Sul quando non si capisce un cavolo di Fotografia.

Ciao! Non so se capita anche a voi, ma mi succede sempre più frequentemente di andare a vedere mostre di autori, anche acclamati e rimanere un po’ così, interdetta. Cerco di capire, cerco punti di riferimento a cui attaccarmi, considero l’ambiente, il contesto storico, la storia stessa dell’autore e le sue modalità.

E si che studio tanto, ma niente, in qualche caso non mi riesce di capire.

Spesso me ne vado così, col dubbio della mia abissale ignoranza a galleggiare soavemente in una melma indistinta.

Ma possibile che io veda solo copie di copie? Ma non dice niente nessuno? Allora è tutta una bella presa in giro. Eh si, sembrerebbe di si.
Finisci di guardare le foto, che siano su un libro o in mostra e vai via che non hai capito un caz.

Cammini verso l’uscita e ti domandi come mai hai la mente così chiusa? Come mai nemmeno “di pancia” questo lavoro, per cui hai pagato anche l’entrata, ti insegna niente? Gli altri avranno capito?

Forse nessuno ha capito e nessuno lo dice per paura di fare una brutta figura… e così tutti a riempirsi la bocca di parolone… eccezionale, raffinato, intelligentissimo e coinvolgente!

 

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Vietnam. Sara Munari

Poi nel silenzio della sera, a casa, ci si sorprende perplessi.

Allora, in qualche caso tento di convincermi:

Il pensiero è la rivoluzione, il concetto (che non hai compreso per questo o quel motivo) è la risposta.

Si, …ma quale?

Vabbè, vabbè, non sai lasciarti andare e godere dell’abbandono estatico di fronte alle foto.
Forse c’è un complotto sotto (scusate la rima) .
Basta avere amicizie che introducono, basta mettersi d’accordo con un critico, quello giusto, basta vestirsi discinte e saper baciare bene per far schizzare… le fotografie ai vertici delle vendite.
Ma è davvero così?

In mezzo a questo marasma fotografico, chi sa riconoscere il valore di un autore?

Vi assicuro che è difficile. Tutto si brucia in pochi istanti.

Forse la situazione è rimasta uguale ed io non so rendermene conto, ma del fotografo abbiamo sempre guardato al suo percorso, l’evoluzione.

Come possiamo farlo oggi dato che gli autori esplodono e implodono nel giro di un mese o due.

Ho visto vincere il World Press Photo gente che poi è completamente sparita, è sempre successo, ma mai quanto oggi.

Ho visto arrivare in gallerie importanti gente che sta producendo progetti che con intenti simili, per non dire gli stessi, sono stati prodotti nei primi del 900.

Difficile per me capire e giudicare. Sono seduta su un muretto a guardare scorrere un fiume.

Ciao Sara

72 pensieri su “Sul quando non si capisce un cavolo di Fotografia.

  1. Sara, è un tema complesso e delicato, quello che affronti in questo post. Necessita di un tempo di sedimentazione per ragionarci bene e per raccogliere le idee. Un tempo un po’ più dilatato dell’immediata reazione a un post. Nel caso riuscissi a formulare in forma scritta e condivisibile quello che penso mi ritroverai tra un po’. Intanto mi siedo accanto a te sul muretto e attendo.

  2. Non sei l’unica Sara, ma è un problema che riguarda tutta la produzione artistica contemporanea in generale. Troppi interessi economici, troppi autori, troppi progetti senza senso. In fotografia queste è aggravato dal fatto che il numero delle persone che fotografano con pretese autoriali, ma con ben poche cose nuove da dire, è aumentato enormemente. E il mercato dell’arte le sorregge. Uno dei miei metri per giudicare un autore sono i libri fotografici. Ne compro parecchi. Seguo diversi siti…esce tantissima roba del tutto improponibile. Foto senza capo ne coda…buttate li con progetti pseudointellettuali che non dicono nulla. Rassegnamoci e restiamo seduti sulla riva del fiume…è un bel punto di osservazione 😉! Brava e grazie comunque per quel che fai e per la passione che ci metti! Un caro saluto

  3. Caspita, ottimista questa mattina, eh?
    🙂

    Un abbraccio.
    Ivano.

    P.S.: penso, rifletto e ragiono su quel che hai scritto… poi se ho qualcosa di sensato da dire provo a scrivertelo.

  4. non so di quale mostre parli.
    Pero’ presenti una foto desaturata con un gamma sballato e orizzonte storto.
    Forse era meglio una copia.

  5. Ciao Sara, capita spesso anche a me ed è sconcertante perché ti chiedi in base a quello che fai, produci, studi e senti quali potrebbero essere gli eventuali sbocchi, il posto di una possibile visibilità, chi giudica e cosa? La confusione aumenta e così la frustrazione per non sapere da che parte stai andando. E intanto paventa l’ipotesi nemmeno poi così remota che in fondo in fondo tutto questo vespaio con la vera fotografia non c’entri un caz. Credo sia sempre più opportuno andare dritti per la propria strada cercando di capire dove possibile e cogliendo il massimo da tutte le situazioni. Poi è risaputo, ogni ambiente ha i propri teatrini gestiti come tanta buona democrazia cristiana ci ha storicamente insegnato… Buona luce Sara!

  6. Massima informazione, minima conoscenza.
    Portare all’estremo la facilità di esecuzione e le possibilità espressive di uno strumento (in quasto caso la fotografia, ma il discorso è riproducibile in tutti i campi) ha facilitato chi è già cresciuto culturalmente, avendo punti di riferimento piuttosto precisi, ma sta gettando nel caos chi si affaccia oggi al sapere. Non parlo solo del sapere in campo artistico, dove tutto è stato sempre opinabile, ma in tutti i campi.
    Wikipedia, dove, fino a poco tempo fa, si potevano trovare risposte rapide e precise, è diventato il regno scientifico del pressappochismo e del sentito dire. Tutta la conoscenza umana sta annegando in una melma indistinta, in nome della errata illusione che la cultura sia facile, rapida, persino ovvia.
    Facile come fotografare: click.

  7. La mia passione la curo senza aver mai visto, volutamente, una mostra fotografica di un grande autore. Comunque, il genere che pratico, il minimalismo, ha pochi esempi di grandi autori, e pochi nell’ambito della fotografia. Reputo che cercare il minimalismo sia un modo di vedere che o lo si possiede, e, nel qual caso, si manifesta in modo naturale, oppure, nel praticarlo senza averne la tendenza, senza avere il desiderio di cercarlo nelle cose, che altri riprenderebbero in modo del tutto diverso, riferendosi ad altri generi di fotografia, si rischia di essere monotoni nelle proposte, e ridondanti, dove, invece, bisogna essere essenziali; infatti, la regola guida, come ben sai, che deve guidare chi propone il mio genere preferito è “Less is more”.
    Concludo dicendo che la tua riflessione, Sara, non fa altro che confermarmi che la scelta di non visitare le mostre degli autori famosi, è una scelta giusta, senza preoccuparmi che la stessa mi faccia rimanere ignorante.

  8. Bella riflessione che mi ha colto, ad esempio, conoscendo il prezzo di vendita (4.000.000 di euro) di quella foto di cui orgogliosamente ammetto di non aver capito il suo enorme valore (non cito l autore… Ritrae il Reno…) ed aggiungo che se l’avessi trovata tra in miei Nef l avrei cancellata prima di scaricarla dalla fotocamera. Questo perche anche io non capisco un cazz di fotografia. Sono ignorante. E piu passo a studiare come fare le mie foto piu mi rendo conto che non capirò mai come certa gente vince concorsi… Poi però mi calo nel quotidiano e vedo che la ragazza disinibita cucca il provino per la trasmissione, il commercialista senza scrupoli becca la commessa dalla multinazionale, il politico furbone viene eletto. Vuoi vedere allora che la competenza serve a niente?

  9. La bellezza sta negli occhi di chi ne risulta irraggiato.

    Da anni mi muovo nel rispetto di queste idee:
    – non c’è una foto bella o brutta – le foto parlano a chi sa coglierne il linguaggio;
    – i grandi autori hanno (molto spesso) avuto più occasioni rispetto ad autori minori;
    – anche il “tecnicamente brutto” ha una sua intrinseca bellezza;
    – esistono differenze incommensurabili tra “bellezza” e “status symbol”.

  10. cavolo… mi capita spessissimo 😀
    meno male, mi viene da dire… non sono assolutamente un’esperta del campo ma posso dire di essermi accorta che nella fotografia contemporanea spesso si premia le moda, la tendenza… quindi all’improvviso tutti fotografano gli stessi soggetti, gli stessi colori, lo stesso mood. Sì vabbè, ma quando la moda è passata? tu ormai sei legato a quelle foto.. una foto di successo è per sempre.
    Quindi forse si salva chi si distingue, fin da subito.. e non cede alle tentazioni del momento? boh
    Felice di non sentirmi da sola, ti saluto 🙂

  11. Beh, a ben vedere, questo è un problema che interessa tutto il mondo artistico. Quanti, uscendo da un museo d’arte moderna, non hanno avvertito lo stesso disorientamento, lo stesso sconcerto e, aggiungerei, la stessa sensazione di essere stati presi per il culo? Come dicevo ad un’altra amica ieri sera, la verità è che la logica mercantile su cui, dalla metà del XX secolo, l’arte si è miseramente appiattita, ha fatto si che l’interesse si spostasse dall’opera d’arte al personaggio-artista. Questi, spesso valutato in base a un “valore” attribuitogli da critici compiacenti e mercanti interessati, è cresciuto non per le sue straordinarie capacità, ma per necessità di rientro dell’investimento. Un’operazione puramente finanziaria, quindi, al punto da trasformare alcuni artisti in una sorta di re Mida che ogni cosa che tocca trasforma in oro colato. Non importa che si tratti della sua stessa merda, o di un orinatoio, di un cesso tutto d’oro, o di una brutta fotografia, quello che produce è ricchezza su cui investire come su un qualsiasi altro bene rifugio. E non è nemmeno importante che l’opere sia di quelle da esporre con orgoglio nel salotto di casa, tanto è destinata alla sicurezza di un cavò di banca, assieme ai titoli di stato e ai gioielli di famiglia. Tutto questo accade anche in fotografia. Milioni di dollari sono stati sborsati per opere di Andreas Gursky, di Cindy Sherman, di Richard Prince e di tanti altri. Personaggi, il più delle volte, secondari e defilati rispetto a quelli che hanno contribuito in modo significativo alla storia della Fotografia, a testimonianza del fatto, quindi, che il mercato se ne fotte del valore intrinseco di un’opera, ma bada piuttosto a quello attribuito a chi ha fatto click. Allora io credo che nel visitare una mostra sia meglio guardare con i propri occhi, la propria cultura e la propria sensibilità e tramite essi giudicare, apprezzare o disprezzare, lasciando perdere quanti inneggiano a “I vestiti nuovi dell’imperatore” di anderseniana memoria, spesso, credi a me, il re è miseramente nudo.

  12. Benvenuta tra noi. 🙂
    “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
    foto spacciate per street solo perchè fatte da uno che sta in un collettivo,
    e ho visto immagini buie o grigie o mosse o sbagliate, spappolate dentro un “progetto”.
    E tutti queste cose, fortunatamente, andranno perdute nel tempo,
    come piscia nella pioggia.
    È tempo di incazzarsi.”
    P.S.: Tu che sei una che conta (ti piace, eh? :)) potresti fare qualcosa di più per cercare di ridare alla Fotografia quella credibilità che sta perdendo giorno dopo giorno. Magari iniziando all’interno dei gruppi o collettivi che anche tu frequenti. Così, tanto per non predicare bene e razzolare male.
    … ho una voglia matta di fare nomi e cognomi. 🙂

  13. Anche se io per prima non ne capisco molto di fotografia in generale, concordo al 1000×100! Aggiungerei annche che quando poi senti parlare certi autori davvero ti cadono le braccia a terra… Quindi non so, continuo a pensare che se una foto mi mette lo stomaco in subbuglio, allora per me e’ LA foto, indipendentemente da autore, perfezione o meno di che e’ rappresentato e come. 🙂

  14. Non posso che comprendere e condividere quel che dici, che per me è partito da alcune riflessioni fatte quest’estate uscendo da un importante evento fotografico che mi aveva lasciato… vuoto… e nel quale avevo apprezzato ben poche cose, direi al massimo un 10-15 per cento delle immagini. Proprio pochi giorni fa in un gruppo di discussione è stato posto un tema importante, ossia quello dei contenuti e della loro sempre più avvilente mancanza. Certo, c’è il discorso del predominio della visuale e della tecnica, ma credo che vi sia anche un atteggiamento artistico e intellettualistico che, al di là dei discorsi su conoscenze ed amicizie “influenti” di alcuni, mira al semplice effetto “épater le bourgeois” con tematiche divenute ormai ripetitive (credo di aver visto più foto di profughi negli ultimi sei mesi – con tutto il rispetto, la pietà e la comprensione – di quante non ne abbia visto nei primi quarant’anni della mia vita… e tutte terribilmente “uguali”, con conseguente effetto spersonalizzante dei protagonisti di questa tragedia). Questo e l’ìidea che la foto “difficile” da comprendere o minimalista (sedia riversa in terra con stanza vuota con luce radente e polverosa, in bianco e nero spintissimo…) sia bella di per sé e valga. E ancora foto di gente che attraversa la strada o ti si struscia addosso per caso passate come street. E tanto, tanto, tanto mercato.
    Tutte operazioni che poi risultano di nicchia, per pochi intenditori, per circoli limitati, per i soliti noti. Mentre se vedo Minamata di Eugene Smith lo comprendo subito, senza bisogno di filtri o di atteggiamenti particolari, come anche The Americans o perfino le foto “casual” e senza progetti organici della Maier o gli shock (quelli sì, veri!) della Arbus.
    Miserie della (post)modernità.
    Un saluto e complimenti per aver posto anche tu questo tema che – ed è l’unica cosa che mi conforta – vedo affiorare sempre più spesso negli ultimi tempi.

  15. Cara Sara, ho sempre pensato la stessa cosa ma non mi sono mai espressa. L’unica cosa che posso dire è che le fotografie si ripetono, niente è stato creato senza un po’ d’ispirazione presa da grandi fotografi del 900, “Let alone photoshop ” , Scusa non sono di lingua italiana ma pensò che tu mi capisca, cioè voglio dire che oggi si possono trasformare completamente le foto. Fare p.e diventare un marciapiede erbetta, etc etc . Per me non è fotografia ma è fatto per i grafici e pubblicità. I ritocchi si sono sempre fatti, ma creare qualcosa di completamente nuovo….uhm… E sono d’accordissima con te quando usano grandi parole per esprimere il “concetto” ….. spero che mi sono spiegata. Non scrivo molto, ma fotografo dagli anni 70 con un break di 20 anni per motivi famigliari. Complimenti per tutto quello che fai. Cari saluti. Norma

    Inviato da iPad

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  16. Pingback: Sul quando non si capisce un cavolo di Fotografia. — MU.SA. | Claudio Turri

  17. le stelle non fanno rumore, non costano nulla e sono uno degli spettacoli più belli ed intriganti che abbiamo a disposizione. tutti. eppure nessuno le guarda. perché? non ne ho la minima idea!

    ci sono bottiglie di vino che arrivano a costare come delle utilitarie, mentre altre (forse con contenuti pure migliori) non costano nemmeno come un pacchetto di chewing-gum. perché? non ne ho la minima idea!

    ci sono fotografie, opere d’arte, film, installazioni, poesie, romanzi, ecc ecc incomprensibili che incassano vagonate di euro, mentre altri che nessuno si degna di guardare. perché? non ne ho la minima idea!

    l’unica cosa che capisco è che su questa terra siamo in tanti.
    una parte, solitamente egocentrici e assai rumorosi, danno valore alle cose unicamente in base alle leggi di mercato.
    una parte, solitamente umili e silenziosi, danno valore alle cose in base alle leggi della passione.

    chi è nel torto? non ne ho la minima idea!

    ma è veramente importante determinarlo?
    cosa aggiungerebbe alla mia vita sapere di essere da una parte o dall’altra?

    persone diverse. punti di vista diversi. storie diverse. culture diverse. livelli sociali diversi.
    unico fattore comune … l’eccezionalità irripetibile di ognuna di queste persone.

    perciò, e qui concludo, davanti a tutto ciò che è umano credo sia importante rimanere aperti ed accogliere ciò che vediamo con gli occhi del bambino che abita dentro di noi. critico al punto giusto per farci capre, che a volte non c’è nulla da capire, se non la gratitudine verso chi, in qualche maniera, ha tentato di donarci la propria visione di mondo.

    chissà, magari un giorno, dopo aver vissuto altre esperienza, quella che oggi ci appare una schifezza, ci apparirà magnifica e densa di significati.

    grazie di cuore per aver scritto ciò che hai scritto, fonte di sentite riflessioni
    forse non ho neppure risposto alle tue domande, ma mi ha fatto piacere fermarmi qui un attimo e lasciare un piccolo segno del mio passaggio. spero di non aver disturbato 🙂

    ti regalo un grande sorriso

    • Ciao! Che belle parole hai scritto. Oltre alle due categorie che indichi bene c’è anche chi combatte per il proprio lavoro e lo fa perché altro non potrebbe fare. Non è sempre una questione di umiltà ma di determinazione di fronte a tanta confusione. Grazie, ciao, Sara

  18. Se nello spot di una delle scuole di fotografia considerate tra le più prestigiose d’Italia il direttore dice candidamente che l’obiettivo dei loro corsi è formare le persone in modo che siano compatibili con il mercato, la questione si spiega in poche parole. L’alternativa è starne fuori, continuare per la propria strada e sperare di avere il talento per farcela in barba al mercato. Prima o poi. O post mortem in extremis 🙂

  19. Il fiume scorre, fatto di replicanti e revenant. In mezzo, ogni tanto, un vivo, che quasi certamente avrà la dovuta attenzione solo da morto. Nel frattempo le mostre, che sono come le anse nelle quali ristagna l’acqua del fiume.
    Ciao

  20. Il fiume scorre, fatto di replicanti e revenant. Ogni tanto un vivo, che quasi certamente riceverà attenzione solo da morto. Nel frattempo le mostre, che sono come le anse dove ristagna l’acqua del fiume fino alla prossima piena.
    Ciao

  21. Ho letto tutti gli interventi.
    Credo che il disorientamento (e un po’ di nausea) di Sara di fronte a tanta produzione sia sicuramente condivisibile, come pure le schegge di verità contenute nei post seguenti.

    Tanto mercato si regge su tanta fuffa, è innegabile.

    Il punto però è riconoscerla, e questo è meno semplice di quanto possa trasparire da alcuni interventi.

    Il rischio è quello di passare da un subdolo semplicismo (riverire chi cavalcar le onde giuste per proporre – preconfezionata – la fotografia che “tira”, la quale – inserita in un certo circuito – si trova appiccicata l’etichetta di arte e un bel prezzo) ad un altro, fatto di rifiuti aprioristici (la fotografia di valore deve essere d’impatto, non deve essere necessitare di spiegazioni arzigogolate, le opere che ricordano altre sono scopiazziature di idee, eccetera).

    E’ questo il trabocchetto – a grandissime linee – in cui cade tanta fotoamatorialità. E si finisce per apprezzare (e in un certo qual modo emulare) grandi del passato quali Adams (Ansel, ahimè), HCB, per non cadere poi oggi in Mc Curry e compagnia, escludendo e denigrando tutto il resto.

    L’arte contemporanea necessita spesso di una spiegazione e di un approfondimento. E nell’arte contemporanea ci mettiamo anche la fotografia.

    Per poterla apprezzare è necessario essere in grado captarla (se la mia vicina sostiene che suo nipotino disegna meglio di Picasso che ci possiamo fare?) e soprattutto accostarla con rispetto e silenziosa attenzione.

    Sul tavolo vicino al pc, in questo momento, ho “Ellsworth Kelly, Photographs”.
    Non sono sicuro che se non avessi letto il suo “La forma è il contenuto” o che altro, sfilando davanti ad una delle sue foto meno eclatanti in qualche fiera fotografica, non le avrei sorvolate, buttandole implicitamente nel calderone delle “poco interessanti”.
    Lo confesso, non ne sono sicuro.

    Quindi, che fare? La risposta è: FATICA.
    Sedersi sul sasso aspettando che nel fiume passi l’autore giusto forse non va bene. Si rimane sulle proprie posizioni.
    Gli autori passano anche rinchiusi in scatole di legno galleggianti, bisogna tuffarsi, nuotare controcorrente, aprirle una ad una.
    Ma non c’è il tempo di aprirle tutte.
    E allora avvalersi di chi pratica o ama già una fotografia di spessore per capire quali possono essere altri autori notevoli misconosciuti al grandissimo pubblico, in una percorso vuoi a ritroso, vuoi trasversale.
    Arrivare al limite della propria comprensione e “forzarlo”, spingere, cercare di aprire una breccia.

    Praticando il silenzio e il possibilismo, cercando in mezzo alla fuffa quello che fuffa sembra ma fuffa non è.

    E senza prendere, quale criterio discriminante assoluto, l’originalità. Questo è un altro trabocchetto… ma mi sto allungando troppo.

    Un saluto ed un ringraziamento. 🙂

    • Buonasera! Che piacere leggere le sue parole…sono d’accordo la FATICA è una svolta, fatica per apprendere e fatica conseguente a capire. Fatica a mio vedere ben spesa…grazie ciao Sara

  22. In questo periodo storico uno dei temi è la selezione, nell’informazione, nella fotografia, cosi come nella scelta del medico. È necessario sviluppare questa capacità che ovviamente, a meno di usare la pancia come principale sonda / rilevatore, richiede, come dici Sara, studio, preparazione, ecc, ecc. Ma per arrivare a dire anche che quella cosa li non funziona, non mi piace, è un presa in giro, o è meravigliosa. In sostanza si seleziona, si mette in campo una sospensione dl giudizio (se vuoi la sponda del fiume) ma per arrivare ad una capacità critica, assertivamente chiara. Necessaria più che mai.

    • Marco, la capacità critica cresce nel tempo e si cerca di essere preparati e etici nei giudici, di fronte a tutti i tipi e generi fotografici. Si studia, nel mio caso, ma in qualche situazione sembra non essere sufficiente! Ciao Sara

  23. Un bell’articolo interessante. Fa riflettere non solo sulla fotografia e quello che la circonda, ma anche su noi stessi: sul nostro approccio alla fotografia e all’arta, sul nostro modo di vedere, pensare e carpire.
    Brava Sara!
    Una cosa che non capisco però è come mai tra i commenti c’è così tanto disprezzo per il Reno di Gursky. Onestamente non sono in grado di percepire il valore di tutti quei soldi, soprattutto se associati a un’opera fotografica, però riconosco il valore di quell’opera, cosa che mi pare non tutti facciano solo perchè la ritengono “brutta”, o “la sapevo fare pure io”. Parlo dell’opera di Gursky, ma sul web se ne leggono di tutti i colori per tanti altri artisti. Io credo che questo sia un atteggiamento sbagliato in partenza, che è molto distante dal senso di questo articolo credo, e che faccia malissimo non solo alla fotografia (che è forse l’arte più accessibile a tutti), ma all’arte tutta.

    • Si…sono d’accordo. Spesso si giudica senza conoscere il percorso dell’autore, questo va sempre preso in considerazione, così come il contesto e l’epoca storica in cui è inserita l’opera. Ciao Sara

  24. Cara Sara, mi ritrovai al MoMA a riflettere su questa cosa (che e’ essa stessa una sensazione).Poi eccomi al piano terra dove il mio sguardo e’ rapito da un tabellone tipo investigazione C.I.A. con mappa del globo puntine fili loghi etc…era essa stessa un’opera che spiegava il legame tra arte contemporanea e grossi investimenti, l’arte come investimento ala stregua di un paradiso fiscale, dove si creano bolle nelle quali poter nascondere soldi sporchi.Per non scomodare i grossi nomi e i grossi soldi ad una edizione di un concorso fotografico a Venezia alla quale mi son ritrovata per caso,ha vinto una foto di una banalita’ disarmante (una stanza di un campo di jihadisti che sembrava fatta col cellulare)quando in concorso c’erano almeno 4 foto fatte come dio comanda e che dicevano qualcosa.Il contesto e l’epoca storica ci spiegano forse perche’ sono vincenti spesso delle opere con poca originalita’ e tecnica?

    • Non so, in questo caso avrei molta difficoltà anche io. Si può giudicare la singola foto di un progetto? Che senso ha? Un foto interessante e fatta bene, funzionale a sé stessa, la fanno tutti. Il fotografo viene fuori dal progetto. Detto questo, si, contesto in cui viene scattata, mostrata e periodo storico, determinano le scelte!

  25. Io sono un fotoamatore, un apprendista per così dire, che da tanti anni dedica molto tempo all’istruirsi. Frequento ogni mostra che si presenti sulla mia strada, acquisto molti libri di fotografia e di fotografie, seguo molti gruppi su Flickr, 550px, 35mm, e Facebook, e sono tante le volte che rimango basito da ciò che vedo.
    E capita sempre più spesso che mi chieda: Ma non è che sto solo perdendo del tempo?
    La cosa che più mi rattrista è vedere anche gruppi apparentemente di qualità, importanti, dove nessuno ha il coraggio di dire che una foto è semplicemente brutta, o incomprensibile, o cos’altro ancora.
    Io come eterno studente di fotografia ho due possibilità per crescere qualitativamente: imparando dai bravi fotografi e imparando dai propri e altrui errori.
    Perché nessuno critica costruttivamente le immagini in mostra o postate? O semplicemente le boccia?
    Salvo te ovviamente, per questo mi fa sempre piacere leggere i tuoi post…
    Buon lavoro.

    • Ti dico perché mi sono rotta di farlo io. Quando critico qualcosa (nel vero senso della parola critica) ci sono i fotografi della domenica che cominciano ad insultare e trattare male. Non si preoccupano nemmeno di chi tu sia e di che mestiere tu faccia. Ti insultano e basta. Per questo non lo faccio più, sono stanca!

  26. Ah ecco, perchè nonstante studi anche io, almeno per cercare di capire e colmare le mie lacune in senso artistico e dare un senso a ciò che faccio ( per passione e senza pretese ) mi sento un co….stipato mentale nel vedere certe immagini osannate dalle quali io non tirerei nulla nemmeno se le passassi in un omogeneizzatore. Oltretutto noto bravi fotografi/e giovani, con una capacità espressiva che riesco a capire meravogliosamente ( e non nascondo un certo stupore) e dei quali apprezzo moltissimo stile e tecnica che in questo Paese non riescono a “sfondare”, mentre all’estero si. Come dire mal comune mezzo gaudio?!

    • Ciao, alla percezione personale va unita una grande cultura, che non so se io abbia (o tu abbia) o meno. Fatto sta che quando mi capita, rimango un po’ co…stipata anche io!😀

      • Quel che dici in parte è giusto. La grande cultura serve necessariamente, come strumento comunicativo, per generare immagini che veicolino un contenuto, altrimenti siamo sempre li vedere tette e culi in diverse salse ma fini a se stesse. La leggibilità dell’immagine invece è ben altra cosa, dovrebbe essere quanto più possibile immediata, non per i tempi frenetici di oggi, ma proprio perchè l’artista ( o fotografo ) altrimenti, e qui cito Freeman, rischia di incorrere in ” onanismo del fotografo dove il concetto è cosi intimo e personale che solo lui riesce a cogliere”, snaturando il senso storico stesso di fotografia ( parente povero della pittura fruibile a tutti o ai più ) rendendolo elitario ed ermetico. Nulla in contrario con l’ermetismo o con l’astrattismo o altre correnti, ma, prendendo uno Schifani o Polloch, io quelle opere non le capisco.

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