Jen Davis. Autoritratti. Il rapporto con l’obesità.

Per ricollegarmi alla fotografa di ieri: vedi qui due interpetazioni diverse del rapporto col proprio corpo.

Oggi vi presento il lavoro di Jen Davis.

È un viaggio intimo quello di Jen Davis. Undici anni di fotografie per capire come potesse essere diventata così grassa, addirittura un pericolo per la sua salute.

Si è fotografata per un periodo lunghissimo fino a che, grazie ad un’operazione, ha perso 50 kg.

La sua vita si è trasformata, una vita nuova, che nemmeno lei si aspettava più.

Questo il sito con altri bei ritratti

5 pensieri su “Jen Davis. Autoritratti. Il rapporto con l’obesità.

  1. Grazie per i due contributi sugli autoritratti.
    L’autoritratto in sé (non il “selfie”, anche se in qualche misura pure quello) è una forma fotografica che mi “sconvolge” sempre un po’. Non riesco a dare una spiegazione migliore. La modella si fa fotografare per soldi o vanità (ok, sto banalizzando, ma per intenderci). Poi c’è tutta la ritrattistica di amici e parenti, insomma delle foto ricordo. In genere c’è qualcuno che ci vuole fotografare, e ci chiede di farlo in un determinato modo (mettiti in posa, sorridi etc). L’autoritratto è un po’ mettersi a nudo, prima di tutto di fronte a se stessi, e poi agli altri. Credo che se fatto con criterio, o con intenzione, un autoritratto o una serie di autoritratti, sia un’esperienza piuttosto forte.

  2. Sono d’accordo Cristian, quanto meno nella mia esperienza. Io non riesco ad “auto-ritrarmi”, o quanto meno, se lo faccio, sono solo particolari di me o mi rendo irriconoscibile. Proprio non riesco a rivedermi in foto. =:O

  3. Ecco, “viaggio intimo”, la tua definizione è esattamente il motivo per cui queste foto a me piacevano più delle altre dove mancava proprio questo aspetto, secondo me.
    L’autoritratto è effettivamente un mettersi a nudo, non tanto di fronte agli altri, quanto a se stessi.Penso che ogni nostra scelta fotografica alla fine sia uno specchio, ma sicuramente più “mediato”: ritrarre se stessi è decisamente “diretto”.Si va diritti al cuore, il proprio cuore, intendo: a volte fa anche male.
    Chi fotografa, anche solo per passione, come faccio io, è comunque o dovrebbe essere, abituato a “vedere”, quindi può non essere facile “vedere” non tanto le proprie luci quanto le inevitabili ombre che ne derivano o che le contengono.
    Leggere (a mo’ di lettura portfolio) un proprio autoritratto o addirittura una serie scattata in tempi diversi può riservare sorprese. 🙂

    • Vero, l’importante rimane per ogni genere, la serietà con cui ci si avvicina alle cose, che svela sempre ragionamenti inattesi ed educativi,per se come fotografo e per terzi.Ciao

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