Fate bene a non difendere la Fotografia. Chissenefrega.

Io vi ringrazio, si, vi ringrazio tutti. Tutti quelli che leggeranno questo scritto e tutti quelli che lo commenteranno senza nemmeno aver aperto la pagina. Vi ringrazio perché mi date la possibilità di ragionare. Per come posso, chiaro.

Da fastidio, lo so, ho imparato, che qualcuno ti chieda: perché scatti fotografie? Cosa volevi dire?

Allora non ve lo chiedo più, chissenefrega del resto delle vostre motivazioni.
Chissenefrega delle motivazioni per cui scrivo o fotografo pure io.
La fotografia è democratica, giusto? Tutti abbiamo mezzi per fotografare la “nostra epoca”. Tutti fruiamo migliaia di immagini e tutti le produciamo.

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Fotografia di Sara Munari dal progetto “Be the bee body be boom”

Il punto non era questo. Ho commesso un errore.
Il punto vero è la consapevolezza. Produciamo e leggiamo immagini senza preoccuparci della consapevolezza necessaria legata al crearle e al subirle (fruirle). E’ aumentata la produzione di immagini e per assurdo, è diminuita la capacità di capirle.

Abbiamo accresciuto la nostra possibilità di informarci? E’ servito a migliorare la qualità dell’informazione esistente? Non credo.
Anche io, del resto, vado ad alimentare questo flusso continuo e veloce di produzione.

Così riempiamo il mondo di una serie infinita di amenità quotidiane. Una dimensione fotografica tutta personale che ci rende liberi dalla critica. Perché è vero che tutto ha un significato, come mi hanno fatto notare. Tutto ha un significato, si, ma per me. Chissenefrega se questo non ha una valenza sociale.

Lecito.

Tanto qui chiunque è nessuno. Tutti uguali e tutto niente.

Del resto che differenza c’è tra un fotografo e uno che produce immagini la domenica? Nessuna. La lettura delle fotografie avverrà con la stessa superficialità.

Non abbiamo preparato nessuno a leggerle perché eravamo troppo occupati a produrle e a produrle col cavolo. Do la colpa a me come fotografo e docente, alla critica, ai photoeditor che pubblicano e mostrano progetti senza alcun senso.

Tanto dietro il pc siamo tutti uguali.

E nel mondo “reale”, chi può cambiare questo corso che ci fa sentire tanto sicuri, ma peggiora la qualità della nostra cultura e delle informazioni di cui necessitiamo?
Che cosa sarà della mia memoria?

Si, ma del resto, chissenefrega.

Ironicamente Sara

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85 pensieri su “Fate bene a non difendere la Fotografia. Chissenefrega.

  1. chi se ne frega….ti rispondo–La fotografia e come dipingere ..e uno stato d’animo..vedi ciò che vuoi salvare…cio che vorresti altri capissero..ciò che vuoi trasmettere..fermi un periodo ..descrivi il tuo tempo… vero ..ho banale che sia…e lo dai in pasto alla gente ..vera …ho banale che sia…La fotografia …non ce garanzia che venga capita…In un mondo di intelligenza e pazzia ..aiuta la mente e la fantasia..E una penna che scrive ..sul grande mistero….LA VITA… vittorio

      • Diego, l’importante è capirsi, fa niente la grammatica, io poi sono pure dislessica e disgrafica, anzi mi scuso se faccio errori!

    • “o banale che sia…” senza acca, per cortesia. E “non c’è garanzia” con apostrofo ed e accentata.
      Quello di cui parla Sara nel suo articolo è esattamente esemplificato nel tuo modo di scrivere: un imbarbarimento della cultura.
      Siamo tutti così convinti che la nostra nicchia soggettivista sia lecita e sufficiente da fregarcene del fatto che possa essere socialmente valevole o utile.
      E questo vale per la fotografia e…anche per la scrittura.

    • mah..mi sembrano banalità messe in fila…uno stato d’animo ? fermi un periodo? descrivi il tuo tempo? solo presunzione. scusate ma io il senso del post di sara l’avevo inteso in un altro modo.

      • l’esistenza dell’intera specie umana è una serie di banalità messe in fila. milioni di vite ogni giorno sono una serie di banalità messe in fila. Le cose più belle che rendono la vita degna di essere vissuta sono una serie di banalità messe in fila. Siamo quelli che siamo da circa ventimila anni e non ci chiediamo per ogni cosa che facciamo e che adoriamo fare “perché la faccio”? Alcuni chiamano il “perché non posso farne a meno” in senso etimologico “passione” (cosa che ormai è davvero SOLO etimologica, con buona pace sia di Sara Lando che di Benedusi) … ma io gli tolgo volentieri quella radice etimologica e penso che se hai passione di scopare non soffri: ti piace. Se hai passione di mangiare i dolci non soffri: ti piace (soffrirai per altre cose ma vi lascio l’humour).

        Qualcuno ha chiesto a Rembrandt o a Canova “perché” ?
        A duemila anni di artisti hanno chiesto “perché”? Qual’era la loro “motivazione profonda” ?
        Erano capaci. Erano talentuosi, più bravi di altri. Avevano qualcosa da raccontare che non era alto che ciò che tutti gli altri di quella stessa epoca conoscevano e condividevano: lo stesso background. Da quando sono passate di moda religione cattolica e gli dei greci rappresentiamo (spesso) la bellezza del corpo umano senza la scusa degli Dei.

        Se una cosa è (a soggettivissimo tuo giudizio) banale, non significa che non sia vera.

      • Ciao Giulio, chi è Sara Lando? Cosa c’entra Benedusi? Rimango delle mie convinzioni. Ragionando come fai tu, mi sembra vada bene tutto e sempre! Ciao Sara

  2. ciao Sara e complimenti come sempre per i tuoi spunti e le tue riflessioni. Questo argomento sta diventando la mia ossessione, in particolare in questo periodo. Perchè la fotografia ha questa ambiguità di voler essere artistica e anche un pò “pop”. Negli ultimi tempi, in tanti hanno iniziato ad alzare gli scudi in difesa del proprio modo di fare fotografia, in particolare quella che potremmo definire “street”, che poi, a conti fatti è la Fotografia (il quotidiano, immortalato). E ne ho sentite di tutti i colori… back photography, walkin photography, etc etc. Io sono convinto che l’educazione all’immagine dovrebbe essere una PRIORITA’ nell’attuale sistema educativo, ma visto che questo avviene solo in determinati percorsi formativi e che, contemporaneamente, chiunque può mostrare le sue immagini ad un pubblico anche troppo esteso, l’invasione di immagini di ogni tipo è un fatto reale. Io sono giunto alla conclusione, che, il problema di fondo nel creare tutta questa confusione è la mancanza di un committente. Esco, faccio foto, le pubblico i miei mille mila amici mi mettono “like ” e stelline e mi sento un genio. Però nessuno si fa avanti, denaro alla mano per offrirti il riconoscimento universale. Ma questo non esclude che possa accadere in futuro. Il riscontro, semplicemente non è immediato. Se faccio un matrimonio, o un servizio per un cliente ho un riscontro immediato: il lavoro piace/non piace. Se fotografo per me, devo accontentare il mio gusto estetico/artistico, non ho uno sbarramento da superare: lo sbarramento sono io stesso. Ci sono tante foto, e fotografi, che sono stati rivalutati nel tempo. E molta della loro produzione potrebbe essere “back photography” o “walking photography”. Ma il tempo, si sa, è un ottimo giudice. Ci sono tante icone fotografiche, di autori diventati, che a conti fatti potrebbero rientrare in queste categorie “deprecabili”. Il vero problema, forse, è che ci si dovrebbe prendere più tempo… più tempo per capire. Chi è questa persona che ha fatto la foto? cosa fa? dove vive? da dove arriva? Che poi è quello che si fa quando il relatore si occupa di una lettura portfolio.

  3. Io faccio foto, per la maggior parte assolutamente inutili, alcune hanno un valore personale e nulla più. Mi piacerebbe imparare ad esprimermi meglio e riempire con il tempo i miei abissi culturali, nel frattempo approfitto della semplicità dei mezzi e continuo a fare foto, perchè la passione mi fa stare bene. La possibilità di accedere alle informazioni è aumentata in maniera proporzionale alle cazzate che ci vengono offerte, perciò il mio livello di ignoranza resterà tale se non mi do da fare io. Comunque spero continuerai con la tua attività divulgativa, mi è molto utile. 🙂

  4. Una verità scolpita. L’era del digitale ha portato a questo. Una produzione infinita di immagini per un consumo smodato e anonimo. Oggi l’immagine invecchia in 5 secondi, nel tempo di un like. Il web è diventato un’idrovora che divora tutto. Ma il web è solo strumento nelle mani dell’uomo e quindi si ritorna alla verità assoluta. L’ignoranza vince sulla cultura e non è solo questione di tempo o di tempi.

  5. Tutto vero; e parlo da ultimo della classe. Una maggiore “cultura” fotografica è la soluzione per quanto ardua e forse ormai irraggiungibile ma quello che conta è almeno percorrere la strada. Viceversa, sarebbe anche auspicabile che “gli esperti”, “i professionisti” fossero un pò più interessati e meno “interessanti”, magari vedrebbero che nel marasma qualcuno con qualcosa da dire cè. C’è sempre.

  6. E’ cambiata la velocità con cui vengono proposti nuovi scatti tanto che potremmo chiamare questa l’epoca dell’immagine; sono cambiati i mezzi di distribuzione e per contro non c’è più tempo per sfogliare un libro fotografico con la giusta calma, con tutto quello che ne consegue. I ritmi si sono accelerati e c’è da riflettere sul tempo da dedicare al singolo frame, perchè penso che siano altri i metodi per avere un certo successo: essere social e produrre tanto. La slow art anche di qualità su fb e company pagano poco, vengono fagocitati nello stesso tempo di uno scatto mediocre.

  7. Ma se il 99,99% di noi vive senza consapevolezza, vuoi che si inventi una consapevolezza per fare una foto?!

  8. Appunto! Io invertirei il concetto…Che differenza c’è tra un fotografo che produce immagini e un fotografo della domenica? Resta immutata la risposta…la tua:
    “La lettura delle fotografie avverrà con la stessa superficialità”.
    I vari Festival o Fiere di fotografia sono sovraccarichi di apprendisti lettori di portfolio (logicamente tu sei esclusa). Gente improvvisata nei salotti pseudo culturali, gente che si riempie la bocca di pensieri copiati e imparati a memoria da qualche Wikipedia in stile fotografico.
    Gente che giudica e determina il destino di un fotografo, gente che non conosce Piergiorgio Branzi, gentaglia che non ha nessuna cultura fotografica (…è successo veramente a Bologna…se si può dire). Ecco! Noi siamo giudicati da loro.
    Abbiamo delle gallerie che espongono “artisti” solo e grazie alla disponibilità economica del “cliente” e non sulle capacità artistiche.
    Ecco! Noi siamo giudicati da loro.
    Noi fotografi dovremmo essere più severi, emarginare certi personaggi, avere il coraggio di “sputtanarli” e di motivi ce ne sarebbero a migliaia.
    Finchè tutto verrà zittito in nome di un volgare e conveniente commercio, la cultura fotografica sarà emarginata e in un futuro anche dimenticata.
    Bisognerebbe creare una “associazione” indipendente, libera dal far soldi a tutti i costi, così potremmo avere un pensiero fotografico più leggero e senza zavorre composte da stereotipi culturali e banalità sociali.
    Ironicamente Giulio

    • Eh, Giulio, purtroppo mangiare può essere fondamentale. Io faccio quello che ritengo giusto per come posso, magari sbaglio pure in qualche caso, ma mi impegno! Grazie, ciao Sara

  9. Sara, condivido a pieno il tuo sconforto, ma il problema è più generale e riguarda l’intera sfera della produzione culturale e della comunicazione. Con internet è aumentata la quantità delle notizie, in termini di dati, non necessariamente di qualità e di riflessioni. La lettura è veloce, la reazione istintiva. Lo stesso accade con la fotografia. La maggior parte delle persone che approcciano e praticano la fotografia lo fanno in modo superficiale e/o autoreferenziale , o con motivazioni diverse da quelle che hai tu e non sono interessate ad approfondire e tantomeno a riflettere sul proprio lavoro e su quello degli altri. E d’altra parte quanti blog di discussione di libri fotografici conosci? In compenso ce ne sono decine che si occupano dell’ultimo ritrovato teconogico. Questo è. Che però non vuol dire che non ci sia anche chi ti ascolta ed è in linea col tuo sentire…solo devi rassegnarti … sarai/saremo sempre più minoranza…beautifull losers, per citare Leonard Cohen….😉!

  10. Penso che tu abbia ragione non per ” il chi se ne frega” ma per quello che hai detto nell’articolo. Questo tipo di riflessioni è abbastanza frequente tra i fotografi che hanno avuto o hanno esperienza fotografica e che cercano di trasmettere qualche stato d’animo di creare una empatia in chi le guarda.
    Ti ringrazio dei tuoi articoli perché sono provocatori e dovrebbero far riflettere.

  11. Non è più il tempo delle cose serie, non è più il tempo degli intellettuali, non è più il tempo delle elìte. Oggi grazie alla Rete è il tempo dell’uomo medio, di una pseudo-superficialità che in realtà è sintesi a colpo d’occhio. Le seghe mentali di stampo concettuale le lasciamo ai nostri avi, ai filosofi greci e tedeschi.
    Sento fortissima la necessità di una evoluzione del linguaggio fotografico, una nuova visione. Sono stanco dei soliti reportage, dei soliti ritratti, dei soliti paesaggi, e parlo di quelli d’autore. Tutti uguali, vedo la prima foto e so già tutto. Mi viene la forfora allo scroto. Dobbiamo voltare pagina, ma io non so come fare, non ne ho le capacità.

  12. Brava Sara! You get the point! Del resto si sa, viviamo in un epoca in cui tutti possono fare tutto e tutti possono avere un’opinione su tutto. Basta cliccare su google, leggere qualche articolo e si hanno gli strumenti per controbattere un dottore, uno scienziato, un professore…o chiunque altro, perchè abbiamo l’idea che la nostra opinione abbia più valore di anni di studi o ricerca o lavoro!
    Al di là di questo, nella fotografia c’è un terribile vuoto intorno che si chiama cultura. Quella che dovrebbero insegnare nelle scuole ma che hanno tolto dai programmi, quella che dovrebbe spiegare perchè Duchamp ha rovesciato un urinatoio, Wahrol ha fatto tante fotine uguali colorate e chi era Ghirri o chi è Nan Goldin e che non esiste solo Bresson santa pazienza!!!!!! Purtroppo è un male soprattutto italiano, questa supponenza legata da un retaggio artistico che però è puramente sterile e fine a se stesso!
    No, sapessi i commenti davanti ad opere “difficili” o non immediate che sento anche solo da amici addirittura abituati alle mostre….”ma questo lo potevo fare anch’io”, o “e io ho pagato per questo?”
    Come se tutti potessimo fare tutto! Come no, fotografo una ragazza seduta su un letto e sono Sarah Jones. L’ho fatto ma non sono lei! Io sto cercando di trovarmi uno spazio che al momento è solo commerciale e la fatica non è trovare clienti ma far capire che la qualità ha un senso, si paga e che il tempo è lavoro. Questo è un altro discorso ma siamo sempre lì a legittimare uno strumento che per il resto del mondo è un mezzo artistico ma soprattutto qui è considerato un oggetto quotidiano, che tutti possono usare (“ma con quella macchina lì tutti possono fare belle foto”) e che tutti sanno fare! E davanti a questo mare d’ignoranza “il naufragar m’è tutt’altro che dolce”, m’è inevitabile.
    Forza Sara.
    Non credo cambierà, anzi penso che peggiorerà ma fra tutta questa cacca nascono dei fiori profumatissimi!

  13. Ho letto questa mattina il tuo post, stavo per risponderti poi ho pensato chissenefrega, poi siccome non son capace quando una cosa la amo, di passare avanti, son tornata al pc. La fotografia impazza, tutti ci sentiamo fotografi, pochi hanno la consapevolezza di non esserlo, è come sentire e ascoltare. Tutti sentono, pochi sanno ascoltare veramente, interpretare il non detto, capire con il cuore ciò che la voce non dice. Non so dirti se parlarne serve a chi sente e non ascolta, da parte mia dico che serve a quelli come me, che non essendo fotografi aspirano a diventarlo, amano stare con quelli VERI BRAVI – perché l’artigianalità si apprende con gli occhi, le orecchie e il cuore. Pertanto GRAZIE

  14. Buongiorno Sara, interessantissima riflessione! Personalmente ho chiaro cosa voglio dire, ma è il “come lo sto dicendo” che non mi soddisfa più. Trovo più dissonanze che armonie,( al di là del like in un social), per questo credo nelle pause, mi concedo più tempo da dedicare all’approfondimento e allo studio che credo fondamentali per alimentare la consapevolezza del gesto. Mettersi in discussione è sempre il primo punto di partenza. Nel frattempo confido in un occhio più attento anche da parte di chi divulga, supportare un certo tipo di fotografia, diciamo standardizzata, manda un messaggio sbagliato e capita di farsi travolgere perdendo il senso di autocritica e di consapevolezza appunto. Questa fretta di apparire, tipica dei social, va a discapito della concretezza dell’essere.

  15. Finche’ continueremo a guardare fuori e non guarderemo con gli occhi puri da bambino, non troveremo nessuna foto che possa destare in noi la meraviglia che cerchiamo, e che solo il creato nella sua semplicita’ puo’ darci.Siamo “umani” guardiamo e poche volte o forse mai vediamo!

  16. Poche sere fa eravamo a cena con un’arzilla settantenne tedesca estremamente colta e anche se nessun altro tra i commensali era particolarmente interessato all’argomento il discorso è caduto sulla fotografia. La signora tedesca mi ha chiesto se scattavo con il rullino o in digitale (“dighital” eheh). Quando le ho detto che scattavo in digitale ha storto il naso e ha esclamato: “ma che SCHIFO (veemente)! Tutti scattano miliardi di fotografie stupide, nessuno pensa più, mi fanno proprio incazzare (testuali parole). Se scattassero con il rullino ci penserebbero molto di più prima di scattare, non fosse altro che per il costo!!!”. Non ho potuto far altro che darle ragione, però ho aggiunto: “perché arrabbiarsi, è come la pioggia, solo che invece di gocce d’acqua sono foto, e non ci si può fare nulla salvo aprire un ombrello metaforico. Ognuno di noi aspiranti fotografi dovrebbe guardarsi dentro: se trova qualcosa magari lo scatto fiorisce e racconta, ma se c’è solo esibizionismo, voglia di stupire o semplice cazzeggio, come è in stragrande maggioranza, che vuoi che esca fuori? . . . Apriamo l’ombrello e andiamo avanti!”.
    Ci sarebbe da aggiungere che quando leggo i commenti alle foto postate non c’è mai, e dico mai, una qualsiasi critica. Tutto piace a tutti. E senza dubbio si rischia di affogare in mare indistinto di banalità. Meglio ridurre la platea e confrontarsi su ogni lavoro o singola fotografia, accettando, anzi richiedendo, la critica costruttiva.
    Suggerimento: perché non introdurre ogni tanto nel blog una lettura critica di qualche lavoro?

    • Ciao, grazie per il commento, si forse potrei anche fare la lettura critica di qualche lavoro, ma dovrei davvero trovare un po’ di tempo per farlo bene, sono convinta che queste cose funzionino meglio solo dal vivo, con le foto davanti e soprattutto la persona.

  17. Aggiungerei che secondo me invece di lamentarci dovremmo prendere in considerazione il fatto che i fotografi di oggi parlino di cose che non interessano alla gente. Potrebbe non essere una questione di cultura, non credo che i lettori di Life fossero tutti intellettuali o avessero una fine cultura dell’immagine. Il problema vero potrebbe essere che i lavori fotografici autoriali di oggi non incontrino le esigenze del pubblico. Ho la sensazione che ci sia un problema di sync.
    Da che mondo e mondo si è sempre parlato così, ricordo mio nonno al tempo della mia infanzia: “ah, oggi non c’è più cultura, i giovani scrivono e si esprimono malissimo, bla bla bla”. In realtà non è il pubblico, la gente, che deve cambiare, è l’artista che deve saper esprimere criticamente problemi attuali con un linguaggio In grado di essere compreso oggi.

    • La fotografia é silenziosa, ma nel momento in cui il silenzio va ad esprimersi in una comunicazione, diventa espressione del proprio interiore, esprime l’animo dell’autore.
      L’osservatore può ascoltarla, capirla, comprenderla.
      Il collante é una cultura adeguata

    • Ciao Marco, no, dai non sono d’accordo…ci sono davvero alcuni bei lavori in giro e molti creati da fotografi che da anni lavorano su progetti seri e interessanti. C’è troppa offerta che spesso crea confusione e nella massa, anche le cose buone, fanno fatica ad emergere! Ciao s

  18. Penso di capire cosa intendi. Mi hai ricordato una parte del contributo che raccolsi in una conversazione-intervista qualche anno fa con Ferdinando Scianna, te ne riporto il link:

  19. La Fotografia come del resto, la scrittura, la letteratura, il cinema, l’educazione ecc. ecc. È rimasta vittima della tecnologia facile, tutti fanno tutto, ma nessuno riesce a fare tutto ! Questo inevitabilmente porta ad un abbassamento del livello qualitativo ( e sulla qualità, per come viene interpretata, c’è molto da discutere ) che purtroppo rende banale la maggior parte delle cose, è un fenomeno che a parere mio è irreversibile, ma esisterà sempre una frangia di persone che apprezzano le cose fatte col cuore e con criterio !! ( spero )
    Ciao

  20. Io credo fermamente che le vere opere d’arte abbiano un anima ..quindi un senso è una cosa che si percepisce ma non si può spiegare e’ una comunicazione trascendentale direi .a volte la percepisco osservando una una fotografia altre volte rimango indifferente perché vuota di contenuti .non si può barare ! La sincerità è fondamentale per poter apprezzare un lavoro creativo.

  21. Vorrei tanto scoprire anche il perché .. una fotografia. Un volto una melodia un dipinto un gesto un profumo ..mi colpisce..

    • Ti colpisce quando la cosa ripresa o ritratta, anche alla lontana, ti coinvolge personalmente. Ricordi, colori, condizioni vicine…questo ci colpisce! Un lampo pungente che riporta ad altro…credo! Ciao Sara

  22. Nel mio piccolo credo che i critici stiano sorpassando i fotografi o pseudo tali come me…
    si continua a sperimentare e per sperimentare, spesso, si riduce a violentare una fotografia perfetta per renderla artistica…
    grazie Sara per questo spunto

  23. Apprezzo molto quanto scritto. Contenuti e riflessioni.
    E l’ironia. Amara e schietta. (sì, probabilmente così dovrebbe essere l’ironia. A parer mio è anch’essa un’arte.) E soprattutto, il mettersi in discussione. Diretto. Non trasversale.

  24. La fotografia popolare è sempre esistita, è lo specchio dei tempi e spesso è più interessante (socialmente) dei lavori dei fantomatici guru. Il problema è che l’utente medio perso ad apprezzare qualche meraviglioso tramonto su qualche social spesso è tentato da provare di diventare lui stesso un fotografo (semi)serio ritrovandosi così dopo qualche mese a scattare le stesse foto che faceva prima a più megapixels e continuando a mettere “mi piace” sui tramonti degli, adesso, amici fotografi. I più motivati compreranno anche qualche libro di Freeman e parteciperanno a qualche mostra di McCurry e Salgado e tutto finirà li. Ormai è un circolo vizioso e i presunti professionisti sono sirene pronte a dare al “cliente” quello che vuole. O quello che gli fanno credere di volere che poi è la stessa cosa. E via a magiche regole sulla composizione, corsi di fotoritocco e modelsharing come se piovesse. E come si legge una foto? Quello no: tanto a che serve sarebbe solo tempo perso per uno che viene per imparare a diventare bravo subito. I pochi veramente in gamba probabilmente emergeranno comunque ma faranno più fatica e avranno meno visibilità. E i moltissimi fotografi amatoriali in erba (e mi ci metto anche io dentro) che avrebbero potuto migliorarsi, o quantomeno capire per sommi capi cos’è una buona foto, continueranno a farci annegare in un mare di inutili immagini.

  25. ciao Sara, la prima volta che ho partecipato ad un incontro del circolo fotografico di cui faccio parte ho osato ribattere che una tal fotografia, in quel momento proiettata, “non mi diceva nulla”. Specificando poi “emotivamente intendo, e quindi mi limiterò a giudicarla dal punto di vista tecnico”.
    Ebbene, si è scatenato l’inferno.
    Però alla fine… noi siamo ciò che siamo o siamo ciò che ci imponiamo di essere? O forse ancora siamo ciò che il mondo ci chiede di essere?
    Sarà che, da ignorante forse, credo nel relativismo estremo della fotografia.
    Credo nei pareri contrastanti.
    Credo nell’istinto.
    Quindi mi è piaciuta la tua affermazione “Tutto ha un significato, si, ma per me. Chissenefrega se questo non ha una valenza sociale.”.
    Se questo ci bastasse davvero, nessuno si offenderebbe più per una critica negativa.
    ciao!
    Elisa.
    ps, grazie per aver scritto questo articolo.

  26. Ciao Sara,
    interessanti spunti di riflessione.
    Interrogarci sulla (ormai perduta?) consapevolezza legata alla produzione/fruizione delle fotografie, magari potrebbe farci arrestare un secondo durante il quale (un secondo è ormai tanto tempo) dovremmo fare un profondo respiro e riflettere? Le immagini aumentano sempre di numero e raramente per la loro ‘qualità narrativa’ o estetica, oppure siamo noi che abbiamo perso la capacità nel saperle leggere?

    Attrezzare un ‘telefono’ con una fotocamera (che il signore della luce mi perdoni :D), non siginifica forse dare una spinta alla perdita di consapevolezza dello scatto? (su questo ci sto facendo un progetto fotografico che porto avanti da 3 anni).

    E poi ancora: quante immagini vogliamo ancora vedere? Quanto siamo in grado di processarle tutte e comprenderle ‘di pancia’, più che analizzarle tecnicamente?

    La fotografia ha già detto tutto? (secondo me no e non smetterà mai di farlo ma…sono domande che mi pongo)

    Fabio

    Grazie

    • Ciao Fabio, la fotografia, fortunatamente, non potrà mai dire tutto. Sempre di nuovo tratterà. Quelle che ti poni, sono le stesse domande che mi pongo io. Spero di avere la forza un giorno, di far cambiare anche solo poco, le cose. Grazie, ciao Sara

  27. Giusta la tua preoccupazione, ma il discorso è valido anche per altri settori. Se posti su un social una massima banale e scontata sull’amore hai molti “mi piace” se invece citi Pessoa o Nietezche, di solito non ti commenta nessuno. Così se posti un’immagine cartolina a colori del tuo paese con vignettature e foglie in primo piano a fare da cornice ti troverai tanti “bellissima, meravigliosa” al contrario se fai un lavoro di ricerca in bianco e nero con tagli particolari, o di soggetti sgradevoli e fastidiosi ti puoi sentir dire, ma cosa c’era di bello da fotografare? Il problema è l’abbassamento del livello di cultura e di senso critico nella popolazione. Ben gestito dal potere politico che fa di tutto con le Tv per tenerlo basso – è più facile comandare degli ignoranti – … Cordialità e buon lavoro

  28. Ciao Sara non arrabbiati. Non è colpa tua se hanno inventato telefonini che, più che connettere le persone tra loro, servono per scattare immagini a tutto spiano. Per poi invadere l’universo di selfie e fotoricordo del nulla. Ma la democrazia dice che ognuno è libero di raccontare la sua storia. Non è detto che noi la si debba ascoltare per forza. È questa la consapevolezza. Buona giornata

  29. Di nuovo. Allora io posso anche rispondere, ma a chi fa questa domanda, come a chi si chiede che senso (o se ne abbia) abbia la vita, io chiedo: rispondimi prima: chi ha detto che deve avere un senso? E PERCHE’ deve avere un senso?
    quindi riciclo: Perché deve esserci un perché?

    Fotografo è colui che produce una fotografia: una immagine generata attraverso un preciso range di possibilità tecniche tutte comunque riconducibili alla fotografia. Stop. Un produttore di immagini potrebbe essere un illustratore: e chi divide l’illustratore dal pittore è come quello che deve decidere se qualcosa sia arte. Sai da sola (credo) che una ampia branca della filosofia si occupa di questo: non sono quindi i filosofi della domenica a risolvere in due secondi un argomento così complesso. E anzi mi chiedo: perché diavolo vi ci volete per forza tuffare dentro? Non ve lo vieto, ma è come se vi chiedeste “perché mi piace trangugiare la crema pasticcera?”. Ah boh: io la trangugio. E non solo: ma mica mi piace qualsiasi crema pasticcera. Quindi la conoscenza tecnica del mezzo non è nemmeno necessaria per fruire (ed eventualmente – ma da decidere – di GODERE ) del risultato.

    Dopo la solita boutade di Benedusi (fate fotografie di merda perché non vi chiedete il perché) mi è inevitabile andare a vedere cosa faccia chi sputa tali sentenze assolutiste: la risposta, nel suo caso, è “perché mi pagano”.

    Io ho svariati motivi che mi spingono a scattare le foto COMMERCIALI che faccio. Purtroppo sono tutte aride motivazioni lavorative. Ma sostanzialmente amo il ritratto e tratto, per ora, il nudo come immagino che il naturalista faccia con tutti gli altri animali: una incapacità di bere tutta in una volta la traboccante coppa di bellezza di una creatura. Che sia un gatto, un leone, una formica, un particolare essere umano che ci ha colpito. Ma nell’atto della creazione di questa opera c’è interazione: a qualcuno interessa l’atto di interazione (sociale) che intercorre tra il ritrattista e il ritrattato (così dice la legge e il dizionario, per gli amanti di ortografia e grammatica). Quindi qualcuno potrebbe dire che fai ritratti perché vuoi avere a che fare con le persone. Ma è falso. Non so se sia riduttivo, meschino o malevolo … di sicuro c’è qualcuno che usa la scusa per fare il marpione ma questo non c’entra.
    Non ho chiesto ad Eolo Perfido “perché” lui abbia prodotto la serie dei Clown. La guardo e mi piace. E mi rispondo quasi sempre che se un’opera richiede parole e spiegazioni ed un complesso background, non so se mi piaccia tanto.

    La natura ha un motivo preciso per produrre bellezza. Ma noi che non abbiamo le sue motivazioni le subiamo, noi ne siamo una parte e siamo progettati per sentire qualcosa nei suoi riguardi.

    Concordo, in realtà, anche con chi dice che il fotografo è come un pittore: perché si deve chiedere il perché? Perché la fotografia che è un mezzo deve essere talmente santificata tanto da non poterla usare con leggerezza come la voce? Se non hai niente da dire forse dirai qualcosa di poco interessante… potresti dire anche nulla, ma lo potresti fare cantando solo vocali. E produrresti, con questo mezzo, qualcosa di meraviglioso e completamente privo di significato, il cui background culturale necessario è la semplice appartenenza al genere umano, il cui impatto emotivo è soggettivo eppure completamente condivisibile persino a prescindere dal tipo di cultura (araba/occidentale) in cui si sia percepita la musica nell’infanzia.

    Dovrei tapparmi gli occhi perché non ci sono cose che “siano davvero qualcosa” (per chi? chi lo decide? e perché ha ragione?) da guardare.
    Certo spesso le persone non hanno nulla da dire e parlano lo stesso. Spesso però molte si inventano necessità di motivazioni e consapevolezze che nessuno ha davvero stabilito siano necessarie.
    Molti producono “immagini gradevoli”, alcuni attraverso il mezzo fotografico. Alcuni hanno l’urgente necessità di comunicare un messaggio e scelgono questo mezzo (perché? perché non dipingere? Perché non generare completamente l’immagine al computer? Perché?).

    Ma nascondersi che il motivo stesso per cui è “banalmente” nata la fotografia è catturare la realtà in modo fedele e diventato velocemente impossibile dato che sarà sempre una sua rappresentazione a prescindere dalla nostra volontà … mi sembra una imposizione di sovrastrutture completamente artificiale.
    C’è gente che fa “corsi di creatività”.
    Dovrei considerarla una cosa risibile. Ed invece in certi momenti l’ispirazione o l’impellente impulso di esprimere qualcosa di nostro potrebbe essere insufficiente. L’arte, il mestiere, l’esercizio della tecnica al servizio di un lavoro che si serve semplicemente e materialmente di qualcosa che per qualcuno è motivo di vita riportano con i piedi per terra quello che è solo un mezzo.
    Artista ed artigiano. Pittore e decoratore.
    Chi lo stabilisce? E se uno fa per mestiere (il perché più semplice) qualcosa che ama fare? (il perché per molti “banale”) e SE GLI CAPITA, talvolta, ne approfitta e scorge un messaggio esprimibile attraverso l’immagine la cui corretta creazione è stato l’impegno principale di chi usava il mezzo?

    Per molti la fotografia è un’estensione del proprio sguardo. Ci sono istanti che per noi sono fuori dal comune: come uso la voce (medium) per chiedere che ore sono, e altre volte per perorare una causa in difesa dell’arte/umanità/libertà/ecc – così posso fare con la mia vista. Percepisco la realtà, semplicemente, aprendo gli occhi. Mi serve sia per vivere che per sopravvivere. Talvolta, PER CASO, senza intenzione, senza motivazione, accade qualcosa di memorabile. Cosa lo memorizza in modo che possa trasmetterlo a qualcun altro in mancanza di telepatia?

    Banalità solo perché ci si accorge che si elevava l’ovvio a qualcosa di cui chiedersi il perché o solo perché l’ha già detto qualcun altro?

    Di solito prima di diventare “qualcuno” nessuno si comporta in modo elitario tale da disprezzare l’uso che gli altri fanno di un mezzo: lo stesso uso che noi stessi ne facevamo fin dall’inizio senza chiederci il perché. Qualcuno sale qualche gradino. Altri no. Perché? E perché mi devo chiedere il perché?

    Per qualcuno la programmazione (coding) è la suprema forma d’arte. Per qualcuno è una tecnica per ottenere uno scopo.

    Se la motivazione per cui stai scattando QUELLA foto è “perché il cliente mi paga” (se vivi di fotografia non sarebbe inusuale) credo non ci sia granché di disdicevole. Potresti però considerarla prostituzione. Allora “c’è chi l’amore lo fa per noia / chi se lo sceglie per professione / Bocca di Rosa né l’una né l’altro / lei lo faceva per passione” diceva quello … 😉 Non ci vedo una mancanza di consapevolezza nel rispondere il Benedusianamente-odiato “perché mi piace”. Trovo invece fastidioso (si), perché è come farsi spiegare una barzelletta, il continuo dover giustificare un’azione per noi naturale come l’uso dei sensi. Talvolta c’è un motivo, talvolta no.
    Molti fotografi famosi dicono “tu intanto falla, poi vediamo”.
    Mi pare un buon perché dell’azione iniziale dello scatto.

  30. Ciao Sara 🙂 mi dicevi “Ciao Giulio, chi è Sara Lando? Cosa c’entra Benedusi? Rimango delle mie convinzioni. Ragionando come fai tu, mi sembra vada bene tutto e sempre! Ciao Sara”

    Sara Lando è una nota (evidentemente non abbastanza) fotografa. Benedusi, da un po’ di tempo, va assolutisticamente – come è sua prassi – sputando la seguente sentenza “sapete perché le vostre foto fanno cagare?! Perché prima di scattarle non vi siete chiesti perché la sto scattando” – Ed in una pubblica (su internet) discussione entrambi sostenevano che dire che si fa per “passione” era impossibile perché passione significa sofferenza ecc ecc (e questo non è: l’etimologia NON è il significato attuale della parola).

    Questo per spiegare 🙂

    E ora: perché non deve andare bene tutto e sempre? 🙂 Non deve essere considerato un modo di fare del cavolo, perché se ci intestardiamo sulla validità del doverci chiedere sempre e comunque il perché di ogni cosa, perché non si può fare con lo stesso ragionamento? Fino ad accorgersi che forse non è poi tanto valido?

    Esiste comunque la possibilità di dare una valutazione: sia personale, sia invece condivisa, con o senza un background, emotiva … del resto tanto, tanto, tanto tempo fa si diceva che “de gustibus non disputandum est” … Si può concordare su precise caratteristiche di un’opera. Ma il valore che ognuno di noi conferisce a queste caratteristiche è comunque soggettivo. A me una cosa fa schifazzo – anche dopo che me l’hai spiegata se per caso non avevo gli strumenti per capirla – e un’altra mi piacerà nonostante sia obbligatorio definirla banale o volgare o scontata o manierista o … qualsiasi cosa possa essere definita (e con motivazioni valide).

    Qualcuno ha detto che quella fotografa amatoriale (sicuramente tu sai chi, io ora non ricordo: è stato fatto un film) che ha tenuto sempre le foto nel cassetto avesse fatto bene … certo, ma prima le ha scattate. E, a mio avviso, ha fatto bene anche in quel caso. Scattare una foto è come un atto vitale … scegliere di non vivere è possibile. Ma è possibile vivere e poi lasciare che qualcun altro – se crede sia lecito, necessario, sensato farlo – dia un giudizio di valore su questa tale vita (ai posteri l’ardua sentenza ecc ecc).

    Bau! 🙂

    • Ciao Giulio, mi stai simpatico!
      Grazie per avermi spiegato bene quello che pensi. Mi spiego meglio anche io. Prima di tutto, io non mi riferivo a chi scatta fotografie in generale, ma a chi in qualche modo, si auto definisce fotografo. Certo, chiunque può scattare fotografie per il piacere di farle. Uscire di domenica e considerare fantastico fotografare papere e fiorellini! Che importa, non è questo (anche se rimango convinta che l’archivio visivo dei nostri giorni si stia impoverendo sempre di più). Il problema è nella fruizione. Se definiamo fotografia tutto, senza distinzioni, quella prodotta senza consapevolezza (più che sofferenza come dice la Lando) e quella scattata con intento di far comprendere un fatto, un luogo o una persona ecc ecc., la gente comune, come sta succedendo, non farà distinzione alcuna. Non ha le basi per poterlo fare e quelle basi gliele stiamo togliendo noi. È aumentata in modo spropositato la quantità di fotografie è diminuita la capacità di leggerle. Se moltiplichi tutto questo per tutto il mondo o quasi, immagina la confusione inconsapevole di chi “guarda”. Posso lasciar correre? Posso combattere affinché mio nipote non credo che dal 2005 al 2020, le cose importanti della vita non fossero il sushi, le tette, le papere e i piedi a mollo in piscina? Certo sarà lui a decidere quanto capire, ma per noi è stato più semplice, non credi? Chi produceva fotografie per raccontare, era ben distinto da chi faceva le foto la domenica, sapevamo dove cercare…ora che succederà? Ora vado nel Polesine, ho un workshop, ciao e grazie Sara

  31. Cosa penso io, per quello che vale! Non credo ai pezzi di carta nell’arte, che attestino qualcosa, nell’arte conta ciò è che sei capace di fare, altrimenti vai a fare il geometra, oppure il perito meccanico se hai bisogno solo di imparare nozioni. In questo le scuole d’arte non fanno che sfornare disoccupati e basta e se c’era un talento iniziale, l’unica cosa che sono riuscite a fare è stata quella di demolirlo a forza di regole e regoline. Quando si smette di essere concentrati sul proprio e si comincia a guardare ciò che fanno gli altri in maniera critica, o si cominciano a tracciare personali confini d’appartenenza a questa o quella classe, c’è qualcosa che non va. Il chissenefrega è proprio rivolto a questa azione che di positivo non ha niente, in tutti i sensi. Non me ne frega niente se il digitale ci ha inondato di immagini, non le guardo, non m’interessa se tutti oggi possono fare una mostra di 30 foto dopo averne scattate probabilmente 3000, affari loro. Fotografo è colui che fotografa, punto! Lo è anche mia madre quando lo fa. Non me ne frega niente dei circoli fotografici che per trovare un briciolo di motivazione devono fare un tema in 24 proposto facendo anghingo. Non sono in competizione con gli altri, non ho stellette da fotografo da mettere sulle spalle e chi se le mette mi fa abbastanza ridere! Soprattutto perché spesso chi si preoccupa di queste cose, poi a fotografare fa abbastanza pena. L’arte è lavoro duro e non ci sono energie per queste minchiate paranoiche. Come fotografo, io non devo sembrare intelligente con continue citazioni forzate nelle foto, io devo dialogare coi miei simili in maniera sincera, non fare il compitino della scuola dell’arte che è un linguaggio e si rivolge alle persone che ti assomigliano per cultura e sensibilità, per gli altri parlerai un linguaggio incomprensibile, loro non capiranno te, né tu loro e non c’è nulla di male in questo. Scopri la tua verità, la fotografia è lo strumento per togliere la terra dalla buca dov’è nascosta, è solo tua e basta però e di chi la condivide con te. L’arte è qualcosa che prescinde dalla coscienza e dal controllo di chi la compie è fatta di intuizione e l’intuizione scavalca il processo logico di ragionamento, arriva e basta e va assecondata, il resto è mestiere di artigiano.

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