Le fotografie misteriose, funzionano?

Pensare che una fotografia sortisca lo stesso effetto e la stessa interpretazione da parte di tutti, è impossibile. Spiegare in continuazione i propri scatti è, a mio avviso un errore (che tante volte ho fatto).

Non mi è capitato finora, ma spesso noto che molti danno titoli allucinanti alle proprie immagini nella speranza che questi guidino i fruitori delle immagini in una direzione interpretativa piuttosto che un’altra.

Certo questo discorso vale solo se non siete fotogiornalisti o avete la necessità di una documentazione che sia il più coerente possibile con quello che ritenete sia eticamente giusto dire, di un determinato evento. In questi casi la didascalia è fondamentale. Così come in tutti i generi in cui la documentazione è il fulcro del vostro lavoro. Altre volte, il lavoro viene spiegato nelle presentazioni dei progetti, di solito di tipo concettuale. Senza queste spiegazioni, la comprensione sarebbe complicata, se non impossibile.

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Forse per la prima volta, parlo di fotografie singole.

Per l’ultimo mio lavoro “Be the bee body be Boom”, qualcuno mi ha chiesto, ma cosa vogliono dire queste fotografie, belle si, ma non raccontano l’Est Europa (luogo dove sono state scattate), non raccontano un fatto o un personaggio.

Tutto vero, raccontano semplicemente di me. So che può non essere sufficiente, lo so bene, ma la realtà è questa. Sono una fotografa “buttata” nel mondo e cerco di raccontarne la mia visione. Non lavoro per giornali o gallerie in particolare, non vendo nulla.

Desidero che le mie immagini siano suscettibili ad interpretazioni differenti, desidero che chi le guarda venga coinvolto a livelli e con modalità differenti.

Questo, lo potete fare anche voi.

Non dite tutto con la vostra fotografia, aggiungete mistero e ambiguità.

Dico sempre che di fronte ad un’immagine, chi la guarda dovrebbe farsi almeno una domanda, basta una domanda e il fotografo ha raggiunto il suo scopo.

Tentare di soddisfare sempre la curiosità della gente diventa, a volte, una necessità dalla quale non ci si può sottrarre. Credo che questo sia, in parte, legato all’insicurezza di chi le ha prodotte: non so se capirai quindi ti spiego tutto, in questo modo saprai che sono un buon fotografo.

So con certezza però, che le foto più enigmatiche (oltre a quelle tragiche e/o iconiche), sono quelle che vengono ricordate maggiormente.

Se riuscite a creare immagini per cui la gente si faccia domande invece che trovare la soluzione all’interno dello scatto stesso, avete, a mio parere una capacità non usuale, di usare la fotografia.

Spetta a chi guarda, attraverso la sua esperienza, sensibilità e intelligenza, dare un senso a ciò che vede e questo mi sembra magico.

Una sola fotografia, mille interpretazioni. Che “potere” abbiamo…

Ciao Sara

6 pensieri su “Le fotografie misteriose, funzionano?

  1. Cara Sara, questo è perfettamente, precisamente quello che credo e che applico. Naturalmente altri fotografi si sperticano nel sostenere il contrario ma per fortuna sono testarda. La chiamo libertà, aria fresca, respiro, le considerazioni le faccio con me stessa, mi parlo, e, se ‘ci’ piace, scatto conservo o anche il contrario. Essere i titolari della propria passione e viverla senza preoccuparsi del successo, della vendita, dell’opinione altrui (che poi ben venga), senza paragonarsi agli altri è il massimo, per me. Privarsi di questa autonomia è anacronistico rispetto alla fotografia stessa . Non diciamo sempre, infatti, che dev’essere il prodotto del cuore?
    Bell’articolo, grazie.

  2. Buongiorno Sara.
    Perfettamente d’accordo con te. E, quando dici [Sono una fotografa “buttata” nel mondo e cerco di raccontarne la mia visione…] mi viene in mente un’altra domanda che da spesso esiti controversi ed erronei. E cioè: “La fotografia rappresenta la realtà?”. Per molti, sì. O almeno dovrebbe. Ma per me la risposta è secca ed inequivocabile: NO.
    La fotografia non è la realtà (assoluta) ma la visione che il fotografo ha della realtà stessa (quindi relativa). E, quasi sicuramente, non combacia con la visione del… fotografo accanto a lui. E’ una “porzione infinitesimale dello spazio che ci circonda” presa in una “porzione infinitesimale del tempo che abbiamo a disposizione”. Quindi, come fa a rappresentare la realtà? Basta spostare l’angolazione, il punto di vista, la gestione cromatica o qualunque altro parametro… e la nostra fotografia assume toni differenti e può raccontare… UN’ALTRA STORIA.

    Buona giornata.
    I.

  3. Bell’articolo che condivido in pieno. Non si può , per descrivere una foto, parlare di sé stessi di come vedi le cose che ti circondano in una frase, in un periodo. Perché in ogni tua foto ci sei tu con il tuo modo di essere e di vedere o interpretare le cose.

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