Storia di una fotografia: Migrant Mother, Dorothea Lange, 1936

Oggi vi presentiamo un’altra fotografia iconica, inclusa dal Time tra le 100 fotografie più influenti di tutti i tempi.

Ve ne raccontiamo un po’ la storia.

Ciao

Anna

“You can see anything you want to in her. She is immortal.”
—Roy Stryker, Farm Security Administration

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Dorothea Lange svolgeva da anni un’intensa opera di ricognizione tra i disoccupati, i senzatetto e i migranti della California e dal ’35 la Rural Resettlement Administration, organismo federale di monitoraggio della crisi economica, aveva commissionato a lei e ad altri grandi fotografi come Walker Evans una serie di reportage, complice un clima di forte interesse documentaristico. Nel marzo del 1936, dopo aver terminato un’inchiesta fotografica sui braccianti agricoli della periferia di Los Angeles, mentre attraversava la Highway 101 per tornare a casa, vide un cartello che segnalava un campo di raccoglitori di piselli (il titolo originale, infatti, è Destitute Pea Picker) a Hoboken, nel New Jersey; inizialmente resistette alla tentazione di fermarsi, aveva già raccolto molto materiale, ma dopo aver percorso quasi 20 miglia, qualcosa le fece cambiare idea. Fece inversione, imboccò una strada fangosa e si trovò davanti un soggetto adatto alle sue ricerche: all’incirca 2500 persone, in un tentacolare e squallido agglomerato di baracche e tende che combattevano la fame. Erano stati richiamati alla raccolta da inserzioni sui giornali, ma si erano ritrovati ben presto senza lavoro e senza paga a causa di una gelata. Tra loro c’era anche Florence Thompson.

“La vidi e mi avvicinai alla madre disperata e affamata nella tenda, come se fossi stata attratta da un magnete. Non ricordo come le spiegai la mia presenza o quella della fotocamera, ma ricordo che mi fece delle domande. Ho scattato ssei foto, avvicinandomi sempre di più dalla stessa direzione. Non le chiesi il suo nome né la sua storia. Lei mi disse che aveva 32 anni.”, scrisse poi la Lange. Il raccolto della fattoria era congelato e non c’era lavoro per i raccoglitori senza dimora, così la trentaduenne Florence Thonpson vendette i pneumatici della sua auto per comprare il cibo, a cui si erano aggiunti alcuni uccelli cacciati dai bambini. La Lange, che credeva si potessero capire le persone attraverso lo studio da vicino, inquadrò i bambini e la madre, i cui occhi, consumati dalla preoccupazione e dalla rassegnazione, guardò oltre la fotocamera.

La Lange scatto 6 immagini con la sua fotocamera Graflex 4×5 e più tardi scrisse “Sapevo di aver catturato l’essenza del lavoro che mi era stato commissionato”.

Ecco i suoi provini a contatto:

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In seguito la Lange informò le autorità della situazione di emergenza delle persone che vivevano all’accampamento, e queste mandarono 20.000 pounds di cibo. Delle 160.000 immagini scattate dalla Lange e dagli altri fotografi per la Resettlement Administration, Migrant Mother è diventata senza dubbio la fotografia più iconica della Grande Depresssione.

Nacque così la foto della Migrant mother e fino al 1978 l’identità della donna ritratta restò avvolta nel mistero per la negligenza della Lange, colpevole di non aver raccolto alcuna informazione su di lei, finché la Associated Press non fece pubblicare una storia sullo scatto, suscitando l’ira di Florence Thompson, che scrisse una lettera per esprimere il proprio disappunto per quell’immagine, affermando di sentirsi «sfruttata» da quel ritratto, dal quale peraltro non aveva ricavato un soldo. In realtà quella foto non avrebbe dovuto esser venduta, né pubblicata, come promesso a Florence Thompson dalla fotografa, perché di proprietà del governo e quindi di pubblico dominio, e invece gli scatti della Lange furono inviati al San Francisco News e immediatamente pubblicati, senza fruttare alcuna royalty alla fotografa, ma garantendole l’immortalità nell’olimpo della fotografia.

Esiste un curioso fatto che riguarda questa fotografia: nello scatto originale (conservato alla Library of Congress di Washington), appare il dito di una mano in basso a destra, che però nella foto andata in diffusione di stampa è stato ritoccato. Sul sito della Library of Congress è possibile visionarle entrambe.

 

Biografia di Dorothea Lange (fonte Wikipedia)

Dorothea Lange (Hoboken, 26 maggio 1895 – San Francisco, 11 ottobre 1965) è stata una fotografa documentaria statunitense. Il suo nome alla nascita era Dorothea Margaretta Nutzhorn, ma decise di farsi chiamare Dorothea Lange, prendendo il cognome della madre. Nel 1902, a soli 7 anni, fu colpita dalla poliomielite, che le causò un deficit permanente alla gamba destra.Dorothea Lange reagì al suo handicap con estrema determinazione, studiando fotografia a New York con Clarence White e collaborando con diversi studi, come quello, celebre, di Arnold Genthe. Nel 1918 partì per una spedizione fotografica attraverso il mondo. Quando i soldi finirono si fermò a San Francisco, aprendo un suo studio personale e diventando parte integrante della vita della città, fino alla morte. Proprio lì dove Genthe aveva costruito il suo successo, prima di spostarsi a New York, Dorothea Lange consolidò il suo futuro: sposò il pittore Maynard Dixon ed ebbe due figli, Daniel (1925) e John (1928). La Lange frequentò alcuni dei fotografi fondatori del Gruppo F/64, ma non aderì mai formalmente al gruppo. È invece sicuramente una fotografa che aderì alla filosofia della straight photography.

La sua capillare opera di ricognizione tra disoccupati e senzatetto della California suscitò le immediate attenzioni della Rural Resettlement Administration, organismo federale di monitoraggio della crisi destinata, in seguito, a diventare l’FSA (Farm Security Administration). Fotografò i contadini che avevano abbandonato le campagne a causa del Dust Bowl, le tempeste di sabbia che avevano desertificato 400.000 km² di terreni agricoli degli stati uniti. Le sue foto attrassero l’attenzione di Paul Schuster Taylor, economista della università della California, che le commissionò un’ampia documentazione fotografica.

Tra il 1935 e il 1939, fece un gran numero di reportage, sempre sulla condizione di immigrati, braccianti e operai. Il 1935 fu anche l’anno in cui Dorothea divorziò da Dixon, sposando Paul Taylor che divenne l’uomo-chiave della sua attività professionale: ai reportage fotografici della moglie, Taylor contribuì con interviste, raccolte di dati e analisi statistiche. Nel 1947 collaborò alla nascita dell’agenzia Magnum e nel 1952 fu tra i fondatori della rivista Aperture.

A causa delle cattive condizioni di salute in cui versò negli ultimi anni di vita, la sua attività subì una brusca battuta d’arresto. Morì a 70 anni per un cancro all’esofago.

 

 

 

 

10 pensieri su “Storia di una fotografia: Migrant Mother, Dorothea Lange, 1936

  1. Questa storia ripropone un problema: fino a che punto possiamo irrompere nella vita delle persone, con le nostre foto, senza lasciarci coinvolgere dalla loro situazione? Questa foto l’ho ammirata alla Tate Modern dove è in corso una mostra della straordinaria collezione di foto di Elton John e anche in quella sede mi sono chiesto se fosse giusto trarre profitto, o comunque riconoscimenti, da una sofferenza così grande. Così come me lo chiedo quando, in viaggio in paesi più sfortunati, mi accingo a fotografare persone che invece di ritrarre dovrei forse aiutare. Bel dilemma, a cui non ho risposta, ovviamente.

    • Ciao Rolando, bel dilemma. Se parliamo di fotogiornalismo, credo che da reporter il tuo compito sia di fotografare, punto. Da fotografo viaggiatore, quale sono, ti rispondo che evito accuratamente di fare foto su persone in difficoltà, non avrebbe senso e non porta a nulla. Ciao sara

  2. Circa un anno fa ho letto un romanzo (trovato per caso alla Biblioteca comunale di Pisa) che raccontava di questa foto. Mi colpì proprio perché aveva la foto in copertina. Data la mia veneranda età ho dimenticato sia il nome del romanzo che l’autore. Qualcuno potrebbe ricordarmelo? grazie

  3. Pingback: Walker Evans, credo si presenti da soloWalker Evans, credo si presenti da solo

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