Olimpiadi del 1968 in Messico. QUELLO che una fotografia non dice.

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Ieri, su facebook, mi sono imbattuta sulla storia di questa fotografia. Il post era di Riccardo Gazzaniga, che ringrazio per la possibilità di riflessione.

Una volta ancora mi ritrovo a pensare a quanto poco possa essere chiara un’immagine. Spesso, poca parte di quello che è contenuto in una fotografia, arriva al fruitore finale. Un po’ per un limite intrinseco del mezzo fotografico, un po’, come in questo caso, vissuto da me, perché, di fronte alle immagini, io stessa sono superficiale nella lettura, quindi limitata nella comprensione.

La fotografia l’avevo vista molte volte ma non conoscevo la storia dell’atleta australiano, che compie un gesto forte tanto quanto quello dei colleghi, poi diventati amici, sportivi.

Il ragazzo, come affermava anche Riccardo, passa in secondo piano osservando la foto, anzi io non l’avevo nemmeno registrato. Ora mi sento un po’ stupida per la mia leggerezza.

Qui sotto trovate la storia della fotografia, ma soprattutto la storia di questo giovane uomo.

Olimpiadi in Messico del 1968.

Uno degli eventi per il quale questa Olimpiade è oggi principalmente ricordata fu la premiazione dei 200 metri piani, durante la quale il vincitore a tempo di record del mondo Tommie Smith e il suo connazionale John Carlos, terzo classificato, alzarono il pugno chiuso guantato in nero in segno di protesta contro il razzismo e in risalto delle lotte di potere nero, mentre Peter Norman, australiano, sfoggiò una spilla in favore dei diritti umani. Essi ascoltarono l’inno nazionale americano con il capo chinato come per vergogna, tenendo gli occhi fissi sulle loro medaglie come in segno di protesta.

Lo stesso gesto venne adottato dalla ginnasta ceca Věra Čáslavská, che trovandosi sul gradino più alto del podio insieme alla sovietica Larisa Petrik dopo la gara di corpo libero, rifiuta di guardare la bandiera dell’URSS e di ascoltarne l’inno, tenendo il capo chinato in segno di protesta dopo l’invasione sovietica della Cecoslovacchia. Questo gesto le costerà un ritiro forzato dalle competizioni e il divieto di viaggiare per 12 anni.

Nel corso dei Giochi olimpici del 1968, Peter Norman si era messo in evidenza fin dalle batterie eliminatorie dei 200 metri, quando batté il record olimpico con il tempo di 20″2. Questo record sarebbe stato superato il giorno seguente dagli statunitensi Tommie Smith e John Carlos che, vincendo le rispettive semifinali con il tempo di 20″1, si presentarono alla finale come grandi favoriti. Norman, però, riuscì ad inserirsi fra i due nello sprint finale approfittando di un leggero rallentamento di Carlos, forse partito troppo veloce, e conquistando un’inattesa medaglia d’argento.

Più che per la gara in sé, tuttavia, Norman divenne celebre per aver partecipato a quella che probabilmente è ricordata come la più famosa protesta della storia dei Giochi olimpici quando, durante la premiazione, Smith e Carlos ascoltarono il loro inno nazionale chinando il capo e sollevando un pugno con un guanto nero, a sostegno del movimento denominato Olympic Project for Human Rights (Progetto Olimpico per i Diritti Umani). Non tutti sanno che Norman espresse la sua solidarietà alla causa dei due atleti afro-americani indossando, durante la cerimonia, lo stemma dell’Olympic Project for Human Rights.

Anzi, avendo Carlos smarrito il proprio paio di guanti neri (l’idea originale era che i due atleti avrebbero sollevato entrambi i pugni guantati di nero), pare che sia stato lo stesso Norman a suggerire loro di dividersi l’unico paio disponibile, indossando un guanto ciascuno: nella fotografia divenuta celebre, Smith indossa il guanto destro e Carlos il sinistro. Tuttavia la sua medaglia d’argento alle Olimpiadi del ’68 spesso passa inosservata di fronte alla più famosa protesta di Carlos e Smith tanto che molti quotidiani sportivi ancora oggi lo classificano come medaglia di bronzo e non d’argento.

Terminata l’attività agonistica, Norman si è impegnato nel campo dei diritti civili ma non ha abbandonato il mondo dell’atletica. Venne violentemente condannato dai media australiani per quanto fatto durante la cerimonia di premiazione a Città del Messico e continuamente boicottato dai responsabili sportivi australiani. Pur qualificatosi per 100 e 200 metri per i Giochi olimpici di Monaco di Baviera 1972, ne venne escluso. L’Australia non inviò nemmeno un velocista a quella edizione dei Giochi.

Peter Norman non venne nemmeno coinvolto nell’organizzazione dei Giochi olimpici di Sydney del 2000 e neppure invitato a presenziare, nonostante fosse il più grande velocista australiano di tutti i tempi. La sua figura, la sua partecipazione olimpica a Città del Messico nel 1968 ed il suo coraggioso appoggio all’Olympic Project for Human Rights con Tommie Smith e John Carlos sono ricordati nel film-documentario Salute diretto dal nipote Matt Norman.

Norman fece l’insegnante, ed è morto a Melbourne all’età di 64 anni a causa di un infarto. La federazione statunitense di atletica leggera ha proclamato il 9 ottobre, data del suo funerale nel 2006, Peter Norman Day. Smith e Carlos hanno salutato per l’ultima volta il loro amico al suo funerale sorreggendone la bara.

Solo nel 2012 il Parlamento Australiano ha approvato una tardiva dichiarazione per scusarsi con Peter Norman e riabilitarlo alla storia con queste parole: “Questo Parlamento riconosce lo straordinario risultato atletico di Peter Norman che vinse la medaglia d’argento nei 200 metri a Città del Messico, in un tempo di 20.06, ancora oggi record australiano”. Riconoscendo inoltre il coraggio di Peter Norman nell’indossare il simbolo del Progetto OIimpico per i Diritti umani sul podio, in solidarietà con Tommie Smith e John Carlos.

Da Wikipedia

2 pensieri su “Olimpiadi del 1968 in Messico. QUELLO che una fotografia non dice.

  1. Grazie per questa storia.
    Quello che mi fa più specie, secondo il racconto, è che nel 2000 (Duemila!), non sia stato invitato…
    Per quanto riguarda la foto in sé, in effetti viene da chiedersi perché tutti abbiano uno sguardo triste, sebbene stiano venendo premiati.

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