Perché scattate se non avete niente da dire?

Ogni giorno scansiono la mia home di Facebook, scorro le immagini postate da tutti molto velocemente, raramente una foto mi colpisce, in quel caso mi fermo, vado a “controllare” chi l’ha scattata e perché ha deciso di scattare.
Si, perché se una foto mi colpisce, non è esclusivamente per il contenuto formale, per i pesi tonali o la composizione (avevo già parlato di questo qui), certo, tutto questo aiuta.
Sempre più spesso mi ritrovo a ragionare sulle motivazioni.

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C’è un filo conduttore che lega questa foto ad un lavoro coerente che mi porti a farmi domande su quella singola immagine e su quelle alla quale dovrebbe essere legata?
Per me non è più solo è una questione di buon soggetto per lo scatto, è semmai questione di capacità e coerenza nel mettere insieme un discorso, attraverso le immagini.
Non posso più permettermi di valutare un fotografo per le singole fotografie, non mi importa più. Troppa gente produce immagini esclusivamente perché un mezzo qualsiasi che posseggono, le produce.
Credo che la bravura di un autore si percepisca sulla lunga distanza, siamo maratoneti non centometristi.
Con il blog ricevo tantissime proposte per la pubblicazione tra gli autori Musa. Spesso, delle 10 foto richieste (già poche a mio avviso) ce ne sono 3 coerenti nella forma, nel contenuto e nel messaggio, il resto si perde.
Come mai vi sembra così facile fotografare?
Perché scattate se non avete niente da dire?
Perché non pensate al fatto che chi vedrà le vostre immagini vorrà imparare qualcosa da voi?
Potreste rispondermi: perché mi diverto, per archiviare ricordi, per non dimenticare.
Tutto lecito, vero. Ma avete mai pensato che di fronte alle vostre fotografie qualcuno potrebbe farsi qualche domanda in più rispetto a: Ma che bel tramonto, dov’eri?
Ma che bel bambino, è tuo figlio? Ma che belle le maschere di Venezia quest’anno, sembrano quelle dell’anno scorso e dell’anno prima…e dell’anno prima e dell’anno prima……
La Fotografia serve a questo, solo a livello personale (raramente, anche se ci sono casi eccezionali ed eccezionalmente interessanti, che hanno fatto di album di famiglia il “lavoro della vita”, ma erano consapevoli di stare producendo quello, voi lo siete?), ma se pubblicate le vostre immagini, se le rendete pubbliche, non può bastare.
Questa è la differenza, secondo me, tra un produttore di immagini ed un fotografo.
Il fotografo lavora ad un progetto umano complessivo che diviene nel tempo e che deve servire, precorrendo i tempi, a spiegare avvenimenti, sensazioni e atmosfere, che fino a quel momento, in quel modo, nessuno era riuscito a spiegare, non con la medesima interpretazione.
Non è vero che tutto è stato fotografato e abbiamo spazio per muoverci. Non diamo colpa a questo. Niente è stato fotografato così come lo vediamo noi. Se il nostro “saper guardare” è uguale a quello della massa e quindi tutto ci sembra già riconosciuto e scattato, allora non siamo fotografi. Stiamo semplicemente adeguandoci ad una sorta di linguaggio e visione canonica delle cose, che ci permetta di ricevere più like su Facebook, ma che non aggiunge un cavolo alla storia del mondo e nemmeno alla nostra storia personale.
Ciao
Sara

100 pensieri su “Perché scattate se non avete niente da dire?

  1. Brava, un articolo davvero bello che condivido. Ti ruberò questa frase “Niente è stato fotografato così come lo vediamo noi.” 🙂
    Ho sentito che dovresti venire a Este, spero di poterti conoscere di persona.

    Ciao 🙂

    • Autodeterminarsi sembra essere l’elemento primario di questi ultimi 40 anni. La fotografia è un metodo automatico di acquisizione di immagini che sfortunatamente altro non sono che ciò che è inquadrato dall’area di riproduzione della macchina fotografica eppure in questi (1826-2018) 92 anni di diffuse esperienze i soggetti che possono essere identificati come fotografi/artisti non sono più di un migliaio,
      E’ ovvio che il desiderio di appagarsi spinga chiunque a divulgare quanto pensa e crea ma la realtà è che è dalla chiusura di Camera Work che non esistono più pubblicazioni credibili e signjficative sulla fotografia e se si è soggetti realmente dotati di doti creative e competenze fotografiche oggi si evita accuratamente di rendere pubblico il proprio lavoro perché si è perfettamente consapevoli di essere di fronte ad una platea rozza e totalmente priva delle più basilari nozioni tecniche e culturali per affrontare consapevolmente qualunque discorso e confronto sull’immagine. Chi sa, oggi tace perché divulgare significa gettare nello strame ciò che con indubbio talento, fatica e costante impegno si è compreso ed acquisito.
      Quindi il silenzio e l’assenza sono l’unica scelta credibile ed è quanto mi permisi di esprimere ad un caro conoscente che era ed è responsabile dell’associazione fotografi professionisti italiani ma evidentemente una così semplice affermazione, per essere correttamente compresa, richiede l’esternazione di premesse ipertrofiche e logorroiche che a me non interessa esprimere perché so perfettamente di cosa sto parlando.
      Buona giornata e buon divertimento

      • Sara solo dando un’occhiata alla tua risposta mi sono reso conto che in precedenza mi chiedevi di ripostare un commento e mi spiace ma poiché è una mia specifica scelta ideologica l’isolamento e lo stare da solo nella maggior parte dei casi evito di attivare l’invio di avvisi in caso di informazioni e risposte, cosa che non ho fatto con l’ultimo commento postato perché sapevo che avrebbe potuto richiedere precisazioni. Per cui non ero al corrente della tua richiesta e quindi non ho risposto e non ho ripubblicato quanto avevo scritto ma solo perché non ero a conoscenza della tua richiesta. Non so cosa potesse contenere quel mio post ma dato che la mia idea di cosa è l’arte ed in particolare di cosa è la fotografia si è formata nel corso di oltre 38 anni in cui per mantenere integralmente libere le mie scelte ho accettato di operare come fotografo professionista, come graphic designer, come consulente tecnico per la produzione grafica, come industrial designer, in questi anni ho avuto modo di sviluppare solo con me stesso (che è una condizione appagante ed estremamente efficiente) un ampio e complesso dibattito/studio sulla fotografia come strumento di creazione di arte giungendo a identificare la fotografia solo con la streight photography, propugnata da Stieglitz, perché tutte le altre forme di espressione sono di fatto attinenti alla pittura, all’incisoria, all’arte digitale e non appartengono alla fotografia come forma d’arte specifica, quindi ritengo che quanto espressi altro non è che quanto pongo alla base di tutti i miei lavori (ad oggi ho realizzato 160 mostre complete, alcune delle mie foto sono alla Bibliotheque Nationale de France e presto farò una verifica sulle maggiori istituzioni museali per decidere se distruggere prima di morire tutto il mio lavoro o no); ogni immagine fotografica realizzata allo scopo di creare un prodotto artistico (che per mio personale convincimento è tutto ciò che genera stimoli nell’osservatore indipentemente dal suo livello di competenza tecnica o dal suo livello culturale; è una evoluzione della verticalizzazione del tempo a cui aderirono molti esteti tedeschi e lo stesso Dino Formaggio fino agli anni ’80) di fatto è un Koan visivo creato dall’artista trasfigurando la realtà che gli si presenta di fronte e dandone una rappresentazione sconvolgente (se ne ha il talento e gli strumenti tecnici) apparentemente incomprensibile per chi non conosce esaustivamente li linguaggio della fotografia con tutte le sue sotto strutture sintattiche e grammaticali specifiche ma che, in ogni caso genera stimoli sia emotivi, che intellettuali, che spirituali, che razionali diversificati. Ciò è dove sono giunto ma questo luogo è affascinante, coinvolgente, travolgente e non voglio e non mi interessa condividerlo con nessuno perché ne rispetto intensamente la poesia e l’energia che diffonde e trasferisce a chi ci si avventura.
        Ora torno a scomparire nel mio universo privato ho già saccheggiato eccessivamente le mie energie personali.

        Buona giornata

  2. Ciao, ottimo articolo, concordo con Stefano sulla frase citata e aggiungo anche questa che la precede “Credo che la bravura di un autore si percepisca sulla lunga distanza, siamo maratoneti non centometristi”
    Mi pongo spesso questa domanda: “Cosa voglio raccontare?” e non sempre riesco a trasmettere il mio pensiero nella foto, quindi la classifico secondaria, ma non per questo ritengo sia una cattiva foto. Sono molto autocritica e molti dicono che mi sbaglio…io intanto continuo a raccontare!

  3. Ho cinquantasei anni, ho messo l’occhio nel mirino da un anno, le motivazioni che mi hanno spinta sono state: sentire che la ” fotografia ” è un attimo preciso che ” scatta “, quando gli allineamenti del nostro Essere si incontrano simultaneamente con gli allineamenti cosmici.
    Per cosmici io intendo tutto ciò che ci spinge a dire e a comprovare che la realtà tutta, naturale, sentimentale, immaginata, esiste !
    Allora lì, in quegli attimi, lo strumento che diventa espediente è la macchina fotografica.
    Grazie Sara Munari

  4. All’autore sfugge proprio la base: su FB non si scatta per dire qualcosa ma per condividere qcosa: un momento, un oggetto, una sensazione, un’idea… Non si è fotografi ma normali persone che condividono.

      • Sì avevo letto 🙂
        Indubbiamente c’è differenza tra “fare una foto” e “essere fotografo”, tuttavia non possiamo pensare che chiunque posti le fotografie su FB si creda un fotografo 🙂 Io non faccio molte foto (le riprese le odio) perchè preferisco godermi la realtà dal vivo e non “tramite” un obiettivo ma mi piace guardarle: ovvio che su FB 99 su 100 siano “scatti” e non “foto” ma ciò non toglie che uno “scatto” possa avere un senso specie se fatto da amici in loro momenti particolari.

        Tutto questo per dire che non bisogna demonizzare i “fotografi della domenica” anche se, per chi ha un occhio tecnico ed una deformazione professionale, posso capire che vedere tutta quella spazzatura…

  5. Sono pienamente d’accordo! Si può essere moto bravi a produrre una foto, bella, ma fine a se stessa..personalmente mi impegno molto a creare dei racconti fotografici o dei reportage su esperienze vissute, ed è molto difficile mantenere un linguaggio coerente. Sul mio blog ho raccontato una giornata deludente passata a venezia senza aver fotografato una maschera, sarei felice se avessi qualche tuo consiglio(solo se ti va di darci un occhiata) per migliorarmi e per capisce se commettono errori.
    loresalvatori.wordpress.com

    Ti seguo molto volentieri perché non scrivi post per ottenere consensi ma per amore della fotografia, per cultura fotografica e per condividerla sinceramente.
    Ciao
    Lorenzo

  6. Pingback: Perché scattate se non avete niente da dire? | Giulio Gigante

  7. Mi voglio chiamare fuori dal coro, ma con educazione e rispetto per l’idea che scrivi. E’ vero, molte persone scattano senza pensare, ma è anche veroch eusano un luogo (facebook) in cui non hanno alcuna intenzione di raccontare.
    Rispetto la tua idea, ma ci sono controindicazioni anche in essa. Fotografo da una vita (era il 1986 quando ho iniziato) e circa dieci anni fa mi sono imbattutto in una lettura di portofolio seria, e vuoi sapereche ho pensato? Stavano dicendo cose completamente a caso, e c’era gente che pagava per farsele dire.
    C’è del marcio da entrambe le parti, e io sono uno di quelli che sostengono che una sequenza di immagino non può raccontare nessuna storia, oppure che la stessa sequenza deve essere diversa a seconda dell’osservatore, ma soprattutto non può esistere una figura che detti regole stralunate e completamente personalizzate.
    Sono uno che le parole le usa, perché scrivo e costruisco storie, eppure, in queti giorni, ho messo in piedi una mostra in cui ho deciso che la fotografia fosse solo estetica. Posso dire che le mie immagini rispecchiano una riflessione di fondo molto più seria, posso affermare che hanno un tema comune, posso dirne mille per giustificare la scelta ma alla fine ho scelto, sottolineato e ripetuto che volevo solo estetica.
    Se qualcuno vuole sapere cosa c’è sotto deve parlarmi, oppure pazientare e leggere quello che scrivo, perché si, è vero, la gente pubblica senza criterio, ma poi con una sequenza (arbitraria) di fotografie si finisce con l’appoggiare una tendenza che è sempre più diffusa e preoccupante: siamo diventati tutti come quelli che del giornale guardano solo le figure, ed è in questo senso che spingono i social network, producendo esperti di tutto e conoscitori di niente.
    Non dico che non sia giusto quello che scrivi (mi permetto di darti del Tu), ma sono sicuro che esista l’altro versante della cosa.

  8. Un fotografo fotografa, uno scrittore scrive. Non invertiamo i ruoli. Ci mostri le sue foto e lasci che gli altri si formino dove e come desiderano

      • Bene, solo lei può discernere se tutte avevano qualcosa da dire. A me alcune dicono molto, alcune poco, alcune niente. Mi piacerebbe imparare qual è il metro per dire che una foto ha qualcosa da dire. Faccio un esempio: “anche i pesci possono volare”… a me viene da pensare che chiunque si fosse trovato in una simile condizione metereologica avrebbe scattato le stesse foto. Mi scuso se nella mia ignoranza non riesco a capire, ma leggendo il suo curriculum ho solo da imparare e già capire questa cosa sarebbe un primo tassello di conoscenza. Mi scuso se sono stato un po’ sgarbato nel messagio precedente. L’ho riletto con più attenzione e dopo averne discusso con altri. Eppure mi sfugge ancora “chi decide”. La mia consapevolezza? Grazie e buon lavoro

      • Ciao! Grazie per aver riscritto. Io non sto a guardare cosa funziona o no. Piuttosto il mio intento è di spiegare che, se una persona si definisce “fotografo” ha come responsabilità di avere qualcosa da dire e da comunicare al fruitore finale delle fotografie. Un fotografo definisce un target, un messaggio e una modalità con cui comunicare. Sia un lavoro di ricerca, sia un lavoro di reportage, moda o architettura (o qualsiasi altro genere) c’è sempre un motivo. Una precisa intenzione. La necessità di raccontare una cosa mai vista o dare un’interpretazione differente di una cosa che, a primo impatto, potrebbe essere usuale. Raramente mi soffermo su singole foto. Anche su facebook, che cito, se una foto mi colpisce, vado sempre a controllare di che lavoro fa parte, per capire l’intenzione del fotografo.
        Per “I pesci possono volare” eravamo in 4 in spiaggia quel giorno. Tutti fotografi. Quelle foto le ho fatte solo io. Altri fotografi si son concentrati su altro, nello stesso posto, nello stesso istante. Io, tra l’altro, posso anche produrre progetti meno validi. Non mi dispiace affatto che tu potenzialmente avresti fatto le stesse foto…che male c’è. Evidentemente abbiamo lo stesso occhio! Ma lì quel giorno c’ero io a quell’ora con quel tempo. E’ un po’ come dire, durante un evento eccezionale, metti quelle dell’alluvione a Firenze, anche io avrei fatto le stesse foto. Si, ma io non c’ero.
        Anche questo capita ad un fotografo: essere nel posto giusto al momento giusto e trovare la cosa giusta da dire. Ti ringrazio ancora. Ciao Sara

  9. Salve a tutti
    Ha ragione l’autrice dell’articolo ma è pur vero che non sempre dobbiamo/possiamo concentrarci su qualcosa di concreto ,elaborato e documentativo, ed è pur vero che non tutti sono o aspirano ad essere fotografi, a volte si mostra una immagine perchè ritenuta, a torto o a ragione, bella, sentimentale e significativa, da parte di chi scatta, anche se non riesce a trasmettere agli astanti quello che l’autore ha provato.
    Ognuno poi è libero di scattare e di condividere quello che meglio crede, la fotografia oggi è alla portata di tutti e tutto è fotografabile e immediatamente fruibile, ed ovviamente le foto dei gatti la fanno da padrone, ma la psicologia dietro la pubblicazione di una foto è la semplice piccola soddisfazione che si può ricevere da un like o da un commento grazioso sul gattino appena nato(ad esempio).
    Diverso è il discorso di un professionista che posta una foto, anche li ci può essere un filo conduttore , l’immagine può essere parte di un lavoro, oppure no, semplice ricerca estetica, costruttiva..immagine secca ,senza descrizione ,senza apparente motivo, che pur sempre c’è dietro ad ogni scatto.
    Insomma alla fine, il messaggio tra le righe che volevo comunicare, seppur celato, è questo: lasciate perdere facebook….

  10. Salve a tutti. A me non sembra affatto che l’autrice del testo demonizzi chi vuole condividere le proprie immagini sui social, nè che faccia una critica malevola tra il fotografo della domenica e il Professionista, questo articolo io lo leggo come un invito aperto a chiunque – chiunque – desideri portare la propria fotografia ad “un linguaggio fotografico”. Ed il linguaggio comporta riflessioni, pensiero, domande e tempo. Questo nei social è difficile, poichè tutto è un mordi e fuggi e in un baleno il nuovo diviene vecchio e soprattutto perso. La sua è una riflessione interessantissima e priva di sentenze – a parer mio. E sempre a parer mio un Professionista ha il diritto di scrivere di fotografia. Non serve avere il titolo di Scrittore per farlo. È una ricchezza, secondo me, quando una Fotografa o un Fotografo mettono a disposizione la propria esperienza e il proprio punto di vista.
    Buona giornata a tutti.

  11. Sono pienamente d’accordo con Sara, certo facebook non è il posto dove vado a cercare foto ma anche nei siti dove si parla di foto e quindi si presume ci siano fotografi spesso la mancanza di idee, storie, il senso di uno scatto mi porta ad una noia mortale, come pure le foto che a cui seguono due pagine di spiegazione dell’autore del perchè e percome l’ha fatta pensata ecc…
    Io sono un amatore, non un professionista, e l’uscire di casa con la macchina al collo e non avere un idea di cosa farci mi deprime e quindi passo anche lunghi periodi senza scattare niente, logico che comunque bisogna separare chi riprende delle immagini a testimone di aver fatto qualcosa o di esser stato da qualche parte, ed è solo quella l’intenzione di queste foto, e invece chi con la fotografia vuole dare il suo modo di guardare il mondo

  12. Complimenti Sara , bellissime e giustissime considerazioni . Penso che il ” siamo maratoneti e non centometristi” la dica tutta sull’approccio alla fotografia.
    Amo seguirti. Grazie

  13. Ciao Sara,
    in questo periodo sto attraversando una crisi in ambito fotografico, perché le immagini che escono dalla mia macchina fotografica non mi bastano più.
    Il tuo articolo mi ha colpita molto, perché “forse” le tue parole rappresentano perfettamente il mio bisogno di crescere.

  14. Scattare fotografie è semplice, fare Fotografia è difficile. Ed è, principalmente, una questione culturale.
    Viviamo in un’epoca dove ognuno appare “esperto” di qualcosa solo perchè ha la faccia tosta, gli strumenti ed un seguito più o meno ignorante. Succede in tutte le forme di espressione “immediatamente fruibili” e non solo in Fotografia. Accade persino in politica!
    Credo che manchi una delle cose fondamentali: l’onestà. E’ una delle tante cose imparate seguendo le parole ed il lavoro di Ando Gilardi. Fotografare con onestà significa essere consapevole dei propri limiti e lavorare sodo per migliorare. Significa accettare le critiche e farne tesoro. Significa cercare con ostinazione, con fatica, il proprio “linguaggio” e smetterla di scopiazzare a destra e a manca.
    Ma i “like” sono più facili da ottenere e danno una soddisfazione immediata.
    Perchè, in fondo, neanche il Fotografo a cui ho sborsato 350/500 Euro per un workshop di tre mezzi pomeriggi, vedendo i miei “capolavori” mi direbbe mai: “Hai mai provato l’uncinetto?”.

    • Ciao Elio. Grazie per essere intervenuto
      Ti assicuro che se avessi (non tu in particolare) frequentato un mio corso o workshop, avresti sentito spesso : Ste foto fan cagare!!!
      Questa frase e’ seguita sempre da: Se le vuoi migliorare devi fare cosi….
      Se vuoi punti di riferimento, guarda questi autori…ecc ecc
      Ciao 😃
      Sara

  15. Qualora guardassimo questo profilo: https://www.facebook.com/Stephen-Shore-53445189694/photos_stream
    e non conoscessimo il nome del proprietario, penseremmo di avere a che fare con un “collezionista di scatti” . Stiamo, tuttavia, osservando il profilo Facebook di un grandissimo esponente dell’ immensa categoria dei fotografi ( professionisti, artisti, artistucoli, cattedratici e chi piu’ ne ha piu’ ne metta).

    Il grande problema e’ che un social network come Facebook non e’ stato creato per condividere fotografie ma per restare in contatto con le persone e raccontare qualcosa di se (interessante o meno che sia). Spesso, nella pagina di un fotografo c’e’ la sua vita; pertanto, anche le sue fotografie.
    Se non si e’ deciso di dedicare totalmente la propria esistenza alla fotografia ma, si dedica quel poco tempo libero che si ha a scattare e’ perche’, in quel momento, ci sei solo tu. Tu e le sensazioni di quel momento del mondo che ti circonda. Poi, se si e’ fortunati, una foto su dieci merita di essere condivisa ed e’ giusto che venga condivisa.
    La maggior parte delle persone che appartengono a questa categoria, non raggiungeranno mai l’ambizioso obiettivo di possedere uno stile personale ed un messaggio univoco da trasmettere proprio perche’ il loro lavoro e’ discontinuo.
    Capisco che un critico debba alzare l’asticella e selezionare perche’, il suo compito e’ quello di far emergere potenziali ottimi fotografi in un mare magno di mediocrita’ ma, ritengo che anche chi scatti una gran bella ogni tanto (magari prendendo a riferimento un fotografo che ci piace) sia un minimo meritevole di attenzione e, soprattutto, di un commento e di un consiglio spassionato.

    Penso che il tuo ragionamento sia molto utile per comprendere quale sia il “focal point” al quale dobbiamo aspirare. Indipendentemente dal fatto che lo raggiungeremo o meno. Tuttavia, ritengo che sia un po’ pericoloso perche’ traccia un solco, non oltrepassabile dalla maggior parte. Semplicemente perche’ si e’ qualcosa di diverso dalle categorie di fotografo, artista, creativo.

    Ti ringrazio per il tuo blog sempre pieno di utili articoli su cui riflettere e belle proposte fotografiche.

    Ciao

    • Ciao Dario, grazie per aver scritto. Hai ragione, c’è un solco e non e’ pericoloso. Mi spiego meglio. Quel solco c’è, ma non lo ho tracciato io. E’ il solco che esiste fra chi e’ fotografo e chi non lo e’ (non faccio la distinzione tra professionisti e non, sia chiaro). Io non ho nulla contro chi produce immagini la domenica e le pubblica. Sono preoccupata per chi, a differenza, produce immagini la domenica e si definisce fotografo. Questo perché pensa che per esserlo basti schiacciare un pulsante su una macchina. Era questa categoria che avrei voluto riflettesse sulle mie parole. Ti ringrazio ciao

  16. Perdonatemi ma una persona che sa seriamente creare fotografie e non immagini automatiche, non ha alcuna ragione di mandarvi le foto, perché sa esattamente cosa sta facendo e sa esattamente quanto poco preparati siate. Quindi è ovvio che solleticando e sollecitando il dilettantismo più degenere non potete ottenere che cose casuali e prive di logica. Ricordo un divertente esperimento di un giapponese negli anni ’80 che era convinto che bastasse scattare tanto per ottenere materiale buono per una mostra. ha scattato a New York per giorni, migliaia di foto (quando scattare era oneroso) il risultato è stato grottesco perché la fotografia, in quanto sistema di creazione integrale dell’immagine nello stesso momento ed in automatico. è una delle tecniche espressive più complesse. Per cui chi la domina, oggi, non ha nessun interesse a svendere il proprio lavoro per dare credito a soggetti che non capiscono nulla. L’ultima attività di seria divulgazione critica della fotografia è stata Camera, oggi abbiamo rivistine come Zoom che scimmiottano l’arte contemporanea nel tentativo di creare un mercato della fotografia. La fotografia è se stessa e lo è dal 1840, dai primi esperimenti tecnici sviluppati per fissare l’immagine. Creare immagini ha avuto sempre la medesima caratteristica: sensibilità, cultura, maestria tecnica, intelligenza. Ma quando tutte queste cose creano risultati i risultati sono straordinari e dato che non producono economicità come avveniva negli anni ’50 non c’è alcuna ragione di divulgarli per insegnare gratuitamente a degli incapaci arroganti.
    Sono anni che vedo migliaia di esperti in fotografia fare la “critica” alle immagini senza nemmeno sapere di cosa stanno parlando. Dimostrate di avere competenza in modo certo ed inoppugnabile e forse comincerete a vedere delle fotografie, fino ad allora accontentatevi di scatti amatoriali.

    • Ciao. Grazie per aver scritto. Si vero, la fotografia quella che intendi tu, e’ fatta di cultura, da sempre. Anche se non sono d’accordo sul fatto che chi sa cosa fa e conosce la qualità del suo lavoro, non abbia necessità di confronto. Spesso, quando tengo letture portfolio in giro per l’Italia, arrivano persone con progetti stupendi, completamente inconsapevoli di averli prodotti.
      Mi sto impegnando nella direzione che dici. Insegno Storia della fotografia e comunicazione visiva. Giro l’Italia per letture portfolio, presentazioni ecc. Ho scritto due libri in merito a questo.
      Magari non sono adatta o mi reputi non sufficiente, ma sto facendo quello che posso. Ciao Sara

      • Mi spiace ma su questo dissento per una precisa concezione dell’arte in generale che è semplicemente questa: Ars = tecnica, quindi prima di diviene maestri d’arte nella tecnica che si intende utilizzare per creare opere che esulino dall’artigianato e generino ciò che l’artista ha definito come arte; l’arte è molte cose, ma non è mai una mera azione compulsiva di una moltitudine di emozioni soggettive perché l’arte, come tutte le forme di comunicazione, si fonda su un linguaggio che può essere già noto o può essere in divenire e si può formare a partire da una specifica opera (basta pensare a Pollock che ha indotto J^Kurzweil ad analizzare i pattern strutturali per comprenderne il lavoro perché quella sconvolgente fascinazione che le opere di Pollock producevano era dovuta proprio ad un uso sconvolgente della dinamica gravitazionale per generare pattern con specifiche modalità compositive che raccontavano ciò che volevano comunicare per mezzo del cromatismo, della composizione bidimensionale, della segnicità della forza gravitazionale e della composizione ritmica;
        quindi la differenza tra un artista ed un appassionato di creatività è costituita dal fatto che l’artista vive e si immerge nella consapevole costruzione del linguaggio che intende utilizzare nel proprio lavoro e si immerge anche nello studio della comprensibilità del proprio linguaggio da parte di chi non conosce le regole che l’artista costruisce e perfeziona perché il linguaggio che come artisti siamo impegnare a costruire è un linguaggio multi sensoriale che fa leva e si rivolge alla parte surrazionale dell’essere umano e non alla parte razionale dello stesso, non creiamo semantica ma linguistica dei sensi e delle percezioni (la trilogia dello Spazio di Asimov, per me è stata una pietra miliare nella formazione e strutturazione del mio linguaggio fotografico),
        Ora nel momento in cui l’artista è immerso totalmente e integralmente nella creazione di un linguaggio che non si fondi su regole razionali ma che si fondi sulle modalità sensoriali con cui una o più specie sono in grado di comunicare non ha certo bisogno di confrontarsi con soggetti che non sono impegnati nel medesimo tipo di attività in modo integrale e totale.

        L’artista cerca e seleziona con cura ed attenzione altri artisti, senza preoccuparsi della tecnica e del mezzo espressivo che utilizzano e nemmeno della loro capacità razionale perché l’arte non è linguaggio verbale l’arte è azione e manipolazione sensoriale che opera nella realtà, con la realtà e per generare realtà.
        Quindi il confronto si attua nel contatto diretto, nell’ascolto della ricerca dell’altro, nell’assimilazione di tutti gli stimoli che il lavoro dell’altro genera e nella verifica di tutti gli stimoli che erano presenti e l’ascoltatore non ha percepito, In pratica è una continuo sviluppo della capacità di percepire, recepire ed estrapolare stimoli da ogni contesto sia intenzionale che involontario. Mentre quando crei un’opera stai redigendo una narrazione e tu sai esattamente cosa vuoi raccontare ma poi c’è il viaggio che ti accresce, ti sconvolge e ti guida verso ciò che senti di aver il bisogno di raccontare.

        Nel 2001 ho incontrato a casa di un amico in Svizzera il pittore Leinardi, sardo, attivo dagli anni sessanta, grandissimo acquarellista e buon pittore con acrilici e olio; ci ha invitato ad andarlo a trovare a Calasetta in settembre del 2001 e noi abbiamo accettato ma io ero profondamente gravato da un oppressione stritolante per quanto avveniva nel mondo e così ho deciso che avrei approfittato della Sardegna per realizzare il sorriso del mare, ovvero per raccontare la gioia del vivere secondo natura in armonia con il mondo liberandosi dal se. Così, appena sbarcato ad Olbia mi sono immerso nella costruzione di un linguaggio che potesse sollecitare e suscitare esattamente la speranza per una gioia diffusa possibile, l’11 settembre erano in un albergo vicino a Nuoro, vicino a Monte Maccione, ero da giorni impegnato a sperimentare tutte le possibilità espressive che potessero coinvolgere tutti i sensi che partecipano della gioia del vivere quando si è in armonia con il mondo ero pervaso da tutto ciò di naturale che mi veniva incontro, ogni dettaglio si trasformava in una foresta da esplorare e nulla apparteneva all’ovvio, al noto, al preconcetto ed al pregiudicato, tutto era purezza, inatteso e sconosciuto e tutto, giorno per giorno, si formava dentro e davanti a me, nel tardo pomeriggio dell’11 settembre siamo rientrati in modo inatteso in camera perché abbiamo deciso di tornare senza una precisa ragione e non appena entrato in camera, in modo per me totalmente incomprensibile ho acceso la televisione e ho visto un aereo infilarsi in una delle torri gemelle lasciando senza fiato ma li ho capito che ciò che mi ossessionava era urgente ed era perfettamente percepibile perché era nell’aria.
        Quindi quando la modalità con cui si costruisce l’immagina è consapevole, compiuta, complessa e fondata su uno stellium di elementi che interagiscono intenzionalmente ma senza alcuna pianificazione elementare e razionale non hai bisogno di confrontarti con nessuno perché sarà come l’osservatore reagirà al tuo lavoro che ti farà comprendere se lo hai fatto bene o no.
        Nel 2010 stavo facendo un lavoro Terra solamente terra, nelle Marche, ho scoperto il Festival di Arcevia e ho mandato al direttore del festival il mio lavoro perché valutasse se esporlo o no al Festiva. Lo ha accettato e mi ha concesso una chiesa sconsacrata del 1700, io sono andato ad arcevia e con rete metallica, tessuto non tessuto bianco ho creato una selva di evanescenti colonne a cui appendere le foto, che erano delle visioni astratte proprio del territorio rurale di Arcevia e poi ho accettato di presenziare tutti i giorni alla mostra, il terzo giorno una coppia di anziani contadini alle prime ore del pomeriggio entra in chiesa incuriosita dal manifesto esposto fuori, fanno il giro veloce delle foto e si dirigono quasi subito all’uscita, quasi delusi, ma poco prima di raggiungere la porta di uscita della chiesa l’uomo prende la mano della moglie e la guarda perplesso, poi la conduce con se ad un immagine di un bosco con una piccola area disboscate e taglia ma innevata, si ferma a guardarla con grande attenzione e poi all’improvviso sul viso appare un sorriso, si rivolge alla moglie e le cita il nome di quel luogo; i due stanno per un istante immobili di fronte a quell’immagine e poi, avidamente ripartono a riguardare tutte le foto della mostra una ad una soffermandosi a lungo di fronte ad ogni immagine e cercando di elaborare quello che stavano provando. Ecco questo è il confronto che serve all’artista per comprendere il proprio lavoro e per crescere, il resto è accademia, filosofia, ma non è arte perché lo scopo dell’arte è artigliare la bocca dello stomaco dell’osservatore, è di scuoterlo nel suo intimo è di disorientarlo e sconvolgerlo come fa lo shirodara ayurvedico con il paziente. L’arte non ha nessun altro scopo che creare il diario di viaggio dell’artista perché altri possano essere indotti a ripercorrere le sue tracce.
        Questo è ciò che è l’arte per me un generatore di stimoli che è costruito e costituito dal diario di viaggio nella vita dell’artista e la tecnica usata per scrivere quel diario è irrilevante ed è dettata da ciò che l’artista ha provato e deve fissare nel diario.

        Direi che ho scritto troppo e volevo solo essere sicuro di chiarire che il mio commento non riguardava quanto hai scritto ma riguardava la citazione di Giacomelli.

        A questo punto vi lascio e non vi disturberò più.

        Buona serata

  17. progetto, progetto se non la foto lasciala nel cassetto.
    ma adesso tutti a pontificare, ma si sa perché la GENTE, fotografa: tracce.
    vogliamo lasciare tracce, sperando disperatamente, che qualcuno nel tempo ci possa ritrovare.
    ne etica ne poetica.

  18. Ciao, sinceramente sono stufo di leggere tutti arricoli uguali come questo, tutti che dicono la stessa cosa. Ma non avete un po’ di inventiva?
    Chiudere il blog se non avete nulla di nuovo da dire.

    Ah come dite? Vi indignate? Volete tenerlo aperto?
    E allora perché gli altri non dovrebbero scattare e condividere quello che a loro piace? 🙂

    • Buongiorno, grazie per aver scritto. Potresti indicarmi dove hai letto un articolo simile, che mi interessa? Per il resto, ti consiglio di non perdere tempo a leggere ciò che scrivo se non ti interessa

    • Salve! Io sarei curiosa invece di capire dove è la polemica o l’indignazione in questo articolo da parte dell’autrice e/o in generale degli autori del blog. Sul serio. Per capire – E c’è tutta la mia buona fede in questa mia richiesta, nessuna polemica e tanto meno intento di difendere alcunchè. Certo che si puó – e per onor di libertà – avere un’opinione dissonante, peró a me non pare che si sia messo al patibolo chi fotografa per condividere sui social la qualsiasi. Non c’è nulla di male o di brutto e nessuno ci toglierà lo strumento fotografico dalle mani perchè non siamo fotografi professionisti. E ci piace condividere i nostri scatti. Non è secondo me questo il punto. Si riflette sulla possibilità – per chi è interessato – ad approfondire il (proprio) linguaggio fotografico, perchè di linguaggio fotografico qui si parla – per come io ho interpretato l’articolo. Non di bravi e cattivi.
      Personalmente l’immagine del “maratoneta” a me è piaciuta molto. Perchè io credo che la fotografia sia una disciplina e riflettendo sul commento del signor Marco – letto sotto – trovo che la parola “emozione” sia un po’ troppo effimera. Credo anche io che le arti suscitino emozioni ma non si basano soltanto su questa “capacità”. La disciplina, – le discipline – tocca aspetti molto più profondi. Più o meno tutti possiamo esser bravi a correre per prendere il bus in tempo ma questo non fa di noi dei maratoneti – per farla molto molto spiccia.

    • Non credo che qui ci sia qualcuno indignato, tantomeno l’autrice dell’articolo che, con la professionalità e la competenza che la caratterizzano, cerca di “stimolare” la creatività di chi aspira a diventare un fotografo.
      Indicaci dove tu hai trovato articoli uguali a questo, dove si cerca di analizzare seriamente un problema che non riguarda chi fa (legittimamente) le foto per divertirsi e le posta su facebook, flickr o in parrocchia, ma chi, come ho scritto due righe sopra, vuole essere un fotografo.
      Io ho l’impressione che tu ti sia limitata a leggere il titolo. Ma va bene così. In fondo il mondo è bello perchè è vario. A volte avariato.

      • Ciao, non litighiamo qui, dai, non è Facebook! Il mio era solo il tentativo di far fare qualche domanda in più a chi si presenta al mondo come fotografo, come dice Elio. Niente di più. Ciao Sara

    • Sono andato a vedere il link su riportato e ho trovato delle foto di dilettanti che fanno fatica ad inquadrare, quindi è evidente che il livello di competenza e conoscenza della fotografia è bassisimo. Amare qualcosa (ovvero essere un amateur) significa studiarla, comprenderla con grande amore e passione, mentre chi si occupa di fotografia in Italia non si preoccupa minimamente di garantire a se stesso una conoscenza che sia almeno minima ma si preoccupa solo di auto rappresentarsi attribuendosi capacità e competenze senza alcuna verifica.
      Ora tutte le immagini presenti nel link sono banali, elementari e prive di significato quindi?

      • Casimiro, scusami, ho per errore cancellato il tuo bellissimo e interessantissimo intervento. so che forse sarebbe troppo chiederti di ripostarlo perché probabilmente non è salvato nemmeno da parte tua. Non lo trovo più e mi dispiace un sacco, spero che io riesca a rispondere qui.
        Innanzitutto mi complimento per quello che hai scritto e come lo hai fatto. Ho letto libri di fotografia scritti peggio (miei compresi).
        Tutto vero quello che scrivi, tutto il discorso sul linguaggio. Però a differenza tua, probabilmente, io non sono in grado di capire e “giudicare” (passami il termine) un fotografo estrapolando, dello stesso, un singolo scatto di una mostra. Vero, ogni singolo scatto deve contenere tutti gli elementi essenziali che conosciamo, ma da solo perde la potenza, la forza e la capacità legata alla narrativa dell’insieme. In questo senso mi sento un maratoneta. Diranno di me che ho saputo parlare attraverso le mie immagini solo e nel momento in cui, il mio discorso complessivo avrà un senso. Solo nel momento in cui avrò spiegato o mostrato l’inatteso, lo sconosciuto o il non ancora compreso. Questo è secondo me un fotografo. Per raccontare l’India si deve studiarla, come affermi. Poi ognuno darà come fotografo un’interpretazione, che vista da un potenziale fruitore, subirà una lettura simile alla lettura del fotografo o differente, in ognuno dei due casi, quando il fruitore avrà conosciuto o compreso qualcosa di nuovo, potrò definirmi fotografo. Oggi, per essere davvero fotografi, dal mio punto di vista, oltre a comporre buone e impeccabili singole immagini, sia dal punto di vista della forma che del messaggio che del contenuto, si deve saper raccontare e raccontare bene. Questo chiaramente non tocca i fotografi amatoriali o settori specifici della fotografia che rispondono a necessità differenti. Mi scuso ancora per aver cancellato inavvertitamente il commento e spero mi delizi ancora con le sue parole, grazie Sara

    • Parere personale.
      Quel link non è assolutamente da considerare un posto dove vedere della buona “street photography”.
      E poi “le vere passioni umane, in fotografia, si sprigionano con la street” mi sembra una enorme stupidaggine.

  19. Ciao Sara, rispetto ma non condivido in toto il tuo pensiero. Per me la fotografia non è questione di essere maratoneti, ne dover aver bisogno di costruire un racconto di immagini per riuscire a dire qualcosa. La fotografia è emozione e i bravi fotografi la sanno raggiungere anche attraverso un singolo scatto che può riuscire a dire più di un progetto di 10anni pieno di foto “normali” che funzionano solo se messe insieme. L emozione non si misura col numero di fotografie e con la coerenza tra esse, ma con la capacità di comunicare che può essere espressa in tempi e modi diversi.
    Grazie per le tue riflessioni.

    Marco

      • Ciao Sara, bene grazie!
        Non ho affermato che l obiettivo è il “dire tutto” ma che per me la cosa più importante è l emozione, la capacità di comunicarla. Si può dire tutto ma in maniera fredda, insignificante.
        Di scatti ne ho in mente davvero tanti, dai più semplici ai più articolati…se dobbiamo cercare tra i grandi autori…ad esempio:
        http://www.mamm-mdf.ru/upload/iblock/fb5/fb5949b70fe41042347b91ee14c9596c.jpg
        http://asset-9.soupcdn.com/asset/0214/9080_974d_390.jpeg

        Penso che il punto di partenza possa essere diverso.
        Un approccio per raggiungere questo obiettivo non potrebbe anche essere il lasciarsi guidare dalle esperienze senza preconcetti in testa? Il tenere la testa libera e lasciare aperta la possibilità di catturare qualcosa di inaspettato? Essere attenti osservatori in attesa che il mondo ti doni qualcosa che tu non avevi mai potuto pensare?
        Tipo questa immagine che mi è stata donata inaspettatamente, e ho compreso solo nel momento in cui scattavo?
        https://scontent-mxp1-1.xx.fbcdn.net/hphotos-xap1/t31.0-8/fr/cp0/e15/q65/12493458_906584716126100_2525600952531818711_o.jpg

        Grazie

      • Ciao Marco, eccomi. Ognuna delle due foto che citi ha una storia e non sono scatti singoli. La prima è di Alex Webb, Magnum, che ha lavorato sul confine tra California e Messico dal 75 al 79, anno in cui ha scattato questa immagine a San Isidro (o qualcosa del genere), la foto fa parte di un lavoro di fotogiornalismo del quale si ricorda questa immagine è poche altre, ma era un reportage che durava da anni. Anche se lo scatto ha una storia propria, non è singola, fa parte di tutto quel lavoro di documentazione. La seconda è di Eliott Erwitt, anche questa ha una storia legata a se stessa, una delle poche foto di Erwitt (tra quelle molto conosciute) che non ha un risvolto ironico. Anche questa fa parte di tutto il lavoro fatto da lui intorno agli anni 50 in America, su questo. Sono scatti estrapolati da lavori più ampi. Anche se per Erwitt, il discorso è un po’ diverso dato che, durante la sua vita da fotografo, ha fatto molta Street e una delle caratteristiche di questo genere è proprio che la foto esaurisca la sua storia al suo interno e si unisce ad altre foto dello stesso autore (per esempio in un libro o in una mostra) attraverso il percorso dell’autore, le atmosfere, la poetica e l’ironia, come nel caso di Erwitt, appunto. Difficilmente chi ha fatto e fa il fotografo con l’intento di essere fotografo, scatta singole foto (intendo buttate lì) tutto fa parte di un progetto più preciso che si percepisce spesso a carriera avanzata. Questo intendevo. Bacioni Sara

      • Ciao Sara!
        non capisco perchè non mi fa fare rispondere sotto al tuo ultimo commento…quindi scrivo a questo.
        Conosco la storia di quelle immagini ed è come dici tu…ma sono foto che stanno in piedi anche da sole…cito le tue parole con cui mi hai risposto, perchè hai centrato quello che volevo dire, visto che mi riferivo proprio alla street:
        “…una delle caratteristiche di questo genere è proprio che la foto esaurisca la sua storia al suo interno e si unisce ad altre foto dello stesso autore (per esempio in un libro o in una mostra) attraverso il percorso dell’autore…”

        Ora ho capito quello che volevi dire, mi era passato un messaggio diverso.
        Grazie ancora, sono sempre spunti utili di riflessione.

        Buona giornata!
        Marco

  20. “La fotografia è una cosa semplice. A condizione di avere qualcosa da dire.” … Narrava un certo Mario Giacomelli.
    Interessante articolo e bel blog, complimenti.

    • Se si ha la cura di analizzare, studiando bene la sua reale storia, il lavoro di Mario Giacomelli (io ho vissuto 3 anni a Senigalia, ho parlato con l’uomo che lavorava con Giacomelli per preparare le stampe delle sue foto, ho preso visione del suo archivio presso la galleria che ha molti dei suoi lavori, ho studiato ed analizzato l’esegesi di molti suoi lavori, quindi parlo dopo essermi attentamente documentato; il gruppo Misa creato da Cavalli, che viveva a Senigallia, era un circolo fotografico di dilettanti che aveva lo scopo di affinarne le capacità e le conoscenze per poterli poi ammettere al foto club la Fenice di Venezia, e questi erano gli intenti specifici dichiarati dallo stesso Cavalli; nel gruppo Misa erano presenti: Giacomelli che un giorno disse ad Attilio [un grande barista senigalliese con un enorme interesse e frequentazione degli artisti, a partire dal grandissimo Burri] di aver modificato la propria 6 x 6 per poter fare più foto, erano gli anni sessanta e i rulli 120 e 220 esistevano ormai da anni ma Giacomelli non lo sapeva così come non conosceva pressoché nulla della fotografia e la maggior parte delle foto di Scanno erano fotomontaggi; Migliori che a tutt’oggi ogni volta che parla di fotografia esprime principi e concetti tipici di chi della fotografia non ha compreso nulla, nemmeno la tecnica; poi vi erano alcuni fotografi senigalliesi ed infine l’Avvocato Ferroni un fotografo dotato di una sensibilità visiva straordinaria, che poteva a ragion veduta aspirare ad un livello di espressione che fosse equiparabile alla palla sul muro di Cavalli, grande sensibilità tonale, complessa percezione del mondo, capacità di vedere le immagini matura e consolidata; cosa che nulla aveva a che vedere ne con Giacomelli, ne con Migliori) si scopre che Giacomelli era uno dei molti soggetti travolti dall’atmosfera degli anni sessanta che nutriva ambizioni personali di fatto non supportate dalla doverosa conoscenza tecnica della fotografia ne da un reale ed effettivo talento inconfutabile; infatti fu Cavalli ad offrire il viatico a Giacomelli per essere preso in considerazione dall’allora direttore del Moma, che stava operando per inserire la fotografia al Moma, e le foto di Giacomelli sono entrate al Moma, a differenza di quelle di De Biasi, dopo la morte del direttore e l’inserimento della sua collezione pesonale nella collezione del Moma; nella collezione privata del direttore del Moma entrarono alcune delle foto di Giacomelli comprese le foto di Scanno e dei pretini del seminario vescovile di Senigallia che dopo essere state scattate delusero Giacomelli perché troppo sovraesposte nella neve; il direttore del Moma vide le foto di Giacomelli al Photokina perché le aveva portate li Cavalli il quale, con il gruppo Misa, voleva creare un foto club che acquisisse la fama di formare con rigore i suoi appartenenti; ma Giacomelli non ha mai prodotto immagini straordinarie perché i campi che fotografava erano scadenti opere di land-art visto che Giacomelli pagava i contadini perché li lavorassero per creare delle immagini aventi un significato diverso se fotografati e poi Giacomelli dichiarava che è la natura la vera autrice dell’arte solo perché non si rendeva conto che tutto ciò che lui riteneva essere natura in realtà erano manipolazioni operative dell’uomo sulla natura per necessità lavorative,
      Purtroppo per comprendere che l’affermazione “La fotografia è una cosa semplice:” non risponde per nulla al vero è sufficiente guardare le Oranti del Kashmire di Henri Cartier Bresson per capire che stava scattando da dilettante dotato di grande sensibilità e cultura ma non disponeva di alcuna conoscenza fotografica; infatti la scena delle Oranti del Kashmire era una scena ricorrente ed usuale, nel Kashmire, fino a tutti gli anni ’70 e quindi non era un momento flebile e transeunte da cogliere in un 250 di secondo, ma era una preghiera ripetitiva che durava molti minuti e quindi sarebbe bastato fare tre passi in dietro dal punto in cui ha scattato per avere un immagine perfetta dal punto di vista degli equilibri, dell’impaginazione, dei dettagli inseriti, della descrizione del momento in rapporto all’ambiente e per definire perfettamente anche il rapporto tra le oranti ed il mondo in cui vivevano che stava per dissolversi, condizione compresa dall’intelligenza di Cartier Bresson ma non dalla capacità tecnico espressiva del fotografo Cartier Bresson che ha sentito l’esigenza di realizzare lo scatto ma non lo ha saputo redigere in modo compiuto.
      La fotografia, quindi, è una forma di espressione così complessa che coloro che hanno prodotto lavori significativi, anche solo come artigiani, sono poche migliaia in tutta la storia di questa tecnica mentre gli artisti significativi non arrivano a 300 in tutta la sua storia; si vuole prendere visione di una assoluta e straordinaria maestra delle fotografia? si studi la Burke-White; si guardi e si studi l’assemblaggio fotografico (8 mesi per realizzare scatti e stamparli all’albume) del 1860 di Oscar Gustav Reijlander “Hard Times” (altro che le phtoshoppate di Ansel Adams che Stiegliz, un colosso del gusto e della visione, definì un fotografo incapace); si studi Alvin Langdon Coburn; si osservino e si assimilino le foto di Stieglitz; si assimilino le immagini di Moholy-Nagi (le canne di lago in particolare).

      Facendo tutto ciò si comprenderà agevolmente che la fotografia è la più complessa, difficile ed inavvicinabile tecnica espressiva sopratutto quando si vuole creare Arte.

      Buona giornata, non mi intrometterò più in questo spazio di dialogo, promesso (scrivo nuovamente solo per correggere un errore grave, ma so che il commento può essere eliminato quindi può restare una corrispondenza privata).

      Casimiro

      • Casimiro, conosco tutte le cose che hai scritto, insegnando storia della fotografia e non vedo motivo di cancellare il commento, che mi trova d’accordo. Qui non si tratta di entrare nella Storia della Fotografia, figuriamoci, chiaramente mi rivolgo ad un altro tipo di pubblico. Ripeto, meglio scattare se si ha qualcosa da dire, e facendo una decina di letture portfolio all’anno (ultima ieri) le dico che so di cosa parlo e a chi mi riferisco. Un pubblico di centinaia di migliaia di persone che credono che le foto del proprio alluce abbia una valenza di qualsiasi tipo. Non è il caso che mi scriva solo per gli errori, trovo che sia una strana affermazione. Buona serata sara

      • Buona sera Susanna, l’errore l’ vevo rilevato nell’utente che citava Mario Giacomelli senza, evidentemente, conoscerlo. Non ho fatto riferimento alla sua risposta. Buona serata.

        Casimiro

  21. Brava Sara. L’articolo mi piace e lo condivido. Siamo invasi da un mare di immagini spesso inutili. Bisogna anche dire però che nn è facile ideare, progettare e poi realizzare un progetto “fotografico”. Anzi, spesso, almeno così capita me vista la mia immaturità (solo fotografica, purtroppo), le idee vengono dopo, e cerco di fare una cernita tra foto scattate senza avere un’idea precisa ma sull’onda di emozioni nebulose e momentanee per poi, a freddo, dare corpo a un più preciso discorso nella forma di portfolio. In realtà ho iniziato un paio d’anni fa con il paesaggio (foto singole), qualche workshop, anche all’estero, qualche piccola soddisfazione (mi basta l’apprezzamento degli amici del fotoclub), poi, vedendo le esagerazioni imperanti, su fb e altrove, del fotoritocco spinto, mi sono “disamorato”, al punto che ora lo preferisco in b&n, e ancora di più preferisco la gente e i luoghi, senza le categorizzazioni che mi sembrano piuttosto riduttive, quali ad esempio la “street”. Dico tutto questo con la consapevolezza che magari sono banalità, spero sarò perdonato!!

  22. Sara, in realtà la vedo come te. Bisogna avere qualche cosa da dire per fotografare. In fondo la fotografia è una forma di scrittura e non scriveresti mai tanto per scrivere, quindi perché fotografi se non ha nulla da dire?
    Però poi mi imbatto in lavori come quelli di Daido Moriyama, il quale ha sicuramente qualche cosa da dire, però dubbito che la sua fotografia nasca dal voler esprimere un’idea nel momento in cui scatta, Semmai il suo è un discorso che nasce dall’insieme delle parole (o fotografie, se vuoi). Citando le sue parole: “da parte mia l’atto del fotografare altro non è che una reazione istintiva a quello stimolo” [ di andare a caccia della realtà]. Certo anche questo vuol dire avere qualche cosa da dire, ma un discorso fatto di singole parole che solo successivamente trovano un senso compiuto. Credo che questo aspetto non possa essere negato neppure ad un fotografo.

    • Ciao, come vedi anche lui segue un filo conduttore preciso:” andare a caccia di realtà ” . Non credere che il suo percorso sia così casuale come tenta di far credere. Le immagini sono coerenti per forma e messaggio e hanno la stessa crudezza che si tratti di foto in strada o in interni. Si può dire che abbia scelto di raccontarci la sua realtà attraverso un’interpretazione un po’ “spietata” della vita. Tutte le sue immagini nell’insieme, sono a mio parere un lungo unico racconto! Ciao Sara

  23. Ciao Sara, ho letto il tuo pensiero e condivido in parte. Hai ragione, oggi c’è uno spreco e un’ ostentazione sulla fotografia enorme, attualmente ognuno di noi è dotato di uno strumento per fotografare, iPhone o cellulari in generale sono alla portata di tutti, anche per quanto riguarda le reflex ne vedo sempre di più in mano a chiunque. Fotografo da circa 3 anni (studente di Bottega Immagine) e inizialmente criticavo e storcevo il naso in diverse occasioni, a volte ancora lo faccio, ma obiettivamente sono arrivato alla conclusione che ognuno faccia quello che voglia… se la gente si diverte a scattare la torre Unicredit una volta a settimana che lo faccia. Se qualcun altro prova gusto a fare la macro al fiore appena sbocciato, va bene… se il personaggio di turno dopo aver visto il documentario su Vivian Maier prende e va in giro e scattare bianco e nero come non ci fosse un domani… va bene anche quello. Nel senso, se rende una persona felice… perchè no? Alla fine la fotografia è una passione per alcuni, un passatempo per altri e se diverte, se vi rende felici… continuate a fotografare!

    Ovviamente vedere la bacheca di FaceBook piena di scatti fotocopia stanca ma la soluzione è semplicemente scorrere in basso velocemente fino ad incontrare qualcosa che catturi la nostra attenzione, proprio come hai detto tu.

    Io di strada ne ho ancora da fare, (e tanta!) ma onestamente spesso fotografo per un gusto estetico più che per esprimere un concetto, al contrario, frequentando i corsi della Bottega sono stato “costretto” a fare un passo in più, questo mi ha portato tante soddisfazioni e cerco di mettere in pratica ancora oggi quello che ho imparato, ma se capita il tramonto che mi colpisce o un particolare gioco di luci… io scatto, anche se obiettivamente il concetto di base e la storia risultano quasi assenti.

    C’è da dire che ultimamente scatto meno e meglio, cerco di non riproporre la solita minestra al monumento di turno o alla piazza se non per un ricordo personale.

    E’ interessante scoprire progetti che raccontino un percorso e una storia ma penso che sia altrettanto utile prendersi dei momenti per scattare quello che si sente, o semplicemente documentare un momento o un viaggio senza per forza volerci trovare un significato mistico nascosto.

    Spero di essermi spiegato, un saluto! 🙂

    Cristian

    • Ciao Cristian, di strada ne devo fare ancora tanta anche io…speriamo, in questo camminare continuo, di capire qualcosa. Come dici, mi riferisco ai provetti fotografi, non alla gente comune che si avvicina alla fotografia per diletto e scatta alle torri o ai tramonti. Quello è perfetto, il diario dei ricordi della propria vita. Il mio discorso è ben lontano da questo. Chi si auto definisce fotografo, ha, a mio parere, un compito preciso. Può documentare cose mai viste, quindi utili per questo, o interpretare il mondo per dare una lettura differente. Il secondo punto mi coinvolge in prima persona. L’articolo ha provocato reazioni differenti, qualcuna furibonda. Credo che il motivo sia legato al fatto che molti di quelli che si sono sentiti toccati in prima persona, si sentano fotografi, forse un po’ consapevoli di aver poco da dire o consapevoli dell’opposto, non so! Ti ringrazio per aver scritto, ciao

  24. Beh il fatto che il tuo post abbia scatenato un bel dibattito è un buon segno! Per quanto riguarda il compito del fotografo professionista e amatoriale sono d’accordo, il mio discorso era più in generale ma effettivamente da un fotografo di professione ci si aspetta certi standard.
    Grazie a te, ciao!

  25. Boh, siamo un paese che se non si divide in Guelfi e Ghibellini non gode. Io ho apprezzato l’articolo, credo che molti “scattano e postano” perché è un modo per dire al mondo “esisto” non si vuole dire altro, se non comunicare una piccola felicità, il compleanno del nipotino, la torta ben riuscita, la cena con la squadra di calcetto… in qualche caso, la gamba ingessata, la solitudine, l’abbandono. Sono momenti brevi ed effimeri, che la gente condivide. La fotografia, quella che racconta storie, quella che trasmette emozioni, che fa fermare lo sguardo, che magari fa anche riflettere, è altra cosa, è cosa di pochi, degli artisti, di chi ha l’occhio e il cuore sincronizzati. Ai posteri rimarranno molte torte di compleanno immortalate e meno fotografie vere di qualità, spero che ci sia qualcuno che le vada a cercare, perché la bellezza vince sempre, ne sono certa, ne abbiamo bisogno come dell’aria da respirare. Grazie. Nerella

  26. Non so se ero io che non avevo capito niente di questo articolo o se questa fosse l’ennesima occasione per confermare la confusione (avrei voluto scrivere “l’ignoranza” ma poi, di certo, qualcuno si sarebbe offeso), che regna intorno alla Fotografia (e non solo).
    Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, fotografi della domenica (e del lunedì) incavolati anche se nessuno ha mai negato il loro sacrosanto diritto di fotografare quello che vogliono e di postarlo ovunque vogliano, links e fotografie che sono la prova provata che il vuoto assoluto non è così difficile da ottenere con una fotocamera caricata a megapixel, fotografie regalate e fotografie carnevalate, aforismi e citazioni atti a delineare la vita e le opere di artisti…
    Poi ci penso bene e mi viene in mente che forse, tutto questo, è in fondo il desiderio che abbiamo tutti (io per primo) di dimostrare agli “altri” che esistiamo. Come se la nostra vita, così com’è, non sia più sufficiente a provare di essere vivi. E per questo “usiamo” il web, i “social”, come strumento per misurarne la qualità. Ed i “like”, i “commenti” diventano l’indice assoluto di vitalità. Se hai molti “like” sei uno fico. Non importa da dove e da chi arrivano. Anche se in realtà sai che, spesso, arrivano da cervelli meno efficienti del tuo.
    Ed ecco che senti il bisogno di far vedere a tutti le tue fotografie. E se hai molti “like” pensi di essere un fotografo di quelli bravi, di quelli che fanno “street” o “concepual art” (quando ti accorgi solo a casa di aver disattivato accidentalmente l’autofocus o usato tempi accazzo). E se per caso hai anche la forza di leggere la Sontag (è sufficiente la quarta di copertina), va finire che HCB ti fa una sega.
    E un mondo di visibilità (e vivibilità) si apre davanti a te. Metti su un bel sito, ma deve essere scarno, minimalista, insidioso, perchè quelli dove si capisce dove cliccare “non vanno più”. Ti iscrivi al club dei “fotografi estinti”. Crei un collettivo di fotografi amici in cui, ogni mattina, ognuno elogia l’altro prima che la peristalsi faccia il suo lavoro. Inizi ad essere intervistato da bloggers e riviste del settore. Arriva la prima mostra patrocinata dal comune di Pescorocchiano, ed è pienissima di gente, almeno fino a quando non finiscono le pizzette. E poi tante altre mostre e tante altre pizzette. Vinci concorsi, anche se il premio vale meno della quota di partecipazione.
    Insomma, diventi un Fotografo. Di quelli con la F maiuscola.
    E quando ti capita di leggere “Perché scattate se non avete niente da dire?”, pensi che SA.MU. non ce l’abbia con te. No, non è possibile. Sei suo amico su facebook. Mi ha anche chiesto dei pareri. E poi io sono “Bravo Fotografo”. Minchia, sono “street”, io. Non hai visto quante belle cose ho fatto? Io ho la Leica Station Wagon, non può avercela con me.
    Poi ti capita per caso di vedere questo e la tua F maiuscola si smoscia. E cominci a pensare che forse SA.MU. ce l’avesse proprio con te.
    P.S.: Forse sono andato fuori tema. 🙂

  27. Argomento molto interessante, su concordo per molti punti. Solo, secondo me, il titolo dovrebbe essere: “Perchè condividete (pubblicate, mostrate, insomma, fate vedere) se non avete niente da dire?”. Io credo, Sara, che la maggior parte dei “fenomeni” famosi su Youtube o sul web in generale (che non c’entrano nulla con la fotografia… cioè in senso lato, va beh ci siamo capite) ci pensi e parecchio alla gente che vedrà quelle immagini, anzi che pensino solo al “pubblico” e a quanti like potranno “tirar su”. Il rischio che questa moda coinvolga anche i fotografi è molto molto forte…

    • Ciao Anna, stai bene?
      Ti ringrazio per aver scritto. L’articolo era appunto rivolto a chi si definisce fotografo, non era generico. Secondo me qualcosa deve succedere per cui si sia un limite. Sembra che nessuno prenda posizione. Non spetta ancora a me, lo so. Volevo solo portare un punto su cui riflettere. Grazie ciao Sara

  28. “Stiamo semplicemente adeguandoci ad una sorta di linguaggio e visione canonica delle cose, che ci permetta di ricevere più like su Facebook, ma che non aggiunge un cavolo alla storia del mondo e nemmeno alla nostra storia personale.”

    Quello che stavo cercando in questa domenica mattina uggiosa.
    Grazie.

  29. Pingback: Fate bene a non difendere la Fotografia. Chissenefrega. | MU.SA.

  30. Pingback: Perché scattate se non avete niente da dire? | Claudio Turri

  31. Pingback: A volte la fotografia senza contesto è sufficiente ? | MU.SA.

  32. Considerazioni come sempre interessanti, dirette, democratiche dove serve ma antidemocratiche quando non si può ritenere un semplice “click” una foto. Continuerò a leggerti sempre con interesse!

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