una storia.

Mi chiedi che differenza c’è tra Street Photography e ritratto ambientato.
Ti stai già rispondendo nella domanda, secondo me.

Se il ritratto è ambientato, si presuppone un intervento del fotografo. Ti prendo e ti metto lì, quindi è un ritratto.
Io rimango dell’idea che la street, quella vera, presupponga una NON conoscenza tra fotografo e fotografato.
Il significato si racchiude nelle parole “tiro a segno”. Tutto accade intorno a me ed io, zitto zitto, ti catturo e di te racconto un attimo, che in sé racconta una storia.

Nel momento in cui ci sia un intervento da parte del fotografo o un aiuto da parte di qualcuno, decade il gusto della “caccia”.
Nessuno sa, a scatto fatto, se ti sei fatto aiutare o meno, ma l’etica del fotografo (ormai quasi completamente accantonata) dovrebbe condurlo a non fare cazzate…insomma:
Non è la fotografia che mente, siamo noi fotografi. Ciao baci Sara

Elenco di Street photographers ( non completa ma sostanziosa)

Berenice Abbott
Christophe Agou
Yūtokutaishi Akiyama
Nobuyoshi Araki
Eugène Atget
Xyza Cruz Bacani
Shirley Baker
James Barnor
Lou Bernstein
Brassaï
Manuel Alvarez Bravo
Henri Cartier-Bresson
Mark Cohen
Joan Colom
Bill Cunningham [2]
Maciej Dakowicz
Peter Dench
Robert Doisneau
Ken Domon
Don Donaghy
Nikos Economopoulos
Alfred Eisenstaedt
Martin Elkort
Elliott Erwitt
Walker Evans
Arthur Fields
Robert Frank
Leonard Freed
Lee Friedlander
Cristina García Rodero
Herbert Gauls
William Gedney
George Georgiou
Bruce Gilden
Shigeo Gochō
Sid Grossman
Hiroshi Hamaya
Siegfried Hansen
Erich Hartmann
Tadahiko Hayashi
Lewis W. Hine
Yasuhiro Ishimoto
James Jarché
Richard Kalvar
Osamu Kanemura
André Kertész
Hiroh Kikai
Ihei Kimura
William Klein
Josef Koudelka
Seiji Kurata
Kineo Kuwabara
Dorothea Lange
Jacques-Henri Lartigue
Jens Olof Lasthein
Guy Le Querrec
Arthur Leipzig
Yau Leung
Thomas Leuthard
Helen Levitt
Vivian Maier
Susan Meiselas
Louis Mendes
Jeff Mermelstein
Olivier Meyer
Joel Meyerowitz
Xavier Miserachs
Lisette Model
Inge Morath
Daidō Moriyama
Shigeichi Nagano
Masatoshi Naitō
Nek Vardikos
Hildegard Ochse
Mitsugu Ōnishi
Trent Parke
Martin Parr
Mark Powell
Raghu Rai
Tony Ray-Jones
Ronny Robinson
Willy Ronis
Boris Savelev
Jamel Shabazz
Irakly Shanidze
Raghubir Singh
Aaron Siskind
W. Eugene Smith
David Solomons
Brandon Stanton
Fred Stein
Louis Stettner
Gary Stochl
Beat Streuli
Christer Strömholm
Issei Suda
Homer Sykes
Yutaka Takanashi
Takeyoshi Tanuma
Sam Tata
Anya Teixeira
Alexey Titarenko
Toyoko Tokiwa
Haruo Tomiyama
Peter Turnley
Jeff Wassmann
Garry Winogrand
Alex Coghe
Michael Wolf
Tom Wood
Michio Yamauchi
Nakaji Yasui
Street photographers

Baci Sara

Fotografare con piacere, fotografare per piacere

Non voglio prendere tempo, voglio scattare qui e ora.

Non voglio una luce migliore, una nuova ottica, un vacanza a Roma, non voglio aspettare.

L’unico modo per imparare a scattare fotografie che lascino qualcosa a qualcuno è sfidare me stessa fino a che avrò modo di tenere la macchina in mano.

Voglio continuare ad imparare. Se potete e non siete fotografi professionisti (quindi non avete committenza di nessun tipo) divertitevi, non tentate di impressionare con le vostre fotografie. Producete immagini e divertitevi.

Se siete davvero amanti della fotografia, se siete professionali nella vostra produzione, prendetevi cura delle vostre esigenze creative, non perdete la passione.

Non prendete scuse dicendo che non avete tempo, scattate nella pausa pranzo, sul treno, anche sul gabinetto, ma non perdete la passione. 20 minuti al giorno vi faranno ottenere risultati eccellenti se scattate con coerenza e perseveranza.

Ho visto tanti fotografi perdere la passione e accartocciarsi sugli stessi soggetti, sugli stessi ritocchi per anni.

È difficile rimettersi in discussione, uscire dai confini conosciuti, sfidare se stessi. Per questo dico di non perdere la passione e nemmeno la pazienza.

La cosa fantastica è che tutto questo è indipendente dalle nostre capacità fotografiche.

Ci basta la curiosità, quella ci vuole, senza quella lasciate stare. Non serve a nulla accanirsi su una cosa di cui non ci frega un cacchio!

I soggetti vanno bene tutti, tutti quanti.

L’unica cosa che so per certa è voglio consigliarvi, dato che lo sto imparando sulla mia pelle, NON fate fotografie per compiacere agli altri. Non fatelo, correte il rischio che questo atteggiamento si trasformi in una gara con “i simili” e alla fine ci si rompe le palle.

Da ora in poi proverò a lavorare solo per me. Per il piacere di raccontare storie, se potrò e se avrà senso per me.

Questa Confessione mi costerà cara, lo so.

Vorrei raccontare di soggetti comuni e trasformarli in straordinari per farveli godere…non so, una cosa così più o meno. Certo ci saranno delle giornate perfette e delle giornate di vera merda, ma da oggi prometto più impegno per essere fedele a me stessa più che al pubblico.

Se farò schifo ditemelo! Mi serve crescere.


Quando il lettore di portfolio è poco preparato? Sottoporre le foto inutilmente.

A seguito di una richiesta specifica fatta da un mio lettore del blog, tenterò di essere più precisa su cosa credo debba essere una lettura portfolio.

Una prima indicazione che vi do è che se il lettore non riesce a chiarirvi le idee su quanto segue, alzatevi e salutate.

Ho assistito a letture portfolio di diversi “professionisti del settore”, spesso mi sono fatta domande sull’utilità di una lettura fatta in maniera approssimativa, che non desse indicazioni o che si basasse sul “mi piace” “non mi piace”.

A chi si presenta a lettura, non importa solo che al lettore piaccia o meno il lavoro, bensì vorrebbe qualche indicazione, consiglio o possibilità di lavoro.

Per questo motivo:

Prima di partecipare, informatevi sul profilo professionale dell’esperto. Scegliete in base all’intento per il quale avete prodotto il vostro portfolio: editare un libro, ottenere un parere, preparare un’esposizione, essere pubblicati su un giornale, preparare la partecipazione a un premio. Il proprio lavoro può essere sottoposto agli esperti per tre motivazioni principali:

• Si ha la necessità di migliorare il proprio portfolio. In questo caso il critico dovrebbe suggerirvi come potete migliorare la vostra produzione. Cosa togliere, aggiungere e cambiare affinché la comunicazione delle vostre immagini risulti più chiara al fruitore finale.

• Si ha la necessità di trovare una collocazione per il proprio lavoro. Si sceglieranno galleristi e operatori nei musei, nel caso l’intento sia espositivo, photoeditor di giornali o agenzie, se il proposito è quello legato alla possibilità di cominciare collaborazioni lavorative.

• Si ha la necessità di un confronto. In questo caso si preferiranno colleghi fotografi.

In ognuno dei casi dovreste ricevere informazioni precise e pareri pratici per perfezionare il portfolio e per giungere all’obiettivo prefisso. Ogni critica dovrebbe essere costruttiva e aiutarvi a crescere dal punto di vista fotografico. È probabile che questi incontri non cambino repentinamente la vostra situazione come fotografo, ma vi saranno sicuramente utili per prendere contatti e sviluppare la vostra tecnica.

Purtroppo mi è capitato di ritenere che non stesse avvenendo un confronto con il lettore, piuttosto una costatazione di incontro di gusti o meno. Così NON SERVE.

Spesso mi giudicano troppo severa nelle letture. Io non mi diverto a dare un parere costruttivo (dal mio punto di vista) è il mio mestiere. Devo farlo. Al fotografo di turno, non dovrebbe importare che a me, il lavoro, piaccia o meno. Quindi il sentirsi dire “bravo” che utilità ha, se effettivamente il lavoro è mediocre, l’editing non funziona, il messaggio non arriva ecc.ecc. Se cercate esclusivamente plauso, non è a lettura che dovete andare… fate vedere le foto agli amici e vi diranno che sono fantastiche!

Al contrario, ci sono lettori poco preparati (magari lo sono stata anche io in qualche occasione ed è per questo che continuo a studiare, tentare di capire e mi metto in gioco sia fotograficamente, che come lettrice)…senza termini di paragone fotografici, incollati come cozze ad un genere solo, dal quale non si scappa’, incapaci di dire una parola in più. Addirittura quasi preoccupati di doverla dire.

In questi casi la lettura è nulla, una perdita di tempo. Quindi la responsabilità è equamente suddivisa. Ci vuole tempo per imparare a parlare con la fotografia…non dovete temere il giudizio e fidarvi di chi AVETE SCELTO per farvi una lettura.

Bisogna farsi il culo per studiare, capire, macinare stili e trovare sempre una cosa utile da dire a chi porta le foto…non tutti sono disposti a farselo!

Da tutte e due le parti ci possono essere pirla equamente distribuiti.


 La Mia battaglia con la fotografia

Io sono in guerra con il tempo, sono in guerra da quando ho dato spazio alla fotografia.

Ammiro i miei amici fotografi in giro per il mondo, li ammiro perché camminano su strade accidentate, incontrano il peggio della vita e portano una piccola fiaccola a noi, ci raccontano la disperazione e mentre io lotto con il tempo e la mia testa, loro lo fermano, il tempo.

Lo domano. Ogni fotografia è una scudisciata della frusta sul leone del circo. Tutto si ferma e lì c’è tutto.

La mia battaglia è diversa, è quotidiana, umile ma violenta.

Io li ammiro e li invidio, loro.

Nelle fotografie ciò che guadagnano è l’ispessirsi del contorno della storia del mondo.

Nelle mie fotografie ciò che guadagno lo perde il mio soggetto. Non documento, guardo, interpreto, cerco di spiegare la condizione di alcune situazioni, ma non documento, effettivamente.

Forse avrei troppa paura di scoprire che il battere della vita del mondo, non mi va giù, mi scuote troppo. Se mi imbatto nei lavori del fotogiornalismo, quello straziante, quello che fa incazzare, quello non leccato, i miei peli si sollevano tutti e rimango ispida per un po’.

Tutto in loro è incontrastabilmente vero, la memoria si appiccica alle immagini che producono e il soggetto sopravviverà sempre, pulsante, nel luogo del fotogramma.

Io voglio che la mia fotografia muoia con me. Toglierei anche il vento dalle mie foto.

Sara

E voi che mi leggete, che rapporto avete con le vostre immagini?


Vi do alcune buone ragioni per non fare i fotografi.
Io amo il mio lavoro, non fraintendetemi, ma spesso non è semplice. Ho molte soddisfazioni, soprattutto negli ultimi anni, le cose stanno andando davvero molto bene.

Mi chiamano in giro per l’Italia e tengo conferenze, letture portfolio e workshop. Considerando poi la parte pratica sono ancora più fortunata, i miei lavori riscuotono un buon successo, vinco premi, espongo in Italia e in Europa…insomma che cacchio voglio di più?
Niente, io niente, ma vedo un sacco di giovani e adulti che si avvicinano alla Fotografia con leggerezza (questo potrebbe essere positivo) e superficialità, questo non lo è mai, positivo.
Quando dico che SONO fotografa, la reazione è, nella maggior parte dei casi di meraviglia e invidia, senza considerare che poi aggiungono “Sai, anche mio cugino fa il fotografo, fa matrimoni per gli amici”…e già mi parte l’embolo! (non per i colleghi fotografi di matrimonio che fanno un bellissimo lavoro ricco di soddisfazioni, ma, appunto per l’abuso della parola fotografo, che qui non approfondisco, anche perché ho già detto il mio parere riguardo.)
L’altra parte di popolazione mi compatisce, pensa che tutti i fotografi facciano la fame. In parte è anche vero, rispetto alla difficoltà per ottenere un buon progetto a livello documentativo o concettuale, il riscontro può essere davvero misero.

Io amo quello che faccio, mi emoziona e mi diverte e poco altro mi interessa.
Adesso vi spiegherò invece, quali sono a parere mio, tutte le difficoltà che incontro nel mio lavoro.

Io non ho orari, non ho giorni liberi, lo sanno bene gli amici più cari che fanno davvero fatica a beccarmi libera per una pizza un caffè, spesso mi ritrovo ad inserire anche loro in agenda, come appuntamenti e questa è una cosa che non mi piace, mi rattrista, ma non posso fare altrimenti. Mio nipote mi ha chiesto una volta: Zia, sei a casa o a cercare lo yeti? (Si riferiva ad un prossimo viaggio che devo fare in Siberia) Quando torni mi porti una sua foto? E io, ma amore, sono a Roma e lo yeti, non so se esiste… Lui, ah, allora sei vicina, vieni a portarmi l’uovo (Kinder)!

Vai a spiegargli che, tra aereo e tutto ci sono 4 ore di viaggio. Vai a spiegargli che lo yeti, non esiste ( ma potrei fotografarlo…) ecco a volte ci sto male!
Essere sempre in giro è, per la maggioranza delle persone, un fattore positivo. Vi assicuro che essere sempre in auto, in aereo, cambiare hotel e dormire soli, non è così simpatico. Trovo invece che mangiare sola, sia bellissimo. Per il resto è un incrocio di biglietti posizionati in ordine di utilizzo, nel cassetto della cucina.

Per diventare fotografi, fotografi davvero, bisogna avere una grandissima pazienza e perseveranza. Tenere duro, accettare di produrre progetti che, sebbene creati con la massima curanza e professionalità, fanno schifo. E fanno schifo, punto. Dedichi tempo a costruire storie che non funzionano…specialmente nel mio caso, dove la vendita a giornali o agenzie è secondaria, quindi le pippe mentali te le fai praticamente, da solo.

Il lavoro ha molti saliscendi economici, ci sono mesi che si guadagna davvero bene, altri che non si guadagna un cacchio, poi ci si abitua, ma io ho sempre come si dice, un po’ di pepe al culo.

Capita di passare lunghi periodi senza trovare ispirazioni e poi di colpo tutto succede, succede in 15 minuti e tu devi essere pronto, concentrato reattivo, non è per tutti, dico davvero!

Ormai siamo TUTTI FOTOGRAFI, se non siete più che sicuri del vostro lavoro, ci sarà sempre chi sarà pronto a prendere il vostro posto. Questa condizione diminuisce con il crescere della vostra professionalità e fama, ma all’inizio è una lotta. Poi la “lotta” comincia con te stesso e continua, credo, per sempre.

Noi non abbiamo un albo, non siamo riconosciuti, non abbiamo tutele, con tutte le conseguenze di questa condizione.

Un’altra cosa che mi spiazza, ma questa riguarda solo me forse o altri, non so. La gente parla, parla, parla di fotografia, intavolando delle discussioni infinite su cazzate fotografiche infinite. Avere pensieri legati alla Fotografia include dover studiare continuamente, leggere, vedere nuovi autori, capire le cose del mondo e avvicinarsi a queste con umiltà, curiosità e passione.
Continua…..Ciao Sara


In breve come si giudica una fotografia

Questo post nasce in seguito ad un commento sgarbato di un lettore su FB, il quale sosteneva che ci sono stronzi che giudicano le immagini male perché sono stronzi, senza considerare che, in qualche caso le nostre fotografie fan cagare, e mi ci metto pure io tra quelli che possono produrre immagini di merda.

Tengo numerose letture porfolio in giro per l’Italia, mi sono accorta che, molto velocemtente, e intendo in tre o quattro secondi, gli elementi che guardo sono sempre gli stessi.
Ecco qui le principali caratteristiche (non in ordine di importanza) che si guardano in una fotografia per giudicarla:

Dal punto di vista estetico:
Composizione. Si controllano elementi grafici, rapporto tra figura e sfondo, rapporto tra i pesi cromatici, bilanciamento degli elementi all’interno dell’immagine insomma…
Luce. Importantissima. L’illuminazione influenza la composizione, il fuoco, e le impostazioni poste in atto per ricreare l’immagine. Dalla luce dipende l’atmosfera della fotografia. Se la luce fa schifo, la foto fa schifo, a meno che la potenza del contenuto dell’immagine sovrasti l’importanza dell’illuminazione.
Tecnica. Utilizzo degli elementi tecnici per riprodurre il vostro soggetto. Esposizione, profondità di campo, ottica etc. etc.

Dal punto di vista del contenuto:
Messaggio. L’immagine ci dice quanto fosse nelle intenzioni del fotografo? L’immagine è funzionale allo svolgimento della “storia” che stiamo raccontando? Esprime il giusto concetto?
Attimo. La scelta del fotografo avviene per un determinato attimo. E’ l’attimo corretto? E’ il momento chiave?
Emozione. Il sentimento nel quale ci immedesimiamo è quello che il fotografo avrebbe sperato?

So che è breve quello che ho scritto e che sono stati scritti trattati interi su queste cose, so anche che se scrivo di più vi stancate e mi mandate a quel paese, spero questi siano spunti interessanti, per farvi ragionare sulle vostre immagini. Quindi rispondo alla persona che ha scritto: Il giudizio sulle fotografie delle persone, se dato professionalmente, sottostà a molte condizioni, come vedi e comunque diffidate sempre da chi, del vostro lavoro, dice semplicemente “Mi piace”, “Non mi piace”. Non serve a niente, né a chi giudica, né a chi viene giudicato.

Se secondo voi manca qualcosa, ditemi che aggiungo!!


Definizione di “fotografo”

Dopo aver tirato qualche “saracca”, vi comunico che, cercando la definizione di fotografo sul dizionario ho trovato questo:
Fotografo: Chi esegue fotografie, professionalmente o occasionalmente.
Come dire che lo scrittore e’ chi scrive parole occasionalmente o professionalmente.
Il cuoco e’ colui che cuoce cibi occasionalmente o professionalmente.
Io mi chiedo, ma dove vogliamo andare?
Nemmeno la definizione del vocabolario italiano e’ corretta.
Siamo tutti, ma proprio tutti fotografi.


Voglio avere 8 anni.

Lartigue nasce in un’epoca difficile, piena di dolore. Eppure nella sua fotografia niente di tutto questo appare. E’ una fotografia leggera, fatta di gioco, luce e momenti sospesi.
Inizia a fotografare da bambino e continua per tutta la vita. www.lartigue.org

Ogni volta che tento di ricordare come vedevo il mondo da bambina, seppur sforzandomi di mettere a fuoco momenti belli di quel periodo, il quadro che ne esce e’ di un posto troppo grande, buio e quasi pericoloso.
Come vedono i bambini? La non consapevolezza e la verginità dello sguardo che segreti svela? Avendo a disposizione scarse informazioni generali e lasciati liberi di scattare, quante cose ci potrebbero insegnare sulla fotografia?


La fotografia richiede che ci si identifichi nei soggetti fotografati? Ci si immedesima nella scena?

Questa le domande su cui vorrei ragionare oggi.

La forza di una fotografia dipende dalla capacità del fotografo di comporre l’immagine, dall’interazione tra gli elementi. Talvolta non vuoi nemmeno dare informazioni precise su un fatto o su un luogo, vuoi piuttosto dimostrare cosa puoi fotografare, che potenzialità hai, fotograficamente,  di fronte a quel luogo. Io esprimo l’idea che ho di Fotografia, il mio modo di percepire il mondo attraverso uno scatto.

Qualche volta può essere che farmi coinvolgere dal luogo e dalla gente sia la strada migliore, affinchè il senso di appartenenza mi dia la possibilità di scattare meglio.

In qualche caso gli eventi sono effimeri eppure la resa dell’immagine è ottima. Il desiderio è spesso di tramutare lo scatto in icona.

Quanto è importante, quindi, l’interazione tra fotografo e soggetto?


Che cosa è la fotografia?
Posso dire cosa sia per me, fotografa, appassionata di storia (tanto da provare ad insegnarla) e di teoria della fotografia.
La fotografia che faccio è tutto ciò da cui sono esclusa. Riguarda la mia visione, quello che ho immaginato e tentato di rendere visibile a terzi, attraverso il mezzo fotografico.
Non solo io sono esclusa dalle mie immagini, insieme a me vi è tutto lo scorrere del mondo che ho evitato, per scelta, di inserire.
Non posso quindi credere che la comprensione delle cose della (mia) vita, possa avvenire attraverso quello che fotografo, che è una frazione di secondo:
incontrato
riconosciuto
fermato
il che esclude tutto lo scorrere reale delle cose.
«Mi ricordo bene lo stare alla finestra e guardare solo lo scorrere della vita» diceva Dorothea Lange.
Ecco io sono alla finestra, proprio la stessa finestra e sebbene tutto ciò che accade qui davanti è in continua mutazione ed infinito (fino al crollo della casa) non posso dire di aver compreso il mondo, né tantomeno di avere la possibilità di farlo comprendere.
Difatti un po’ la odio la “Fotografia”, parte da una bugia e finisce con un’altra.
La prima “palla” è la mia selezione del mondo, la scelta di quell’attimo, la posizione dei soggetti nel fotogramma.
La seconda “palla” riguarda chi guarderà le mie fotografie che, a sua volta, darà all’immagine l’interpretazione che potrà, in base alle sue conoscenze, al desiderio di capire, alle necessità.
Questa faccenda l’ho capita bene grazie a mia mamma, che nonostante sia lealmente (per amore) attenta alle mie vicissitudini, interpreta regolarmente in modo fantasioso e a me incomprensibile, i miei scatti.
Ecco quindi il problema del linguaggio fotografico, la capacità di comunicare e comprendere attraverso le fotografie.
Questo mi è ancora poco chiaro, anche se so per certo che non esista un linguaggio universale della fotografia, che parte dalla realtà, si, ma dalla realtà di chi ha vissuto quel determinato attimo. A chi guarda non resta che immaginare tutto ciò che nello scatto non è compreso per comprendere esclusivamente una frazione di secondo, insomma un casino.
Come fa un povero cristo a comprendere a fondo una fotografia?
L’interpretazione più veritiera ha a che fare con la capacità di giudizio, che deriva da conoscenze certe, su cui basare le proprie convinzioni nella lettura dell’immagine.
Ci si può basare sulla tecnica fotografica, sull’estetica o forma e sul concetto o messaggio.
Per quanto riguarda la tecnica, una volta che l’immagine è presa, poco importa la modalità con cui il fotografo ha raccolto e fermato il soggetto. Anche se la conoscenza tecnica porta il fotografo a svolgere la sua funzione, utilizzando al massimo le potenzialità del suo mezzo (si spera che quando serve sia in grado di farlo), il risultato è ciò che conta.
L’estetica è il modo con cui il fotografo ordina compostamente (o scompostamente) tutti gli elementi che andranno a formare l’immagine.
Il contenuto, a mio avviso la parte più importante, che riguarda il messaggio che il fotografo vorrebbe mandare attraverso le sue fotografie.
Da qui tutte le difficoltà…
Come oggetto la fotografia è un supporto su cui venga registrata un’immagine. Ma chi se ne frega.
Stando qui a scrivere, tra l’altro, perdo anche un sacco di tempo che potrei dedicare a fotografare.
Di recente ad una serata Ferdinando Scianna ha ricordato come, quando lui iniziò a fare fotografie, non vi fosse niente su cui documentarsi e che dunque tutto il tempo fosse dedicato a saggiare, scoprire e sperimentare.
Adesso, sebbene anche io mi diverta a farlo (e un po’ devo farlo per lavoro), siamo tutti concentrati nel dettaglio, del dettaglio, del dettaglio (sia ben chiaro, trovo le discussioni avvincenti e mi piace provare capire “il pensiero fotografico”), in parte abbiamo perso la voracità che caratterizza le grandi mangiate, le scorpacciate di Fotografia.
Alla prossima!
Sara

31 pensieri su “Pensieri di Mu.Sa.

  1. La definizione di Fotografo, non so dove tu l’abbia presa, ma se vai a leggere la Treccani la trovi corretta
    fotògrafo s. m. (f. -a) [comp. di foto-2 e -grafo]. – Chi esegue fotografie sia professionalmente (per conto proprio o al servizio di giornali, periodici, attività varie): fare il f.; andare dal f.; il f. di un settimanale illustrato, di un rotocalco, di una casa di mode; f. pubblicitario; sia occasionalmente: sviluppo e stampa per f. dilettanti; e con riguardo alla capacità, all’abilità: essere un bravo o un mediocre f., una fotografa esperta.
    Naturalmente stiamo parlando di puro lessico senza aggiunta di aggettivi o profondità dell’attività, allora andremmo a scomodare la parola arte
    Ciao
    Roberto

    • Ciao Roberto. Cavolo questa e’ precisa! Volevo solo far capire come sia difficile tentare di esserlo, quando, nemmeno il vocabolario, aveva una descrizione che accennasse almeno alla progettualità legata alla fotografia. Grazie mille per il tuo intervento. Ciao

      • Partecipo sporadicamente alle tue riflessioni perché per scelta ho deciso di isolarmi e di non condividere il mio percorso esplorativo nell’arte della fotografia perché per condividere è indispensabile che ci siano omogenee, non identiche, conoscenze in relazione all’argomento che si vuole e si intende affrontare.
        Ora mi permetto una personale riflessione a margine della tua riflessione/domanda.
        Innanzi tutto la fotografia è “ars” che in latino significa “tecnica”; quindi l’artista era ed è l’artigiano che ha acquisito una rilevante competenza tecnica (non necessariamente accademica si faccia riferimento al lavoro di Vedova nella pittura) e per tanto domini la propria capacità esecutiva al punto di poter sempre ottenere il risultato previsto.
        Ma la fotografia non è solo “ars” è anche “Ars” ovvero è in alcuni sporadici casi quell’attività che migliora, sviluppa o genera una nuova forma di linguaggio che, sebbene non perfettamente compreso, riesce a comunicare all’interlocutore parte delle complesse definizioni ed emozioni che intende esprimere.
        Perché tale linguaggio possa essere discretamente o profondamente compreso sono necessari: sensibilità, intelligenza, cultura, auto valutazione e sistematico desiderio di comprendere il mondo nelle sue molteplici manifestazioni.
        Tutto ciò mi è risultato evidente in forma embrionale sin dal primo momento in cui ho potuto scattare una fotografia all’età di 4 anni.
        Ora ogni individuo ha il diritto e la possibilità di avviarsi sulla strada che può percorrere e che gli è più confacente:
        la strada della fotografia come “ars” è intenso e appagante artigianato e richiede un continuo lavoro di divulgazione e di diffusione delle proprie capacità ovvero è marketing che deve essere attuato in modo concorde alla realtà contemporanea;
        la strada della fotografia come “Ars” è un viaggio nell’universo assoluto del linguaggio come architettura di comunicazione stratificata e simbolica (come la gran parte dei linguaggi esoterici quali la cabala ebraica per intenderci); questo percorso è assoluto, impone di venir analizzato con parametri assoluti e si pone come unico scopo l’interazione o dell’artista solo con se stesso o dell’artista con soggetti omologhi; in questo secondo caso la fotografia è un percorso privato che il mondo non ha alcun diritto di conoscere per potersene avvalere; l’arte è solo ed esclusivamente dell’artista che ha il solo compito di creare metodi di comunicazione più complessi, esaurienti ed efficaci per poter esprimere l’universo emozionale di cui l’artista è protagonista; in questo secondo percorso nessun serio artista, oggi, divulga il proprio lavoro se non per scopi strettamente sociali (dare gioia e speranza a persone che non possono avvalersi del diritto di vivere i propri sogni ad esempio) e solo se è piena ed esclusiva volontà dell’artista farlo; altrimenti ogni artista ha il compito di percorrere tutta la propria vita perseguendo l’assoluto ma ha anche il diritto dovere di non diffondere il risultato della propria esistenza perché sarebbe un atto di assoluta insipienza perché permetterebbe a delle persone incapaci e non meritevoli di simulare capacità e sensibilità di fatto inesistenti.
        Quindi non puoi stupirti perché oggi gli artisti evitano attentamente di divulgare il proprio lavoro e diffonderlo in un mondo costituito prevalentemente da analfabeti funzionali diplomati e laureati totalmente privi delle basilari doti necessarie per potersi porre in rapporto con l’arte.
        Il lavoro di un artista è il suo diario di viaggio redatto perché altri possano avviare nuove esplorazioni e quanto contenuto in quel diario non è una narrazione linguistica dell’esperienza ed una descrizione dei luoghi ma è un articolato e complesso generatore di stimoli che produrranno i loro effetti su chi avrà le capacità e le doti per venir colpito e stimolato.
        Con questo concludo questa mia inopportuna intrusione nel tuo blog.
        Per dare una piccola idea della fondatezza di quanto scrivo: fotografo dall’età di 17 anni, ho realizzato 162 mostre, le mie foto sono state accettate dalla Bibliotheque National de France, ho accettato di fare una sola mostra, formale, dopo 4 anni che fotografavo (Il popolo del silenzio, un lavoro sui clochard milanesi) per ringraziare Bellina Antonio, un fotoamatore, che mi aveva permesso di dedicarmi alla fotografia e poi ho accettato di partecipare a Paris Photo Bis nel 2001 per la qualità del lavoro di Marc Martinez, il curatore e creatore, ed infine ho accettato di fare con mia moglie 40 mostre in un piccolo spazio privato espositivo nel quartiere di Pietra la Croce ad Ancona dove il maestro serigrafo Lamberto Moroni detto Franco voleva dare la possibilità agli abitanti del quartiere di poter beneficiare di stimoli culturali gratuiti. Ho creato con mia moglie An indian diary nel 1996, abbiamo ottenuto 4 minuti di recensione da Mediamente condotta da Massarini. Questo solo per precisare che, com’è mia abitudine, non esprimo mere supposizioni o personali opinioni ma pareri.
        Ho concluso e non disturberò più

      • Buongiorno, mi ha fatto piacere che abbia condiviso il suo pensiero, grazie.
        Spero che ci siano ancora artisti nascosti da scoprire in tal caso…e aspetto fiduciosa, buona giornata.

      • Una semplice precisazione alla risposta della signora Munari Sara al mio commento che è pubblicato di seguito.
        Quanto ho scritto in risposta al precedente commento è stato solo dettato dal bisogno di precisare. Per quanto riguarda lo “essere nascosti” rivolto ad alcuni artisti ritengo sia una dichiarazione espressa senza aver correttamente compreso quanto da me dichiarato: io non sono un artista nascosto perché, parafrasando Deshimaru Roshi, non c”è nessuna entita da cui nascondermi ne alcuna struttura gerarchizzata a cui nascondermi. Sono un artista ed in quanto tale vivo e produco solo per me stesso il resto è vento.
        Quindi il mio intervento non era orientato ad un’auto promozione, scopo di per se grottesco, ma aveva solo l’intento di precisare una serie di dichiarazioni palesemente imprecise e non esaustive.
        Il mio lavoro lo conosco perfettamente, ciò che sono riuscito ad esprimere o ciò che non sono riuscito ad esprimere lo so perfettamente perché nessuno si può avventurare nel cammino dell’arte se prima non ha conseguito la capacità di essere un rigoroso e severo critico d’arte al fine di comprendere, senza illusioni e senza fraintendimenti, ciò che sta realmente facendo.
        Quando ci incamminiamo sul sentiero dell’arte siamo permeati ed invaghiti dal senso della storia e dall’illusione di dovervi appartenere in modo formale, ma dopo aver percorso un po’ di strada, se siamo seriamente artisti, comprendiamo che l’arte è un’esperienza totalmente privata e personale che genera e attua la piena capacità di auto valutarsi ed auto analizzarsi (senza tali capacità non si fa arte si producono solo banali calenbours) e quindi la piena capacità di comprendere il proprio tempo storico con la conseguenza di saperlo definire e delineare con efficacia (a mero titolo di esempio si deve ricordare Il giuoco delle perle di vetro di Hermann Hesse e Ceci n’est pas un pipe di Magritte che ha cancellato totalmente la possibilità di esprimere poetiche che legittimassero l’alterazione dell’oggettività come poi fecero Duchamp e Kossut).
        Essere in cammino sulla strada dell’arte è esaustivo e non necessità ne di un pubblico ne di una approvazione perché chi agisce per creare un elemento di comunicazione complessa è perfettamente in grado di giudicare il risultato autonomamente perché per essere artisti e non soggetti gravati da disturbi della personalità è indispensabile essere consapevoli ed oggettivi.
        Quindi, preso atto che è inevitabile essere incompreso e frainteso, la ringrazio perché mi ha fornito ulteriori elementi probatori che, dopo aver effettuato le ultime verifiche, mi permetteranno più agevolmente di dedicarmi solo all’arte fotografica e poi, prima della mia morte procedere con la totale distruzione di tutto ciò che ho realizzato rendendo comprensibile ciò che ho compreso.
        E’ sempre utile avere sporadicamente confronti ed agevola nel compimento del proprio scopo.
        La ringrazio e la saluto definitivamente perché non abbiamo, evidentemente, nulla da dirci.
        Buona giornata ed auguri per il suo lavoro

      • Caro Sig. Casimiro, il mio commento non era rivolto a lei, che già conoscevo, ma in generale a chi possa, grazie al tempo, essere riscoperto. Non stavo parlando di lei, anche se lei può esprimere e conseguentemente approcciarsi alla sua “arte” e al suo cammino nella vita, come meglio ritiene opportuno. La ringrazio nuovamente per l’intervento e lo stimolo a capire meglio, buona giornata

      • Dopo aver letto e compreso la sua risposta prendo atto da tutto ciò che questa risposta evidenzia e conferma e la saluto ribadendole i miei migliori auguri per il suo lavoro e per la sua carriera. Rientro nel mio salutare, edificante, efficace non che piacevole isolamento cancellandomi dal suo blog in modo da non importunare più.
        Cordiali saluti e addio

      • Buongiorno, scusi ma ha mangiato pesante? Io son stata educata e carina. Lei acido dal primo commento. Non capisco. Comunque, sempre gentilmentee dico, si, se non le interessa il Blog è più che lecito che si cancelli, buona continuazione! Buona giornata a lei. Sara

  2. come ho scritto anche via mail vi ho scoperto da qualche giorno
    uso la fotografia con bambini della primaria
    scattano liberamente in diverse situazioni dentro e fuori scuola
    poi, in base a un obiettivo narrativo o di condivisione di idee, emozioni, altro..
    selezioniamo i materiali e “montiamo” in stringhe, significative per i partecipanti, un brevissimo racconto fotografico.
    lavorare con loro è bellissimo
    ovviamente le fotografie migliorano da un punto di vista estetico compositivo con il tempo e la pratica,
    questo non è un primo obiettivo per me
    in questa attività il momento significativo è la discussione sulla scelta degli scatti e la loro consequenzialità
    la discussione può diventare perfino filosofica oltre che comunicativa, estetica ..

    • Marta, ti ringrazio moltissimo, mi fa davvero piacere, grazie mille per la tua mail…spero continuerà a servirti il blog, se hai suggerimenti, io son qui! Ciao Sara

    • ciao io è da molto che ho in mente un progetto di questo tipo nella scuola delle mie figlie..potresti raccontarmelo un po così magari prendo spunto?! grazie

  3. Cit. “La gente parla, parla, parla di fotografia, intavolando delle discussioni infinite su cazzate fotografiche infinite. Avere pensieri legati alla Fotografia include dover studiare continuamente, leggere, vedere nuovi autori, capire le cose del mondo e avvicinarsi a queste con umiltà, curiosità e passione.”

    Quanto hai ragione… aggiungo solo che per avere una visione più oggettiva del proprio “lavoro fotografico” è sempre bene avere un secondo parere, gli altri sono in grado di essere più onesti con le nostre immagini, riguardo ciò che funziona o ciò che non funziona.
    Tuttavia non si dovrebbe preferire il parere di una “persona cieca” alla propria. Quello che suggerisco invece è quello di chiedere a un sacco di persone diverse il loro parere, in modo indipendente, su base 1:1 (preferibilmente di-persona), raccogliere tutti i feedback che si ottengono e poi dare un’occhiata più seria e critica al proprio lavoro.
    Naturalmente alla fine della giornata il nostro parere rimane il più importante.

    Complimenti per il Blog Sara! “mi piace”…

  4. Mi piace tanto questo tuo blog, post interessantissimi e sempre illuminanti. Cha rapporto ho io con le mie immagini? Sono quasi eternamente insoddisfatto, però mi ripeto che, copmunque sia il risultato, vale sempre la pena scattare, soprattutto se questo mi consente di conoscere un po’ meglio i soggetti che ritraggo (cosa che cerco sempre di fare). La fotografia per me, dopo alcuni anni di pratica da dilettanete appassionato, è diventata essenzialmente un pretesto per avvicinarmi alla gente, ai paesaggi e agli elementi naturali.

  5. Ciao Sara, ho scoperto oggi il il tuo sito. Ti voglio fare i complimenti per il tuo lavoro. Leggendo il tuo blog è evidente la passione che ti anima, infondi entusiasmo e positività. Oltre a questo sei anche molto realista nel raccontare di quello che fai. ti auguro davvero di continuare così, sono sicuro che avrai molte (altre) soddisfazioni! 😉
    Un saluto

  6. Ciao, ho scoperto il tuo Blog e me ne sono innamorata. Dalle tue parole emerge tutta la tua passione per la fotografia. Trovo questo Blog molto diverso da tutti gli altri, che si soffermano soltanto sulla tecnica fotografica, attrezzature e tutorial. Questo blog parla della vita del fotografo, del suo sguardo e sensibilità artistica. In una realtà odierna dove tutti credono di essere fotografi e siamo bombardati da immagini, a volte oscene, bisogna capire che oltre il “mezzo” c’è ben altro! Complimenti e buon lavoro, continuerò a seguire il tuo blog e a riflettere attraverso le tue parole.
    Mi farebbe piacere avere una tua visita sul mio Blog, sarebbe davvero un onore.
    https://mariasaggeselightpainting.wordpress.com/

    Saluti.

  7. Io NON sono un fotografo, ma amo la fotografia. Ho sempre una macchina fotografica in borsa, perché la vita mi sembra fatta di occasioni. Credo che la fotografia non racconti sempre una storia, ma la evochi. Si fotografa un frammento di vita e questo spesso ci evoca una storia. Un po’ come quando guardando la foto del mare di quando eravamo bambini, l’immagine ci porta alla memoria un’intera epoca, la storia di una famiglia. Spero di riuscire a partecipare a uno dei tuoi workshop perché si impara guardando chi è più bravo… Grazie per i consigli, il blog è molto interessante.

    • Ciao, ti ringrazio del tuo commento, effettivamente sono d’accordo, anche se Per esempio, nel fotogiornalismo, la storia non viene evocata ma sbattuta in faccia. Credo dipenda dalle intenzioni comunicative del fotografo. Grazie ancora per le tue parole, ciao

  8. Mercoledì 21 settembre 2015

    Eccitazione. Anzi, sovreccitazione. Ecco ciò che provo, ciò che sento, da ieri pomeriggio alle 18:30. Quella, infatti, è l’ora in cui mi sono ritrovato (a distanza di 4 anni) davanti al cancello di Via Enrico Caviglia 3. Subito dietro quel cancello, l’Istituto Italiano di Fotografia, dove ho studiato per due anni. Ritornare lì è stato come essere trasportato di botto indietro nel tempo: le stesse emozioni, gli stessi pensieri, la testa che ricomincia a frullare in mille direzioni e con mille immagini in testa. Solo le facce degli studenti e degli assistenti sono diverse. Ma il resto, tutto uguale. Le stanze, gli studi, la macchinetta del caffè, lo spazio antistante, le scale. E l’aula. Il luogo delle meraviglie.

    Il corso a cui mi sono iscritto è quello di reportage, argomento per il quale provo un certo feeling (non credo di essere un talento puro, ma ho la presunzione di credere che con la giusta applicazione io sia in grado di ottenere dei risultati soddisfacenti). La docente è quel geniaccio di Sara Munari. Ed anche per lei (che ha la mia stessa età) il tempo sembra fermato a 4 anni fa. E’ sempre la stessa: chiara, diretta, sfrontata, incalzante. Non perde tempo in fronzoli inutili, non te le manda a dire, non si preoccupa degli inutili orpelli che fanno da “contorno”. Insomma, se mi sono iscritto uno dei motivi è perché LEI è la docente. E credo sia la persona giusta per poter realizzare qualcuno dei progetti che mi frullano nella testa. Vedremo.

    Ieri c’era la lezione introduttiva, ma da subito tutti abbiamo capito che si fa sul serio. I tempi sono serrati, non sarà possibile perdere nemmeno un minuto. Ogni istante risulterà prezioso. E non solo quelli trascorsi in aula o durante le uscite, ma anche quelli durante la giornata in cui siamo al lavoro o a scuola (tra gli studenti del corso c’è chi lavora e chi frequenta la scuola diurna all’Istituto Italiano di Fotografia).

    E questa è la Magia che si è presentata. Dal momento in cui Sara ha fatto l’appello, la mia testa ha iniziato a macinare pensieri ed immagini. Mille pensieri e mille immagini al minuto. Il cervello si è rimesso in moto come non mi capitava da lungo tempo. Uscito dal corso, ieri sera, il primo pensiero è stato “Oddio, sono in ritardo per i compiti che Sara ci ha assegnato. Devo muovermi”. Ecco, questa è la Fotografia per me: ciò che sono!

    Ho i brividi lungo tutto il corpo da ieri sera. Probabilmente, chi non prova una passione simile (per questo argomento o per un altro), penserà che io sia un esaltato. Volete la verità? Mi dispiace per voi, ma a me fa bene e voglio viverla così. So che è una sensazione che non riesco sufficientemente bene a ritrasmettere o a descrivere. Ma è bella, maledettamente bella. E mi fa sentire Vivo.

    Grazie Sara.
    Ivano

    • Ma che bella lettera Ivano. Quanta responsabilità, spero di essere in grado di accompagnarti nel tuo percorso, spero anche di far crescere (ancora di più) la tua passione. Adesso prepara il compito però, altrimenti m’incazzo!😁

    • Ivano,
      ti capisco, amch’io mi sento così ogni volta che comincio un nuovo corso o un progetto con Sara. Sono eccitata da un lato ed ansiosa dall’altro.
      Il cervello comincia a “vorticare”…
      Bella sensazione.
      Ciao e cxxxo siamo indietro con i compitiiiiiii!!!!!!!!!! =:O
      Anna

  9. Cara Sara seguo il tuo blog da un po di tempo e provo per te profonda stima.
    Non perderò tempo in inutili complimenti sul tuo prodotto artistico.. fatti da me sono irrilevanti.
    Tu meriti stima per come ti dedichi agli altri. Nessun messaggio resta senza risposta..anche solo un cenno ma dimostrazione evidente che tu ascolti e rifletti su tutto.
    Io e te siamo coetanee. Tu giustamente scrivi che nel mondo della fotografia a 43 anni si è delle pivelline,che si ha ancora tanto da imparare e confermi quindi il profilo di una persona intelligente che si mette sempre in discussione.
    Io e la fotografia ci facciamo compagnia da molto tempo. Lei non mi abbandona mai, io sono molto più scostante ma in questo periodo, in cui fotografo poco, sento il bisogno di dedicarmici in maniera diversa.
    Ho avuto qualche esperienza giovanile in studi fotografici, ho studiato all’accademia e in solitaria. Poi la vita ha preso altri corsi e la mia poca autostima ci ha allontanato per un po. Ultimamente mi sono riavvicinata, ho provato ad iscrivermi a circoli, frequentare forum e non ho trovato quello che cercavo ma solo Tecnicismi spasmodici, autoincensazione e superficialità.
    Ho imparato molto di più dai monografici di Sky sui grandi fotografi, messaggi forti al costo di un abbonamento televisivo ed il punto è questo.
    Io voglio capirmi e crescere ma per farlo ho bisogno di trovare qualcuno che abbia qualcosa da dire e che per sentirglielo dire io non debba lasciarci lo stipendio.
    Non pensare che questo sia un atto di superbia. Vivo solo i miei 43 anni con ansia..mi sembra di aver già perso troppo tempo e mi piacerebbe raccogliere le “ultime forze”, prima di mollare il colpo, per riuscire a trovare la mia strada. Io abito in un paese vicino a Milano..vicino a te ma non abbastanza ahime.
    Grazie sin da ora per il tempo che sicuramente mi dedicherai.

  10. Ciao Sara ho conosciuto da poco il tuo blog ma da subito ho trovato spunti molto interessanti da tutti i tuoi articoli.
    Era quello che cercavo, competenza, voglia di insegnare e condividere i pensieri.
    stefano

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